Strumenti di semplificazione in ambito di ricostruzione e utilizzo nel processo autorizzativo della clausola revocatoria
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Fabio Tarantini

La gestione delle emergenze e delle ricostruzioni post-calamità in Italia ha, da sempre, sollevato la necessità di strumenti normativi adeguati per accelerare le procedure burocratiche, garantendo al contempo trasparenza ed efficacia. L’approvazione del disegno di Legge quadro del 5 dicembre 2023 rappresenta un passo indicativo verso un contesto normativo unitario e più snello, volto a disciplinare i processi di ricostruzione in situazioni di emergenza. La legge mira a fornire strumenti di semplificazione per facilitare le operazioni post-calamità e garantire risposte tempestive alle esigenze delle comunità colpite.

Simplification tools in the context of reconstruction and use of the clawback clause in the authorization process.
The management of emergencies and post-disaster reconstruction in Italy has always highlighted the need for adequate regulatory tools to expedite bureaucratic procedures while ensuring transparency and effectiveness. The approval of the framework bill on December 5, 2023, represents an indicative step towards a unified and leaner regulatory context, aimed at governing reconstruction processes in emergency situations. The law aims to provide simplification tools to facilitate post-disaster operations and ensure timely responses to the needs of affected communities.Sommario: 1. Introduzione; – 2. La tendenza a stabilizzare l’emergenza e il problema del governo del territorio; – 3. La prassi di commissariamento; – 4. La possibile violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza; – 5. L’affermazione del modello con il decreto legislativo n. 189/2016 e il decreto legislativo n. 61/2023; – 6. La semplificazione e l’uso della SCIA; – 7. L’esclusione del principio del soccorso istruttorio nel processo autorizzativo e l’introduzione della clausola revocatoria come condizione risolutiva; – 8. Conclusioni.
1. Introduzione
La gestione delle emergenze e delle ricostruzioni post-calamità in Italia ha, da sempre, sollevato la necessità di strumenti normativi adeguati per accelerare le procedure burocratiche, garantendo al contempo trasparenza ed efficacia[1]. L’approvazione del disegno di Legge quadro del 5 dicembre 2023 rappresenta un passo indicativo verso un contesto normativo unitario e più snello, volto a disciplinare i processi di ricostruzione in situazioni di emergenza[2]. La legge mira a fornire strumenti di semplificazione per facilitare le operazioni post-calamità e garantire risposte tempestive alle esigenze delle comunità colpite. Tuttavia, la sola riduzione dei tempi burocratici si rivela di per sé insufficiente, se non accompagnata da misure che assicurino il controllo e la correttezza degli interventi autorizzativi[3].
A tale riguardo, assume particolare rilevanza la Legge n. 111 dell’8 agosto 2024 che ha convertito con modificazioni il D.L. n. 76 dell’11 giugno 2024, noto per aver introdotto ulteriori misure di semplificazione specificamente rivolte al settore della ricostruzione. Questa normativa, entrata in vigore il 10 agosto 2024, ha ampliato e perfezionato gli strumenti previsti nella legge quadro del 2023, inserendo una serie di deroghe e procedure speciali che accelerano ulteriormente i processi di ricostruzione; in particolare, ha introdotto la cosiddetta “clausola revocatoria” nell’ambito del processo autorizzativo, uno strumento che consente l’annullamento di autorizzazioni o concessioni qualora siano riscontrate irregolarità o comportamenti non conformi alle norme[4]. La combinazione di semplificazioni procedurali e la previsione di una clausola revocatoria appaiono di cruciale importanza per bilanciare l’efficienza con il rigore normativo. Nel corso di una ricostruzione post-calamità, infatti, la rapidità delle azioni non può prescindere dalla trasparenza e dal rispetto della legalità, pena il rischio di favorire abusi o irregolarità.
Obiettivo della presente riflessione, dunque, è quello di analizzare in dettaglio gli strumenti di semplificazione introdotti dalle normative recenti e di esplorare l’uso della clausola revocatoria, evidenziando come tali misure possano rappresentare un equilibrio tra l’esigenza di velocizzare le procedure e quella di garantire il controllo pubblico sugli interventi di ricostruzione.
2. La tendenza a stabilizzare l’emergenza e il problema del governo del territorio
La ‘ricostruzione’, di fatto, non può essere considerata una ‘materia’ nel senso stretto del termine e neppure in senso più ampio. Nella Costituzione italiana non si parla specificamente di ‘ricostruzione’ e l’art. 117 Cost., che regola la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, si limita a stabilire quali materie siano di competenza esclusiva dello Stato, quali di competenza concorrente e quali di competenza residuale delle Regioni[5]. Sebbene, per certi aspetti, la ‘ricostruzione’ in senso ampio possa riferirsi a processi di recupero e sviluppo, come quello post-sisma o post-bellico, essa non viene esplicitamente menzionata nell’art. 117 della nostra Cost.[6]. Si tratta, a detta dello scrivente, di una disattenzione da parte del legislatore, che ha inserito degli elenchi non esaustivi, considerando che le materie indicate non coprono tutti gli ambiti di competenza che possono emergere nel rapporto tra Stato e Regioni; sarebbe auspicabile l’adozione di un approccio teleologico, per recuperare una visione più dinamica e flessibile della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, in grado di affrontare in modo più efficace le sfide che possono emergere anche a seguito di una calamità e di una ricostruzione.
È parere di chi scrive che la ‘ricostruzione’ non possa neppure essere equiparata, così come vuole una parte consistente della dottrina, alla stabilizzazione delle emergenze; un atteggiamento questo, come si avrà modo di approfondire, che trova conferma nel D.L. n. 1632[7]. La ricostruzione, infatti, dovrebbe mirare a ripristinare e migliorare la situazione del territorio e delle comunità in modo sostenibile, piuttosto che continuare a gestire l’emergenza in modo permanente. Negli ultimi anni, tuttavia, le politiche, inclusi specifici disegni di legge, hanno teso a stabilizzare le situazioni di emergenza anziché risolverle, portando, nel lungo termine, a conseguenze negative[8]. Già nel 2012, la Corte Costituzionale[9]ricordava che le modifiche al Titolo V della Costituzione avevano inserito la protezione civile tra le materie di potestà legislativa concorrente, riservando allo Stato solo la definizione dei principi fondamentali; fatto, quello, che implicava che i poteri legislativi e amministrativi dello Stato si attivavano solo tramite la “chiamata in sussidiarietà” e che la gestione doveva rispettare il principio di ‘leale collaborazione’[10].
In genere si tende a pensare che, dopo una catastrofe naturale, la fase ricostruttiva, non solo permetta di ristabilire le condizioni precedenti l’evento, ma dimostri anche la capacità dello Stato e delle Regioni di intrattenere un dialogo proficuo per affrontare congiuntamente le nuove sfide, nell’ottica di una ripresa veloce e funzionale dei territori colpiti. Oggi, tuttavia, la situazione appare caratterizzata da diverse incertezze. Nel caso di un evento catastrofico, infatti, secondo il Codice di Protezione Civile del 2018 e della L. n. 225/1992, le Regioni, in ossequio al principio di ‘leale collaborazione’, una volta raggiunta un’intesa in sede di Conferenza Unificata, devono attivarsi in modo coordinato con lo Stato e gli altri enti locali. Come evidenziava la Consulta con sentenza n. 22/2012, tale cooperazione doveva avvenire attraverso un processo di codeterminazione, che richiedeva una previa intesa, per garantire una governance efficace e rispettosa delle competenze di ciascuna parte, per assicurare una gestione armoniosa e integrata delle politiche pubbliche nazionali[11].
In tema, una delle pronunce più significative è stata quella della Corte Costituzionale n. 246/2018, in cui furono dichiarate illegittime alcune disposizioni della legge della Regione Abruzzo del 4 settembre 2017, n. 51 in quanto contravvenenti l’art. 117, comma 2, lettere e), m) e s) della Costituzione[12]. Le norme in questione erano state introdotte per semplificare ulteriormente le procedure amministrative; tuttavia, secondo la Corte, invece di snellirle, le avevano rese più complicate, producendo, a cascata, una serie di effetti negativi legati, ad esempio, limitando le opportunità di partecipazione economica o compromettendo i livelli essenziali dei servizi relativi ai diritti civili e sociali [13].
La Regione Abruzzo aveva introdotto norme che, nel tentativo di semplificare le procedure amministrative, erano andate a sovrapporsi con le competenze dello Stato in settori specifici, tra cui la protezione civile[14]. La Corte, dunque, ritenne che tali norme non rispettassero i livelli minimi delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, la cui competenza spettava allo Stato, in modo da assicurare che venissero applicate norme in modo uniforme su tutto il territorio della Penisola. Secondo il parere della Corte, rispetto alla protezione civile, la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato, doveva prevedere un idoneo coinvolgimento delle Regioni[15]. Sebbene l’emergenza nazionale richiedesse l’intervento centrale nelle funzioni amministrative di protezione civile, basato sul principio di sussidiarietà, la mancanza di una legge ad hoc, tuttavia, si è tradotta in una serie di vuoti normativi che, nel tempo, hanno complicato la divisione delle responsabilità tra Stato e Regioni, generando conflitti e inefficienze, e impedendo una gestione organica e uniforme delle emergenze e della successiva ricostruzione[16].
Le Regioni, responsabili di legiferare su molti aspetti territoriali, hanno cercato, nel tempo, di sopperire al vuoto normativo, elaborando nuove leggi che, tuttavia, si sono rivelate tutt’altro che risolutorie. Il compito della Corte costituzionale, allora, è diventato anche quello di verificare che le leggi regionali fossero conformi alla Costituzione e rispettassero le competenze dello Stato, partendo, laddove possibile, da “principi fondamentali” della legislazione statale esistente, per orientarsi ed emettere le proprie decisioni. Di fronte a situazioni inedite, prive, dunque, di una base normativa statele consolidata, la Corte si è trovata senza punti di riferimento chiari e nella condizione di procedere con estrema difficoltà e incertezza[17]. Urgono, dunque, principi chiari per fornire alle Regioni riferimenti stabili[18] in situazioni di calamità.
A livello dottrinale, il dibattito si è polarizzato tra chi propone di ricostruire esattamente ciò che è stato distrutto, chi chiede miglioramenti rispetto alla situazione precedente e chi vuole apportare cambiamenti più profondi, modificando anche i luoghi da ricostruire; ogni evento che richiede una ricostruzione, infatti, genera dibattiti accesi a livello politico e istituzionale[19]. Trattandosi di un tema particolarmente complesso, si è scelto, nel presente articolo, di limitare l’analisi della ricostruzione alle funzioni e agli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica e a quanto avviene nel momento in cui si verifica un evento catastrofico, prendendo come spunto di riflessione, oltre alla lettura dello schema di legge quadro, le storie di alcuni dei principali eventi catastrofici che, negli ultimi 10-15 anni, hanno segnato il nostro Paese[20]. L’obiettivo è anche quello di portate l’attenzione su alcuni problemi e rischi tendenzialmente sottovalutati in letteratura, nel tentativo di contribuire alla diffusione di un pensiero lucido e critico che sappia tradursi nell’adozione di best practice.
Il rapporto tra ricostruzione e pianificazione territoriale è complesso per diverse ragioni, ma una delle principali è la violenza con cui le calamità naturali distruggono gli assetti esistenti, travolgendo aree residenziali, produttive e agricole, oltre a danneggiare l’ambiente. Le catastrofi mettono in discussione gli interventi umani sul territorio, costringendo a ripensarli profondamente sia per aree agricole sia per infrastrutture e servizi pubblici[21]. Un concetto utile per descrivere questa complessità è il “metabolismo” urbano o territoriale. É opinione dello scrivente che il punto nevralgico della questione risieda proprio nel rapporto tra assetti, dinamiche e interazioni, le quali, in quanto tali, sono figlie di una serie di scelte di natura politica, che hanno portato all’adozione di strumenti di pianificazione del territorio che, nella maggior parte dei casi, sono andati a innescarsi su scelte e soluzioni pregresse non sempre felici.
