Pubbl. Lun, 9 Dic 2024
In tema di garanzia per vizi della cosa compravenduta non si ha diritto alla riduzione del prezzo per difetti che non influiscono sull´uso del bene
Modifica pagina
Ilaria Travaglione
Il presente contributo ripercorre l’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato la tematica delle azioni edilizie e si propone, infine, di analizzare l’iter argomentativo seguito dalla Cassazione con la pronuncia Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747, che ha affermato che vizi insignificanti o che non incidano in modo considerevole sul valore o sull’utilizzo del bene compravenduto non rientrano nell’alveo della garanzia ex art. 1490 c.c., e quindi non danno diritto alla riduzione del prezzo.
Sommario: 1. Premessa; 2. La natura giuridica della garanzia per vizi della cosa venduta; 3. La disciplina del riparto dell’onere probatorio nelle azioni edilizie; 4. Vizi, mancanza di qualità e aliud pro alio; 5. Termini e condizioni di esercizio delle azioni edilizie; 6. La pronuncia della Cassazione n. 25747/2024; 6.1 I fatti di causa; 6.2 I principi di diritto; 7. Conclusioni.
1. Premessa
L’analisi dei principi enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 25747/2024 – secondo cui non sussiste la garanzia ex art. 1490 c.c. quando i vizi della cosa venduta non hanno alcuna incidenza sull’idoneità all’uso del bene acquistato né tantomeno sul suo valore economico – offre l’occasione per passare in rassegna l’evoluzione giurisprudenziale e gli approdi ermeneutici più significativi sulla disciplina speciale delle azioni edilizie[1].
2. La natura giuridica della garanzia per vizi della cosa venduta
Qualora, in esecuzione del contratto di compravendita, il venditore consegni all’acquirente una cosa affetta da vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il suo valore, il compratore può esperire nei confronti del venditore unicamente le cc.dd. “azioni edilizie”, ossia, a sua scelta, la risoluzione del contratto (actio redhibitoria) o la riduzione del prezzo (actio quanti minoris o aestimatoria), salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
La garanzia per vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. è un effetto naturale del contratto di compravendita, che le parti sono libere di escludere o modificare, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, e, a differenza della garanzia per evizione, attiene a vizi afferenti all’entità materiale e non giuridica della cosa[2].
Viceversa, non sussiste a favore del compratore, neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica, una generale azione di esatto adempimento, volta a ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta; tale rimedio gli compete solo in ipotesi particolari, come in caso di vendita di beni di consumo, o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione o sostituzione del bene[3].
La disciplina della compravendita non pone a carico del venditore alcun obbligo di prestazione circa l’immunità della cosa da vizi. Invero, a fronte dell’obbligo di garantire il compratore dai vizi della cosa, previsto dall’art. 1476 n. 3 c.c., non corrisponde – a differenza di quanto ordinariamente accade nello schema proprio delle obbligazioni – alcun dovere di comportamento del venditore in funzione del soddisfacimento dell’interesse del compratore.
Le obbligazioni del venditore si risolvono, infatti, semplicemente in quella di consegnare la cosa oggetto del contratto, nello stato in cui si trovava al momento della vendita e indipendentemente dall’eventuale presenza di vizi.
“Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve allora concludersi che il disposto dell’art. 1476 c.c., là dove qualifica la garanzia per vizi come oggetto di una obbligazione, va inteso non nel senso che il venditore assuma una obbligazione circa i modi di essere attuali della cosa, bensì nel senso che egli è legalmente assoggettato all'applicazione dei rimedi in cui si sostanzia la garanzia stessa”[4].
Ciò in quanto “l’obbligo di garanzia per i vizi della cosa pone il venditore in una situazione non tanto di ‘obbligazione’, quanto piuttosto di ‘soggezione’, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto di vendita, o alla sua caducazione, mediante l'esperimento rispettivamente dell’actio quanti minoris o dell’actio redibitoria”[5].
