Pubbl. Lun, 31 Mar 2025
Rifiuto alla stipulazione del contratto per sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria
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Maria Federica Santoli

L’articolo esamina la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 7571 del 13 settembre 2024, sul rifiuto alla stipulazione del contratto per mancanza di copertura finanziaria. La decisione bilancia la certezza dei rapporti contrattuali e la sostenibilità economica degli appalti pubblici. Analizzando il quadro normativo, vengono approfonditi l’art. 32, comma 8, del D.Lgs. 50/2016 e l’art. 21-quinquies della L. 241/1990. La sentenza rafforza le tutele per gli operatori economici, stabilendo che la revoca per carenza di fondi deve essere motivata nell’interesse pubblico e non come sanzione.Si analizza l’iter processuale, con il ribaltamento della decisione del TAR Lazio, e il ruolo dei principi del risultato e della fiducia.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il quadro normativo di riferimento; 3. L’iter della vicenda processuale; 4.Il principio della tutela dell’aggiudicatario; 5. La conseguenza della mancata copertura finanziaria; 6. Conclusioni.
1. Introduzione
La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 7571 del 13 settembre 2024, si inserisce in un quadro giurisprudenziale di crescente attenzione alla tutela degli operatori economici nelle procedure di affidamento di appalti pubblici. Il caso oggetto della decisione riguarda la revoca dell'aggiudicazione di un appalto per la riqualificazione di immobili pubblici, basato su un modello di finanziamento vincolato all'ottenimento del superbonus 110%. L'impresa aggiudicataria, a fronte di ritardi e incertezze sulla concreta disponibilità della copertura finanziaria, ha rifiutato di stipulare il contratto, suscitando la reazione della stazione appaltante che ha proceduto alla revoca per inadempimento.
La questione centrale affrontata dal Consiglio di Stato riguarda la legittimità del rifiuto alla stipula del contratto e l'individuazione della corretta imputazione della responsabilità della revoca dell'affidamento. L'analisi della sentenza permette di approfondire alcuni principi fondamentali del diritto amministrativo e degli appalti pubblici.
Da un lato, si pone il problema del termine per la stipulazione del contratto e del suo valore giuridico: sebbene esso sia qualificato come ordinatorio, non può essere lasciato esclusivamente alla discrezionalità della stazione appaltante, pena il rischio di svuotare di significato le tutele previste per l'aggiudicatario. Dall'altro, emerge il ruolo della copertura finanziaria e la sua incidenza sulla validità e sostenibilità dell'affidamento. In particolare, il CdS ha chiarito che la mancanza sopravvenuta di risorse economiche necessarie per l'esecuzione dei lavori può giustificare il rifiuto dell'aggiudicatario a stipulare il contratto senza che ciò possa configurarsi come un comportamento illegittimo o pregiudizievole per la stazione appaltante.
L'articolo analizzerà il quadro normativo di riferimento, con particolare attenzione all'art. 32, comma 8, del D.Lgs. 50/2016, che disciplina il termine per la stipula del contratto, e all'art. 21-quinquies della L. 241/1990, che regola la revoca degli atti amministrativi per sopravvenuti motivi di interesse pubblico. Inoltre, verranno esaminati i principi del risultato e della fiducia, codificati nel nuovo Codice degli Appalti del 2023, ma considerati già immanenti nell'ordinamento e richiamati nella motivazione della sentenza. Lo scopo dell'analisi è evidenziare le implicazioni di questa pronuncia sulla prassi amministrativa e sulle garanzie riconosciute agli operatori economici nei procedimenti di gara, con un focus sulle criticità derivanti da ritardi burocratici e da vincoli finanziari che possono pregiudicare l'esecuzione dei contratti pubblici.
