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Pubbl. Mer, 11 Dic 2024

Il collegamento tra beni pubblici, beni culturali, proprietà collettive, concessioni demaniali e ruolo degli enti locali

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Lorenzo La Via
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Enna Kore



Il lavoro svolto esamina il ruolo dei beni pubblici, culturali e collettivi nel diritto pubblico, con particolare attenzione alle concessioni demaniali e al coinvolgimento degli enti locali. Vengono analizzate le principali categorie di beni pubblici, evidenziandone le specificità normative e la funzione sociale, insieme alla tutela dei beni culturali, considerati patrimonio collettivo e soggetti a vincoli di conservazione. Si approfondisce l’impatto della direttiva Bolkestein sulle concessioni demaniali, evidenziando l’esigenza di trasparenza e concorrenza per bilanciare l’interesse pubblico con i principi europei. Infine, viene analizzato il ruolo centrale degli enti locali nella gestione e valorizzazione dei beni, con riflessioni giurisprudenziali e dottrinali.


ENG The work examines the role of public, cultural, and collective assets in public law, with particular focus on state concessions and the involvement of local authorities. It analyzes the main categories of public assets, highlighting their regulatory specificities and social function, along with the protection of cultural assets, considered collective heritage subject to conservation constraints. The impact of the Bolkestein Directive on state concessions is explored, emphasizing the need for transparency and competition to balance public interest with European principles. Finally, the central role of local authorities in the management and enhancement of assets is analyzed, with jurisprudential and doctrinal reflections.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Beni pubblici; 3. Beni culturali 4. Proprietà collettiva; 5. I beni demaniali; 6.1. Le concessioni dei beni demaniali 6.2. La direttiva europea Bolkestein; 7. Collegamento tra i diversi beni nel diritto pubblico 8.1. Il ruolo degli enti locali; 8.2. L’alienazione dei beni pubblici; 8.3. Il diritto di prelazione a favore dello Stato; 8.4. La valorizzazione dei beni pubblici; 8.5. Gli enti locali e l’obbligo di inventario 9. La posizione della giurisprudenza; 10.  L’orientamento costituzionale; 11.  Le opinioni della dottrina; 12. Conclusione.

1. Introduzione

In ambito giuridico, il concetto di "bene" si riferisce a tutto ciò che può costituire oggetto di diritto e che risulta idoneo a soddisfare un interesse, sia individuale che collettivo. 

Il termine è strettamente legato al diritto soggettivo, al punto da essere considerato un suo sinonimo. Un bene rappresenta, in sostanza, la possibilità di agire per tutelare o realizzare un interesse, concretizzandosi in un’entità definita, che può avere natura materiale, come un oggetto fisico, oppure immateriale, come un'opera dell'ingegno o un diritto patrimoniale.

2. Beni pubblici

Tra le classificazioni più rilevanti in ambito giuridico vi è quella tra beni pubblici e privati. I beni pubblici (1) appartengono allo Stato, alle Regioni o agli Enti locali e sono destinati a soddisfare gli interessi generali della collettività. Essi si suddividono in tre sottocategorie principali:

Beni demaniali (A): caratterizzati dall’inalienabilità, sono destinati all’uso pubblico o a specifiche attività di rilevanza generale, come strade, fiumi e spiagge.

Beni patrimoniali indisponibili (B): pur non appartenendo al demanio, sono vincolati all’esercizio di funzioni pubbliche e non possono essere alienati o destinati a finalità diverse da quelle previste dalla legge. Beni patrimoniali disponibili (C): non essendo vincolati a usi pubblici specifici, possono essere alienati e sono gestiti con modalità simili a quelle dei beni privati.

Questa dettagliata ripartizione dimostra come il diritto regoli in modo preciso e differenziato il regime dei beni, considerando la loro funzione e il ruolo che essi svolgono nella società. 

I beni privati (2), invece, appartengono, come suggerisce la stessa terminologia, a soggetti privati, che possono essere persone fisiche (cioè, esseri umani) o persone giuridiche (cioè enti, come società o associazioni). Essi sono caratterizzati dalla possibilità, per il proprietario, di goderne e disporne in modo pieno ed esclusivo.

Nella definizione di bene pubblico è fondamentale considerare due caratteristiche: la rivalità e l'escludibilità. Per quanto concerne il primo concetto, si riferisce alla misura in cui l’utilizzo di un bene da parte di un individuo riduce la possibilità che altri possano contemporaneamente usufruirne. Un bene è considerato rivale quando il suo uso da parte di una persona esclude o limita l’utilizzo da parte di altri. Al contrario, un bene non rivale può essere fruito da più persone. Il significato dell’escludibilità, invece, si concentra sulla possibilità di impedire l’accesso a un bene a chi è inadempiente, ovvero a colui che non ha diritto di usufruirne. 

I beni privati sono tipicamente rivali ed escludibili. Il diritto di proprietà, infatti, conferisce al titolare la facoltà di escludere l’uso a chi non ha diritto sul bene stesso, con la possibilità di opporsi a pretese ingiustificate di terzi, il c.d. carattere dell’inerenza. Diversamente, i beni pubblici si caratterizzano per essere non rivali e non escludibili. La loro fruizione da parte di un individuo non limita l'accesso degli altri e non è possibile restringerne l’uso in base alla capacità economica. Essi sono destinati alla soddisfazione di un interesse generale e devono essere accessibili a chiunque. Per questa ragione, i beni pubblici non possono essere ceduti a soggetti privati, poiché la loro funzione principale è garantire il soddisfacimento di bisogni collettivi.

