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Pubbl. Gio, 14 Apr 2016

Sì al risarcimento del danno ai precari, ma no alla stabilizzazione

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Alessandra Inchingolo


La Cassazione stabilisce che tutti i lavoratori precari assunti dalla p.a. che si sono visti rinnovare troppe volte il contratto a termine, non avranno diritto alla stabilizzazione e, dunque, il rapporto di lavoro non si converte in uno a tempo indeterminato. Pertanto l’unico diritto del lavoratore precario è quello di richiedere una indennità a forfait, che la P.A. non verserà spontaneamente, ma solo a seguito di una sentenza di condanna del giudice.


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 5072/16 del 15 marzo 2016, hanno risposto in maniera ferma alla precarizzazione del rapporto di lavoro, confermando dunque il diritto al risarcimento del danno, definendone altresì i limiti.

Basti pensare che sul punto, negli ultimi anni, si sono formati due orientamenti giurisprudenziali.

Il primo prevede che in caso di violazione della legge imperativa sui rinnovi vi sia solo il risarcimento dei danni subìti senza che il rapporto di lavoro si converta in tempo indeterminato. Dunque, in tale evenienza trova applicazione l’articolo 35, Legge n 183 del 2010 che prevede un’indennità onnicomprensiva che può arrivare fini ad un massimo di dodici mensilità. Un altro orientamento, configura il risarcimento come sanzione a carico del datore di lavoro e che contempla dalle 6 alle 14 mensilità, secondo la L. 604/1966.

Orbene, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, individuando il criterio per quantificare il risarcimento del danno per gli illegittimi rinnovi dei contratti a tempo determinato oltre i tre anni, ha preliminarmente rimarcato le differenze fra la disciplina del rapporto di lavoro privato e alle dipendenze della PA.

Infatti, malgrado la conversione del rapporto di lavoro flessibile a tempo indeterminato si riferisca solo al settore privato (articolo 36 del DLgs 165/01) e non a quello pubblico, non  risulta inconciliabile con il principio di uguaglianza (previsto dall'articolo 3 Cost) per via della diversa modalità di accesso all’impiego. Dato che al settore pubblico si accede sempre attraverso concorso infatti non troverà applicazione il risarcimento attraverso la conversione del rapporto di lavoro in tempo indeterminato, previsto dall’art.36 DLgs 165/01 per la violazione di disposizioni imperative sull’assunzione dei lavoratori.

Tuttavia, è sempre l’ordinamento italiano a dover ovviare a quelle situazioni di abuso, qualora si ricorra ad una successione di contratti a termine nel pubblico impiego, in ossequio ai princìpi di uguaglianza ed effettività.

Pertanto,  la Suprema Corte ha valutato la circostanza che sebbene il dipendente non perda il posto di lavoro, tuttavia subisce un danno patrimoniale, configurabile come mancato guadagno e anche come perdita.

La novità è data dal fatto che eguagliando i rimedi contro il precariato nel settore pubblico e privato, si riconosce in capo al lavoratore il diritto ad un’indennità onnicomprensiva tra 2,5 e a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale, ribadendo così il divieto di applicare l’art. 36 del DLgs 165/2001 da un lato, ed eliminando, dall’altro lato,  l’onere di provare il danno subìto a carico del lavoratore, andando così a statuire l’automaticità dell’indennizzo a favore del lavoratore, tenendo conto però dei parametri previsti dalla L. 604/1966, quali l’anzianità di servizio e le condizioni concrete del caso specifico.

In conclusione, non essendo più prevista la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si fa strada il diritto al risarcimento del danno ‘comunitario’, risarcibile in maniera forfettaria nei confronti del lavoratore pubblico che può provare di aver subìto un danno ulteriore rispetto a quello prestabilito.