In molti casi, la stratificazione legislativa, pianificatoria e ricostruttiva ha inciso in maniera profonda e negativa sul territorio, trasformandone gli assetti e compromettendo la possibilità di futuri interventi, non solo sulle zone interessate, ma anche su quelle limitrofe. Gli interventi ricostruttivi, infatti, il più delle volte, hanno compromesso l’intero assetto territoriale che, per una serie composita di ragioni, si è trovato coinvolto in una logica di “ricostruzione”, pur non essendo stato toccato dall’evento[22]. Il risultato è che l’evento, i lavori di emergenza e la successiva ricostruzione possono modificare l’organizzazione spaziale originale del territorio, arrivando, ad esempio, a spostare luoghi centrali come il municipio o altre infrastrutture; questo processo di trasformazione porta a una ridefinizione delle polarità insediative con effetti su tutto il territorio[23].
La situazione di ricostruzione, dopo una calamità, presenta due rischi principali. Il primo è quello di trattare la ricostruzione come un’estensione dell’emergenza, senza una visione di ritorno alla normalità, rischiando di mantenere uno stato di emergenza permanente, invece di integrare la ricostruzione nelle politiche urbane e territoriali ordinarie; il secondo è quello di considerare ogni processo di ricostruzione come unico, con soluzioni irripetibili, che può portare a interventi frammentati e inefficaci nel lungo periodo, se non viene adottato un approccio sistematico. Si vengono, così, a creare potenzialmente due situazioni rischiose: quella di trattare la ricostruzione come un processo emergenziale separato dalla pianificazione ordinaria (che si traduce, spesso, in incoerenza e conflitti tra i due) e quella di adottare un approccio frammentato, in cui ogni evento viene gestito come un caso unico senza un quadro di criteri e procedure generali, con conseguenti inefficienze e mancanza di coerenza. Entrambe le visioni portano a politiche miopi e disorganizzate[24].
È opinione di chi scrive che, guardando al passato e alle tante esperienze di ricostruzione, si possono trarre utili insegnamenti e, soprattutto, tracciare delle linee guida per il futuro condivise. In questo senso, dunque, una Legge quadro rappresenta la conditio sine qua non per iniziare a delineare una struttura per guidare la ricostruzione in modo più coordinato e integrato, assicurando che la risposta emergenziale e la pianificazione ordinaria lavorino insieme. Partendo proprio da questi presupposti e ponendosi gli obiettivi delineati, la Legge quadro sembra potersi considerare un “esercizio virtuoso”.
Il primo obiettivo è quello di individuare e costruire assetti funzionali, strumenti e percorsi procedimentali in grado di scrivere la ricostruzione in un disegno pianificatorio, quindi, in primis, idoneo a coniugare le esigenze di semplificazione e accelerazione con quelle di una ricomposizione complessiva della trama territoriale. Figura emblematica, da questo punto di vista, è il piano della ricostruzione che opera come variante alla pianificazione, nel senso che la prima richiede interventi specifici e mirati che, spesso, non rientrano nelle regole ordinarie della pianificazione urbana, rendendo necessario creare un piano ad hoc. Questo, di fatto, permette di derogare a vincoli sui volumi edificabili, sulle destinazioni d’uso o sugli standard edilizi ordinari, così da rispondere efficacemente alle necessità straordinarie del contesto di ricostruzione. In altre parole il “piano della ricostruzione”, inteso come variante, permette di adattare la pianificazione urbanistica alle necessità di emergenza o riqualificazione, garantendo interventi più rapidi e mirati in un’ottica di recupero e miglioramento della sicurezza e qualità dell’ambiente urbano[25].
In passato, di fatto, molte varianti di pianificazione urbanistica per la ricostruzione tendevano a essere separate dal contesto esistente, come fossero “pezzi a sé stanti” che seguivano una direzione propria, senza integrare o interagire con la struttura urbanistica già presente. Invece, secondo la Legge quadro, si mira, ora, a un approccio integrato, all’interno del quale le varianti e i piani di ricostruzione dialogano e si armonizzano con il sistema di pianificazione preesistente. L’obiettivo del legislatore pare essere quello di creare piani di ricostruzione, che non siano pensati come interventi indipendenti, ma come componenti di un insieme più vasto, ossia come “parti del tutto” che mirano a essere coerenti con l’assetto urbano esistente, contribuendo a migliorarlo e correggerlo[26].
L’approccio proposto alla ricostruzione mira a superare l’idea d’intervento isolato e puntuale, cercando invece soluzioni urbanistiche che abbiano un impatto sul territorio nel suo complesso. La ricostruzione diventa, così, un’opportunità per ripensare l’area colpita e le sue connessioni nel sistema urbano, rispondendo sia alle esigenze attuali sia future. Questo tipo di pianificazione richiede una visione a lungo termine, che può essere difficile da realizzare in contesti di emergenza, dove la pressione temporale è elevata. Nonostante le difficoltà, la legge quadro sembra orientata verso una visione integrata, con una traiettoria positiva da non sottovalutare[27].
Il disegno di legge propone di concepire la ricostruzione, non solo come un ripristino, ma anche come un’opportunità per promuovere la rigenerazione urbana e una ricomposizione sostenibile del territorio. Invece di trattare il territorio come una tabula rasa, si mira a valorizzare la sua storia e a ottimizzare l’allocazione dei contributi nella fase ricostruttiva. Un esempio emblematico è San Possidonio, in Emilia-Romagna, dove, dopo il terremoto del 2012, invece di ricostruire gli edifici crollati nel centro storico, si scelse di delocalizzare la volumetria e creare una piazza, migliorando l’assetto territoriale.
Sono d’obbligo alcune riflessioni finali su come i processi analizzati, non solo abbiano bisogno di essere affrontati con urgenza, ma su come possano, anche, rappresentare opportunità per innovare e migliorare i modelli di pianificazione esistenti. Durante la ricostruzione, infatti, ci si concentra spesso su questioni urgenti senza considerare abbastanza il rapporto complesso tra i diversi aspetti di gestione territoriale (legata all’urbanistica, al paesaggio, ai beni culturali, alle regolazioni idrogeologiche e altre normative locali e nazionali). In situazioni normali, questi ambiti tendono a procedere parallelamente, senza molta integrazione; la ricostruzione, invece, richiede che tutte queste componenti agiscano come parte di un unico sistema integrato[28].
In molti casi, inoltre, la pianificazione territoriale comunale si rivela spesso carente e inefficace, ma superando questo livello di discussione che tende a individuare il colpevole di turno, bisognerebbe sempre tenere in considerazione che un’analisi sulla ricostruzione dopo un evento catastrofico dovrebbe anche coinvolgere le pianificazioni statali e sovralocali, come le pianificazioni di bacino per la gestione delle risorse idriche, che sono state in gran parte abbandonate, nonostante la loro rilevanza per la gestione territoriale.
Come si è avuto modo di argomentare, la fase di emergenza porta spesso allo sviluppo di forme più avanzate di pianificazione integrata e questo perché l’urgenza stimola la sperimentazione e lo Stato viene coinvolto in modo più diretto (soprattutto tramite il sistema di protezione civile)[29]. Questo permette di superare i normali limiti burocratici e sperimentare strumenti più unificati e innovativi per gestire il territorio. Anche se la ricostruzione può sembrare un momento temporaneo e circoscritto a un’area (come una “zona di cratere”), le scelte prese durante gli interventi ricostruttivi influenzeranno il territorio per il medio, lungo e lunghissimo periodo. Le decisioni, infatti, determineranno l’assetto definitivo delle aree colpite e avranno impatti sulle comunità che vi abitano. Il problema è, tuttavia, che, a causa del fatto che le decisioni di ricostruzione vengono spesso prese in modo affrettato, è fondamentale considerare attentamente i dati e le informazioni a disposizione nel quadro di pianificazione già esistente. Fatto, questo, che può evitare scelte avventate e garantire che gli interventi siano ben fondati e sostenibili nel tempo. La ricostruzione, in altre parole, non è solo un ritorno all’ordine preesistente, ma un’occasione di rivedere e migliorare le pratiche di pianificazione territoriale, trasformando un processo di emergenza in un’opportunità per la creazione di un sistema di gestione del territorio più efficiente, integrato e duraturo[30].
Una potenziale insidia della ricostruzione urbana è che, se mal gestita, potrebbe portare a effetti indesiderati e dannosi per il tessuto territoriale. Se, da un lato, è positivo che la ricostruzione non si limiti a un semplice ripristino degli edifici danneggiati, ma si ponga in un’ottica più ampia di riqualificazione e riorganizzazione urbanistica, questo tipo di approccio consente di rivedere la disposizione e l’organizzazione degli spazi, le infrastrutture, e i servizi, creando potenzialmente una città più funzionale e sostenibile. Il rischio è, tuttavia, che, se adottata, questa prospettiva urbanistica sia utilizzata in modo superficiale o inefficace, finendo per trasformarsi in una “finta rigenerazione”[31]. In altre parole, potrebbero essere portate a termine delle operazioni che danno l’impressione di miglioramento senza, però, apportare benefici reali alla struttura urbana o alla qualità della vita degli abitanti. Questo tipo di rigenerazione di facciata potrebbe comportare interventi che sembrano riqualificanti, ma che, in realtà, sono solo parziali e incapaci di dare un nuovo senso organico e coerente al territorio.
Ancora più grave è il rischio secondo cui, invece di migliorare il territorio, questi interventi finiscano per frammentare il tessuto urbano e territoriale; si pensi al fenomeno dello “sfrangiamento” o “sfarinamento”, che indica un’erosione della coesione tra le varie aree e quartieri, che possono risultare separati, disconnessi o mal collegati tra loro[32]. Questo effetto è pericoloso perché porta a una disgregazione del territorio, con aree periferiche che rischiano di rimanere isolate o di subire uno sviluppo disordinato e poco pianificato. Gli effetti della frammentazione del tessuto territoriale sono dannosi sul lungo periodo. Rispetto a una ricostruzione edilizia semplice, che avrebbe avuto un impatto meno ampio, ma anche meno rischioso, una ricostruzione urbanistica mal gestita rischia di compromettere l’armonia e la funzionalità del territorio per generazioni, creando aree di degrado o una città disorganica, con effetti peggiori di una ricostruzione minima e limitata solo agli edifici.
A detta dello scrivente, dunque, bisognerebbe contrastare una visione della ricostruzione troppo ambiziosa, ma gestita male, la quale, anziché portare a una rigenerazione effettiva e duratura, rischia di frammentare il territorio. L’obiettivo, infatti, dovrebbe essere quello di perseguire una vera rigenerazione capace di mantenere la coesione e l’integrità del tessuto urbano, evitando interventi che possano indebolirlo.
3. La prassi del commissariamento
In Italia, la necessità di superare la lentezza burocratica e i conflitti amministrativi, per rispondere in modo rapido alle emergenze, evitare infiltrazioni criminali e gestire al meglio le risorse straordinarie, ha portato alla diffusione del commissariamento urbanistico. Si tratta di una pratica che cerca di compensare le inefficienze della pianificazione ordinaria, ma che, al contempo, evidenzia le sfide e le debolezze strutturali del sistema amministrativo italiano[33].
Il commissariamento, come istituto, fu introdotto dalla L. n. 400 del 1988, con la finalità di realizzare obiettivi specifici o sopperire a temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali[34]. Si pensi, ad esempio, alcaso del terremoto del Friuli del 1976 e dell’intervento di Giuseppe Zamberletti, considerato uno dei pionieri del sistema di protezione civile italiano moderno e centralizzato (L. n. 225/1992)[35], il cui approccio commissariale, a seguito di eventi catastrofici, avrebbe portato alla creazione del Servizio Nazionale della Protezione Civile[36] che, ancora oggi, continua a influenzare le pratiche italiane di gestione delle emergenze, estendendosi anche alle aree di ricostruzione e pianificazione urbanistica in situazioni straordinarie (come nel caso del crollo del ponte Morandi di Genova, nel 2018, che portò a nominare il sindaco quale commissario per la ricostruzione)[37]. In alcuni casi, dunque, al di fuori di eventi straordinari, la gestione commissariale può essere imposta per il riordino organizzativo di un ente fino alla definizione del nuovo assetto. In questo caso, le finalità effettive possono consistere nella sostituzione del presidente o di alte cariche dell’ente commissariato, come è avvenuto nel 2023 per l’INPS e l’INAIL, sollevando non pochi dubbi di legittimità.
