Pubbl. Mer, 18 Dic 2024
Brevi riflessioni civilistiche sul reato di indebita compensazione
Modifica pagina
Lorenzo Pagano
L´articolo riflette, in prospettiva civilistica, sul reato di indebita compensazione. La normativa in materia risulta piuttosto frastagliata e, di conseguenza, l´applicazione giurisprudenziale si è rivelata quantomeno ambigua. In modo particolare, l´interpretazione del reato offre interessanti spunti di riflessione per quanto attiene alla coerenza della sua strutturazione. Quest´ultima si poggia su categorie tipiche del diritto civile, rispetto alle quali è possibile innestare un ragionamento circa i rapporti di autonomia o di influenza concettuale tra il sistema civilistico e quello penalistico, in questo caso relativo ai reati tributari. Il concetto di compensazione sembra, infatti, mostrare un significato applicativo differente tra i due sistemi.
Short reflections, in civil law, on the crime of undue compensation
Undue compensation is a crime provided by fiscal law that is built with the use of juridical categories that come from the law of obligations. The analysis of this specific crime, in critical terms, could be interesting to underline the relations between civil and criminal law systems. Some applicative problems come to light, because, it seems, the juridical term ”compensation” has not the same meaning in the two systems. Specially considering that a heavy position, in the balancing of the interests in this field, is occupied by the fiscal public competence.Sommario: 1. Inquadramento della fattispecie di reato ex art. 10quater d.lgs. 74/2000; 2. I problemi connessi con l'accollo tributario; 3. Il problema del soggetto attivo del reato di indebita compensazione.
1. Inquadramento della fattispecie del reato ex art. 10quater d.lgs. n. 74/2000
Il reato di indebita compensazione, come disciplinato ex art. 10quater d.lgs. n. 74/2000 nell’ambito dei reati tributari[1], fa parte del capo II del titolo II riferito ai delitti in materia di documenti e pagamento di imposte.
Quelli che precedono la fattispecie di cui al citato art. 10quater rappresentano alcuni delitti eterogenei caratterizzati da condotte omissive o miste connesse al mancato pagamento delle imposte fiscali. Il reato di indebita compensazione, invece, individua due diverse fattispecie di illecito sulla base della diversa natura [2]del credito sfruttato per l’indebita compensazione, si tratta in ogni caso di fattispecie omogenee dal punto di vista della struttura penale.
Il reato ex art. 10quater è, infatti, evidentemente un reato di condotta (con rilevanza dell’evento di omesso versamento[3]) a dolo generico[4]. Complesso appare il bene giuridico tutelato[5] dalla norma incriminatrice, senz’altro l’offesa sanzionata va ricondotta al generale interesse pubblico al pagamento delle imposte, così come già tutelato dalle diverse e meno specifiche fattispecie di omesso versamento di cui agli artt. 10bis e 10ter del d.lgs. n. 74/2000.
La specifica modalità di mancato versamento per il tramite di una indebita compensazione punita dal reato ex art. 10quater può far propendere però per un bene giuridico tutelato di tipo ulteriore. Ci si riferisce, in questo caso, ad un interesse connesso al più generale principio di ordine pubblico economico, ma non nella sua declinazione- come per i reati di mancato versamento- riferita alla fiscalità di massa e all’interesse dello Stato al versamento dei tributi sia in ottica di mantenimento che di redistribuzione. Il bene giuridico tutelato dal 10quater, in realtà, riguarda, probabilmente, l’equilibrata ed affidabile consistenza patrimoniale dei soggetti contribuenti, in modo particolare- data la specifica genesi legislativa della norma- di coloro che operano attivamente sul mercato e cioè delle imprese. Non a caso, la norma in esame pone un’esplicita soglia quantitativa al di sotto della quale il legislatore deve aver ritenuto non configurabile un’offesa penalmente sanzionabile e che va ricondotta, viceversa, all’illecito amministrativo di cui all’art. 13 d.lgs. n. 471/1997.
La condotta punita dal reato ex art. 10quater ha, dunque, carattere misto, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità[6]. Ciò in quanto tale fattispecie di reato riguarda senz’altro la condotta omissiva di versamento delle imposte dovute (debito tributario) ma che nello specifico si connette, altresì, ad una condotta attiva, quella cioè di indebita compensazione[7]. Cioè a dire che, la norma punisce il debitore tributario che ha indebitamente compensato, secondo le modalità descritte ex art. 17 d.lgs. n. 241/97, i propri debiti con l’erario, in tal senso utilizzando lo strumento della compensazione per eludere/evadere i propri obblighi contribuitivi.
La norma evidenzia, di conseguenza, alcune interessanti problematiche civilistiche connesse con la formulazione della stessa- nel combinato disposto con altre norme che ne reggono il funzionamento- insieme con la strutturazione penale per il tramite di elementi normativi della fattispecie quali il richiamo al meccanismo civilistico della compensazione[8].