3. Beni culturali

Escludendo i beni pubblici, che rappresentano la categoria più ampia e comprendono al loro interno le altre tipologie, è possibile individuare adesso i beni culturali: una categoria specifica di beni caratterizzati da un valore storico e artistico. 

Tali beni possono essere di proprietà sia pubblica che privata, ma in entrambi i casi sono sottoposti a una speciale tutela da parte dello Stato, a causa del loro valore intrinseco, con l’obiettivo di proteggerli da atti che potrebbero danneggiarli. Anche quando appartengono a soggetti privati, i beni culturali limitano alcune facoltà tipiche del diritto di proprietà. 

I titolari, infatti, non possono goderne e disporne in modo pieno ed esclusivo. Essi sono obbligati a preservare il bene e, in caso di alienazione, devono rispettare il diritto di prelazione dello Stato, che ha la priorità nell’acquisto, al fine di garantire la conservazione e la fruizione pubblica del patrimonio culturale.

Il carattere di rivalità dei beni culturali presenta una natura più complessa rispetto a quella dei beni pubblici. Alcuni beni culturali possono essere considerati non rivali, come le opere esposte in un museo: chiunque può accedervi e goderne, sebbene con limitazioni legate alla capienza degli spazi e alla necessità di garantire la sicurezza delle opere. Lo stesso vale per i monumenti all'aperto, che sono accessibili a tutti, a condizione che vengano rispettate regole di comportamento finalizzate alla loro conservazione, come il divieto di danneggiarli o alterarne l’integrità. Tuttavia, in presenza di esigenze di tutela particolarmente stringenti, è possibile limitarne l’accesso, purché tale restrizione sia adeguatamente giustificata.

Per quanto riguarda l’escludibilità, i beni culturali possono essere resi accessibili gratuitamente o dietro pagamento di un biglietto, con l’obiettivo di finanziare la loro conservazione e valorizzazione. Se il bene è di proprietà privata, tuttavia, l’accesso pubblico non può essere imposto. In tali casi, gli enti pubblici possono stipulare accordi con i proprietari privati per consentire, a determinate condizioni e con specifici requisiti, l'accesso al bene e la sua fruizione da parte del pubblico, garantendo così un equilibrio tra la tutela della proprietà privata e l’interesse collettivo alla valorizzazione del patrimonio culturale.

4. Proprietà collettiva

Oltre ai beni pubblici e culturali, un’altra categoria di particolare importanza è quella delle proprietà collettive. 

Questi beni sono posseduti da comunità locali e sono soggetti a normative specifiche che ne disciplinano l’uso e la gestione. 

La loro funzione è cruciale per le comunità, poiché forniscono risorse e servizi essenziali per il benessere collettivo. Per questo motivo, la legge ne garantisce l'uso nel rispetto dei diritti delle collettività che li fruiscono, assicurando una gestione equa e appropriata.

Le proprietà collettive possono presentare un carattere di rivalità, poiché l’utilizzo da parte di un individuo può ridurre la disponibilità della risorsa per gli altri. L’escludibilità, invece, è regolata dalla legge, che determina chi ha diritto di accesso e in quale misura, al fine di garantire un utilizzo sostenibile e prevenire il deterioramento del bene.

5. I beni demaniali

I beni demaniali appartengono a enti pubblici territoriali, come lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni, e sono destinati a scopi di utilità collettiva o all'uso pubblico. Riguardano beni immobili o, in alcuni casi, universalità di beni mobili. 

La distinzione principale è quella tra demanio necessario e accidentale. 

Il demanio necessario (1) comprende i beni che, per loro natura, devono appartenere esclusivamente allo Stato o ad altri enti pubblici, in quanto destinati a soddisfare esigenze generali. In questa categoria rientrano il demanio militare, marittimo, e idrico. 

Il demanio accidentale (2), invece, riguarda beni che potrebbero anche non essere demaniali, ma lo diventano se appartengono a un ente pubblico. Tali beni sono soggetti a vincoli giuridici specifici, come l'impossibilità di essere acquisiti per usucapione, la inalienabilità e l'espropriabilità.

Il carattere di rivalità e escludibilità si manifesta in modo diverso nei beni privati, pubblici e demaniali. Per i beni privati, tali caratteristiche sono applicabili in modo assoluto a favore del proprietario, che ha il pieno diritto di limitare l'uso e l'accesso del bene da parte di altri. Al contrario, i beni pubblici sono caratterizzati da un’assenza di rivalità e di escludibilità, poiché sono destinati alla tutela dell'interesse collettivo. Di conseguenza, chiunque può fruirne senza che l'accesso di una persona limiti ingiustificatamente quello degli altri. I beni culturali, sebbene siano beni pubblici, presentano una realtà più complessa in relazione a rivalità ed escludibilità: pur non essendo rivali in senso stretto, la loro importanza culturale e storica implica restrizioni nel loro utilizzo, per garantirne la conservazione e la protezione.