La garanzia per vizi non va, dunque, collocata nella prospettiva obbligatoria, con la conseguenza che la consegna di una cosa viziata, integra certamente un inadempimento contrattuale, ma non per questo un inadempimento di obbligazioni[6].
“La responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita”, il cui presupposto va ravvisato proprio nella dedotta imperfetta attuazione del risultato traslativo derivante dalla presenza di vizi nella cosa venduta. Si tratta, cioè, di “una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell’esistenza dei vizi”[7].
3. La disciplina del riparto dell’onere probatorio nelle azioni edilizie
Dall’acclarata specialità delle azioni edilizie rispetto ai rimedi generali all’inadempimento contrattuale, discende che la disciplina del riparto dell’onere probatorio nelle azioni edilizie non può certamente soggiacere ai principi fissati dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 13533/2001 in tema di obbligazioni, secondo cui il creditore che agisca per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, dopo aver dato prova della fonte del proprio diritto e, se previsto, del termine di scadenza, può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, essendo poi onere del debitore convenuto dimostrare il fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento.
Nelle azioni edilizie, la questione del riparto dell’onere probatorio va piuttosto risolta alla stregua della regola di giudizio dettata dall’art. 2697 c.c., secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, e alla luce del principio di vicinanza della prova, che, tenuto conto della possibilità in concreto per l’una o l’altra parte di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione, “induce a porre l’onere della prova dei vizi stessi a carico della parte che, avendo accettato la consegna della cosa, ne abbia la materiale disponibilità”[8].
Spetta, dunque, al compratore che esperisce le azioni edilizie l’onere di provare i vizi della cosa.
4. Vizi, mancanza di qualità e aliud pro alio
I vizi ex art. 1490 c.c. attengono normalmente a imperfezioni del procedimento di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa. Si ricade, pertanto, nel campo di operatività della garanzia edilizia per vizi redibitori, qualora la cosa venduta presenti difetti tali che la rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata (c.d. inidoneità assoluta) o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico (c.d. inidoneità relativa).
Quanto all’inidoneità assoluta all’uso della cosa, essa si traduce in un’anomalia o imperfezione materiale che ne impedisce l’utilizzazione, mentre l’inidoneità relativa e la conseguente diminuzione di valore devono risolversi in una perdita superiore al limite di normale tolleranza, che tuttavia prescinde dal minore o maggior grado di gravità del vizio, “in quanto la regolamentazione della garanzia per i vizi nella vendita inserisce una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell’articolo 1455 c.c., sull’importanza dell’inadempimento”[9].
La garanzia per vizi della cosa venduta si riferisce, inoltre, solo ai vizi che esistevano già prima della conclusione del contratto, anche qualora si siano manifestati successivamente come conseguenza di una causa preesistente, e la relativa azione abilita normalmente il compratore a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto (actio redhibitoria) o la riduzione del prezzo (actio quanti minoris o aestimatoria), salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
Viceversa, qualora il vizio sia posteriore alla conclusione del contratto esso inciderà sull’esattezza della prestazione, così che il compratore potrà agire solo con l’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, la quale prescinde dai ristretti termini di decadenza o di prescrizione cui sono soggette le azioni edilizie[10].
“Deve, quindi, ritenersi che esulino dall’ambito della garanzia per i vizi quei fenomeni che si pongono al di fuori della fase di realizzazione del bene venduto e che su quest’ultimo vengono ad incidere in un momento successivo”[11].
Al più tali profili possono assumere rilievo ove riconducibili all’ipotesi di mancanza di qualità ex art. 1497 c.c.
La mancanza di qualità essenziali o promesse inerisce alla natura del bene e concerne tutti gli elementi essenziali e sostanziali che, sia pur nell’ambito di un medesimo genere merceologico, influiscono sull’appartenenza della cosa a una specie piuttosto che a un’altra.