I motivi dei commissariamenti, dunque, possono essere vari e non tutti legati a un’emergenza o a una ricostruzione. Ciò che qui rileva maggiormente capire è quale siano i rimedi giuridici, ai quali ci si possa appellare, in caso di un’emergenza improvvisa che possa, o no, interessare una parte del territorio, tutto un paese o il mondo intero (si pensi al caso della Covid-19). Con sentenza n. 127/1995, la Corte Costituzionale stabilì, confermando una giurisprudenza prevalente, che l’emergenza «consista in una condizione anomala e grave, ma anche temporanea (sent. n. 15 del 1982) sostenendo che i provvedimenti extra ordinem consequenziali[38], emanati da autorità amministrative, debbono essere attuati in riferimento alla concreta situazione di fatto, con adeguamento alla dimensione spaziale e temporale di quest’ultima (sent. n. 201 del 1987)»[39]. La violazione delle competenze, dunque, può e deve restare provvisoria; una volta terminata la fase emergenziale bisogna ripristinare le competenze.
Esiste, di fatto, un delicato equilibrio tra le competenze dello Stato e delle Regioni nella gestione della ricostruzione post-emergenza, un tema che la Corte Costituzionale italiana ha affrontato più volte. Le sue pronunce mostrano una giurisprudenza consolidata, che enfatizza il carattere temporaneo dei poteri straordinari conferiti allo Stato in situazioni di emergenza, con un richiamo alla necessità di ripristinare le competenze ordinarie non appena l’emergenza cessa. Sebbene l’attuale Legge-quadro sia una normativa che stabilisce il coordinamento delle procedure di ricostruzione nelle aree colpite da calamità naturali o da eventi disastrosi causati dall’uomo, una volta terminato lo stato di emergenza, dopo la fine dell’emergenza, nasce il problema di delimitare un periodo entro il quale la ricostruzione deve avviarsi e concludersi. Questo non è solo un problema di tempistiche, ma riguarda la sfera delle competenze legislative e amministrative di Stato e Regioni, soprattutto alla luce del Titolo V della Costituzione, che ridefinisce l’autonomia regionale.
Il problema, secondo lo scrivente, non è solo legislativo, ma anche amministrativo. L’accentramento delle funzioni di gestione della ricostruzione è spesso giustificato da una mancata azione legislativa del Parlamento, che dovrebbe approvare leggi-cornice o normative di supporto, per orientare le procedure in modo condiviso tra Stato e Regioni; l’assenza del Parlamento, tuttavia, porta a un’accentuazione del ruolo amministrativo centrale, anche quando si tratta di competenze che dovrebbero essere regionali. L’accentramento amministrativo, però, non è pienamente legittimo, in quanto non rispetta il principio di collaborazione sancito dalla Corte Costituzionale. Rileva evidenziare che la leale collaborazione è un principio fondamentale della Costituzione, sancito anche dal Titolo V, che richiede un’intesa effettiva tra Stato e Regioni nella gestione delle competenze concorrenti; tuttavia, questo principio è spesso disatteso, in quanto le decisioni vengono prese a livello centrale, senza un reale accordo o collaborazione con le Regioni, che restano escluse da decisioni che dovrebbero coinvolgerle attivamente. La Corte ha più volte richiamato all’importanza di tale collaborazione, ma nella prassi spesso prevale un approccio centralizzato, in cui la “leale collaborazione” diventa formale e non sostanziale[40].
Il fatto è che, nonostante il dettato costituzionale e il richiamo della Corte alla leale collaborazione, la realtà dei rapporti Stato-Regioni ha sempre teso verso un accentramento delle competenze. Si tratta di una dinamica che, a parere di chi scrive, riflette l’assenza di una normativa quadro efficace da parte del Parlamento e una prassi che esclude le Regioni dal processo decisionale. L’effettiva collaborazione tra Stato e Regioni, auspicata dalla giurisprudenza della Corte viene, dunque, troppo spesso sostituita da un controllo centralizzato che compromette l’autonomia regionale; una situazione, di fatto, che è espressione della mancanza di un vero e proprio accordo (intesa) tra Stato e Regioni nella gestione delle competenze, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione post-emergenza e la gestione territoriale. Nella prassi, in altre parole, la leale collaborazione e la condivisione delle decisioni in materie concorrenti si rivelano dei principi più di facciata che di sostanza e il ruolo delle Regioni si può equiparare a quello di un attore subalterno dalle battute puramente consultive.
Invece di raggiungere un accordo sostanziale tra Stato e Regioni, quindi, si è teso a coinvolgere le Regioni in maniera formale e poco incisiva, attraverso un coinvolgimento “soft” perché si limita a consultazioni o richieste di parere senza vincoli reali per lo Stato. In altre parole, anche se la Regione non concorda su determinate decisioni, lo Stato può procedere lo stesso; si attua, in altre parole, un accentramento amministrativo che si esprime nella gestione centralizzata delle decisioni, dove lo Stato esercita il controllo senza concedere alle Regioni un potere effettivo nella gestione delle materie di loro competenza, ma relegandole a esprimere opinioni (o a dare pareri) senza forza vincolante[41].
È evidente, dunque, che i meccanismi di collaborazione tra Stato e Regioni risultano più “formali” che sostanziali; l’apparente collaborazione non vincola lo Stato e le Regioni possono essere ignorate se esprimono dissenso. Questo stato di cose mette a rischio il principio di autonomia regionale, in quanto le Regioni sono in gran parte escluse dalla gestione effettiva delle competenze che dovrebbero essere, invece, condivise o devolute. Sebbene la Corte Costituzionale, in diverse pronunce, abbia sottolineato l’importanza di una ‘leale collaborazione’, in cui l’intesa dovrebbe essere effettiva e non solo formale, tuttavia, nella prassi amministrativa italiana, questa collaborazione rimane spesso incompleta e l’accentramento decisionale si realizza a scapito dell’autonomia regionale e della partecipazione attiva delle Regioni[42].
La pratica del commissariamento, di fatto, esemplifica come lo Stato, anche dopo aver formalmente riconosciuto una maggiore autonomia alle Regioni, abbia teso a relegarle a un ruolo secondario, evidenziando il perdurare di una visione gerarchica e centralista nel rapporto tra i due livelli di governo. All’interno del meccanismo del commissariamento gioca un ruolo fondamentale il Commissario straordinario per la ricostruzione. Questa figura si distingue per i poteri speciali e le prerogative, che gli sono attribuite in base alla cosiddetta legislazione speciale; il Commissario straordinario per la ricostruzione, infatti, è incaricato di coordinare e gestire le attività di ricostruzione nelle aree colpite da disastri naturali, soprattutto nei casi di terremoti e, a differenza di altri tipi di commissari, dispone di poteri specifici, che lo rendono una figura cruciale per la gestione post-sisma (può, infatti, adottare misure straordinarie, velocizzare le procedure burocratiche e intervenire direttamente per superare ostacoli amministrativi, in modo da assicurare una risposta rapida ed efficace alle esigenze delle aree colpite)[43]. Questa figura, con prerogative uniche e un profilo normativo speciale, rappresenta un equilibrio tra centralizzazione amministrativa e flessibilità operativa, assicurando una risposta rapida alle necessità del territorio e delle popolazioni colpite.
Se dovessimo rintracciare le radici del modello normativo per la gestione delle emergenze e la ricostruzione post-calamità in Italia, si dovrebbe risalire al D.L. n. 189 del 2016[44], quando, a seguito di una serie di eventi sismici e naturali, s’impose un modello d’intervento che andò, col tempo, affinandosi e istituzionalizzandosi, diventando la base per un sistema strutturato attraverso una serie di strumenti e procedure specifiche post-catastrofe. Il decreto, in particolare, introdusse la figura del Commissario straordinario per la ricostruzione, delle ordinanze organizzative (per permettere al Commissario di adottare misure straordinarie e derogatorie rispetto alle procedure ordinarie) e delle procedure semplificate (per l’assegnazione dei fondi e l’approvazione dei progetti, al fine di accelerare la ricostruzione)[45].
In seguito, con il D.Lgs. n. 32/2019, il modello fu ulteriormente implementato in risposta a nuove emergenze, in particolare per la ricostruzione nelle aree colpite dall’eruzione dell’Etna, così come Ischia e Forio che erano state interessate da fenomeni sismici. I vari decreti legislativi hanno contribuito a standardizzare il modello, dimostrandone la flessibilità e l’efficacia anche nei confronti di diverse tipologie di eventi naturali. L’ultimo tassello di questo modello si trova nel Decreto Legislativo n. 61/2023, emanato a seguito dell’alluvione in Emilia-Romagna, situazione in cui il generale Figliuolo è stato nominato Commissario straordinario; l’attuale disegno di legge mira a rendere questo modello parte integrante della legislazione ordinaria, formalizzando una serie di norme e prassi che finora sono state applicate in maniera emergenziale[46].
Rileva evidenziare che le disposizioni contenute nell’art. 23 e ss. del D.Lgs. n. 61/2023 sono state trasfuse quasi pedissequamente all’interno del disegno di legge in commento. Di conseguenza, partendo dall’analisi congiunta del diritto vigente e del progetto di legge governativo, è possibile, attraverso uno sforzo ermeneutico, individuare le caratteristiche peculiari della figura del Commissario per la ricostruzione quale, ad esempio, quella di venir nominato dal Presidente del Consiglio (su e previa intesa con la regione interessata), dopo la dichiarazione dello stato di ricostruzione; la carica, di durata quinquennale, può subire (a seconda delle circostanze) una proroga di altri cinque anni. Si tratta, in ogni caso, di un periodo che dovrebbe essere ragionevolmente delimitato[47].
Il Commissario per la ricostruzione può essere scelto tra alcune figure politiche, come il Presidente della Regione, oppure – nel caso del decreto post-alluvione – esclusivamente tra personalità con competenze professionali e manageriali. L’autorità che nomina il Commissario straordinario ha anche il potere di revocarlo e mantenere un controllo sul suo operato tramite il Dipartimento di Politica Sanitaria, che esercita un potere di indirizzo e monitoraggio su tutte le attività del Commissario stesso. Per quanto riguarda le competenze del Commissario, di cui si trova un elenco dettagliato sia nel decreto post-alluvione, sia nel disegno di legge, possono essere suddivise in due macro-categorie: quella che afferisce all’area del coordinamento (che si esprime nella promozione di atti di pianificazione, di programmazione e d’indirizzo) e quella attuativa (che si esprime nell’adozione di provvedimenti puntuali).
Le decisioni del Commissario – sia quelle di coordinamento generale, sia i singoli provvedimenti – possono essere adottate tramite ‘ordinanza in deroga’[48], il che significa che, per raggiungere gli obiettivi di ricostruzione, il Commissario può fare delle eccezioni rispetto a molte norme ordinarie, ma con alcuni limiti importanti; non può, infatti, derogare ai principi generali dell’ordinamento, alle norme derivanti dall’Unione Europea, né alle norme di diritto penale che restano inderogabili. L’ampia possibilità di deroga è giustificata dall’esigenza di operare con urgenza e flessibilità. Tuttavia, quando una misura prevista nell’ordinanza ha un impatto sulla tutela del paesaggio o dell’ambiente, l’ordinanza deve prima ottenere il parere del ministero competente, che ha 30 giorni per esprimersi in proposito; se la tempistica non viene rispettata si apre un cono d’ombra su quale sia la prassi da seguire. La stessa norma si trova sia nel D.Lgs. n. 31/2023, sia nel disegno di legge in commento, il che mostra l’intenzione chiara del legislatore di non modificare i poteri di coordinamento e indirizzo assegnati dal nostro ordinamento al Commissario.
Uno dei compiti principali del Commissario resta quello di adottare il “Piano generale pluriennale degli interventi di ricostruzione”, un documento fondamentale, considerando che stabilisce l’entità dei danni e determina il fabbisogno finanziario per la ricostruzione. Non trattandosi di un’azione unilaterale, affinché il Piano sia reso effettivo, il Commissario deve raggiungere un accordo (o “intesa”) con le regioni interessate. Si tratta, in questo senso, di un aspetto significativo, che evidenzia la particolare attenzione del legislatore nei confronti della collaborazione tra il Commissario e le autorità locali; un approccio, questo, maturato nel tempo, che mira a garantire che le autonomie locali partecipino attivamente alla ricostruzione e che le loro esigenze siano rispettate nella fase pianificatoria[49].
In attesa dell’adozione del “Piano generale di ricostruzione”, che deve essere completato entro sei mesi, il Commissario (sempre in accordo con la Regione) può identificare gli interventi prioritari e decidere quali opere realizzare prima, rendendo, così, l’organizzazione della ricostruzione più efficace. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale che vi sia un coordinamento solido e concreto con le autorità locali coinvolte; a tale scopo, l’accordo tra il Commissario e le Regioni dovrebbe essere raggiunto all’interno di un organismo di coordinamento, in grado di facilitare il dialogo e la cooperazione tra i diversi enti coinvolti, assicurando che le priorità siano definite in modo condiviso e che le risorse vengano impiegate in maniera efficace[50].