Per quanto riguarda i beni demaniali, la loro natura comporta caratteristiche specifiche in termini di rivalità ed escludibilità. I beni demaniali sono generalmente non rivali, poiché la fruizione da parte di una persona non impedisce automaticamente l'accesso ad altri, come nel caso delle strade pubbliche, che possono essere percorse contemporaneamente da più persone. Tuttavia, esistono situazioni in cui la rivalità può emergere, ad esempio con le risorse naturali come l'acqua, dove un uso eccessivo può compromettere la disponibilità per altri. In questi casi, però, l'accesso limitato è giustificato da motivi di salvaguardia del bene o di altri interessi generali, senza che venga introdotta una discriminazione tra gli utenti.

I beni demaniali sono anche non escludibili, il che significa che, in linea di principio, non è possibile impedire l'accesso o l'uso del bene, salvo che sussistano motivi di sicurezza, manutenzione o altre esigenze di interesse pubblico. Tuttavia, vi sono circostanze in cui l’escludibilità può essere applicata, come nel caso in cui un bene demaniale venga dato in concessione a un soggetto privato. Ad esempio, nelle spiagge, i lidi concessi devono permettere l'accesso pubblico, anche se il privato non riceve compensi per l'accesso diretto alla spiaggia, pur potendo guadagnare dai servizi offerti. Questo equilibrio tra l'interesse pubblico all'accesso e la possibilità per il privato di trarre profitto è un tema delicato e complesso.

In sintesi, i beni demaniali, pur essendo caratterizzati da una natura che tende a rendere il loro utilizzo non rivale e non escludibile, presentano delle limitazioni che rispondono a esigenze di tutela e bilanciamento degli interessi collettivi e privati. Si tratta quindi di beni con caratteristiche complesse e talvolta soggette a regolamentazioni particolari.

6.1. Le concessioni dei beni demaniali

Un aspetto fondamentale nella gestione dei beni pubblici è rappresentato dalle concessioni demaniali, uno strumento giuridico che consente allo Stato o agli enti locali di autorizzare soggetti privati a utilizzare beni del demanio per scopi specifici. 

Le concessioni demaniali sono utilizzate per garantire che l'uso dei beni pubblici rispetti l'interesse collettivo, imponendo una serie di vincoli e condizioni, come il pagamento di canoni concessori e l'adozione di procedure competitive per l'assegnazione dei diritti d’uso. 

In particolare, con l'evoluzione giurisprudenziale a livello europeo, le concessioni sono diventate oggetto di un delicato bilanciamento tra gli interessi pubblici e quelli privati. Ciò ha portato a una maggiore trasparenza e competitività nel processo di assegnazione nella necessità di valorizzazione di tali risorse.

6.2. La direttiva europea Bolkestein

In passato, la Comunità Europea ha affrontato la questione della gestione dei beni demaniali, sebbene i paesi membri abbiano tardato ad adottare la direttiva 2006/123/CE, nota come direttiva Bolkestein. Questa normativa mirava a garantire la libertà di prestazione dei servizi all’interno del mercato unico europeo, con l’obiettivo di liberalizzare il settore, ridurre la burocrazia e stimolare la competitività. Un aspetto chiave della direttiva riguardava la rimozione di barriere amministrative inutili, come i controlli ripetitivi e le autorizzazioni multiple. 

In questo quadro, l'Unione Europea ha cercato di promuovere i principi di libera circolazione dei beni e dei servizi, estendendoli anche alla gestione dei beni demaniali, affinché questi possano essere utilizzati in modo produttivo e conforme alla loro natura. 

La direttiva si proponeva di abbattere le barriere normative che ostacolano l’integrazione del mercato interno, imponendo una disciplina uniforme per gli Stati membri. Questo ha comportato la creazione di un quadro normativo che regola i servizi transfrontalieri, riducendo così le restrizioni all'accesso dei fornitori di servizi ai mercati di altri Stati membri dell'Unione Europea.

Una delle principali problematiche dei beni demaniali, tuttavia, riguarda la loro concessione ai privati per periodi molto lunghi, talvolta quasi perpetui, senza offrire opportunità per l’ingresso di nuovi operatori. Questa situazione limita la possibilità di attuare selezioni competitive e trasparenti, come attraverso bandi di gara, e ostacola l’innovazione e l’efficienza nella gestione. La mancanza di rotazione gestionale impedisce il rinnovamento basato sul merito.

La direttiva Bolkestein stabilisce che ogni operatore economico stabilito in uno Stato membro ha il diritto di offrire i propri servizi in un altro Stato membro senza dover rispettare regolamenti aggiuntivi, oltre a quelli previsti nel proprio paese di origine, eliminando così gli ostacoli normativi tra gli Stati membri e semplificando l’accesso al mercato. Inoltre, la direttiva impone che le procedure di autorizzazione per la prestazione dei servizi siano chiare, trasparenti e non discriminatorie. Qualsiasi restrizione deve essere giustificata da motivi di interesse pubblico, come la tutela della salute o della sicurezza, e deve essere proporzionata agli obiettivi da raggiungere.

Infine, la direttiva incoraggia l'eliminazione delle barriere amministrative superflue, come la duplicazione di controlli o l'emissione di autorizzazioni ripetute, al fine di rendere il sistema più snello ed efficiente.

7. Collegamento tra i diversi beni nel diritto pubblico

La disciplina giuridica dei beni pubblici può spesso intersecarsi, nel senso che un bene appartenente a una determinata categoria può rientrare contemporaneamente in un'altra, o avere un legame, pur mantenendo una propria identità autonoma. Ad esempio, un bene pubblico può essere anche un bene di interesse culturale. In questi casi, l'imposizione di vincoli culturali modifica e integra le modalità di utilizzo, di gestione o di concessione dello stesso bene, richiedendo che l’azione delle amministrazioni non si limiti alla mera soddisfazione degli interessi generali, ma includa anche la tutela del valore storico e culturale.