2. Il quadro normativo di riferimento
La sentenza del Consiglio di Stato n. 7571 del 2024 che disciplina la gestione degli appalti pubblici, la tempistica della stipulazione del contratto e la possibilità di revoca dell’aggiudicazione in caso di sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria. La normativa di riferimento non si limita alle disposizioni specifiche del Codice dei Contratti Pubblici, ma coinvolge anche principi generali del diritto amministrativo, tra cui la trasparenza, la certezza dei rapporti giuridici e la tutela dell’affidamento dell’aggiudicatario.
Un aspetto centrale della normativa in materia di appalti pubblici riguarda la tempistica e gli obblighi delle parti nella stipulazione del contratto. L’art. 32, comma 8, del D.Lgs. 50/2016 stabilisce che il contratto debba essere stipulato entro sessanta giorni dall’aggiudicazione definitiva, salvo che la lex specialis di gara preveda un termine più ampio. Questa previsione normativa è finalizzata a garantire la certezza delle tempistiche dell’azione amministrativa, evitando che l’aggiudicatario rimanga vincolato per un periodo indefinito senza poter disporre di un contratto esecutivo.
Tuttavia, il carattere ordinatorio del termine per la stipula non implica che la stazione appaltante possa prorogarlo senza limiti. La giurisprudenza ha chiarito che un’interpretazione eccessivamente discrezionale della norma potrebbe ledere il principio di certezza del diritto e pregiudicare la stabilità economica dell’operatore economico. In particolare, nella sentenza 22 febbraio 2024, n. 1774, il Consiglio di Stato ha evidenziato che un ritardo ingiustificato nella stipulazione potrebbe alterare l’equilibrio contrattuale e compromettere la sostenibilità dell’offerta, rendendo il contratto economicamente insostenibile per l’aggiudicatario.
Nel caso in esame, il ritardo nella stipulazione del contratto è stato determinato da fattori indipendenti dalla volontà dell’aggiudicatario, tra cui il mancato completamento delle verifiche amministrative e l’incapacità della stazione appaltante di garantire la copertura finanziaria necessaria all’esecuzione dell’appalto. Il Consiglio di Stato ha quindi riconosciuto che il rifiuto dell’aggiudicatario di concludere il contratto non poteva essere considerato un inadempimento, bensì una conseguenza della sopravvenuta impossibilità di adempiere alle condizioni economiche originarie dell’affidamento.
La revoca dell’aggiudicazione per mancanza di copertura finanziaria trova il suo fondamento normativo nell’art. 21-quinquies della L. 241/1990, il quale disciplina la revoca degli atti amministrativi per motivi di interesse pubblico o per mutamento delle circostanze. La norma consente alla pubblica amministrazione di annullare un provvedimento qualora emergano nuove circostanze che rendano impossibile o non conveniente la sua esecuzione.
La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che la revoca non può essere utilizzata in modo arbitrario per rimediare a errori di programmazione dell’ente pubblico o per scaricare sull’aggiudicatario le conseguenze di inefficienze amministrative. Il Consiglio di Stato ha affermato che la mancanza di copertura finanziaria costituisce un motivo legittimo per la revoca dell’aggiudicazione, ma tale revoca avrebbe dovuto essere formalizzata dalla stazione appaltante senza imputare alcuna responsabilità all’aggiudicatario.
Nel momento in cui la pubblica amministrazione si rende conto della mancanza di risorse finanziarie sufficienti per la realizzazione dell’appalto, ha l’obbligo di adottare decisioni tempestive e trasparenti, evitando di porre l’aggiudicatario in una condizione di incertezza giuridica ed economica. L’operatore economico deve poter confidare nella stabilità dell’aggiudicazione e non può essere chiamato a sostenere i costi derivanti da scelte amministrative errate o da ritardi nella gestione delle risorse pubbliche.
Sebbene il D.Lgs. 36/2023, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, non fosse ancora applicabile alla fattispecie in esame, il CdS ha ritenuto che alcuni principi in esso contenuti fossero già presenti nell’ordinamento e potessero essere richiamati in chiave interpretativa. Tra questi, il principio del risultato e il principio della fiducia assumono un ruolo centrale nella valutazione della legittimità della revoca dell’aggiudicazione.