Rileva evidenziare che il Commissario straordinario possiede poteri che influenzano non solo la ricostruzione pubblica e privata, ma anche la pianificazione urbanistica comunale. Nella pratica, dunque, può adottare atti d’indirizzo, che mirano a garantire il rispetto delle norme paesaggistiche, ambientali, architettoniche e storiche, elementi fondamentali per preservare l’identità del territorio durante la ricostruzione. La pianificazione comunale per la ricostruzione potrebbe consistere in un nuovo piano urbanistico o in modifiche a un Piano già esistente ma, in ogni caso, è fortemente influenzata dagli atti d’indirizzo emanati dal Commissario (che, dunque, non sono solo raccomandazioni, ma rappresentano una guida concreta cui i Comuni devono aderire, in modo che la ricostruzione rispetti le linee ambientali e paesaggistiche fissate a livello centrale). Si tratta, a ben vedere, di una pianificazione “doppiamente influenzata” dal Commissario, visto che deve rispettare sia il Piano complessivo definito dal Commissario, sia gli atti d’indirizzo specifici adottati da quest’ultimo.
Inoltre, secondo il disegno di legge (così come già previsto nel D.Lgs. n. 31/2023), spetta sempre al Commissario l’adozione di una serie di piani speciali per la ricostruzione pubblica, che riguardano le opere pubbliche da realizzare, le infrastrutture, la ricostruzione dei beni culturali e di cultura artistica. È altresì responsabilità del Commissario, non solo ricostruire, ma occuparsi anche di tutti quei problemi che ne derivano come, ad esempio, lo smaltimento delle macerie prodotte dai crolli e dalle demolizioni[51]. Già il D.Lgs. n. 31/2023 attribuiva al Commissario straordinario l’adozione di un Piano per i materiali che, ex lege, sono definiti come ‘rifiuti urbani’ non pericolosi e quindi avviati ad un certo tipo di smaltimento, perché, diversamente, sarebbe alquanto problematico potersene liberare.
Mentre il Commissario è la figura responsabile per la concessione ed erogazione dei contributi destinati alla ricostruzione, il Comune svolge l’istruttoria della pratica (quindi raccoglie, valuta, e verifica le richieste e la documentazione necessaria per i contributi). Nei confronti del fondo statale, che viene istituito (generalmente) da ogni Governo dopo eventi straordinari, il Commissario ha il compito di garantire che questo fondo sia utilizzato correttamente e con trasparenza, diventando, così, una figura di garanzia, vigilando sull’uso corretto del denaro pubblico. Il Commissario, di fatto, è dotato di una gestione contabile speciale, il chè significa che ha uno specifico controllo finanziario e amministrativo sul fondo, separato dalle altre finanze dello Stato, e ciò gli permette di gestire i fondi con autonomia, trasparenza e in modo tracciabile; una condotta, questa, che aumenta la fiducia delle popolazioni colpite[52].
Rileva ricordare che il Commissario ha la possibilità di emettere ordinanze per stabilire come coinvolgere la popolazione nelle decisioni di pianificazione, dunque, attraverso delle ordinanze, può creare opportunità per la comunità di partecipare e fornire input nelle scelte che riguardano la ricostruzione o lo sviluppo del territorio. A detta dello scrivente, tuttavia, questo coinvolgimento della popolazione (che dipende dalla discrezionalità e sensibilità del Commissario, con la conseguenza che, spesso, si tratta di coinvolgimenti di facciata più che di sostanza) si traduce, a volte, in una nota dolente dell’intero meccanismo e questo perché, come suggerisce l’esperienza, sebbene siano state tentate forme di partecipazione[53] queste non hanno soddisfatto né le aspettative della popolazione, né sono risultate adeguate per garantire un vero dibattito pubblico.
Il Commissario straordinario risponde al ‘Dipartimento di Casa Italia’[54] e alla ‘Cabina di coordinamento’, quindi, pur essendo una figura autonoma per la gestione dell’emergenza, egli agisce in un sistema di controllo e di direzione, rispondendo a direttive che provengono da un livello superiore. Questo aiuta a garantire che le scelte fatte sul campo siano allineate con le politiche generali e le priorità nazionali. La ricostruzione, di fatto, non è un settore a sé stante, ma una funzione o un compito che può essere svolto da vari organi e figure istituzionali, come appunto quella del Commissario straordinario. Questa distinzione fa sì che la ricostruzione non abbia una disciplina o un codice unico e, infatti, viene gestita attraverso regole e poteri che si adattano alla situazione specifica[55].
La normalizzazione della funzione commissariale permetterebbe, anche in una situazione straordinaria, che il Commissario operasse con regole e limiti definiti, come se fosse un ‘organo ordinario’ di gestione. È opinione dello scrivente che una “disciplina generale” che, ipso facto, in caso di emergenza, conferisse una serie di poteri al Commissario trasformerebbe le sue ordinanze in strumenti flessibili e immediati, permettendo interventi rapidi e adattabili. Il sistema ipotizzato dal disegno di legge si pone nell’ottica di non limitare l’azione commissariale ma, attraverso il potere di ordinanza, permettere alla ricostruzione un approccio flessibile e pratico, senza dover passare per iter legislativi lenti o farraginosi pur nel rispetto delle intese e delle autonomie.
È evidente, in ultima istanza, che l’istituzione del Commissario straordinario per la ricostruzione rappresenti un modello stabile e normato, capace di bilanciare le esigenze del governo centrale con l’autonomia dei territori. Questa “normalizzazione” ha reso il Commissario una figura prevedibile e regolamentata per gestire le emergenze, fondata su recenti sviluppi normativi e adattabile alle necessità locali.
4. La possibile violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza
Nonostante gli sforzi legislativi, oggi, in Italia, il verificarsi di una calamità naturale non attiva un sistema d’intervento razionale ed equilibrato, ma diventa l’occasione per rivelare quanto ancora lo Stato tenda a primeggiare sulle amministrazioni locali, oscurando quel principio di ‘proporzionalità’ costituzionalmente garantito[56]. Non è insolito, infatti, rilevare delle disfunzioni nel modo in cui lo Stato interviene su materie che dovrebbero essere riservate alle amministrazioni regionali e locali; si tratta, nella maggioranza dei casi, d’interventi che possono risultare sproporzionati o eccessivamente intrusivi, andando oltre quanto sarebbe ragionevole o necessario. La proporzionalità è un principio fondamentale, che richiede che ogni azione dello Stato sia calibrata, necessaria e giustificata, specialmente in settori costituzionalmente delegati ad altri livelli di governo. Le ragioni di tali disfunzioni vanno ricercate, da un lato, in un atteggiamento dello Stato che tende a intervenire per risolvere situazioni problematiche che ha contribuito a creare, dall’altro, in una tensione esistente tra la necessità di una certa uniformità amministrativa e legislativa e il rispetto dell’autonomia regionale. Questa uniformità, sebbene talvolta necessaria, dovrebbe essere applicata in modo più attento e calibrato per evitare abusi o interventi sproporzionati[57].
La Corte Costituzionale, da parte sua, non ha mai adottato una visione rigida delle competenze statali e regionali, ma le ha interpretate in modo dinamico, adattandosi ai casi concreti. Così facendo, tuttavia, si è assistito al sorgere di numerosi problemi di congruità, ragionevolezza e proporzionalità che, spesso, si sono manifestati nel tentativo di armonizzare esigenze locali e nazionali[58]. Nel tempo, inoltre, si è assistito a una crescente tendenza alla centralizzazione da parte dello Stato, non tanto voluta dal legislatore, quanto piuttosto derivante da disfunzioni locali e necessità di uniformità.
È opinione di chi scrive che non possa che essere criticato il reiterato atteggiamento dello Stato di intervenire su materie di competenza regionale, in evidente violazione del principio di proporzionalità. Una situazione, questa, che dovrebbe suggerire l’adozione di un approccio più calibrato e ragionevole, che faccia uso di una regolamentazione chiara, per evitare tensioni e incongruenze tra i diversi livelli di governo.
5. L’affermazione del modello con il decreto legislativo 189/2016 e il decreto legislativo n. 61/2023
Sebbene nel disegno di legge in commento la gestione dell’emergenza sia regolamentata con precisione e basata su protocolli consolidati, la fase di ricostruzione manca di una normativa chiara e coerente; il chè porta a una confusione tra ‘emergenza’ e ‘ricostruzione’, in cui la seconda tende a “perdersi” dentro l’emergenza stessa. Fino a oggi, la prassi maggiormente diffusa è stata quella di costruire le normative a posteriori, adattandosi alla situazione specifica di ogni emergenza (si pensi all’esperienza del terremoto del 2016). Il disegno di legge, quindi, fornirebbe una serie di risposte alla carenza di norme consolidate per la ricostruzione, cercando di creare una base normativa, che possa essere applicata in futuro e garantire una gestione più efficace delle fasi successive all’emergenza.
Il D.L. n. 189 del 2016, a suo tempo, introdusse alcuni strumenti iniziali per affrontare la ricostruzione i quali, non avendo ancora una forma definitiva, furono oggetto di successivi interventi legislativi tramite lo strumento delle ordinanze amministrative. Oggi, queste ordinanze sono state in gran parte integrate nel disegno di legge e una delle principali novità riguarda il fatto che la ricostruzione dovrebbe essere considerata una funzione amministrativa a tutti gli effetti, ossia, una responsabilità che ricade su determinati soggetti o organi preposti. Fatto, questo, che implica che non debba essere ritenuta un’attività temporanea, ma un processo continuo che si estende oltre la fase emergenziale[59].
Un altro punto nevralgico è che la fase di emergenza, definita inizialmente come temporanea (secondo il codice di protezione civile, la durata massima di uno stato di emergenza dovrebbe essere di 1-3 anni), in molti casi, soprattutto nel passato, ha teso a prolungarsi ben oltre il previsto. In alcune regioni, come in Abruzzo, dopo otto anni dall’evento sismico[60], il territorio era ancora considerato in stato di emergenza; fatto, questo, che dimostrava la necessità di una stabilizzazione della situazione e di una pianificazione a lungo termine. In tal senso, il disegno di legge ha previsto che venga dichiarato uno ‘stato di ricostruzione nazionale’, che potrebbe durare tra i 5 e i 10 anni, a seconda della velocità e dell’efficacia dei lavori; considerando che la ricostruzione, non sempre è un processo rapido, il disegno di legge si propone di stabilire un orizzonte temporale realistico, pur considerando una serie di scenari ipotizzabili[61].
Un’altra questione è quella dello ‘spopolamento’ e questo nel senso che la ricostruzione non riguarda solo gli edifici fisici, ma anche la “ricostruzione sociale” dei territori, che include il ripopolamento e la rivitalizzazione delle comunità locali. Lo spopolamento, spesso, è dovuto alla mancanza di certezze normative e amministrative sul processo di ricostruzione e, a fronte di questo problema, il disegno di legge intende fornire una cornice di certezza e stabilità che possa favorire il ritorno della popolazione e la rinascita delle comunità. In alcuni casi, si pensi a quello abruzzese, la Protezione Civile si è rivelata una forza efficace (per non dire fondamentale) nella gestione immediata dell’emergenza che, tuttavia, ha dimostrato di perdere le sue potenzialità nella fase di stabilizzazione e ricostruzione a lungo termine. In questo senso, il disegno di legge mira a dare continuità alle risposte che Stato ed enti locali sono tenuti a dare durante tutta la fase della ricostruzione[62].
Rileva evidenziare l’importanza assegnata dal decreto-legge al coordinamento, considerando che «Le disposizioni della presente legge disciplinano il coordinamento delle procedure e delle attività di ricostruzione nei territori colpiti da eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo […]» (art. 1)[63]. Si tratta, di fatto, di un coordinamento che interviene sul livello politico e amministrativo, operando una serie di distinguo rispetto al D.L. n. 189/2016. In primis, il disegno di legge individua quattro soggetti centrali, ossia la figura del Commissario straordinario alla ricostruzione, la Cabina di coordinamento, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Capo del dipartimento Casa Italia[64]. Rispetto al passato, è stato assegnato un ruolo centrale al Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite il Dipartimento di Casa Italia; si tratta, secondo lo scrivente, di un cambiamento da non sottovalutare, in quanto sintomatico della volontà del legislatore di adottare un modello che salvaguardia il commissariamento, seppure riconducendolo dentro il perimetro di una funzione di indirizzo statale (quindi non scevro da accentramento)[65].