La formulazione della norma risulta ambigua per certi versi- anche con riferimento al fondamentale principio di legalità in materia penale- ma ancor più ambigua risulta essere l’applicazione e l’interpretazione della stessa che ne hanno fatto le coorti e la stessa Agenzia delle Entrate. Si può, ora, entrare nello specifico della questione.
2. I problemi connessi con l’accollo tributario
Primo problema interpretativo/applicativo a cui si vuole fare cenno riguarda, infatti, il tema dell’accollo insieme con l’evoluzione di tale strumento civilistico con riferimento ai debiti tributari.
L’accollo[9] è uno degli strumenti previsti dal codice civile quale meccanismo di modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio. L’accollo tendenzialmente non è liberatorio- non libera cioè l’originario debitore accollato dal dovere di adempiere- salvo che a ciò acconsenta esplicitamente il creditore accollatario. L’accollo può, poi, manifestarsi in due differenti modalità. Da un lato l’accollo c.d. interno ove l’accordo debitorio tra accollato ed accollante non coinvolge il creditore e genera semplicemente un interno vincolo di solidarietà passiva tra l’originario debitore ed il terzo accollante. Dall’altro lato un accollo c.d. esterno che si struttura come contratto a favore del terzo accollatario ex artt. 1411 ss. cod. civ.
L’accollo del codice civile muta in parte i propri connotati nell’ambito dell’ordinamento tributario. Si fa riferimento, qui, alla possibilità che il debitore d’imposta possa accordarsi con un terzo per renderlo co-obbligato solidale accollante del proprio debito fiscale nei confronti dell’Erario. Tale dinamica potrebbe rispondere agli interessi sia dell’accollato che dell’accollante o di entrambi. Del primo, per rintracciare, tramite la solidarietà patrimoniale, una forma di rafforzamento e di garanzia della propria posizione passiva. Del secondo, in quanto ben potrebbe essere l’accollante a proporre l’accollo in modo da farsi in astratto carico dei debiti fiscali altrui e smaltire, così facendo, i propri crediti in giacenza nei confronti dell’Erario tramite il meccanismo della compensazione
Va sottolineato che l’accollante del debito tributario non diviene, a seguito dell’accollo, contribuente del medesimo titolo; nei suoi confronti, infatti, l’Agenzia delle Entrate (o chiunque ne faccia le veci) non può esercitare i medesimi poteri[10] come nei confronti dell’accollato che resta, in sostanza, l’unico vero debitore fiscale. L’accollante diventa dunque, in tali termini, un co-obbligato nei confronti dell’Erario. Avviene qui- come si avrà modo di accertare problematicamente anche per quanto attiene alla compensazione- una vera e propria scissione tra piano civilistico e piano tributaristico. Lo strumento di diritto civile può, infatti, essere sfruttato nell’ambito dell’ordinamento tributario- a date condizioni- ma l’accollo del debito fiscale non rende l’accollante- pur co-obbligato in solido- un vero e proprio debitore fiscale nei confronti del Fisco.
Originariamente l’accollo tributario[11]- anche e soprattutto ai fini della compensazione- era ritenuto ammissibile. Anzi, ciò era ed ancora è previsto come tale nell’ambito delle norme che compongono il c.d. Statuto del Contribuente[12]. Si fa riferimento nello specifico all’art. 8 della L. n. 212/2000. Tale disposizione prevede esplicitamente- oltre alla possibilità originaria di estinguere le obbligazioni tributarie anche mediante compensazione- come ammissibile l’accollo del debito d’imposta altrui senza però la liberazione del contribuente originario. Quello che nel diritto civile è dinamica tendenziale, nell’ordinamento tributario diviene viceversa dinamica fisiologica: l’accollo di diritto tributario non può, infatti, mai prevedere la liberazione dell’originario debitore fiscale.
La situazione muta, poi, con le costanti modifiche apportate al d.lgs. n. 241/97, in modo particolare all’art. 17. L’ultima versione attualmente in vigore è stata, infatti, introdotta dall’art. 28 del d.l. n. 4/2022. A tale decreto ed allo Statuto del contribuente si accompagna, per le questioni che qui interessano, una circolare operativa dell’Agenzia delle Entrate, la n. 140E del 2017. Analizziamo ora la situazione dell’accollo tributario sulla base della normativa oggi vigente.
L’art. 8 della L. n. 212/2000 continua a prevedere l’accollo del debito fiscale come ammissibile. L’art. 17 del d.lgs. n. 241/97, poi, individua, con riferimento alla compensazione tributaria, le tipologie di credito fiscale compensabili: si tratta di crediti dello stesso periodo, appartenenti ai medesimi soggetti così come risultanti da dichiarazioni e denunce periodiche connesse all’obbligo di versamento dei tributi. La norma poi specifica, al n.2, le tipologie di crediti e debiti fiscali rilevanti ai fini del versamento unico e della compensazione. Tale quadro sintetico- pur piuttosto equilibrato nella sua semplicità anche solo apparente- viene, tuttavia, ulteriormente sconvolto dalla circolare operativa sopra richiamata.