Un bene pubblico, infatti, può essere utilizzato dall’Amministrazione per perseguire interessi istituzionali, ma tali interessi non devono entrare in conflitto con la disciplina dei beni culturali. Ad esempio, mentre un bene pubblico può essere demolito per realizzare infrastrutture più adatte alle esigenze dell’ente, questa possibilità non si applica ai beni culturali. 

Se un Comune è proprietario di un castello storico, può destinarlo a specifiche funzioni pubbliche, ma sempre rispettandone il valore culturale. Questo significa che qualsiasi intervento di ristrutturazione non deve alterarne né il significato storico né le caratteristiche architettoniche. Ciò vale anche per l’uso dell’edifico. Se un edifico storico è destinato allo svolgimento al suo interno di attività istituzionali, non deve al contempo impedire ai turisti o ai cittadini di accedervi per ampliare il loro sapere.

In alcuni casi, i beni pubblici possono coesistere con le proprietà collettive. Quando ciò accade, la gestione di tali beni richiede un coordinamento tra enti pubblici e comunità locali. Un esempio ricorrente è rappresentato dai beni soggetti a usi civici, che possono essere concessi a terzi, ma sempre nel rispetto dei diritti collettivi e delle tradizioni locali. Questo tipo di gestione può generare conflitti, come nel caso di proposte di sviluppo industriale o turistico che rischiano di compromettere gli usi tradizionali dei beni o di modificarne la destinazione.

I beni culturali appartenenti a proprietà collettive sono soggetti, invece, al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che ne limita la trasformazione o alienazione, tutelandone il valore storico e sociale. Le proprietà collettive, inoltre, possono rappresentare un modello di gestione partecipativa e sostenibile, coinvolgendo le comunità locali nella tutela e promozione del patrimonio culturale. Tuttavia, la necessità di conservare il bene può entrare in conflitto con le richieste di utilizzo economico avanzate dalle stesse comunità.

Un’ulteriore ipotesi sussiste quando un bene è contemporaneamente pubblico, demaniale e storico. In tal caso il suo regime giuridico è particolarmente complesso. La sua gestione deve bilanciare diversi interessi, tra cui la tutela del patrimonio culturale, la disciplina demaniale e le finalità di interesse pubblico.

Esso deve rimanere accessibile o utilizzabile per scopi di interesse collettivo e la sua inalienabilità è rafforzata dalla presenza del vincolo storico. 

Un bene demaniale riconosciuto come storico è soggetto a ulteriori tutele previste dal Codice dei Beni Culturali come l’obbligo di conservazione e restauro. 

Gli interventi sul bene devono essere finalizzati alla sua preservazione con il divieto di alterazione della destinazione d’uso, con i rispettivi nulla osta del Ministero della Cultura o della Soprintendenza.

In caso di conflitti normativi, prevale la tutela del patrimonio culturale rispetto alla disciplina demaniale o patrimoniale. Allo stesso modo, la destinazione culturale di un bene deve essere rispettata anche in caso di trasferimento di proprietà.

8.1. Il ruolo degli enti locali

Gli enti locali rivestono un ruolo cruciale nella gestione dei beni pubblici, esercitando competenze che spaziano dall’organizzazione di bandi per concessioni alla tutela delle proprietà collettive, fino alla pianificazione territoriale e urbanistica. Quest’ultima consente di armonizzare gli usi privati e pubblici dei beni, garantendo un equilibrio tra le esigenze individuali e quelle collettive. Attraverso regolamenti e piani urbanistici, gli enti locali disciplinano l’uso e la salvaguardia dei beni pubblici, promuovendo uno sviluppo ordinato e rispettoso del patrimonio comune.

In alcuni casi, gli enti locali gestiscono direttamente i beni pubblici e culturali, valorizzandoli e rendendoli fruibili; in altri, preferiscono affidarne la gestione a soggetti privati. Questi ultimi, in cambio di un canone periodico, possono utilizzare tali beni con l’obiettivo di migliorarne la valorizzazione, spesso avvalendosi di competenze tecniche e professionali specializzate. Tuttavia, gli enti locali mantengono un ruolo di vigilanza, assicurandosi che l’uso e le concessioni avvengano nel rispetto delle finalità pubbliche e delle disposizioni normative, intervenendo prontamente in caso di abusi o irregolarità.

Un altro aspetto fondamentale è il coinvolgimento attivo della comunità nella gestione delle proprietà collettive. Gli enti locali promuovono un modello di governance inclusivo e partecipativo, che incoraggia i cittadini a contribuire direttamente alla tutela e valorizzazione del patrimonio comune. Questo approccio rafforza il senso di appartenenza e la responsabilità collettiva.

Infine, attraverso una gestione equilibrata dei beni collettivi, gli enti locali contribuiscono sia allo sviluppo socio-economico del territorio sia alla conservazione del patrimonio culturale e ambientale per le future generazioni. Questo approccio integrato dimostra come una corretta gestione dei beni pubblici possa rappresentare un importante volano per la crescita economica e il benessere della collettività, nel rispetto dei principi di sostenibilità e tutela delle risorse comuni.