Il principio del risultato, sancito all’art. 1 del D.Lgs. 36/2023, impone alle amministrazioni pubbliche di garantire che l’intero procedimento di gara, dall’affidamento alla stipula ed esecuzione del contratto, sia finalizzato al raggiungimento di un esito concreto e utile per l’interesse pubblico. Ritardi e incertezze sulla copertura finanziaria compromettono tale obiettivo, ostacolando la realizzazione dell’opera pubblica e determinando un danno per l’aggiudicatario.
Il principio della fiducia, previsto all’art. 2 del medesimo decreto legislativo, rafforza l’idea che l’azione amministrativa debba essere orientata alla collaborazione con gli operatori economici, evitando di porli in situazioni di incertezza o instabilità. Nel caso in esame, il Consiglio di Stato ha evidenziato come il comportamento della stazione appaltante, caratterizzato da ritardi e da una mancata chiarezza sulla disponibilità di risorse, abbia violato tale principio, determinando uno scenario in cui l’aggiudicatario si è trovato esposto a rischi e responsabilità non dipendenti dalla propria volontà.
Questa sentenza si inserisce in un orientamento giurisprudenziale volto a rafforzare la certezza dei rapporti contrattuali negli appalti pubblici, tutelando gli operatori economici dall’eccessiva discrezionalità delle amministrazioni. Il Consiglio di Stato ha evidenziato la necessità di evitare che la revoca dell’aggiudicazione venga utilizzata come uno strumento per sanare inefficienze o carenze di programmazione finanziaria da parte della pubblica amministrazione.
L’assetto normativo vigente, così come interpretato dalla sentenza, conferma che la revoca dell’aggiudicazione per mancanza di copertura finanziaria è legittima, ma deve avvenire in tempi congrui e senza pregiudicare il diritto dell’aggiudicatario a operare in un contesto stabile e prevedibile. Il Consiglio di Stato ha quindi ribadito che l’azione amministrativa deve essere guidata da criteri di trasparenza, responsabilità ed efficienza, evitando decisioni che possano minare la fiducia degli operatori economici nel sistema degli appalti pubblici.
3. L’iter della vicenda processuale
La controversia nasce dall’aggiudicazione di un appalto pubblico per la riqualificazione di immobili di proprietà dell’ATER Roma, finanziato attraverso il superbonus 110%. L’aggiudicatario, dopo aver ottenuto l’affidamento dei lavori, ha comunicato alla stazione appaltante l’impossibilità di procedere alla stipula del contratto, motivando la decisione con la mancanza delle condizioni tecnico-finanziarie necessarie all’esecuzione dell’appalto. Nello specifico, la società ha evidenziato il ritardo della stazione appaltante nella trasmissione della documentazione progettuale e nella definizione delle condizioni operative necessarie per l’accesso agli incentivi fiscali.
A fronte di questa comunicazione, la stazione appaltante ha contestato il rifiuto dell’aggiudicatario, ritenendolo ingiustificato e inadempiente rispetto agli obblighi derivanti dall’aggiudicazione. Di conseguenza, ha proceduto con la revoca dell’affidamento, imputando la responsabilità dell’annullamento dell’aggiudicazione alla condotta dell’operatore economico. Quest’ultimo, ritenendo illegittima la revoca, ha presentato ricorso al TAR Lazio, sostenendo che la reale causa ostativa alla stipulazione del contratto non fosse imputabile a una sua scelta arbitraria, bensì alla sopravvenuta impossibilità di garantire la sostenibilità economica dell’intervento a causa della mancata copertura finanziaria.
Il TAR Lazio ha rigettato il ricorso dell’aggiudicatario, ritenendo che l’obbligo di stipula derivante dall’aggiudicazione fosse vincolante e non potesse essere unilateralmente disatteso dall’operatore economico. Il tribunale ha sostenuto che l’aggiudicatario, avendo partecipato alla gara e accettato le condizioni previste, non potesse sottrarsi all’impegno assunto, indipendentemente dalle eventuali difficoltà finanziarie e operative emerse successivamente.