Si tenga presente che tutte le norme citate hanno- o, meglio, dovrebbero avere- la funzione di meglio regolamentare il contorno funzionale del dovere di versare le somme fiscali imposte in maniera tale da strutturare il conseguente illecito amministrativo di mancato versamento di cui all’art. 13 d.lgs. n. 471/97. Inoltre, le modalità di compensazione tributaria delineate ex art. 17 d.lgs. n. 241/97 sono quelle richiamate- quale elemento costituivo della condotta attiva sanzionata- dal reato di indebita compensazione ex art. 10quater d.lgs. n. 74/2000. La suddetta circolare n. 140E si esprime, invece, risolvendo in senso negativo[13] il dubbio- così dice[14]- circa il “se, nell’accollo disciplinato dall’art. 8 della L. n. 212, possano trovare applicazione in favore dell’accollante le norme che prevedono modalità peculiari di soddisfazione di tale credito, quali la compensazione”. Questo riferimento tornerà molto utile a breve nell’analisi dei problemi circa l’interpretazione ed applicazione operata dalla giurisprudenza di legittimità dell’art. 10quater che questo breve scritto si propone di svolgere.
Si parla di applicabilità delle norme in tema di accollo ex art. 8 L. n. 212/2000 in favore dell’accollante proprio in quanto è quest’ultimo soggetto che, divenendo co-obbligato nel debito tributario insieme all’accollato- pur nei limiti di non divenire un contribuente sul lato passivo ai fini tributari- è colui che può operare astrattamente ma tecnicamente la compensazione ritrovandosi titolare di una posizione sia attiva che passiva nei confronti dell’Erario.
Il dubbio viene risolto in senso negativo dall’Agenzia delle Entrate- con uno strumento quale una circolare operativa che nel novero delle fonti del diritto ha ben poco valore- ma permane(va). Riflettere sull’applicabilità in favore dell’accollante dell’art. 8 dello Statuto del contribuente significa, dunque, ritenere, almeno per una parte, che a seguito di accollo tributario (ammissibile nei limiti della non liberazione dell’accollato) il soggetto che potrà estinguere l’obbligazione fiscale per compensazione sia proprio l’accollante, si chiarirà meglio questo che è il punto centrale della riflessione.
La circolare n. 140E continua, poi, riportando una serie di pronunce giurisprudenziali le quali affermano (confermano) che la regola per le obbligazioni tributarie è la generale non compensabilità. Cioè a dire che l’art. 8 L. n. 212/2000 riconosce la possibilità di estinguere debiti fiscali tramite compensazione a seguito di accollo ma ciò è demandato alla predisposizione (successiva) di norme apposite atte a disciplinarne le concrete modalità. Questo era chiaro e la norma di riferimento è in modo particolare il già citato art. 17 d.lgs. n. 241/97. Come attenta dottrina ha avuto modo di rilevare, l’introduzione dell’art. 8 L. n. 212/2000 rappresentò una vera e propria rivoluzione[15] in ambito fiscale, subito però stemperata dalla giurisprudenza a favore degli interessi tributari dello Stato ed in barba a qualche fondamentale principio civilistico.
Alcune pronunce della giurisprudenza sostenevano, infatti, che siccome l’art. 17 d.lgs. n. 241/97 non menzionasse l’accollo, quest’ultimo dovesse ritenersi illegittimo in materia fiscale specie ai fini della compensazione[16]. Va da sé che non contemplare è cosa ben diversa dal non consentire. L’art. 17 citato, in verità, fa molto meno. Si ricordi, infatti, che si tratta della norma richiamata dal reato ex art. 10quater quale elemento normativo costitutivo della condotta (attiva) penalmente sanzionata. L’art. 17, dunque, sembrerebbe limitarsi- non facendo alcun riferimento all’accollo per il quale la base normativa in materia fiscale resta l’art. 8 L. n. 212/2000- a riproporre l’obbligo di versamento dei tributi insieme con una “eventuale” compensazione del debito fiscale con un novero di crediti determinato e meglio specificato nella norma stessa.
La circolare n. 140E conclude, poi, distinguendo le posizioni di accollato ed accollante con riferimento alle sanzioni amministrative specie ex art. 13 d.lgs. n. 471/97, solennemente negando che il debito oggetto di accollo possa essere estinto utilizzando in compensazione crediti vantati dall’accollante nei confronti dell’erario (circolare p. 4). Sia pure, al di là dei dubbi circa l’effettiva importanza ermeneutica di tale atto, tale orientamento è stato seguito dalla pressoché unanime giurisprudenza successiva. Questa è la situazione interpretativa ed applicativa attuale. Dopo aver scisso i piani del diritto civile e tributario - con dubbi circa tale scelta euristica pronunciati da lucida dottrina[17]- e dopo aver rielaborato la disciplina di diritto privato in funzione della suprema potestà pubblicistica a riscuotere i tributi, tale filone interpretativo scinde altresì il piano dell’accollo da quello della compensazione, strumenti che nella visione del legislatore del 2000 erano funzionalmente connessi.