Ciononostante, medesime regole in tema di onere probatorio valgono anche nel caso di mancanza di qualità essenziali o promesse. L’art. 1497 c.c., infatti, prevede che a fronte della riscontrata mancanza di qualità del bene alienato, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali, sempre che il difetto ecceda i limiti di tollerabilità stabiliti dagli usi, e sia pur entro i termini di decadenza e di prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.
Invero, “anche per questa azione, intesa nel senso di difetto di qualità, vale la regola dell’onere della prova a carico del compratore, proprio perché si tratta di azione tipica rientrante nell’ambito della garanzia della vendita sul modello delle tradizionali «azioni edilizie», riguardo alle quali il requisito della gravità è prevalutato dal legislatore e compenetrato nella ricorrenza dei presupposti delineati dell’incidenza dei vizi sull’idoneità all’uso cui la cosa è destinata ovvero sulla diminuzione in modo apprezzabile del suo valore, per cui una diversa disciplina creerebbe una distonia di sistema, oltre a non avere alcuna ragione di differenziazione”[12].
Tanto il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.), tanto la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.) differiscono a loro volta dalla consegna di “aliud pro alio” che ricorre, invece, “qualora il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l’utilità presagita”[13]. La consegna di aliud pro alio integra un vero e proprio inadempimento di obbligazioni, che dà luogo all’ordinaria azione di risoluzione contrattuale ex artt. 1453 ss. c.c., svincolata dai ristretti termini di prescrizione e decadenza di cui all’art. 1495 c.c.
5. Termini e condizioni di esercizio delle azioni edilizie
Presupposto necessario e sufficiente affinché il compratore possa esperire le azioni edilizie è il dato oggettivo della presenza del vizio. Il legittimo esercizio delle azioni di riduzione del prezzo (azione c.d. estimatoria o quanti minoris) e risoluzione del contratto (azione c.d. redibitoria) non presuppone, infatti, l’esistenza della colpa dell’alienante; tale elemento è, viceversa, richiesto nella diversa ipotesi della mancanza di qualità promesse o essenziali, in quanto l’art. 1497 c.c. richiama le disposizioni generali della risoluzione per inadempimento, fondata proprio sul principio della colpa dell’inadempiente[14].
L’acquirente che intenda valersi della garanzia per vizi ha l’onere di denunciarne l’esistenza al venditore entro il termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta (art. 1495 c.c.). Il dies a quo coincide “con il giorno di ricevimento della merce soltanto per il vizio apparente, mentre per gli altri vizi, ossia per quelli non rilevabili attraverso un rapido e sommario esame del bene, utilizzando una diligenza inferiore a quella ordinaria, decorre dal momento dell’effettiva scoperta degli stessi”, ossia “quando il compratore ne abbia acquistato certezza obiettiva e completa”[15].
L’azione si prescrive, in ogni caso, nel termine di un anno dalla consegna del bene, e ciò indipendentemente dalla scoperta del vizio[16].
Viceversa, il riconoscimento dei vizi da parte del venditore esonera il compratore dall’onere della tempestiva denuncia. Invero, “il riconoscimento dell’esistenza dei vizi e l’assunzione dell’obbligo di rimozione degli stessi contestualmente all’atto di compravendita, costituisce, alla stregua dei principi generali valevoli per qualsiasi contratto, fonte di un’autonoma obbligazione, la quale si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, tale obbligazione, pertanto, è sottoposta non già ai termini di prescrizione e decadenza previsti per quella di garanzia, ma all’ordinario termine di prescrizione decennale contemplato per l’inadempimento contrattuale”[17].
Il riconoscimento dei vizi ad opera del venditore “non è soggetto ad una forma determinata e può esprimersi attraverso qualsiasi manifestazione, purché univoca e convincente, senza alcuna necessità che ad esso si accompagni l’ammissione di una responsabilità o l’assunzione di obblighi”[18], con la conseguenza che “può aver luogo anche tacitamente, per facta concludentia, come nel caso in cui lo stesso venditore provveda alla sostituzione della cosa”[19].