L’aggiudicatario ha quindi impugnato la decisione del TAR Lazio dinanzi al Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n. 7571 del 2024, ha ribaltato la pronuncia di primo grado, accogliendo integralmente il ricorso dell’impresa. Il ha riconosciuto che il rifiuto alla stipulazione del contratto non fosse espressione di un inadempimento contrattuale, bensì una scelta legittima derivante da un mutamento sostanziale delle condizioni economiche e finanziarie su cui si fondava l’aggiudicazione. In particolare, il collegio ha evidenziato che, se la stazione appaltante non è in grado di garantire la copertura finanziaria dell’appalto nei tempi previsti, l’aggiudicatario non può essere costretto a sottoscrivere il contratto a condizioni divenute insostenibili rispetto alla proposta formulata in sede di gara.
Il Consiglio di Stato ha inoltre sottolineato che la discrezionalità della stazione appaltante nella gestione del termine per la stipulazione del contratto non può essere illimitata, in quanto ciò violerebbe il principio della certezza dei rapporti contrattuali e comprometterebbe la posizione dell’aggiudicatario. Richiamando la propria giurisprudenza, tra cui la sentenza 22 febbraio 2024, n. 1774, il Consiglio di Stato ha ribadito che il termine per la stipula, pur essendo ordinatorio, deve comunque garantire la prevedibilità delle scelte imprenditoriali dell’operatore economico, il quale non può essere esposto a variazioni sostanziali dell’equilibrio contrattuale a causa di ritardi e inefficienze della stazione appaltante.
Un ulteriore elemento considerato, è stata la responsabilità della pubblica amministrazione nella gestione della copertura finanziaria dell’appalto. La sentenza ha chiarito che la revoca dell’affidamento per carenza di fondi è un provvedimento legittimo, purché sia correttamente motivato e non strumentalizzato per giustificare un’azione sanzionatoria nei confronti dell’aggiudicatario. Nel caso specifico, la revoca avrebbe dovuto essere adottata per ragioni di interesse pubblico legate alla mancanza di risorse finanziarie, e non come conseguenza del presunto inadempimento dell’operatore economico.
Con questa decisione, il Consiglio di Stato ha consolidato un importante principio di tutela per gli operatori economici negli appalti pubblici, affermando che le amministrazioni aggiudicatrici non possono imporre unilateralmente obblighi che prescindano dalla sostenibilità economica e finanziaria del contratto. La pronuncia si inserisce nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale volto a garantire maggiore equilibrio tra le parti nel contesto degli appalti pubblici, impedendo che le inefficienze della pubblica amministrazione si traducano in un danno per l’aggiudicatario.
4. Il principio della tutela dell’aggiudicatario
Uno degli aspetti centrali della sentenza riguarda la tutela dell’aggiudicatario nei confronti delle condotte della stazione appaltante che possano compromettere la certezza e la sostenibilità dell’affidamento. La decisione ribadisce che, sebbene il termine per la stipulazione del contratto sia qualificato come ordinatorio, esso non può essere lasciato interamente alla discrezionalità della pubblica amministrazione, poiché ciò svuoterebbe di significato le tutele previste per l’operatore economico.
Il Consiglio di Stato ha sottolineato che l’aggiudicatario deve poter pianificare la propria attività imprenditoriale in un quadro di certezza giuridica e finanziaria, senza essere costretto a subire ritardi indefiniti nella stipula del contratto, specialmente quando tali ritardi sono dovuti a fattori estranei alla sua volontà. Se la pubblica amministrazione, dopo aver concluso la procedura di gara, non è in grado di garantire nei tempi previsti la copertura finanziaria necessaria per l’esecuzione dell’appalto, l’aggiudicatario non può essere obbligato a mantenere l’impegno assunto in condizioni radicalmente mutate rispetto a quelle previste al momento dell’aggiudicazione.