In sostanza, come da art. 17 d.lgs. n. 241/97, la compensazione tributaria è solo eventuale (residuale[18]) e può essere operata di fronte ad un ristretto novero di crediti fiscali (medesimezza soggettiva[19] e di periodo d’imposta). Come da circolare n.140E del 2017, poi, la compensazione tributaria non è operabile a seguito di accollo del debito fiscale[20]. Tale tipologia di accollo resta, però, ammissibile in quanto prevista come tale dall’art. 8 L. n. 212/2000 e non contemplata (in termini di divieto) dall’art. 17. Le modalità di versamento previste dall’art 17 integrano, dunque, le fattispecie di illecito amministrativo e penale rispettivamente ex artt. 13 d.lgs. n. 471/97 e 10 quater d.lgs. n. 74/2000.
In sostanza, l’accollo fiscale resta ammissibile ma non ai fini della compensazione. L’accollante del debito tributario diventerà, dunque, un co-obbligato in solido con l’accollato (data l’impossibilità di efficacia liberatoria) ma il primo non diviene contribuente passivo nei confronti dell’Erario (non potendo quest’ultimo utilizzare nei suoi confronti poteri pubblicistici di accertamento e riscossione ma solo privatistici di adempimento e di esecuzione forzata).
L’accollante di un debito fiscale titolare a sua volta di un credito nei confronti dell’erario- in quanto non titolare della posizione fiscale passiva pur accollata e quindi venendo meno la medesimezza soggettiva del credito fiscale compensabile ex art. 17- non potrà, poi, compensare tali posizioni soggettive relative in quanto potrebbe essere chiamato a rispondere ex artt. 13 e 10quater.
Qui sta il vero problema. Ciò in quanto l’accollante del debito fiscale altrui e a sua volta creditore del Fisco è l’unico vero soggetto che potrebbe tecnicamente porre in essere un’indebita compensazione (pure di ciò giovandosi[21] sostanzialmente il solo accollato), ma nella stragrande maggioranza dei casi ad essere punito per il reato di indebita compensazione è stato proprio il soggetto accollato del debito fiscale.
Questo discorso, prima di affrontare l’ultimo e centrale punto della riflessione, richiede un completamento nel più ampio tema della circolabilità delle obbligazioni fiscali. Date le già svolte riflessioni rispetto all’accollo fiscale, va chiarito che, invece, la cessione del credito tributario resta una dinamica pienamente ammissibile e senza ambiguità anche ai fini della compensazione[22]. Come da Regio Decreto n. 2440/1923, la cessione di un credito vantato nei confronti dell’Erario deve, infatti, essere ai fini della validità a quest’ultimo (Agenzia delle Entrate) - come per qualunque debitore- notificato e da quest’ultimo accettata, qui sta la differenza con la cessione ordinaria disciplinata dal codice civile.
Una volta accettata e qualora pienamente liberatoria su disposizione del cessionario, la cessione determinerà, di conseguenza, un pieno trasferimento insieme con la successione[23] nella titolarità (a differenza dell’accollo) nella posizione fiscale attiva. Il cessionario tributario, titolare esclusivo a seguito della cessione del credito fiscale, ben potrà, allora, compensare tale credito, ai sensi del combinato disposto dell’art. 17 d.lgs. n. 241/97 e dell’art. 8 L. n. 212/2000, con una propria posizione fiscale passiva, dovendo a questo punto solo rispettare il criterio della medesimezza del periodo d’imposta[24].
3. Il problema del soggetto attivo del reato di indebita compensazione
La legge parlamentare aveva originariamente consentito ai contribuenti di compensare i loro crediti fiscali anche mediante il meccanismo dell’accollo. Atti aventi forza di legge e circolari amministrative/operative hanno successivamente depotenziato[25] quasi del tutto tale possibilità.
L’ordinamento sanziona penalmente l’indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti[26] mediante la quale si omette il versamento dei tributi dovuti. La compensazione tributaria resta, dunque, ammessa per tutte le altre tipologie di credito fiscale, in sostanza i crediti spettanti del debitore fiscale in compensazione.
Con riferimento alla compensazione tributaria mediante accollo, che qui interessa, la giurisprudenza ha interpretato ed applicato, pressoché unanimemente, la norma di cui all’art. 10quater d.lgs. n.74/2000, sanzionando il soggetto accollato. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, infatti, che ciò è conseguenza del fatto che il reato di indebita compensazione si perfeziona con la presentazione[27], da parte dell’originario debitore fiscale accollato, del modello[28] di compensazione in sede di versamento dei tributi all’Agenzia delle Entrate.
La compensazione, in sostanza, diventa una sorta di condizione obiettiva di punibilità[29], ciò in quanto l’accollato viene punito ex art. 10quater per avere omesso di versare quanto dovuto giovandosi di una compensazione- evidentemente posta in essere da altro soggetto- e presentando un modello[30] fiscale che cristallizza la sua posizione di evasore fiscale[31]. Ciò è quanto accade in sede di applicazione del reato di indebita compensazione ma ciò non risulta, evidentemente, coerente con la formulazione legislativa della fattispecie di reato.