La struttura di gestione delle emergenze, delineata dal disegno di legge del 2024 e dal ruolo del Commissario per la salvaguardia, si sviluppa su due livelli principali di coordinamento, con funzioni e attori specifici, che garantiscono sia una direzione centrale, sia una collaborazione efficace a livello locale. A livello centrale, il Presidente del Consiglio dei Ministri emana direttive strategiche, che stabiliscono le linee guida principali per la gestione delle emergenze; l’attuazione pratica di queste direttive è affidata al Capo del Dipartimento Casa Italia, che funge da snodo operativo centrale e ha competenze anche nei confronti del Commissario straordinario. Questo primo livello garantisce una forte centralità nell’indirizzo e nella gestione delle emergenze, assicurando coerenza nelle risposte alle crisi su tutto il territorio nazionale.
A livello locale, invece, il Commissario straordinario coordina le attività con l’ausilio della Cabina di coordinamento (D.L. n 189 del 2016) che, a sua volta, si occupa di organizzare in modo organico gli interventi degli altri attori istituzionali (in modo che non entrino in conflitto tra loro); con la partecipazione del Dipartimento Casa Italia, che con il disegno di legge del 2024 viene ufficialmente inserito come parte integrante e stabile del meccanismo di gestione delle emergenze, l’assetto che si viene a creare permette una connessione tra il livello nazionale e quello territoriale, favorendo risposte tempestive e coordinate alle emergenze[66].
Il nuovo disegno di legge non solo istituzionalizza questi meccanismi di coordinamento, ma li consolida in una struttura normativa generale, dando coerenza a quanto già avviene nelle legislazioni speciali. Si tratta di una strutturazione che armonizza la risposta alle emergenze, replicando modelli di gestione già utilizzati per affrontare specifici disastri, come nel caso del D.L. del maggio 2023 sulle alluvioni[67]. Il disegno di legge del 2024, però, propone una ‘nuova architettura istituzionale’ per la gestione della ricostruzione nelle emergenze, che implica un significativo spostamento del ruolo di coordinamento e indirizzo.
Fino a oggi, il Commissario straordinario è stata la figura centrale della ricostruzione, una situazione, tuttavia, che ha causato in passato una certa frammentarietà negli interventi. È parere dello scrivente, invece, che uno degli aspetti più interessanti del disegno di legge sia quello di operare uno spostamento di focus, dalla figura del Commissario straordinario a quella del Presidente del Consiglio dei Ministri, ridisegnando, in questo modo, le logiche e le dinamiche degli interventi. Da non sottovalutare, inoltre, il ruolo assegnato al Dipartimento Casa Italia, che si è visto rafforzare una serie di competenze relativamente all’indirizzo, al coordinamento, alla programmazione e al monitoraggio. Nella nuova configurazione, il Commissario straordinario non sarebbe eliminato, ma assumerebbe un ruolo ridimensionato e diverso, ossia, non più regista principale della ricostruzione, ma attuatore e coordinatore operativo sotto la supervisione della Presidenza del Consiglio e del Dipartimento Casa Italia. In questo modo, il Commissario agirebbe come responsabile esecutivo sul territorio, mantenendo una funzione importante, ma integrata, in un quadro di regia centralizzato[68]; ciò renderebbe possibile costruire una ‘relazione organizzativa unitaria’, dove tutte le azioni siano indirizzate a un obiettivo comune, ossia, una ricostruzione a tutto tondo declinata in base alle realtà specifiche di ciascun territorio.
Una parte della dottrina s’interroga se il nuovo coordinamento possa implicare una ‘relazione di subordinazione’ o di ‘equi-ordinazione’ tra il Commissario straordinario e gli altri soggetti. A detta dello scrivente, il disegno di legge sembra proporre una forma di subordinazione, considerando che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, tramite il Dipartimento Casa Italia, assume un ruolo preminente di direzione. Una parte della dottrina evidenzia come il concetto di coordinamento vada distinto da quello di ‘collaborazione’ e da quello di ‘intesa’ perché, mentre la collaborazione implica una continuità amministrativa e l’intesa richiede un accordo specifico tra le parti, il coordinamento è previsto a livello istituzionale come un ‘sistema di organizzazione amministrativa’, con una struttura giuridica precisa stabilita dal legislatore. In questo caso, il legislatore crea un ‘modello prototipico’ di coordinamento, dove la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Dipartimento Casa Italia esercitano un ruolo guida, mentre il Commissario ha una funzione di implementazione operativa nel territorio. È opinione dello scrivente che si debba riporre particolare attenzione sull’assegnazione della funzione e questo in virtù del fatto che significa anche responsabilità in termini di costruzione; una responsabilità che resta in capo al Commissario straordinario ma che, in termini di rendicontazione di un risultato, rimanda alla Presidenza dei Consigli dei Ministri.
Il coordinamento che emerge dal disegno è di tipo relazionale-dinamico, nel senso che non è una semplice serie di azioni statiche, ma un processo continuo d’interazione tra diversi attori istituzionali (come ministeri e dipartimenti). Questo è facilitato dalla ‘conferenza permanente’, un istituto che riunisce i vari ministeri per assicurare una linea d’azione condivisa[69]. All’interno di questo panorama, un tema centrale, e potenzialmente problematico, resta quello dell’autonomia delle singole amministrazioni e degli enti locali; sebbene, infatti, il coordinamento cerchi di realizzare obiettivi comuni, che i singoli enti non potrebbero raggiungere autonomamente, tuttavia, questo non dovrebbe ridurre l’autonomia delle istituzioni coinvolte. A tale proposito, rileva la sentenza della Corte Costituzionale n. 246 del 2019[70], dove si stabiliva che l’autonomia degli enti potesse ritenersi effettivamente rispettata solo attraverso atti di intesa (un accordo formale e sostanziale tra le parti) e non semplicemente con il ‘parere’ di una parte.
In virtù di ciò, è parere dello scrivente che il disegno di legge dovrebbe considerare la necessità di preservare la forza dell’intesa all’interno della cabina di coordinamento, piuttosto che limitarsi a richiedere un parere degli enti territoriali; in tale modo risulterebbe meno vincolante e autonomo. In tale contesto assume rilievo anche il concetto di ‘autonomia differenziata’[71], garantita dall’art. 116, comma 3 della Costituzione[72], che crea una sorta di “clausola di salvaguardia” per le Regioni che l’hanno ottenuta, limitando l’efficacia delle direttive centrali, se queste ultime dovessero invadere le aree di competenza esclusiva regionale. Il disegno di legge, quindi, deve fare attenzione a non sovrapporsi alle competenze che alcune Regioni possono esercitare in autonomia, garantendo un coordinamento che sia anche rispettoso delle specificità territoriali[73].
Si parla, di fatto, di un coordinamento ‘fluido’, non solo per la varietà degli atti coinvolti (formali e non formali), ma anche per la loro natura giuridica ed efficacia. Le direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri, formalmente vincolanti, dettano una serie di linee guida generali che, tuttavia, una volta che devono tradursi in pratica, richiedono la ‘leale collaborazione’ tra più livelli e il rispetto del principio di proporzionalità. A livello verticale, le direttive centrali sono emanate dal Presidente del Consiglio, attraverso il Dipartimento Casa Italia, stabilendo cosa deve essere realizzato; a livello orizzontale, la cabina di coordinamento, dove i diversi attori (come regioni e comuni) collaborano, permette che le direttive siano declinate e adattate in modo coerente con le esigenze e specificità territoriali. È utile ricordare che il modello di coordinamento utilizzato in seguito al sisma del 2016, produsse una serie di risultati positivi; in quell’esperienza, in particolare, la cabina di coordinamento permise una buona gestione della ricostruzione attraverso una collaborazione efficiente tra vari enti.
Un altro aspetto che merita particolare attenzione riguarda il modo in cui il disegno di legge tenta di strutturare la ricostruzione post-emergenziale come una funzione amministrativa di interesse comune. Nel disegno di legge, in particolare, la ricostruzione non è vista come un obiettivo ‘facoltativo’, o come un insieme di misure indipendenti, ma come una funzione che deve rispondere a un ‘interesse comune’; il chè, a detta dello scrivente, implica che tutte le azioni intraprese per la ricostruzione mirano a un risultato condiviso e indispensabile per il benessere collettivo, e che “illuminare” la ricostruzione, in questo contesto, significa dare ‘visibilità e centralità’ all’obiettivo comune di ripristinare condizioni di sicurezza e vivibilità nelle aree colpite. È un impegno che tutte le amministrazioni devono perseguire congiuntamente[74].
Il coordinamento diventa utile e valido solo nella misura in cui riesce a ‘produrre risultati concreti’, di conseguenza la legge non dovrebbe limitarsi a creare un’organizzazione formale, ma facilitare il raggiungimento di risultati effettivi, concreti, e tangibili per i cittadini. Questa funzione di coordinamento è centrale per superare le difficoltà amministrative e risolvere problemi complessi legati alla ricostruzione, aiutando gli enti territoriali a collaborare efficacemente per raggiungere obiettivi che altrimenti non sarebbero realizzabili. La ricostruzione andrebbe considerata un problema amministrativo complesso e, anche se non è espressamente prevista come “materia” nella Costituzione, si tratta di una situazione che rappresenta una sfida di gestione concreta e immediata.
La ricostruzione richiede un coordinamento ben strutturato per rispondere ai bisogni della popolazione e per risolvere situazioni complicate, come quelle che seguono i disastri naturali[75]. Nel disegno di legge, il coordinamento assume una valenza sostanziale nei confronti degli enti territoriali e il suo obiettivo pare essere quello di mettere ordine nella gestione della ricostruzione. Le relazioni tra il centro (Stato) e le autonomie territoriali, di conseguenza, sono state pensate in modo che l’amministrazione centrale possa supportare e dirigere gli enti locali, garantendo un intervento unificato; questo accentramento, pur limitando in parte l’autonomia locale, pare giustificato dalla necessità di rispondere a un’emergenza nazionale, in cui la sola azione locale non sarebbe sufficiente.
È opinione dello scrivente che sia necessaria una normativa stabile, che non dipenda esclusivamente da misure di emergenza o decreti-legge temporanei, ma che possa consolidare un sistema di risposte efficaci per eventi futuri. Il disegno di legge, da parte sua, non rinuncia alla flessibilità, rimandando comunque all’uso di atti normativi e strumenti d’urgenza, per far fronte a crisi che potrebbero richiedere interventi rapidi e adattabili. Detto equilibrio tra stabilità normativa e flessibilità è essenziale in situazioni di emergenza, dove ogni crisi può presentare nuove sfide e richiedere risposte specifiche.
6. La semplificazione e l’uso della SCIA
La ‘ricostruzione’ può essere definita come una funzione nuova in cerca di una collocazione e di una definizione precisa; non è ancora ben codificata come concetto e, di conseguenza, c’è spazio per esplorarne meglio i confini e il ruolo. ‘Ricostruire’ implica molto più che riedificare strutture distrutte; si tratta, infatti, di una funzione che coinvolge l’organizzazione e la pianificazione di un territorio con l’obiettivo di restituirlo alla normalità o migliorarlo rispetto alla condizione precedente al disastro. La ‘semplificazione’, d’altra parte, è una nozione che negli ultimi quarant’anni ha cercato di rendere i processi amministrativi meno complessi, ma spesso, a parere dello scrivente, con esiti deludenti[76].
Nonostante le limitazioni che la semplificazione ha dimostrato finora, affiancarla al concetto di ricostruzione può offrire spunti utili. La ricostruzione ha bisogno di processi agili e immediati per essere efficace, quindi, l’idea di una semplificazione mirata potrebbe aiutare a rendere la ricostruzione più funzionale. In questo senso, è opinione dello scrivente che, invece di continuare a ‘inventare’ nuovi strumenti di gestione e norme, sarebbe più utile ‘riorganizzare e adattare gli strumenti già esistenti’ per il governo del territorio, ma in modo semplificato e orientato specificamente alla ricostruzione. In questo senso, quindi, la ricostruzione viene considerata come una sotto-area della gestione del territorio e non come una funzione a sé stante completamente separata. Nel contesto del governo del territorio, la ricostruzione può utilizzare le stesse strutture e regolamenti, ma con delle ‘modifiche strategiche’, piuttosto che creare nuove normative; la proposta del disegno di legge è quella di ‘ridefinire l’uso’ degli strumenti esistenti, adattandoli agli obiettivi specifici della ricostruzione[77].