8.2. L’alienazione dei beni pubblici

Anche gli enti locali operano entro limiti ben definiti, poiché, in uno Stato di diritto, ogni soggetto, comprese le istituzioni, è sottoposto alla legge. Uno dei principali vincoli riguarda la natura stessa dei beni pubblici: possono essere alienati esclusivamente i beni appartenenti al patrimonio disponibile. L’amministrazione, inoltre, ha la facoltà di stipulare contratti per costituire diritti reali a favore di terzi.

Un ulteriore requisito per l’alienazione dei beni immobili di un ente locale è la loro preventiva identificazione e inclusione in un apposito elenco. A tal fine, la normativa prevede che le giunte regionali, provinciali e comunali redigano il "piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari". In tale piano, devono essere inseriti i beni immobili non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali, classificandoli come patrimonio disponibile e autorizzandone la vendita (legge n. 112 del 6 agosto 2008).

Per favorire la privatizzazione e la valorizzazione del patrimonio pubblico, gli enti locali possono ricorrere alla cartolarizzazione. Questo processo prevede il trasferimento degli immobili a società veicolo, che finanziano l'acquisto attraverso l’emissione di titoli o mediante finanziamenti ottenuti da terzi. Le società veicolo gestiscono successivamente questi beni, rivendendoli sul mercato e restituendo agli enti pubblici le somme pattuite (legge n. 410 del 23 novembre 2001).

Un altro aspetto rilevante riguarda le modalità di vendita onerosa e la selezione del compratore. In linea generale, la cessione dei beni pubblici deve avvenire mediante procedure pubbliche, mentre il ricorso alla trattativa privata è ammesso solo in circostanze particolari e residuali. Per esempio, la trattativa privata può essere utilizzata in caso di esito negativo di precedenti aste pubbliche correttamente svolte, oppure quando l’acquisto riguarda beni per i quali non è possibile promuovere un concorso pubblico, come quelli prodotti da un unico fornitore. Tali eccezioni devono essere giustificate con motivazioni dettagliate nel provvedimento amministrativo, per garantire trasparenza e imparzialità, in conformità ai principi di tutela della concorrenza sanciti dalla normativa europea.

Infine, enti comunali e provinciali possono derogare alle disposizioni generali di alienazione approvando specifici regolamenti che assicurino trasparenza e adeguata pubblicità delle offerte di acquisto. Tali regolamenti devono definire criteri chiari e imparziali, garantendo che la cessione dei beni avvenga nel rispetto dei principi di legalità e correttezza amministrativa.

8.3. Il diritto di prelazione a favore dello Stato

Il diritto di prelazione è un istituto giuridico che attribuisce a un soggetto la facoltà di essere preferito, a parità di condizioni, rispetto ad altri potenziali acquirenti nel caso in cui il proprietario di un bene decida di alienarlo a titolo gratuito oppure oneroso. Ciò vale anche in caso di voler costituire dei diritti reali sul bene. In pratica, il proprietario del bene riscontra una limitazione alla propria autonomia privata e nello specifico al proprio diritto di contrarre con chi preferisce. 

Ad esempio, quando un socio di una società intende cedere le proprie quote, è tenuto a offrire tali quote in via prioritaria agli altri soci, per evitare che soggetti esterni possano inserirsi nella gestione dell’ente giuridico. Tale prelazione si concretizza anche con la previa comunicazione , da parte dell’alienante, dell’intenzione di vendita agli altri soci.

In caso di violazione del diritto in questione, la vendita non è sempre annullabile. L’alienante può essere soprattutto obbligato a risarcire il danno subito dal titolare della prelazione ovvero, in presenza di mala fede dell’acquirente, la vendita può essere dichiarata inefficace. 

Un tipologia molto particolare di prelazione è quella esercitata dallo Stato sui beni di interesse storico, artistico e archeologico. I proprietari di questi beni sono obbligati a notificare allo Stato l’intenzione di venderli o donarli. Lo Stato, a parità di condizioni o con un’offerta similare, ha il diritto di acquistare il bene prima che venga ceduto a terzi.

Se lo Stato non esercita la prelazione o l’offerta statale risulta insufficiente, il proprietario è libero di vendere il bene a un acquirente di sua scelta. Questo tipo di prelazione è definita legale, poiché stabilita dalla legge, distinguendosi dalla prelazione negoziale, che deriva da un accordo tra le parti.

Quando la prelazione statale riguarda beni di particolare interesse culturale, si parla comunemente, anche se impropriamente per il linguaggio giuridico, di prelazione artistica. Questo istituto è disciplinato dall’art. 60 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), e la sua finalità è quella di tutelare il patrimonio culturale nazionale.

La ratio di questa normativa è proteggere beni che rappresentano una testimonianza della storia, dell’arte e dell’identità nazionale, evitando che vengano alienati a soggetti privati, specialmente stranieri, sottraendoli al patrimonio culturale ed artistico italiano. L’art. 9 della Costituzione italiana sancisce l’importanza della tutela del patrimonio del Paese, e la prelazione è uno degli strumenti per realizzare tale obiettivo.

Quando il proprietario intende alienare un bene di interesse storico, artistico e archeologico, è tenuto ala notificazione presso la Soprintendenza, indicando il prezzo e le condizioni della vendita. L’autorità ha 60 giorni di tempo per esercitare la prelazione in caso di notifica regolare, mentre se la notifica è tardiva o incompleta il termine è esteso a 180 giorni.