Il principio di legalità sostanziale[32] declinato in ambito penale nel principio di determinatezza[33] imporrebbe, infatti, all’interprete una rigorosa interpretazione ed applicazione della fattispecie penale così come formulata dal legislatore, in ossequio anche al principio di prevedibilità da parte dei consociati della pena[34].
Si diceva che il reato di indebita compensazione ha ad oggetto una condotta mista configurantesi sul lato passivo con l’omesso versamento e sul lato attivo con la compensazione, così come risulta dalla formulazione letterale della norma. Bisogna tenere nettamente distinti il piano del porre in essere la compensazione da quello del giovarsene. Vero è che l’art. 10quater rimanda alle modalità di compensazione previste dall’art. 17 del d.lgs. n. 241/97, norma che tace invece rispetto alla presentazione del modello fiscale[35].
Il problema è che l’art. 17, in sostanza, nulla dice sia con riferimento alla compensazione tributaria mediante accollo che con riferimento alla presentazione del modello fiscale incriminante. La stessa formulazione del modello, così come telematicamente fornito[36] dalla stessa Agenzia delle Entrate, lascia aperti del tutto tali dubbi.
Il problema resta il seguente: come è possibile sanzionare penalmente un soggetto sulla base di un omesso versamento mediante indebita compensazione tenendo presente che egli non può tecnicamente porre in essere tale compensazione di cui potrà tutt’al più giovarsi? A seguito di accollo, l’unico soggetto che potrà, infatti, porre in essere la compensazione tributaria è soltanto l’accollante essendo egli il titolare altresì delle posizioni attive da compensare nei confronti dell’Erario. L’accollato, in tal caso, potrà solo presentare il modello fiscale di denuncia dell’avvenuta compensazione sì relativa all’estinzione del suo debito tributario ma sempre con riferimento ad una compensazione che egli, dal punto di vista civilistico, non era legittimato a porre in essere.
Qualora si volesse punire, pur a seguito di compensazione supponiamo, l’omesso versamento da parte dell’originario debitore fiscale, ebbene ci sarebbero altre fattispecie di reato di cui imputarlo, quelle ad esempio previste dalle norme di cui agli artt. 10bis e 10ter del d.lgs. n. 74/2000. La norma di cui all’art. 10quater sarebbe, in sostanza, una norma inutile ma ciò non appare ragionevole specie con riferimento al generale canone ermeneutico della conservazione in termini di efficacia delle fattispecie normative[37].
Il reato di cui all’art. 10quater vuole, con ogni probabilità, sanzionare qualcosa e qualcuno di diverso dall’originario debitore. La giurisprudenza, dal canto suo, ha applicato il reato di indebita compensazione andando a punire l’accollato beneficiario e stabilendo inoltre che la punibilità dell’accollante compensatore (da solo o in concorso con l’accollato) sia questione meramente eventuale (connessa all’elemento soggettivo e al raggiro dell’accollato). La regola, cioè, per la giurisprudenza, è quella di punire l’originario debitore fiscale che si è giovato della compensazione fatta da altri ed ha omesso il versamento dei tributi nell’esatto momento in cui presenti la dichiarazione fiscale di avvenuta compensazione.
L’eccezione, viceversa, riguarda la punibilità dell’accollante. La giurisprudenza di legittimità[38] ha, in effetti, chiarito che ciò è ammissibile solo nel caso in cui l’accollante abbia tratto in errore l’accollato, immaginando una richiesta normativa di colpevolezza con riferimento alla presentazione del modello (l’accollato sarebbe stato all’oscuro di tutto in tale ipotesi), tuttavia la norma non fa alcun riferimento a tale modello fiscale ma soprattutto non distingue la posizione dei due soggetti.
La Cassazione applica tuttavia l’art. 10quater in tale maniera, omettendo di considerare la genesi politica di tale fattispecie di reato. Il reato in questione, infatti, venne originariamente introdotto nel 2006 con lo scopo di contrastare e sanzionare il mercato delle indebite compensazioni, cioè la circolazione dei debiti fiscali in favore di soggetti creditori verso l’Erario di crediti instabili nel tempo, i quali avevano interesse a rendersi accollanti del debito fiscale altrui proprio per compensare i propri crediti tributari che rischiavano di perdere. In sostanza, la norma intende(va) contrastare un vero e proprio mercato nel quale società titolari di ingenti crediti con l’erario di difficile smaltimento offrivano di accollarsi il debito fiscale altrui a proprio vantaggio.
Rispetto a tali ragioni storiche, la formulazione della norma sembrerebbe acquisire una propria diversa ragionevolezza dalla quale risulta possibile dipanare le numerose ambiguità interpretative ed applicative sopra menzionate. Si ritiene, cioè, che il reato di cui all’art. 10quater intenda punire l’omesso versamento di tributi dovuti ma, in modo particolare, il mancato introito fiscale a seguito di indebita compensazione effettuata con riferimento a crediti inesistenti o non spettanti. La norma cioè, con riferimento alla compensazione tributaria, sembrerebbe inserirsi nella relazione tra creditore fiscale ed erario e non tra quest’ultimo e il debitore fiscale.