Si suggerisce, dunque, l’adozione di una ‘visione pragmatica’, ovvero, anziché semplificare in modo generico (rischiando di rimanere inefficace), sarebbe più produttivo mirare a una ‘semplificazione specifica per la ricostruzione’. Si tratterebbe, in altre parole, di prendere in prestito pratiche già esistenti nella gestione del territorio e di adattarle con flessibilità alle necessità della ricostruzione, riducendo al minimo i passaggi burocratici senza sacrificare il controllo e la qualità. Questo tipo di riflessione approfondisce il concetto di ‘ricostruzione’ e i suoi obiettivi, andando oltre la semplice ‘ricostruzione’ fisica delle strutture danneggiate, per considerare l’opportunità di ridurre le vulnerabilità preesistenti e pianificare in modo più efficace[78].
A detta dello scrivente, il primo obiettivo della ricostruzione dovrebbe essere il superamento delle vulnerabilità, che hanno causato il danno o la fragilità delle strutture e del territorio. Non si tratta solo di riparare, ma di correggere i difetti strutturali e le debolezze per evitare danni futuri. Questo è un obiettivo a lungo termine, che deve essere tenuto presente in ogni fase della ricostruzione, non solo in quelle iniziali. Il momento della ricostruzione, tuttavia, offre anche l’opportunità di correggere eventuali problematiche preesistenti nel territorio o nelle infrastrutture, che non avevano nulla a che fare con il disastro naturale ma che, in seguito all’evento, possono essere migliorate. In questa circostanza entra in gioco la ‘pianificazione urbanistica’, che non è sempre necessaria ma, quando serve, è l’occasione giusta per intervenire con modifiche mirate come la delocalizzazione di aree a rischio[79].
Rileva evidenziare che non sempre è necessario ridisegnare l’intero assetto urbanistico. La pianificazione deve essere limitata alle aree in cui è veramente necessaria, lasciando intatte le parti del territorio che non richiedono interventi strutturali. In questi casi, si potrebbe adottare un approccio semplificato, come quello previsto nelle ordinanze del Commissario per il Sisma del 2016 e, anziché attendere lunghe approvazioni di varianti urbanistiche o piani attuativi, si potrebbero usare programmi di ricostruzione, che stabiliscano quali parti del territorio debbano essere modificate e quali possano rimanere come sono.
Dove la ricostruzione può procedere senza bisogno di modifiche urbanistiche, si può applicare il principio di conformità, per cui se l’area e le strutture non hanno bisogno di varianti o interventi di pianificazione, i lavori possono partire subito, evitando lungaggini burocratiche. Questo approccio permette di procedere rapidamente con la ricostruzione dove le condizioni lo consentono, mantenendo la priorità sugli interventi urgenti. Inoltre, spesso, nella ricostruzione, c’è un conflitto tra la necessità di rapidità e quella di una pianificazione più approfondita; questo conflitto può essere risolto stabilendo con precisione dove è necessario un intervento strutturale di pianificazione e dove no. Utilizzare gli strumenti più adeguati per ogni contesto è essenziale per mantenere un equilibrio tra la velocità di intervento e la qualità della pianificazione[80].
Infine, ma non ultimo per importanza, non bisogna dimenticare che la ricostruzione dipende dal contributo economico, il quale deve essere strettamente connesso agli interventi edilizi e pianificatori. Il finanziamento e i contributi per la ricostruzione devono dialogare con i lavori da svolgere; senza un contributo economico adeguato, la ricostruzione non può avere successo: è necessario pensare a procedure per garantire un flusso di risorse coerente con i bisogni effettivi, affinché chi è coinvolto possa operare con sicurezza e continuità[81].
L’obiettivo sarebbe quello di creare una legge quadro sulla ricostruzione, che fornisca linee guida generali e principi senza imporre schemi rigidi. Si tratterebbe di una legge che non dovrebbe definire un protocollo fisso da seguire ma, piuttosto, presentare una struttura flessibile, adattabile a diverse situazioni di emergenza e ricostruzione, a seconda delle esigenze specifiche del contesto (la ricostruzione di una zona densamente popolata, infatti, avrà necessità diverse rispetto a un’area con poche abitazioni). La semplificazione normativa, pertanto, dovrebbe evitare due errori: introdurre nuovi strumenti non necessari e creare deroghe estreme rispetto all’ordinario. In questa direzione, negli ultimi anni, gli interventi per affrontare le emergenze hanno già modificato le normative edilizie, riducendo la distanza tra l’edilizia ordinaria e straordinaria.
Si pensi, ad esempio, al ‘concetto di stato legittimo dell’edificio’ (art. 9-bis del T. U. Edilizia)[82], introdotto, inizialmente, da un’ordinanza del Commissario per il terremoto del Centro Italia nel 2020, ma anche alla Riforma del 2014, che ha ridefinito il concetto di ristrutturazione edilizia, introducendo la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), semplificando i titoli abilitativi necessari e rendendo più agile la ricostruzione. In sintesi, dunque, l’approccio legislativo alla ricostruzione dovrebbe integrare la semplificazione normativa con un adattamento flessibile e concreto alle diverse realtà territoriali e alle situazioni di calamità.
Oggi, uno dei punti nevralgici della ricostruzione è quello di stabilire quale strumento normativo sia più adeguato a ogni circostanza (ricostruire un edificio ‘dov’era e com’era’, ad esempio, dovrebbe essere un’opzione possibile, ma non obbligatoria). In tal caso, la SCIA si rivela lo strumento preferibile, evitando la complessità di un piano attuativo; si tratta di una scelta che si fonda sul concetto di ‘ristrutturazione come demolizione e ricostruzione’ che, attualmente, viene applicato non solo alla ricostruzione post-sisma, ma anche alle costruzioni ordinarie. Nella pratica, i titoli edilizi semplificati come la SCIA (artt. 22 e 23 del T.U. Edilizia)[83] sono ormai comuni, mentre il ‘permesso di costruire’ è meno utilizzato, anche perché è soggetto a silenzio-assenso (art. 20, comma 8), facilitando l’avvio dei lavori in tempi ridotti[84].
Il concetto di ‘semplificazione’, però, va inteso anche come ‘adeguatezza’ degli strumenti: non è necessario introdurre nuove procedure, ma utilizzare quelle esistenti in modo mirato ed efficace. Per unificare l’ordinario e lo straordinario (come la ricostruzione post-calamità), si potrebbe pensare al ‘diritto della rigenerazione’, che promuove un uso responsabile del territorio, valorizzandolo sotto i profili edilizio, sociale ed economico[85]. Non bisogna dimenticare che nella ricostruzione post-calamità, la normativa segue due logiche: quella della delocalizzazione (per cui se è necessario spostare gli edifici danneggiati o ridisegnare l’area colpita, è previsto un piano attuativo di ricostruzione che richiede una programmazione iniziale e un regime autorizzatorio specifico) e quella della ricostruzione in conformità (per cui se non serve modificare l’assetto urbano, si può procedere con la SCIA come unico titolo edilizio necessario; questa modalità permette interventi sul sito originario, mantenendo l’edificio senza aumenti volumetrici, salvo miglioramenti per sicurezza e risparmio energetico). Questa distinzione, già introdotta nelle ordinanze del 2020 e ripresa nel Testo Unico delle ordinanze del Sisma 2016, semplifica il processo di ricostruzione riducendo le approvazioni necessarie[86].
Per velocizzare la ricostruzione, il sistema normativo si fonda su tre assi principali. Il primo riguarda gli interventi conformi senza piani attuativi, secondo cui gli edifici devono essere ricostruiti seguendo le prescrizioni urbanistiche preesistenti, senza la necessità di modifiche urbanistiche, e se l’edificio ricostruito non richiede modifiche significative, non è necessario adeguarsi alle normative urbanistiche vigenti prima del disastro (artt. 62 e 63 del Testo Unico delle ordinanze del 2016). Il secondo asse prevede la sanatoria per abusi edilizi (una disciplina per sanare abusi edilizi leggeri, art. 65 del T.U. e, in caso di abusi gravi, invece, la ricostruzione può procedere solo una volta risolto il problema legale) e, infine, strumenti edilizi semplificati (la SCIA è lo strumento principale per avviare i lavori, con la possibilità di ricorrere al permesso di costruire solo se ci sono modifiche alle volumetrie non ammissibili tramite SCIA; solo in casi eccezionali, dove gli interventi superano certi limiti, può essere richiesto un permesso di costruire speciale). In sintesi, dunque, il sistema del Sisma 2016 ha favorito la semplificazione procedurale con SCIA e permessi di costruire limitati, ma il processo decisionale appare centralizzato nelle scelte fatte dal Commissario straordinario, con adattamenti specifici per ciascuna zona[87].
Una serie d’interrogativi sorge sulle problematiche legate all’uso degli strumenti di semplificazione, come la SCIA e il silenzio assenso, nella ricostruzione post-calamità[88]. La SCIA è uno strumento central, ma ci sono ancora incertezze sulla sua natura giuridica (ci si domanda, ad esempio, se debba essere considerato un titolo o un atto di consenso implicito) e, soprattutto, sulla sua applicazione nelle diverse regioni italiane, dove il controllo può essere effettuato solo a campione, creando disparità. Il silenzio assenso, invece, che dovrebbe velocizzare i procedimenti, non è sempre applicabile in modo uniforme; a tale proposito, la giurisprudenza evidenzia che il silenzio assenso potrebbe non essere compatibile con la concessione di contributi, creando problematiche d’interpretazione legale[89].
In generale, l’idea di semplificazione rischia di non essere efficace, se non sono definiti in modo chiaro e stabile gli strumenti, come la SCIA e il silenzio assenso. Ancora una volta, quindi, si sottolinea l’importanza della semplificazione, che deve essere adattata alla realtà specifica della ricostruzione, evitando che problemi di interpretazione e applicazione creino ulteriori difficoltà in una fase già delicata come quella della ricostruzione post-calamità.
7. L’esclusione del principio del soccorso istruttorio nel processo autorizzativo e l’introduzione della clausola revocatoria come condizione risolutiva
Il disegno di legge in commento mira, tra l’altro, a creare una “zona cuscinetto” per gestire la fase di transizione tra lo stato di emergenza e il ritorno alla normalità. Riconoscendo il fatto che, nella fase post-emergenziale, il contesto non è ancora “normale”, la legge cerca di mantenere alcune misure straordinarie. L’obiettivo del legislatore, dunque, pare essere quello di agevolare il ritorno alla normalità senza interrompere bruscamente le pratiche emergenziali, soprattutto quelle semplificate per l’esecuzione dei lavori pubblici. Tuttavia, questo approccio potrebbe generare problemi di coordinamento e adattamento alle nuove esigenze, poiché i poteri straordinari rimangono in vigore, anche se pensati per l’emergenza[90].
Nella fase emergenziale, il nuovo Codice dei Contratti (aggiornato rispetto a quello del 2016)[91] prevede procedure specifiche legate allo stato di emergenza, ma meno semplificate rispetto a quelle per la fase di riparazione. Se il modello di semplificazione usato per il PNRR è considerato efficace e compatibile con il diritto europeo (nonostante i dubbi iniziali), potrebbe essere più logico estenderlo a tutte le fasi, non solo a quella di normalizzazione[92].
Il disegno di legge in commento merita apprezzamento per l’attenzione al tema delle responsabilità; in particolare introduce una norma che obbliga l’operatore privato a dichiarare l’intenzione di subappaltare, informando, così, il commissario straordinario che può eseguire controlli a campione. Inoltre, l’art. 22, comma 1, prevede che l’operatore privato venga equiparato a una stazione appaltante pubblica per il rispetto dei contratti collettivi nazionali e territoriali, in conformità all’art. 11 del Codice dei Contratti (D.Lgs. 36/2023). Nonostante, in passato, la giurisprudenza aveva escluso l’obbligo di indicare nei bandi i contratti territoriali per tutelare la libertà d’iniziativa privata, qui si conferma l’importanza della conformità alle norme contrattuali anche per i privati[93].