Durante il periodo di 60 o di 180 giorni, l’atto di alienazione è sospensivamente condizionato: il trasferimento della proprietà non diventa definitivo fino alla scadenza del termine concesso allo Stato.

Se la prelazione viene esercitata, la decisione è notificata sia al venditore che all’acquirente, e la proprietà passa allo Stato dalla data dell’ultima notifica. In caso di mancata notifica o di vendita prima della scadenza del termine, l’atto di vendita può essere dichiarato nullo.

Una differenza cruciale tra la prelazione ordinaria e quella artistica riguarda le conseguenze della violazione del diritto. Nel caso della prelazione ordinaria, la violazione comporta generalmente solo il risarcimento del danno. Al contrario, nella “prelazione artistica”, la violazione può comportare la nullità del contratto, ovvero delle sanzioni amministrative. In altri casi si possono applicare anche delle sanzioni penale, proprio per scoraggiare condotte lesive per la comunità italiana.

L’istituto della prelazione artistica ha suscitato critiche da parte di giuristi ed esperti del settore. Una delle principali obiezioni riguarda i termini, ritenuti insufficienti per una valutazione approfondita della fattispecie ed un’organizzazione di accumulo di risorse e di proposte di vendita.

A queste criticità si aggiungono le problematiche di natura finanziaria. Le limite risorse a disposizione del Ministero della Cultura rendono difficile per lo Stato acquisire beni di grande importanza, che spesso finiscono nelle mani di collezionisti privati, talvolta residenti all’estero, con il conseguente rischio di un impoverimento culturale per il Paese.

8.4. La valorizzazione dei beni pubblici

Per ottimizzare l'utilizzo del patrimonio pubblico, gli enti locali hanno la facoltà di individuare gli immobili non direttamente funzionali all'esercizio delle loro attività istituzionali e di destinarli a locazione. Questa scelta consente di valorizzare tali beni generando redditi che possono essere reinvestiti per interventi di riqualificazione, manutenzione o per promuovere lo sviluppo di specifiche aree del territorio (Legge n. 133/2008). 

Tuttavia, per procedere con queste operazioni, è necessario che i beni siano classificati come appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato. In caso di beni demaniali, è indispensabile la preventiva sdemanializzazione, senza la quale gli immobili rimangono indisponibili per operazioni di alienazione o locazione. Questo passaggio, di natura giuridica, sancisce il cambiamento di destinazione del bene, rendendolo utilizzabile per finalità economiche.

Un elemento cruciale per una gestione efficace del patrimonio immobiliare è rappresentato dalla ricognizione straordinaria dei beni immobili, attività che spetta ai consigli comunali. Questo processo implica una mappatura dettagliata del patrimonio, con la raccolta e l’analisi di informazioni giuridiche, economiche e tecniche relative ai singoli beni. Una gestione consapevole e strategica di tali dati permette all’ente locale di avere una panoramica chiara del proprio patrimonio, individuando opportunità per trasformare i beni da fonti di spesa a fonti di reddito.

In questo contesto, i piani di valorizzazione rappresentano uno strumento chiave. Attraverso la redazione di programmi di gestione e sviluppo, gli enti locali possono promuovere il recupero e l’utilizzo efficiente del patrimonio immobiliare, sia attraverso investimenti diretti che mediante la collaborazione con soggetti privati. Tali piani non solo favoriscono l’ottimizzazione economica del patrimonio, ma contribuiscono anche al miglioramento della qualità urbana e al rilancio socio-economico del territorio.

Infine, una corretta gestione del patrimonio immobiliare non si limita a generare profitti: essa deve essere orientata a garantire la sostenibilità e il rispetto delle esigenze collettive. Ogni intervento, infatti, deve essere finalizzato non solo a valorizzare il bene in termini economici, ma anche a preservarne l’utilità sociale, culturale e ambientale, assicurando così un beneficio duraturo per la comunità.

8.5.  Gli enti locali e l’obbligo di inventario 

Gli Enti Locali, nel loro delicato compito di gestire i beni pubblici, sono obbligati a mantenere un inventario dettagliato e aggiornato del proprio patrimonio, che comprenda sia i beni mobili che quelli immobili. Questo strumento è cruciale per garantire un monitoraggio continuo delle risorse a disposizione, riducendo i rischi di smarrimento, furto o abuso. L'inventario permette infatti di rilevare eventuali anomalie, come il rischio che alcuni beni vengano occultati o sottratti, anche da parte di funzionari dell'Ente. In questo modo, si tutela la trasparenza e si previene qualsiasi possibile appropriazione indebita, consentendo una gestione più sicura e responsabile delle risorse pubbliche.

La conoscenza dettagliata del patrimonio consente, inoltre, di ottimizzare l'uso delle risorse, evitando sprechi e migliorando l’efficienza della gestione pubblica. Questo, a sua volta, risponde meglio alle esigenze della collettività, garantendo che i beni vengano impiegati in modo utile e produttivo per il benessere comune.

Un aspetto fondamentale dell’inventario è il suo ruolo nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e storico. Grazie alla catalogazione accurata, l’inventario non solo permette di proteggere i beni di rilevanza storica, ma ne assicura anche la corretta ubicazione, facilitando la loro fruizione e promuovendo la loro conservazione nel tempo. La catalogazione è, quindi, uno strumento indispensabile per preservare il patrimonio culturale, tutelarlo da danni e furti, e garantire che possa essere accessibile alle generazioni future.