Se, allora, non si vuole punire il solo accollante (unico vero autore della compensazione) e si vuole punire l’accollato beneficiario degli effetti fraudolenti della compensazione bisognerebbe- in termini interpretativi ed applicativi- valutare quantomeno la punibilità in concorso[39] tra i due. A generare ambiguità è, dunque, la scelta giurisprudenziale di punire il solo accollato per una compensazione che non ha posto in essere ma di cui si è giovato. Qualora invece si volesse punire il solo accollato con riferimento al beneficio fraudolento esplicantesi nell’omissione di versamento del suo originario debito fiscale allora bisognerebbe perlomeno riformulare la norma ex art. 10quater, ciò in quanto l’accollato non può essere tecnicamente colui che “utilizza in compensazione”. La punibilità ex art. 10quater del debitore originario ha senso, infatti, soltanto nel caso in cui- fuori dallo schema dell’accollo- si ripresenti la medesimezza soggettiva nel credito e nel debito e sia egli a porre in essere la compensazione[40].
In conclusione, il reato di indebita compensazione si incastra perfettamente in quel filone di dibattito circa i rapporti tra diritto civile e penale, in modo particolare con riferimento a quelle fattispecie di reato strutturate mediante l’utilizzo di categorie civilistiche. I rapporti tra i due sistemi sono stati analizzati sulla base di differenti prospettive, in estrema sintesi il dibattito ha oscillato tra rapporti di reciproca autonomia/indifferenza[41] o di interferenza. Il reato di indebita compensazione complica ulteriormente il piano d’indagine in quanto si tratta di un reato tributario, fattispecie nella quale emerge prepotentemente l’interesse pubblico alla fiscalità.
Per quanto si voglia attribuire un funzionamento autonomo, rispetto all’ordinamento civilistico, al meccanismo della compensazione in ambito penale e tributario, i dubbi emersi in queste brevi righe non sembrano trovare un’appagante soddisfazione. Andrebbe, forse, perciò riconsiderata la concreta applicabilità del reato di cui all’art. 10quater d.lgs. n. 74/200 sulla base, in modo particolare, dei beni giuridici effettivamente tutelati, della genesi politica della norma e quindi, in sostanza, del reale soggetto attivo del reato in caso di accollo. Tutto ciò senza considerare le notevoli problematiche, così come fatte emergere da attenta dottrina, circa tale fattispecie di reato dal punto di vista del principio di proporzionalità[42] e di ne bis in idem[43] in relazione all’illecito amministrativo ex art. 13 d.lgs. n. 471/97.
[1] Ex multis, v. G. L. SOANA, I reati tributari, Giuffrè, 2023.
[2] Ci si riferisce qui alla distinzione operata nell’ambito dell’art. 10quater tra crediti inesistenti e crediti non spettanti. Con riferimento alla situazione giuridica soggettiva passiva, la giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito, risolvendo un dibattito sul punto, che il reato di indebita compensazione (a differenza sembra delle fattispecie penali che immediatamente lo precedono) sia applicabile in caso non solo di debiti tributari ma anche di altra natura (es. previdenziale). Arg. ex Cass. pen., sez. III, sentenze nn. 552/2022, 32331/2022.
[3] Ex multis, v. Cass. pen., sez. III, sent. n. 23083/2022.
[4] Ex multis, v. Cass. pen., sez. III, sent. n. 48211/2015.
[5] Sulla nozione penalistica di “bene giuridico tutelato”, si rinvia a: G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale (parte generale), Zanichelli, 2024, pp. 201 e ss.
[6] Ex multis, v. Cass. pen., ord. n. 27673/2019.
[7] “Il reato di indebita compensazione accoppia al disvalore di evento (omesso versamento di somme dovute) uno specifico disvalore di azione, consistente nell’abusiva utilizzazione dell’istituto della compensazione in materia tributaria”. C. Cost., 21/02/2018, n. 35, con nota di A. TERMINE, Infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla soglia di punibilità di 50.000 euro del delitto di indebita compensazione ex art. 10quater d.lgs. 74/2000, in Dir. pen. Contemporaneo, 4/2018, p. 147 ss.
[8] Sulla compensazione in generale, si rinvia a: A. TORRENTE- P. SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, Giuffrè, 2023, pp. 461 e ss.
[9] Sull’accollo in generale, si rinvia a: F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, ESI, 2024, pp. 631 e ss.
[10] Comm. Trib. Prov.le Torino, sez. VI, 06/09/2021, n. 721.
[11] A. MARCHESELLI, Manuale di Diritto tributario, Giuffrè, 2024, pp. 99 e ss.
[12] A. CARINCI-T. TASSANI, Manuale di Diritto tributario, Giappichelli, 2024, pp. 84 e ss.