6. La pronuncia della Cassazione n. 25747/2024
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha chiarito che, in tema di garanzie per vizi della cosa venduta, non spetta all’acquirente la riduzione del prezzo ove il difetto riscontrato non renda la cosa inadatta all’uso cui è destinata ovvero non ne riduca in modo consistente il valore economico.
Allo scopo di meglio chiarire e comprendere gli approdi ermeneutici della Suprema Corte, nell’ordinanza n. 25747/2024, occorre, innanzitutto, brevemente passare in rassegna la vicenda fattuale e processuale oggetto della pronuncia in commento.
6.1 I fatti di causa
Il 17 giugno 2015, R. M. e Z. M. acquistavano un’autovettura dalla concessionaria A., per la somma complessiva di € 22.500,00.
A seguito della denuncia da parte degli acquirenti di un cigolio al momento dell’azionamento del sistema frenante, la concessionaria, per assecondare e fidelizzare il cliente, provvedeva alla sostituzione di alcuni pezzi, quali i porta pinza posteriori e le pastiglie dei freni posteriori.
Successivamente, con atto citazione notificato il 28 settembre 2017, R. M. e Z. M. convenivano in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Crotone la concessionaria venditrice A., domandando il risarcimento dei danni o, in subordine, la riduzione del prezzo nella misura di € 5.000,00, a garanzia dei vizi dell’autovettura acquistata.
Si costituiva in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto delle avverse domande, in quanto infondate in fatto e in diritto.
Il Giudice di Pace di Crotone, all’esito dell’istruttoria, accoglieva la domanda di riduzione del prezzo nella misura di € 5.000,00.
La concessionaria proponeva appello lamentando: “1) l’intervenuta decadenza dal diritto di garanzia per i vizi e la conseguente prescrizione; 2) l’erronea valutazione dei fatti, poiché dalle risultanze istruttorie acquisite emergeva che l’autovettura acquistata non fosse affetta da alcun vizio idoneo a diminuirne in modo apprezzabile il valore; 3) in subordine, l’erronea quantificazione della riduzione del prezzo, ove fosse stato ravvisato un difetto del bene acquistato”.
Il Tribunale di Crotone accoglieva l’appello e, in totale riforma della pronuncia impugnata, rigettava le domande attoree.
Il giudice d’appello fondava il proprio convincimento sulla considerazione che le risultanze probatorie del primo grado dimostravano come il lamentato rumore era stato riscontrato anche su un veicolo comparativo, e, pertanto, non poteva dirsi rappresentativo di un difetto di produzione, fabbricazione o di formazione dell’automobile, che il veicolo acquistato risultava, dunque, conforme ai parametri costruttivi della casa automobilistica, l’impianto dei freni era perfettamente funzionante e, in ogni caso, il cigolio evidenziato non era tale da rendere la cosa inidonea all’uso cui era destinata né poteva diminuire in modo apprezzabile il valore economico del veicolo, dato che il rumore si manifestava occasionalmente, solo in ipotesi saltuarie, ossia nel caso di estrema sollecitazione del sistema frenante.
Il giudice di merito escludeva, altresì, che gli interventi effettuati dal venditore a seguito della segnalazione potessero qualificarsi come inequivoco riconoscimento tacito del vizio, in quanto la concessionaria si era limitata a effettuare le predette lavorazioni su un piano puramente commerciale e non tecnico, ossia solo per assecondare e fidelizzare il cliente e non per risolvere un problema ritenuto esistente.
Avverso la sentenza del Tribunale di Crotone gli acquirenti ricorrevano in Cassazione per un triplice ordine di ragioni.
Col primo motivo, i ricorrenti deducevano l’omessa o insufficiente motivazione, quale omesso esame di un fatto decisivo del giudizio e l’error in procedendo per manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione, per avere il giudice d’appello valutato le risultanze probatorie acquisite nel giudizio di prime cure in modo parziale e non nella loro interezza.