9. La posizione della giurisprudenza 

Nel corso degli ultimi decenni, la giurisprudenza italiana ha subito un'evoluzione che riflette una crescente attenzione alle esigenze di armonizzazione con i principi e le normative europee, in particolare per quanto riguarda la gestione dei beni pubblici, culturali e demaniali. Questa evoluzione ha comportato non solo un adattamento delle leggi italiane alle direttive comunitarie, ma anche un progressivo cambiamento nelle modalità di gestione e protezione del patrimonio nazionale, bilanciando l’interesse pubblico con le esigenze di efficienza economica e libera concorrenza.

Uno degli ambiti più significativi di questa evoluzione riguarda la gestione delle concessioni demaniali marittime. A livello europeo, la giurisprudenza ha sollevato questioni sulla legittimità delle proroghe automatiche delle concessioni, un tema che ha posto l'accento sulla necessità di garantire la concorrenza nel processo di affidamento di tali beni. In questo contesto, il principio di concorrenza è emerso come un valore fondamentale da tutelare, volto a favorire l'efficienza economica, ma senza compromettere la protezione dell’interesse pubblico. La Corte Costituzionale italiana, nel 2017, ha fornito un contributo decisivo su questo fronte, dichiarando che la proroga automatica delle concessioni non può essere considerata una norma assoluta. La valutazione di ogni caso, infatti, deve tenere conto delle dinamiche di mercato, e la concorrenza deve essere garantita come un principio imprescindibile per una gestione trasparente e giusta.

Parallelamente, la giurisprudenza ha sempre ribadito l’importanza della tutela dei beni culturali, considerati patrimonio della nazione. In questo ambito, il Codice dei beni culturali stabilisce che i beni di rilevanza storica, artistica o archeologica non possano essere considerati meri beni economici da privatizzare o sfruttare senza un rigoroso controllo. La giurisprudenza italiana ha così interpretato il concetto di "bene culturale" non solo come un bene da proteggere per la sua qualità intrinseca, ma anche per il suo valore sociale e culturale. La conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, in questa visione, sono considerate come un interesse pubblico da preservare per le future generazioni.

A livello normativo, alcune sentenze hanno sottolineato come, nella gestione dei beni culturali, l'interesse pubblico debba prevalere sugli interessi economici, soprattutto quando si tratta di concessioni relative a monumenti, siti archeologici o aree di particolare rilevanza storica. Il bilanciamento tra tutela e sfruttamento commerciale dei beni deve garantire la trasparenza, l’imparzialità e la concorrenza, evitando che la gestione di questi beni comprometta la loro funzione sociale e culturale. In particolare, la durata delle concessioni e le modalità di affidamento devono essere stabilite con attenzione, affinché la gestione dei beni non danneggi la loro funzione storica, artistica o naturale.

Anche gli enti locali, nella gestione dei beni pubblici, sono tenuti a rispettare questi principi, operando con una visione che tenga conto non solo degli aspetti economici ma anche di quelli ambientali, sociali e culturali. Ad esempio, nella gestione delle spiagge o delle aree naturali, gli enti locali sono obbligati a rispettare le normative ambientali e a garantire che l’uso commerciale di queste aree non alteri il loro valore storico, paesaggistico o ecologico. Le concessioni devono essere gestite con particolare attenzione all’accesso pubblico, preservando l’equilibrio tra la fruizione commerciale e la valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale.

10.  L’orientamento costituzionale

La Costituzione italiana, pur non affrontando in maniera diretta e specifica tutte le problematiche legate alla gestione dei beni pubblici, culturali e delle concessioni demaniali, fornisce un quadro giuridico fondamentale per comprendere il legame intrinseco tra questi beni e il ruolo degli enti locali nella loro gestione. La tutela del patrimonio collettivo, infatti, si intreccia con vari principi costituzionali che delineano la responsabilità dello Stato, delle regioni e degli enti locali nel garantire la protezione e valorizzazione di tali beni.

Un primo punto di riferimento è l’art. 9, che impone alla Repubblica la tutela del patrimonio storico, artistico e culturale della Nazione, un impegno che si estende a tutte le forme di beni pubblici che possiedono un valore culturale, storico o sociale. Questo articolo sottolinea come i beni culturali, pur appartenendo formalmente alla collettività, non possano essere considerati meri beni economici, ma come elementi indispensabili per la conservazione della memoria collettiva e la promozione della cultura. Da questa disposizione emerge una visione più ampia della protezione del patrimonio pubblico, dove l’interesse generale e la sua funzione sociale, culturale ed economica sono i principi guida della sua gestione.

L’art. 42 della Costituzione stabilisce la distinzione tra proprietà privata e pubblica, affermando che la proprietà privata non può prescindere dalla funzione sociale che essa svolge. In questo quadro, i beni culturali, pur potendo essere di proprietà privata, sono sottoposti a una forma di controllo pubblico, in quanto il loro valore va ben oltre quello economico. La loro gestione deve rispondere a finalità che superano l’interesse individuale, riflettendo un principio di responsabilità collettiva. Pur non parlando esplicitamente di proprietà collettiva, la Costituzione evoca il concetto attraverso il destino collettivo che deve accompagnare la gestione dei beni pubblici, inclusi quelli culturali e naturali, che devono essere utilizzati per il bene comune.