[13]“ […] deve essere evidenziato come la stessa Agenzia delle Entrate, con la recente risoluzione n. 140 pubblicata in data 15 novembre 2017 (la cui rilevanza ha in questa sede solo valenza interpretativa), nel prendere posizione sulla legittimità del pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d'imposta a seguito del c.d. "accollo fiscale", ha fornito una risposta negativa. L'operazione in questione, osserva l'Ufficio, deve infatti essere ritenuta elusiva (e, nel caso di specie, precisa il Collegio, ha rilevanza penale, essendo stato commesso il fatto attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale) non solo della disciplina sulla compensazione, ma anche di quella relativa alla cessione dei crediti d'imposta. L'Agenzia delle Entrate richiama innanzitutto l'art. 8, comma 2, della L. 212/2000, secondo cui è ammesso l'accollo del debito d'imposta, senza liberazione del contribuente originario. Tuttavia, nel momento in cui l'accollante paga mediante compensazione con un proprio credito, entra in gioco la compensazione, disciplinata dalla normativa tributaria di riferimento (in primis dall'art. 17 del D.Igs. 241/97), che, allo stato attuale, non solo non prevede il caso dell'accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti. Come rammentato più volte dalla giurisprudenza, peraltro, l'estinzione del debito mediante compensazione può avvenire, nel settore tributario, solo ove la legge lo ammetta espressamente. Si è infatti affermato che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell'art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cd. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno di imposta 2002”. Cass. pen., sez. III, sent. n. 29870/2018.
[14] Risoluzione Agenzia delle Entrate del 15/11/2017 n. 140E, OGGETTO: Accollo del debito d’imposta altrui – Estinzione per compensazione – Articolo 8 L. n. 212 del 27 luglio 2000.
[15] C. CICERO, Riflessi civilistici della violazione di norme tributarie, in Rivista del Notariato, 2020, 2, p. 382.
[16] Il divieto di compensazione tributaria mediante accollo fiscale è stato infatti esplicitamente normato soltanto tramite art. 1 d.l. 124/2019. Ciò, dunque, non esclude in primo luogo la legittimità dell’accollo fiscale in quanto tale e nemmeno risolve i dubbi circa le ambiguità applicative connesse al reato di indebita compensazione.
[17] C. CICERO, op. cit., p. 383.
[18] In materia tributaria, la compensazione è ammessa solo nei casi espressamente previsti. Arg. ex TAR Lombardia, sez. II, sent. n. 728/2022.
[19] Ex multis, v. Cass. pen., sez. III, sent. n. 1999/2017.
[20] V. Cass. pen., sez. III, sent. n. 55794/2017.
[21] “[…] con la compensazione… l'agente ottiene un beneficio, il risparmio totale di spesa, utilizzando crediti inesistenti”. Cass. pen., sez. III, sent. n. 55794/2017.
[22] E. DE MITA, Principi di Diritto tributario, Giuffrè, 2019, pp. 234 e ss.
[23] T. Roma, sez. XIII, 26/07/2021, n. 12929.
[24] Va sottolineato come la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito che l’indebita compensazione sia applicabile non solo nel caso di compensazione c.d. “verticale” (crediti e debiti fiscali riferiti alla medesima imposta) ma anche nel caso di compensazione c.d. “orizzontale” (crediti e debiti fiscali riferiti ad imposte diverse). I criteri rilevanti in ordine all’applicabilità del reato di indebita compensazione (ex artt. 10quater d.lgs. n. 74/2000 e 17 d.lgs. n. 241/97) restano quindi quelli della medesimezza soggettiva e temporale. Arg. ex Cass. pen., sez. fer., sent. n. 33893/2022; Cass. pen., sez. III, sent. n. 27462/2022.
[25] “Il divieto di utilizzare un proprio credito tributario in compensazione di un debito tributario accollato è stato introdotto dall’art. 1 del d.l. n. 124/2019. […] Prima dell’introduzione di tale divieto la compensazione di un proprio credito con un debito altrui accollato era legittima”. V. GUARINI- G. DONELLI- G. VERRONE, Accollo dei debiti tributari e indebite compensazioni: misure di contrasto e profili di incompatibilità con il diritto UE, 14/10/2020, dirittobancario.it
[26] S. CAROLLO, Indebita compensazione: crediti inesistenti o crediti non spettanti, 23/08/2022, fiscoetasse.com.
[27] Cass. pen., sez. III, sent. n. 10997/2022.
[28] “Nella sua versione originaria…l’art. 10quater sanzionava la condotta del contribuente che provvedeva a portare in compensazione (ai sensi del d.lgs. 9 lugllio 1997, n. 241, art. 17) nel mod. F24 crediti non spettanti o inesistenti, omettendo in tal modo i versamenti delle ‘somme dovute’ “. L. FRANZETTI, Delitto di indebita compensazione (art. 10quater d.lg. 74/2000) e rilevanza delle compensazioni orizzontali, 15/12/2021, sistemapenale.it.
[29] G. MARINUCCI- E. DOLCINI- G. L. GATTA, Manuale di Diritto penale (Parte generale), Giuffrè, 2023, pp. 500 e ss.