Il collegio giudicante ha evidenziato che il comportamento della stazione appaltante non può tradursi in un pregiudizio per l’aggiudicatario, il quale non deve essere vincolato a tempo indeterminato alla stipula di un contratto se nel frattempo le condizioni economiche sono cambiate in modo sostanziale. In altre parole, una volta decorso il termine massimo per la stipulazione del contratto e in assenza di un’adeguata copertura finanziaria per l’esecuzione dell’appalto, l’operatore economico ha il diritto di svincolarsi senza incorrere in responsabilità per la mancata stipula.
La sentenza ha richiamato un principio giurisprudenziale già affermato in precedenti pronunce, tra cui la sentenza 22 febbraio 2024, n. 1774, secondo cui l’aggiudicatario deve poter contare su una gestione trasparente e prevedibile del procedimento di gara. L’affidamento dell’operatore economico non può essere sacrificato a causa di ritardi imputabili alla pubblica amministrazione, né può essere costretto a stipulare un contratto senza che siano garantite le condizioni economiche originariamente previste.
Un altro elemento centrale della decisione riguarda la distinzione tra l’obbligo di stipula del contratto e la possibilità di revoca dell’aggiudicazione per cause indipendenti dall’aggiudicatario. Il Consiglio di Stato ha chiarito che, nel momento in cui la pubblica amministrazione si trova nell’impossibilità di assicurare la copertura finanziaria necessaria per l’appalto, la revoca dell’aggiudicazione non può essere imputata a una colpa dell’operatore economico, bensì deve essere riconosciuta come una conseguenza oggettiva della mancanza di risorse disponibili.
In quest’ottica, la sentenza valorizza il principio dell’equilibrio contrattuale e della tutela dell’affidamento, impedendo che l’aggiudicatario sia esposto a decisioni unilaterali della pubblica amministrazione che ne compromettano la posizione giuridica ed economica. La revoca dell’aggiudicazione, quindi, può essere legittimamente adottata per motivi di interesse pubblico, ma non può tradursi in una sanzione ingiustificata nei confronti dell’aggiudicatario.
Questa interpretazione si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a rafforzare la certezza del diritto negli appalti pubblici e a prevenire comportamenti che possano alterare la parità di trattamento tra amministrazione e operatori economici. Il Consiglio di Stato ha quindi stabilito un principio fondamentale: se l’amministrazione non è in grado di garantire le condizioni per la stipula del contratto, l’aggiudicatario non può essere costretto ad assumere un obbligo che, di fatto, non è più sostenibile né giuridicamente né economicamente.
5. Le conseguenze della mancata copertura finanziaria
Uno dei punti fondamentali affrontati dal Consiglio di Stato nella sentenza riguarda la rilevanza della mancata copertura finanziaria come fattore determinante nella revoca dell’aggiudicazione. La decisione ha stabilito che la revoca dell’affidamento di un appalto pubblico non possa essere giustificata con un presunto inadempimento dell’aggiudicatario quando, in realtà, la causa ostativa alla stipulazione del contratto risieda nella carenza di fondi da parte della stazione appaltante.
Il CdS ha chiarito che la copertura finanziaria rappresenta un presupposto essenziale per la validità e l’efficacia dell’affidamento di un appalto pubblico. Se le condizioni economico-finanziarie che avevano giustificato l’indizione della gara vengono meno, ciò costituisce una sopravvenienza che legittima la revoca dell’aggiudicazione per motivi di interesse pubblico. Tuttavia, tale revoca non può essere imputata a responsabilità dell’aggiudicatario, il quale non può essere costretto a sottoscrivere un contratto in assenza delle garanzie finanziarie necessarie per l’esecuzione dell’appalto.
