Pubbl. Ven, 8 Apr 2016
Licenziamento disciplinare: il giudice di merito deve esaminare senza superficialità la questione oggetto di doglianza.
Modifica paginaLo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con sentenza n. 2328 del 5 Febbraio 2016, accogliendo il ricorso di un lavoratore.
Il comportamento tenuto dal dipendente sul posto di lavoro deve essere sempre rispettoso delle normative di legge, oltre che dai Contratti collettivi e, più in generale, improntato ai principi generali di correttezza e buona fede.
Ogni infrazione del lavoratore – più o meno grave – può determinare l’irrogazione da parte del datore di lavoro di una sanzione disciplinare.
Generalmente, l’elencazione delle sanzioni disciplinari applicabili ai dipendenti è contenuta nei contratti collettivi di lavoro, i quali specificano i provvedimenti applicabili in base alla gravità dell’infrazione commessa.
Le sanzioni disciplinari variano e possono essere sia di tipo conservativo (tra le quali, richiamo verbale, rimprovero scritto, multa, sospensione retribuzione), che di natura espulsiva (quale appunto: il licenziamento).
La Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con sentenza n. 2328 del 5 Febbraio 2016, accogliendo il ricorso proposto da un lavoratore operaio, ha ribadito un importante principio in tema di licenziamento disciplinare: ossia che il giudice di merito deve esaminare senza superficialità la questione oggetto di doglianza e deve risolverla in modo giuridicamente corretto, tenuto conto del fatto che laddove questi motivi senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione al riguardo resa, la sentenza merita di essere annullata per vizio di motivazione.
Il Caso.
Con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, un dipendente operaio impugnava il licenziamento disciplinare comminatogli sul posto di lavoro per essere stato sorpreso addormentato sul posto di lavoro (con macchinario da monitorare), nonché' renitente, sebbene recidivo, ad adeguarsi ai richiami ed agli ordini del suo superiore gerarchico.
Il Giudice di prime cure ritenendo legittimo il licenziamento disciplinare rigettava l’impugnazione proposta dal dipendente.
Il lavoratore proponeva appello innanzi la Corte di appello di Ancona, che con sentenza del 22.10.2012 rigettava l'impugnativa proposta dal lavoratore avverso la sentenza del tribunale di Ascoli Piceno del 18.10.2011.
Avverso tale decisione, viene proposto ricorso per Cassazione adducendo principalmente tre motivi:
1. Con il primo motivo, preliminarmente, si riteneva che il provvedimento di recesso era tardivo perché' era stato ricevuto dopo il termine di 10 giorni stabilito dal CCNL.
2. Con il secondo motivo si evidenziava che la ricostruzione degli episodi fatta in sentenza non corrispondeva al reale andamento dei fatti. Le risultante delle prove testimoniali venivano riportate brevemente con poche frasi e, addirittura, alcune non venivano nemmeno menzionate. Tra l'altro, non veniva nemmeno presa in considerazione la tesi difensiva del lavoratore che, come confermato da altri testi, affermava di trovarsi a soli tre metri dalla macchina sia nel primo che nel secondo episodio e di aver risposto educatamente alle contestazioni del direttore; infatti, era una prassi consentita quella di sedersi a breve distanza dalla macchina per l'elevata temperatura.
3. Con il terzo motivo si riteneva non dimostrata o sufficientemente argomentata la proporzione tra i fatti commessi e la sanzione applicata.
Il Ragionamento della Corte.
In merito al primo motivo, la Suprema Corte ha ritenuto che – ai sensi dell’articolo 53 CCNL applicabile – risulta che il provvedimento di applicazione della sanzione deve essere “emanato entro i giorni” dalle giustificazione e non “comunicato”.
Sotto altro aspetto, già la Corte di Appello di Ancona aveva ribadito con una intera pagina di motivazione che la norma contrattuale si applicasse solo alle sanzioni non espulsive.
Per quanto concerne, invece, il secondo motivo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, questi sono stati accolti perché: “La sentenza impugnata non offre una ricostruzione organica e puntuale dei due episodi contestati.”
La sentenza parla di "precise, coerenti e concordanti deposizioni dei testimoni", ma di tali dichiarazioni sono state riportate poche frasi, la versione di altri testimoni, invece, non veniva nemmeno menzionata.
Ed ancora, la tesi del lavoratore per cui è “prassi aziendale” che il lavoratore si sedesse a breve distanza dalla macchina per l’elevata temperatura non veniva proprio presa in considerazione dal giudice di merito.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con sentenza n. 2328 del 5 Febbraio 2016, ritenendo di dover accogliere il ricorso del lavoratore, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione che provvederà ad esaminare compiutamente l'istruttoria espletata con riferimento a tutti i testi esaminati e con verifica della tesi difensiva del lavoratore e provvederà, una volta ricostruiti i fatti, a valutare la proporzionalità tra gli stessi e la sanzione espulsiva irrogata.