Col secondo motivo, lamentavano l’omessa o insufficiente motivazione, quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con decisione ultra petitum, per avere il giudice d’appello escluso che ricorresse un riconoscimento tacito del vizio da parte del venditore negli interventi effettuati sull’autovettura.
Infine, col terzo motivo, denunciavano la violazione e falsa applicazione dei parametri sulla liquidazione delle spese, per avere il giudice d’appello disposto la refusione delle spese di lite senza distinzione fra il giudizio di primo e di secondo grado, e senza tener conto del mancato espletamento di attività istruttoria in appello e dell’assenza di questioni di fatto e di diritto.
In considerazione della ritenuta manifesta infondatezza del ricorso per Cassazione, veniva formulata proposta di definizione anticipata del giudizio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., avverso la quale R.M. e Z. M. spiegavano tempestiva opposizione.
6.2 I principi di diritto
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25747/2024 in commento, ha rigettato integralmente il ricorso, e, nel definire il giudizio in conformità alla proposta di cui all’art. 380 bis c.p.c., ha ulteriormente condannato i ricorrenti al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della concessionaria oltre alla somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi degli artt. 96, commi 3 e 4, c.p.c.
I giudici di legittimità hanno confermano la pronuncia del giudice d’appello, alla luce delle seguenti argomentazioni.
Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte preliminarmente rileva che la censura così articolata si traduce in una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, che è preclusa in Cassazione.
Invero, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, “con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione”[20].
La ricostruzione operata dal giudice d’appello, sulla scorta della valorizzazione delle prove raccolte nel corso del giudizio di primo grado, in quanto attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità.
L’argomentata valutazione del Tribunale di Crotone è, invero, coerente sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, in quanto perfettamente in linea con il principio di diritto secondo cui “la garanzia per i vizi postula che nella cosa venduta sussistano imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione e di formazione, che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, non ricorrendone, per converso, i presupposti allorché vi siano imperfezioni che non interessino la natura della cosa compravenduta”[21].
Le risultanze dell’istruttoria hanno dimostrato che il cigolio lamentato era da ritenersi normale, rientrando nelle caratteristiche proprie del modello di autovettura acquistata, e non aveva avuto alcuna incidenza sull’idoneità all’uso del veicolo né tantomeno sul suo valore economico.
Pertanto, non spettava agli acquirenti l’actio quanti minoris ex art. 1492, comma 1, c.c.
“D’altronde” – sostengo i giudici – “una volta escluso che il rumore contestato e appurato incidesse sull’idoneità all’uso del mezzo – sarebbe stato onere degli acquirenti dimostrare che vi fosse stato un vizio tale da incidere in modo apprezzabile sul valore dell’autovettura acquistata (con la precisa indicazione della percentuale di riduzione di detto valore)”[22].
E ciò in quanto, per consolidato orientamento giurisprudenziale, “in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi”[23].
Né, nel caso di specie, può dirsi che l’essersi il venditore prestato, con propri tecnici, alla revisione o alla riparazione dei difetti lamentati potesse integrare un riconoscimento tacito del vizio.
Invero, con riguardo al secondo motivo di ricorso, la Cassazione chiarisce che il giudice d’appello ha escluso – con argomentazione incensurabile sotto il profilo logico-giuridico – che la condotta di sostituzione di alcuni pezzi dell’autovettura costituisse un’inequivoca ammissione dei vizi da parte del venditore.
Il Tribunale di Crotone ha, cioè, escluso che quel particolare comportamento extraprocessuale della concessionaria, nella valutazione complessiva del contegno dei contraenti, potesse assumere l’inequivoco significato di ammissione dell’esistenza di vizi della cosa, “avendo precisato che le predette lavorazioni erano state eseguite su un piano puramente commerciale e non tecnico, ossia solo per assecondare e fidelizzare il cliente e non già per risolvere un problema ritenuto esistente”[24].
L’accertamento circa l’avvenuto riconoscimento dei vizi della cosa e l’assunzione dell’impegno del venditore di eliminarli anche per facta concludentia è giudizio di merito incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici.