La sentenza ha inoltre ribadito che l’amministrazione deve adottare un comportamento leale e coerente nel rispetto del principio del buon andamento e dell’affidamento legittimo dell’operatore economico. In questo senso, una volta verificata l’impossibilità di garantire la copertura finanziaria dell’appalto, la stazione appaltante avrebbe dovuto tempestivamente informare l’aggiudicatario e procedere alla revoca dell’affidamento senza attribuire all’impresa alcuna responsabilità. Il ritardo nell’assunzione di tali determinazioni da parte dell’amministrazione non può tradursi in una penalizzazione per l’operatore economico.
Un ulteriore profilo evidenziato, riguarda la necessità di evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche delle disposizioni di gara che possano compromettere l’equilibrio contrattuale tra amministrazione e impresa. La decisione ha sottolineato che l’aggiudicatario, nell’ambito di un appalto pubblico, ha diritto a condizioni certe e definite, non potendo essere costretto a concludere un contratto quando le condizioni economiche dell’affidamento sono radicalmente mutate per cause indipendenti dalla sua volontà.
Un aspetto particolarmente rilevante della sentenza riguarda il richiamo ai principi generali dell’azione amministrativa già richiamati: il principio del risultato e il principio della fiducia, recentemente codificati nel nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023). In particolare, il principio del risultato impone alle amministrazioni di perseguire il miglior esito possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti pubblici, evitando decisioni che, per eccessivo formalismo o per carenze organizzative, possano pregiudicare l’effettiva realizzazione degli interventi pubblici. In questo caso, il mancato raggiungimento di un accordo tra le parti, unito all’impossibilità di garantire la copertura finanziaria dell’appalto, ha determinato una situazione di stallo che ha reso impossibile la stipulazione del contratto senza che ciò potesse essere imputato a responsabilità dell’aggiudicatario.
Il Consiglio di Stato ha inoltre evidenziato che la revoca dell’affidamento per carenza di fondi non può avvenire in modo arbitrario o senza una motivazione adeguata, ma deve essere basata su una valutazione oggettiva dell’interesse pubblico. Tale valutazione deve tenere conto non solo delle condizioni economico-finanziarie dell’appalto, ma anche dell’affidamento riposto dall’aggiudicatario sulla legittimità della procedura di gara e sulle prospettive di realizzazione dell’intervento. Un comportamento omissivo o dilatorio da parte dell’amministrazione, che prolunghi inutilmente l’incertezza sull’effettiva disponibilità delle risorse, può infatti tradursi in un danno per l’aggiudicatario, privandolo della possibilità di programmare adeguatamente la propria attività imprenditoriale.
In questa prospettiva, la sentenza rappresenta un importante precedente in materia di appalti pubblici, riaffermando il principio secondo cui la mancanza di copertura finanziaria costituisce un motivo legittimo per la revoca dell’aggiudicazione, ma non può essere strumentalizzata per giustificare un’azione sanzionatoria nei confronti dell’operatore economico. Tale principio rafforza la tutela dell’aggiudicatario e impone alla pubblica amministrazione di adottare decisioni coerenti e trasparenti nel rispetto della legalità e della buona fede contrattuale, con l’obiettivo di garantire stabilità e affidabilità nei rapporti tra settore pubblico e imprese.
6. Conclusioni
La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 7571 del 13 settembre 2024, rappresenta un importante punto di riferimento nella giurisprudenza degli appalti pubblici, consolidando alcuni principi fondamentali in tema di tutela dell’aggiudicatario, certezza dei rapporti contrattuali e corretta gestione amministrativa degli affidamenti pubblici. In particolare, il Consiglio di Stato ha ribadito che il rifiuto dell’aggiudicatario alla stipulazione del contratto non può essere qualificato come inadempimento quando risulti fondato sulla sopravvenuta carenza di copertura finanziaria, una circostanza che incide sulla sostenibilità dell’appalto e sulla sua stessa eseguibilità.