La Costituzione, inoltre, sancisce il principio di autonomia degli enti locali, delineato negli articoli 114-118, attribuendo loro la responsabilità di amministrare i beni pubblici sul proprio territorio. Questo principio conferisce agli enti locali un’autonomia amministrativa e finanziaria, consentendo loro di gestire beni che non solo hanno un valore storico o culturale, ma anche un'importanza fondamentale dal punto di vista sociale e ambientale. I Comuni, ad esempio, sono direttamente coinvolti nella gestione di parchi naturali, riserve, monumenti e altri beni pubblici di rilevanza culturale, e sono tenuti a rispettare le normative statali e comunitarie in materia di tutela ambientale, storica e culturale.

La responsabilità degli enti locali si estende anche alla regolazione delle concessioni demaniali, che sono strumenti cruciali per garantire una fruizione equilibrata dei beni pubblici. Questi enti sono, infatti, i protagonisti della gestione quotidiana di beni che appartengono alla collettività, ma devono essere utilizzati nel rispetto dell’interesse generale, evitando che l’utilizzo commerciale comprometta il valore culturale, storico o naturale del bene. In questo contesto, la loro funzione non si limita alla mera amministrazione, ma implica un ruolo attivo nella valorizzazione del patrimonio, nella promozione della sua tutela e nella pianificazione di politiche di conservazione e sviluppo sostenibile.

11.  Le opinioni della dottrina

La dottrina riconosce i beni culturali come una categoria particolare di beni pubblici, con tutele giuridiche specifiche. Il Codice dei beni culturali (D.Lgs. n. 42/2004) e la Costituzione stabiliscono che tali beni godano di una tutela prioritaria, non subordinabile a meri criteri economici. Questi beni, destinati al bene collettivo, devono essere sottratti alla disponibilità privata e gestiti dallo Stato e dagli enti locali per garantirne la conservazione e valorizzazione. Sebbene la proprietà possa essere privata, è soggetta a vincoli che ne subordinano l'uso all'interesse pubblico, dando vita a una proprietà condizionata.

Il concetto di proprietà collettiva non è esplicitamente previsto dalla Costituzione, ma emerge nella destinazione collettiva dei beni pubblici, destinati a soddisfare bisogni collettivi. La dottrina maggioritaria interpreta questo principio come un impegno alla gestione condivisa delle risorse, in cui i beni culturali e naturali non sono ridotti a beni economici, ma custodiscono valori storici e sociali da preservare per la collettività.

Per quanto riguarda le concessioni demaniali, la dottrina sottolinea l'importanza di bilanciare la concorrenza con la tutela del bene pubblico. La concorrenza, infatti, può migliorare l'efficienza e la trasparenza della gestione, ma non deve compromettere la conservazione dei beni ambientali e culturali. Alcuni autori suggeriscono di superare la prassi delle proroghe automatiche, favorendo procedure di affidamento trasparenti, in linea con le normative europee.

Gli enti locali sono visti come i principali gestori del patrimonio pubblico, soprattutto per quanto riguarda beni di interesse culturale e ambientale. Tuttavia, la loro capacità gestionale è oggetto di dibattito, con alcuni studiosi che ritengono necessaria una maggiore autonomia, mentre altri sostengono il bisogno di un supporto finanziario e normativo da parte dello Stato centrale.

12. Conclusione

Le riflessioni sviluppate nel documento evidenziano come la gestione dei beni pubblici, culturali e collettivi costituisca una sfida complessa e determinante per il diritto pubblico. La varietà delle categorie di beni, ognuna con specifiche tutele e vincoli normativi, richiede un approccio integrato che bilanci la protezione dell’interesse pubblico con la valorizzazione economica e sociale del patrimonio.

La normativa europea, in particolare la direttiva Bolkestein, enfatizza l'importanza della trasparenza e della concorrenza nella gestione delle concessioni, promuovendo un modello che favorisca efficienza e sostenibilità. Tuttavia, è essenziale che questi principi siano armonizzati con le peculiarità culturali e storiche dei beni, per evitare che la competizione danneggi il valore identitario del patrimonio.

Gli enti locali, con il loro ruolo cruciale nella gestione territoriale, sono chiamati a coniugare le esigenze di tutela con quelle di valorizzazione, adottando una governance inclusiva e partecipativa che coinvolga le comunità locali. La valorizzazione del patrimonio, tramite strumenti come l’inventario e il piano delle alienazioni, deve essere orientata da principi di sostenibilità e innovazione, trasformando i beni in risorse per lo sviluppo locale senza compromettere la loro funzione sociale e culturale.


Note e riferimenti bibliografici

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[8] F. G. SCOCA, Diritto amministrativo, 2011.

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[10] A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, G. Giappichelli Editore, 2021.

[11] Cass. civ., sez. Un., 25 marzo 2016, n. 6019.

[12] Cons. Stato, sez. V, 3 giugno 2021, n. 4216; 8 luglio 2019, n. 4783.

[13] Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2020, n. 3803.

[14] Corte Cost., 10 gennaio 2017, n. 40.

[15] Corte Cost., 23 maggio 2017, n. 157.

[16] Corte Cost., 10 aprile 2018, n. 109.

[17] TAR Campania, Napoli, sez. VII, 20 marzo 2017, n. 01531 e 24 settembre 2020, n. 4002.

[18] TAR Sardegna, sez. I, 23 gennaio 2023, n. 42.