[30] L’Agenzia delle Entrate fornisce (forniva) un modello di dichiarazione in compensazione e tramite apposita circolare (n. 286/2009) chiarisce che il codice identificativo “(62)” è quello da utilizzare nel caso in cui la compensazione sia stata eseguita da un soggetto diverso dal dichiarante che ne è mero beneficiario.
[31] “[…] il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del medesimo decreto, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’IVA; il reato, infatti, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale”. Corte di Cassazione, sez. III Pen., sent. n. 32686/2020.
[32] In generale, sul principio di legalità in ambito penalistico, si rinvia a: T. PADOVANI, Diritto penale, Giuffrè, 2023, pp. 21 e ss.
[33] M. A. MANNO-G. SPINNATO, Manuale di Diritto penale, Giuffrè, 2023, pp. 65 e ss.
[34] F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto penale, Giuffrè, 2003, pp. 87 e ss.
[35] Il modello consente di menzionare la presenza di un co-obbligato, cioè dell’accollante che effettua la compensazione. Rimane il dubbio circa la punibilità dell’accollato per un’indebita compensazione che egli non ha potuto porre in essere e di cui si è solo giovato. L’alternativa plausibile, anche se comunque forzata, consiste nella punibilità in concorso tra i due.
“ […] proprio analizzando i modelli F24, il c.t. del PM, ricorda il tribunale del riesame, evidenzia come nella sezione "contribuente" vengono riportati sia i dati identificativi del soggetto debitore d'imposta, sia i dati del soggetto coobbligato, ossia del soggetto che effettua il pagamento delle imposte, mediante compensazione, in veste di coobbligato, figura, quest'ultima, prevista dal modello F24 che prevede anche l'utilizzo di un codice che identifichi l'operazione (in particolare, il cod. 62 si riferisce a "soggetto diverso dal fruitore del credito", ossia quando il debito tributario venga pagato da un soggetto diverso dall'effettivo debitore, come nel caso dell'accollo); è dunque evidente come nello stesso modello F24 è espressamente indicato un soggetto coobbligato, che riveste necessariamente la posizione di debitore, anche se, in via derivata, tanto da operare la compensazione con i propri crediti”. Cass. Pen., sez. III, sent. n. 29870/2018.
[36] https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/modulistica/Istanza-compensazione-ART-31.pdf
[37] E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Giuffrè, 1949.
[38] Ex multis, v. Cass. pen., sez. III, sent. n. 55794/2017.
[39] “La norma in questione fa necessariamente riferimento al concetto di contribuente, poiché muove dal presupposto che colui che ricopre una posizione passiva versoi il Fisco (appunto, il contribuente), può scegliere di compensare crediti anziché versare le imposte: il contribuente è, cioè, nella normalità il debitore, che, se assomma su di sè anche la posizione di creditore verso il Fisco, può compensare le due poste; l'art. 10 quater, riferendosi a chi "non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione" crediti inesistenti si riferisce ai soggetti legittimati, D.Lgs. n. 241 del 1997, ex art. 17 e ss., ad effettuare pagamenti di imposta utilizzando in compensazione crediti verso l'Erario, ed in tale categoria devono farsi necessariamente rientrare anche coloro che, in virtù del contratto di accollo, agiscono come debitori proprio in virtù del fatto che, con l'accollo, si sono volontariamente fatti carico di debiti altrui”. Cass. pen., sez. III, sent. n. 55794/2017.
[40] “[…] il soggetto agente è soggetto che assomma in sè la figura di debitore coobbligato e creditore, a prescindere dal rapporto di debito originario tra debitore ed Erario. Se, cioè, il debitore ritorna a essere per l'Erario, l'unico referente per il debito tributario originario (non essendo l'accollo liberatorio), l'autore dell'indebita compensazione, e, dunque, l'autore del reato, dovrà comunque rispondere verso l'Erario per le conseguenze economiche derivanti dal fatto-reato da lui commesso, per un quantum determinato in base al debito totale indebitamente compensato”. Cass. pen., sez. III, sent. n. 55794/2017.
[41] “La regola di non interferenza tra diritto privato e diritto tributario discende dalla distinzione tra frode alla legge, la quale determina, ai sensi dell’art. 1344 c.c., l’illiceità della causa, con conseguente nullità del contratto secondo l’art. 1418, comma 2, c.c., e frode al fisco, i cui effetti rimangono confinati entro l’ambito dell’ordinamento tributario”. C. CICERO, op. cit., p. 387, nota a margine n. 4. L’autore, ivi, cita come riferimenti ulteriori: G. PERLINGIERI, Profili civilistici dell’abuso tributario, Napoli, 2012, pp. 68 ss. e C. CICERO, voce Frode alla legge, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Agg., IX Torino, 2014, p. 272.
[42] V. GUARINI- G. DONELLI- G. VERRONE, op. cit.
[43] L. D’ALTILLIA, Ne bis in idem e reati tributari: la Corte Costituzionale restituisce gli atti per jus superveniens, in ilpenalista.it, 20/07/2016, commento a Corte Cost., sent. n. 112/2016.