La decisione ha confermato che la copertura finanziaria costituisce un presupposto essenziale per la validità dell’aggiudicazione e della successiva esecuzione del contratto. Di conseguenza, l’amministrazione ha l’obbligo di garantire la stabilità delle condizioni economiche su cui si fonda la procedura di gara e di adottare tempestivamente le necessarie determinazioni qualora tali condizioni vengano meno. In tal senso, la revoca dell’aggiudicazione per carenza di fondi è una soluzione giuridicamente legittima, ma non può essere utilizzata per sanzionare l’aggiudicatario, il quale deve poter confidare sulla corretta gestione amministrativa dell’affidamento.
Un altro aspetto di rilievo della pronuncia riguarda la conferma del principio secondo cui il termine per la stipulazione del contratto, pur essendo ordinatorio, non può essere lasciato alla discrezionalità assoluta della stazione appaltante. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che la gestione dei tempi di stipula deve avvenire nel rispetto dell’equilibrio contrattuale tra le parti, evitando che l’amministrazione possa imporre vincoli unilaterali a danno dell’operatore economico.
Inoltre, la sentenza si inserisce in un contesto giurisprudenziale più ampio che valorizza i principi del risultato e della fiducia. Sebbene il nuovo Codice degli Appalti non fosse applicabile ratione temporis alla vicenda in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto tali principi già immanenti nell’ordinamento, sottolineando la necessità di un’azione amministrativa orientata al raggiungimento di obiettivi concreti e al rispetto delle legittime aspettative degli operatori economici.
In conclusione, la sentenza n. 7571/2024 offre un contributo significativo all’evoluzione della disciplina degli appalti pubblici, rafforzando le tutele per gli aggiudicatari e ponendo un freno a prassi amministrative che, attraverso ritardi, incertezze o interpretazioni formalistiche, possano compromettere l’efficacia e l’efficienza delle procedure di gara. Il pronunciamento riafferma la necessità di un’amministrazione trasparente e responsabile, in grado di bilanciare le esigenze di interesse pubblico con il rispetto dei diritti e delle aspettative degli operatori economici coinvolti nei procedimenti di affidamento.
1. GIOVAGNOLI R., Compendio di diritto amministrativo, Itaedizioni, 2024.
2. LOPILATO V., Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli, 2024.
3. L. 241/1990, art. 21-quinquies – Regola la revoca degli atti amministrativi per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per mutamento della situazione di fatto, garantendo un equilibrio tra esigenze amministrative e tutela dell’affidamento.
4. D.Lgs. 50/2016, art. 32, comma 8 – Disciplina la tempistica per la stipula del contratto d’appalto, stabilendo un termine ordinatorio di sessanta giorni dall’aggiudicazione definitiva, salvo diversa previsione della lex specialis di gara.
5. D.Lgs. 36/2023, art. 1 (principio del risultato) – Impone alle amministrazioni pubbliche di perseguire la massima tempestività nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti, garantendo efficienza e sostenibilità economica.
6. D.Lgs. 36/2023, art. 2 (principio della fiducia) – Stabilisce che i rapporti tra amministrazione e operatori economici siano improntati a trasparenza e prevedibilità, evitando decisioni arbitrarie o dannose per l’affidamento dell’aggiudicatario.
7. TAR Lazio, Sez. V, sentenza 19 gennaio 2024, n. 927 – Rigetta il ricorso dell’aggiudicatario, ritenendo che l’obbligo di stipula del contratto derivante dall’aggiudicazione sia vincolante e non possa essere unilateralmente disatteso.
8. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22 febbraio 2024, n. 1774 – Stabilisce che il termine per la stipula del contratto, pur essendo ordinatorio, non può essere lasciato alla totale discrezionalità della stazione appaltante, tutelando l’aggiudicatario da ritardi ingiustificati.
9. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13 settembre 2024, n. 7571 – Affronta il rifiuto alla stipulazione del contratto per mancanza di copertura finanziaria, ribadendo che la revoca dell’aggiudicazione deve essere motivata nell’interesse pubblico e non come sanzione nei confronti dell’aggiudicatario.