Il Codice del 2023 affronta la questione specificando, al comma 2 dell’art. 11, che nei bandi o negli avvisi di gara deve essere indicato il tipo di contratto applicabile. Tuttavia, quando si tratta di rapporti tra privati, è essenziale che il legislatore chiarisca le regole e le sanzioni, altrimenti si rischia di complicare piuttosto che semplificare. Un altro punto importante è l’invarianza finanziaria indicata nella relazione tecnica: i contributi previsti sono solo teorici e dovrà essere una legge primaria a definire le condizioni e lo stanziamento effettivo dei fondi. In particolare, l’art. 9, comma 1 (per la ricostruzione privata), e l’art. 13, comma 1 (per la ricostruzione pubblica), rinviano entrambi alla legislazione primaria, la quale determinerà l’ammontare dei contributi secondo un piano pluriennale, che il Commissario straordinario dovrà preparare entro sei mesi dalla nomina[94].
Il disegno di legge prevede misure per gestire le criticità legate ai contributi pubblici, oltre alla fase di erogazione ordinaria già descritta. In particolare, quando un contributo può essere negato o revocato, il principio di auto-responsabilità stabilisce che il richiedente deve dimostrare di possedere i requisiti per ottenerlo, senza il supporto della pubblica amministrazione per integrare le pratiche incomplete, dato il valore pubblico delle risorse disponibili[95]. In parallelo, si nota che il sistema di controllo dei contributi prevede campionamenti mensili del 10% da parte del Commissario straordinario, un approccio, questo, che richiederà chiarimenti, ad esempio, sul calendario dei controlli e le conseguenze in caso di violazioni[96]. Inoltre, la clausola di revoca condizionata, simile a una condizione risolutiva, specifica che i fondi devono essere utilizzati esclusivamente per scopi ricostruttivi, pena la revoca anche parziale. Questo e altri aspetti del disegno di legge, inclusi gli obblighi di tracciabilità delle spese e il rispetto delle regole contrattuali, dovranno essere chiariti da una legislazione primaria, per evitare ambiguità che complicherebbero il contenzioso.
Analizzando la fase “patologica” dei contributi pubblici, ossia i casi in cui si può negare o revocare il beneficio, è importante fare alcune precisazioni di carattere generale. In tema di erogazione di contributi pubblici vige, infatti, il principio di auto-responsabilità, che implica che l’onere di dimostrare i requisiti necessari per ottenere il contributo spetta al richiedente stesso, senza necessariamente ricorrere a dichiarazioni sostitutive o atti notori, secondo quanto previsto dal d.P.R. n. 445/2000 (T.U. documentazione amministrativa). In questo contesto, la giurisprudenza tende ad escludere l’applicabilità del principio di “soccorso istruttorio”, che prevede che la pubblica amministrazione aiuti il richiedente a completare eventuali pratiche carenti, come stabilito dalla L. n. 241/1990 (art. 6, comma 1, lettera b)[97]. Questo principio, tuttavia, viene raramente applicato per l’erogazione di contributi pubblici di natura economica, in quanto, trattandosi di risorse limitate e d’interesse erariale, è necessario rispettare rigorosi criteri di parità di trattamento e, quindi, viene imposto un principio di auto-responsabilità al richiedente, senza supporto istruttorio da parte della PA.
In generale, la PA deve rispettare i principi di correttezza e leale collaborazione (art. 1, comma 2 bis, Legge n. 241/1990), il chè significa che può, e deve, svolgere un controllo documentale tempestivo, soprattutto quando il richiedente compila specifici format di autocertificazione. Un controllo ritardato, invece, può avere implicazioni negative sul piano della responsabilità amministrativa[98]. Questo principio si applica anche al nuovo disegno di legge, che prevede che la domanda di contributo sia accompagnata da specifici documenti obbligatori; esso, inoltre, disciplina l’accesso ai contributi per la ricostruzione edilizia, prevedendo verifiche di compatibilità urbanistica, controlli amministrativi e l’eventuale revoca del contributo per mancanza di requisiti. Tuttavia, la legge necessita di chiarimenti applicativi per ridurre i rischi di contenziosi futuri.
8. Conclusioni
Allo stato attuale, la situazione si presenta ancora in fieri e, sebbene il disegno di legge presenti diverse novità interessanti, la mancanza di chiarezza di alcuni istituti giuridici è ancora foriera di future problematicità. La clausola revocatoria, in particolare, soprattutto nell’ambito della ricostruzione, mostra ancora diverse zone d’ombra, soprattutto laddove ci si trovi a operare in territori e comunità che necessitano di rinnovamento e in cui non tutto può essere previsto con precisione. Pur comprendendo le finalità della clausola, dunque, lo scrivente ritiene che essa rischi di creare complicazioni in tali contesti. Sarebbe dunque auspicabile una maggiore chiarezza e un’attenta definizione delle soluzioni, già nella fase di progettazione normativa.
[1] Camera dei Deputati, Disegno di Legge n. 1632. Presentato dal Ministro per la Protezione Civile e le politiche del Mare (Musumeci), Legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità, presentato il 29 dicembre 202 e proposte di legge n. 589 d’iniziativa dei deputati Trancassini, Colombo, Foti, Rotelli, in “Atti parlamentari – Camera dei Deputati”; n. 1632-589-647 A, 2023.
[2] Governo Italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 61, 5 dicembre 2023.
[3] F. G. CUTTAIA, L’ampliamento dell’autonomia regionale e il rispetto dei profili unitari, formali e sostanziali: le basi poste dal disegno di legge quadro approvato dal Consiglio dei Ministri, in “Italian papers On Federalism - Rivista giuridica online”, 1, 2023, pp. 15-29.
[4] Senato della Repubblica – Servizio Studi, Dossier XIX Legislatura. Legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità, A.C. 1632-A ed abb., 11 ottobre 2024.
[5] G. RIVOSECCHI, Riparto delle competenze e finanziamento delle funzioni tra Stato e Regioni nella tutela del diritto alla salute: dall’emergenza alla stabilizzazione, in “Diritto e società”, 2, 2021, pp. 223-269.
[6] N. PIGNATELLI, Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale: la recessività della materia, Giappichelli, Torino, 2012, p. 75 e ss.
[7] Camera dei Deputati, Disegno di legge n. 1632 presentato dal D. F. Bignami, Protezione civile e riduzione del rischio disastri. Metodi e strumenti di governo della sicurezza territoriale e ambientale, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2010, p. 103 e ss.
[8] D. F. BIAGNAMI, Protezione civile e riduzione del rischio disastri, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2010, p. 92 e ss.
[9] C. TUCCIARELLI, Corte costituzionale e federalismo fiscale: appunti sulla sentenza n. 22/2012, in “forumcostituzionale.it”, 5 marzo 2012, pp. 1-8.
[10] Si rimanda a C. DELLA GIUSTINA, Diritto dell’emergenza e ordinamento democratico. Un’analisi di sistema delle emergenze globali tra decisioni politiche e tecniche, Edizioni Studium S.r.l., Milano, 2022.
[11] G. SAVINI, La prima prassi applicativa della sentenza Corte cost. 22/2012: verso un modello di produzione legislativa?, in “Rass. parl.”, n. 2, 2012, p. 365 e ss.
[12] A. SIMONATI, Semplificazione dell’attività amministrativa e livelli essenziali delle prestazioni: la Consulta e il regionalismo “temperato”. Nota a sentenza n. 246/2018, in “Le Regioni”, 2019, p. 292.
[13] A. I. ARENA, Autonomia delle regioni e disciplina del procedimento amministrativo (Nota alle sentenze n. 246 del 2018 e n. 9 del 2019 della Corte Costituzionale, in “Le Regioni”, 2019, pp. 282-291.
[14] B. GABRIELLI, Terremoto in Abruzzo: le riflessioni dell’Ancsa, in “Urbanistica informazioni”, vol. 230, 2010, pp. 33-34; P. Properzi, Terremoto in Abruzzo: ricostruire una capitale regionale, in “Urbanistica informazioni”, vol. 230, 2010, pp. 27-30.
[15] G. L. BULSEI, Quando trema la terra. Persone, organizzazioni, politiche dopo il terremoto in Abruzzo, in “Rivista italiana di politiche pubbliche”, fasc. 1, 2011, pp. 33-58.
[16] A. SAU, Le politiche di governo del territorio nel quadro dell’autonomia differenziata, in “Le regioni”, fasc. 5, 2023, pp. 959-998.
[17] P. MANTINI, Lo ius publicum della ricostruzione in Abruzzo, in M. P. Luigi (a cura di), Il diritto pubblico dell’emergenza e della ricostruzione in Abruzzo, Wolters Kluwert Ialia, Milano, 2010, pp. 13-56.
[18] M. IOANNILI, Sicurezza Territoriale, Governo del Territorio, Protezione Civile, in M. Franchini (a cura di), Il piano di emergenza nell’uso e nella gestione del territorio, Franco Angeli, Milano, 2020, pp. 36-48.
[19] M. DEGL'INNOCENTI, Il governo del territorio, in G. Silei (a cura di), Tutela, sicurezza e governo del territorio in Italia negli anni del centro-sinistra, Franco Angeli, Milano, 2016, pp. 13-30.
[20] P. BONORA, Catastrofi “naturali” e dissesto, in “Il Mulino”, vol. 480, fasc. 4, 2015, pp. 678-685.
[21] G. GUZZO, La pianificazione urbanistica. Soggetti, contenuti e ambiti applicativi, Giuffrè, Milano, 2012, p. 30 e ss.
[22] G. SORICELI, Il governo del territorio: nuovi spunti per una ricostruzione sistematica?, in “Riv. giur. ed.”; 6, 2016, p. 664.
[23] M. CARTA, Teorie della pianificazione, questioni, paradigmi e progetto, Palumbo, Napoli, 2003.
[24] R. DE MARCO, Ricostruzioni: l’estemporaneità come regola, in “Economia della Cultura”, fasc. 3-4, agosto-dicembre, 2014, pp. 295-302.
[25] M. RIZZO, La pianificazione urbanistica, Giuffrè, Milano, 2013.
[26] R. RAPONIi, L’Italia, la normativa relativa alle calamità naturali e gli effetti dei vincoli europei (tra cui in primis il rispetto del pareggio di bilancio) sulla ricostruzione, in “Amministrativ@mente”, n. 7-8, 2016.
[27] M. DE DONNO, La pianificazione come principio fondamentale, in “Le regioni”, fasc. 1, 2023, pp. 139-157.
[28] G. FERA, La gestione dei rischi: settorialità e logiche emergenziali versus integrazione e nuove visioni di futuro, in A. Galderisi, M. di Venosa, G. Fera, S. Menoni (a cura di), Geografie del rischio, cit., pp. 121-132; G: Fera, Un approccio integrazione per la mitigazione dei rischi, in Ivi, cit., pp. 133-148.
[29] C. TUBERTINI, La nuova pianificazione integrata dell’attività e dell’organizzazione amministrativa - PNRR – PAO- DPR 24 giugno 2022, n. 81 – DM 30 giugno 2022, n. 132 [Analisi della normativa], in “Giornale di diritto amministrativo”, vol. 28, fasc. 5, 2022, pp. 614-622.
[30] F. GASTALDI, Pratiche strategiche di pianificazione, Franco Angeli, Milano, 2004.
[31] A. BIANCHI, La rigenerazione urbana per una nuova urbanistica, in “Rivista economica del Mezzogiorno”, fasc. 1-2, 2023, pp. 108-144.
[32] M. RUSSO, Urbanistica per una diversa crescita, Donnzelli, Roma, 2014, p. 254 e ss.
[33] G. AVANZINI, Il Commissario straordinario, Giappichelli, Torino, 2013.
[34] Ivi, p. 27 e ss.
[35] Ivi, p. 41.
[36] N. MAROTTA, O. Zirilli, Disastri e catastrofi, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2015, p. 75 e ss.
[37] C. Cass., sez. I civ., sentenza n. 26094 del 4 ottobre 2024; F. Astone, Leggi-provvedimento e Corte costituzionale, a proposito della ricostruzione del Ponte Morandi (Osservazione a Corte cost., sentenza 27 luglio 2020, n. 168), in “Giurisprudenza costituzionale”, vol. 65, fasc. 4, 2020, pp. 1909-1918.
[38] S. BUDELLI, Il governo dell’emergenza: le ordinanze extra ordinem, in S. Budelli (a cura di), Società del rischio governo dell’emergenza, T. I, Ambientediritto editore, Roma, 2020, pp. 77-104.
[39] C. Cost., sentenza 14 aprile 1995, n. 127, in “Giur. cost.”, 1995, p. 2185 e ss.; conforme sentenza n. 15 del 1982, si rimanda P. Pietro, L’emergenza davanti alla Corte costituzionale (Corte cost., 1 febbraio 1982, n. 15), in “Giurisprudenza costituzionale”, p.te I, anno XXVIII, fasc. 2, 4, 1983, pp. 592-619.
[40] S. AGOSTA, La leale collaborazione tra Stato e Regioni, Giuffrè, Milano, 2008, p. 181 e ss.
[41] V. TAMBURRINI, I poteri sostitutivi statali: tra rispetto dell’autonomia regionale e tutela del principio unitario, Giuffrè, Milano, 2012, p. 107 e ss.
[42] R. BIN, La leale cooperazione nella giurisprudenza costituzionale più recente, in “Seminario Il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni”, Roma, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, 6 aprile 2017.
[43] D. CALDIROLA, Il commissario straordinario nell’emergenza, in “Amministrare”, vol. 40, fasc. 2, 2010, pp. 197-214; C. Franchini, La figura del commissario straordinario prevista dall’art. 20 del D.L. n. 185/2007, in “Giornale di diritto amministrativo”, vol. 15, fasc. 5, 2009, pp. 561-566.
[44] Il Decreto Legislativo 189/2016 è stato promulgato in risposta ai terremoti che hanno colpito le regioni di Marche, Umbria e Lazio nel 2016.
[45] A. PAIRE, Il servizio di protezione civile nel prisma dell’organizzazione amministrativa . profili evolutivi del «sistema» tra Costituzione, potere di pianificazione, governo del territorio e responsabilità, Giappichelli, Torino, 2023, p. 3 e ss.
[46] N. MUSUMECI, Gli italiani e i rischi ambientali. Perché la prevenzione ci può salvare, Rubettino, Soveria Mannelli, 2024.
[47] P. FARABOLINI, La sequenza sismica del centro Italia iniziata il 24 agosto 2016: l’alfabeto della ricostruzione, in “Prisma, economia, società, lavoro”, 3, 2018, pp. 59-80.
[48] E. C. RAFFIOTTA, Norme d’ordinanza. Contributo a una teoria delle ordinanze emergenziali come fonti normative, Bologna University Press, Bologna, 2020.
[49] Senato della Repubblica – Camera dei Deputati, Dossier XIX Legislatura. Legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità, cit., p. 14 e ss.
[50] Ivi, p. 43.
[51] Ivi, p. 18.
[52] Ivi, p. 20.
[53] A seguito del terremoto in Emilia-Romagna del 2012, il commissario straordinario ha adottato diverse ordinanze che includevano forme di consultazione pubblica e incontri con le comunità locali. Questi incontri erano volti a informare la popolazione, ma anche a raccogliere opinioni e suggerimenti per migliorare la ricostruzione in base ai bisogni specifici dei cittadini. Il processo ha incluso anche consultazioni online e dibattiti pubblici in alcuni comuni più colpiti, come Mirandola e Finale Emilia.
[54] M. RUSSO, L. SARTORI, F. PAGLIACCI, Social Innovation and natural disasters: the ‘Casa Italia’ Plan, in “Sociologia urbana e rurale”, vol. 39, fasc. 113, 2017, pp. 87-102.
[55] A. GALDERISI, Quali innovazioni per un governo del territorio orientato alla riduzione dei rischi?, in Galderisi, M. di Venosa, G. Fera (a cura di), Geografie del rischio: nuovi paradigmi per il governo del territorio, Donzelli, Roma, 2020, p. 51
[56] E. CARATELLI, Il principio di proporzionalità quale derivato tecnico del principio di legalità, in “Il Consiglio di Stato”; vol. 54, fasc. 12, p.te 2, 2003, pp. 2481-2498.
[57] D. BEVILACQUA, Competenza Stato-Regioni. Corte costituzionale 4 gennaio 2024, n. 2. Le competenze amministrative sul territorio, in “Giornale di diritto amministrativo”, vol. 30, fasc. 2024, pp. 235-243.
[58] G. VETRITTO, S. VASARRI, Decentramento-centralizzazione e nuovo ruolo per Stato e Regioni nel futuro della Politica di Coesione: nuovi scenari per le Autonomie e gli Enti Locali?, in “La Cittadinanza europea online”, 2, 2024, pp. 1-12.
[59] A. ZITO, La funzione amministrativa nella riflessione giuridica. Una nozione meramente descrittiva o connotativa, in “Rivista Interdisciplinare sul Diritto delle Amministrazioni Pubbliche”, 2, 2024, pp. 228-249.
[60] Oecd, L’azione delle politiche a seguito di disastri naturali. Aiutare le regioni a sviluppare resilienza. Il caso dell’Abruzzo post terremoto, Oecd Publishing, 2013.
[61] Senato della Repubblica – Camera dei Deputati, Dossier XIX Legislatura. Legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità, cit., p. 81.
[62] Ivi, p. 91.
[63] Ivi, p. 7.
[64] Dipartimento Casa Italia, Servizio coordinamento delle attività di ripristino e ricostruzione, 2024.
[65] Senato della Repubblica – Camera dei Deputati, Dossier XIX Legislatura. Legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità, cit., p. 10.
[66] Ivi, p. 13.
[67] Legge del 31/07/2023, n. 100. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto –legge 1° giugno 2023, n. 61, recante interventi urgenti per fronteggiate l’emergenza provocata dagli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023, in “Gazz. Uff.”; n. 177, del 31 luglio 2023.
[68] Camera dei deputati – Servizio Studi, XIX Legislatura, Ricostruzione Emilia-Romagna, Toscana e Marche, 12 luglio 2023. Disposizioni urgenti per la ricostruzione nei territori colpiti dall’alluvione verificatasi a far data dal 1° maggio 2023.
[69] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Testo coordinato dell’Ordinanza n. 16 del 3 marzo 2017 con le modifiche apportate dalle ordinanze n. 53 del 24 aprile 2018 e n. 62 del 3 agosto 2018. Disciplina delle modalità di funzionamento e di convocazione della Conferenza permanente e delle Conferenze regionali previste dall’articolo 16 del decreto legge 17 ottobre 2016, n. 189, come coveertito dalla legge 5 dicembre 2016, n. 229 e s.m. i.
[70] G. AVERSENTE, La sentenza n. 246 del 2019: conferme e novità sul governo degli effetti temporali nel giudizio in via principale (e non solo),in “Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna”, 14 maggio 2020.
[71] C. TUBERTINI, La proposta di autonomia differenziata delle Regione del Nord: un tentativo di lettura dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in “Federalismi.it, 18, 2018, p. 16 ss.
[72] S. MANGIAMELI, Appunti a margine dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in “Le Regioni”, 4, 2017, p. 668.
[73] A. DI FILIPPO, L’autonomia differenziata è legge: nuovo regionalismo o dissoluzione dello Stato?, in “Azienditalia”; vol. 31, fasc. 8-9, 2024, pp. 987-999.
[74] P. DE ROSA, Ricostruire il territorio per progettare il futuro: ripensare la gestione dell’emergenza per la trasformazione sociale nel post-sisma, in “Amministrativ@mente”, fasc. 1, 20224, pp. 2229-2246.
[75] A. SAU, La proporzionalità nei sistemi amministrativi complessi. Il caso del governo del territorio, Franco Angeli, Milano, 2013, p. 88 e ss.
[76] M. R. SPASIANO, Riflessioni sparse in tema di semplificazione amministrativa, in “Nuove autonomie”, vol. 18, fasc. 1, 2009, pp. 75-86.
[77] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Le nuove norme di semplificazione si applicano alla ricostruzione pubblica2 novembre 2020.
[78] P. DE ROSA, Per una nuova stabilità istituzionale nella ricostruzione post-sisma. Brevi riflessioni per un percorso “unitario” e “unificante” di governance pubblica, in “Amministr@tivamente”, n. 3, 2022, pp. 1-21.
[79] G. CERFOGLI, B. GABRIELLI, R. GAMBINO, F. MANCUSO. N. RUSSI, R. SPAGNOLO, S. STORCHI, F. TOPPETTI, Le forme della ricostruzione, Altralinea editrice, ANCSA; 2013.
[80] R. GABRIELLI, B. NEROZZI, L’approccio metodologico per la ricostruzione, in M. Zuppiroli (a cura di), Ricostruzione e restauro, in “Paesaggio. Urban design”, 2, 2023, pp. XIV-XVIII.
[81] S. MONTECCHIARI, Il contributo per la ricostruzione post-sisma: uno strumento giuridico adeguato ad evitare l’abbandono di immobili inagibili?, in “Teoria e prassi del diritto”, vol.2, fasc. 2, 2023, pp. 355-374.
[82] P. MARTINI, Dal modello della ricostruzione post sisma 2016 al testo unico dell’edilizia e dell’urbanistica come livello essenziale delle prestazioni, in “Rivista giuridica dell’edilizia”, vol. 66, fasc. 3, p.te 30, 2023, pp. 11-50.
[83] G. CONDINO, La segnalazione certificata di inizio attività. Un’occasione mancata di rilancio: commento e analisi dell’attuale architettura dell’istituto, in “GiustAmm.it”, fasc. 5, 2021, pp. 1-10.
[84] A. CICCIA, Il nuovo Testo Unico per l’edilizia, Halley, Matelica, 2004.
[85] L. FOGLI, La SCIA tra il processo di semplificazione e l’obbligo di provvedere della Pubblica Amministrazione, in “Azienditalia (Online)”, vol. 29, fasc. 3, 2022, pp. 512-516.
[86] S. BEDESSI, E. Desii, Le ordinanze in materia di sicurezza urbana, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2010, p. 99 e ss.
[87] E. PARISI, Zone sismiche, in A. Zucchetti, B. De Rosa (a cura di), La semplificazione edilizia, Key, Vicalvi, 2021, p. 266 e ss.; A. Zucchetti, La semplificazione edilizia nel D.L. 16 luglio 2020, n. 76 (conv. in l. 11/9/2020, n. 120), in Ivi, pp. 15-28.
[88] S. PIOVESAN, Riforma Madia, l’applicazione dei titoli abilitativi. SCIA, silenzio assenso, autorizzazione espressa e comunicazione preventiva, in “Comuni d’Itali”, vol. 52, fasc. 6, 2015, pp. 14-24.
[89] M. SCANNIELLO, Procedimento amministrativo, Key, Vicalvi, 2020, p. 530 e ss.
[90] C. Di MARZIO, Il decreto semplificazioni 2021 ‘governance ‘ del piano nazionale di rilancio e resilienza (PNRR), in “Rivista amministrativa della Repubblica italiana”, vol. 172, fasc. 3-4, 2021, p.te. 1, pp. 117-141.
[91] M. A. CABIDDU, M. C. COLOMBO, D. CALDIROLA, M. CASATI, D. IELO, A. NAPOLEONE, M. Rizzo (a cura di), Nuovo Codice dei Contratti pubblici. Commentario ragionato D:Lgs. n. 36/2023, Gruppo 24 Ore, Milano, 2023.
[92] E. TATI', Il nuovo Codice dei contratti pubblici: tecniche di semplificazione normativa e riflessi PNRR, in “Osservatorio costituzionale”, fasc. 4, 2023 pp. 59-79.
[93] G. SFERRAZZO, Gli accordi tra i privati e gli strumenti di ADR: il ruolo del collegio consultivo tecnico nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in “Amministrativ@amente”, fasc. 2, 2024, pp. 824-843.
[94] Ordinanza Commissario straordinario 28 giugno 2023, n. 145. Diposizioni in materia di ricostruzione pubblica ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, in “Gazz. Uff.”; 28 agosto 2023, n. 200.
[95] Senato della Repubblica – Camera dei Deputati, Dossier XIX Legislatura. Legge quadro in materia di ricostruzione post-calamità, cit., p. 15.
[96] Ivi, p. 38.
[97] V. LARUFFA, Il soccorso istruttorio tra ‘vecchio e nuovo’ codice. I primi approdi giurisprudenziali, in “Nuovo notiziario giuridico”, fasc. 1, 2024, pp. 15-29.
[98] Sul punto si rimanda a P. Cosa, Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza 22 gennaio 2024, n. 688, in “Altre corti”, n. 1, 2024, pp. 273-288.