Inoltre, a fronte della reiterata negazione dei vizi da parte del venditore, la dimostrazione della loro ricorrenza avrebbe dovuto ricadere sugli acquirenti, “anche in applicazione del principio di vicinitas della prova”[25].
Infine, la Cassazione rigetta anche il terzo motivo di ricorso, escludendo la lamentata violazione della normativa in tema di liquidazione delle spese, “poiché la quantificazione di tali spese è avvenuta in via globale e unitaria per entrambi i gradi di giudizio, tenendo conto della sola attività istruttoria espletata nel giudizio di prime cure”[26], facendo applicazione dei parametri medi aggiornati dal d.m. n. 147/2022.
7. Conclusioni
In conclusione, la Suprema Corte, con il recente approdo ermeneutico, evidenzia che, “affinché possa riscontrarsi un vizio redibitorio, ai sensi dell’art. 1490, primo comma, c.c., il difetto deve essere ponderato in funzione della sua capacità di rendere la cosa inidonea all’uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, alla stregua di una disciplina speciale completa, non integrabile con il principio generale della non scarsa importanza dell’inadempimento rilevante ex art. 1455 c.c.”[27].
Ne consegue che non rientrano nell’alveo della garanzia ex art. 1490 c.c., e quindi non danno diritto alla riduzione del prezzo, quei vizi insignificanti o che non incidano in modo considerevole sull’idoneità all’uso o sul valore economico del bene acquistato.
[1] Per un corretto inquadramento sistematico dell’istituto si vedano: F. GAZZONI, Manuale di Diritto Privato, XX ed. 2021, Edizioni Scientifiche Italiane, 1104 ss.; F. BOCCHINI, E. QUADRI, Diritto privato, 6° ed. 2106, Giappichelli Editore, 1092 ss.; A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, 44° ed. 2010, CEDAM, 810 ss.; F. CARINGELLA, L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, XII ed. 2022, DIKE Giuridica, 1187 ss.; G. CHINÈ, M. FRATINI, A. ZOPPINI, Manuale di diritto civile, X ed. 2018/2019, NELDIRITTO EDITORE, 1652 ss.
[2] “Si ritiene generalmente che la garanzia per evizione e garanzia per vizi delle cose abbiano un fondamento giuridico unitario. Esse costituiscono rimedi apprestati dall’ordinamento giuridico per eliminare nel contratto di vendita lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore. L’alterazione dell’equilibrio del sinallagma funzionale fa sorgere la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica dell’acquirente quale era prima dell'acquisto. Le garanzie, tanto quella per evizione quanto quella per vizi, operano indipendentemente dalla colpa del venditore, che è requisito necessario solo se il compratore richieda il risarcimento integrale dei danni (cioè comprensivo dell'interesse positivo) e in relazione al quale opera la presunzione di cui all'art. 1218 c.c., avente carattere generale ed applicabile all'inadempimento contrattuale in genere” (cfr. Cass., Sez. 2, ordinanza n. 23015 del 26/09/2018).
[3] Cass. civ., Sez. Un., n. 19702 del 13/11/2012; negli stessi termini, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 23015 del 26/09/2018, secondo cui: “la protezione del compratore si realizza attraverso la riduzione del prezzo (azione c.d. estimatoria o quanti minoris) e la risoluzione del contratto (azione c.d. redibitoria). Tali rimedi operano nei limiti del ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto (Cass. n. 14431/2006; n. 4388/1985). Essi esauriscono la tutela del compratore, al quale non è accordata l'azione "di esatto adempimento" per ottenere dal venditore l'eliminazione dei vizi della cosa venduta o la sua sostituzione della cosa. Ciò si spiega perché l'obbligazione principale del venditore non ha per oggetto neppure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta (Cass. n. 4382/1985; n. 4980/1983; n. 4565/1979). L'azione di esatto adempimento non compete al compratore neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica. Invero tale rimedio gli «compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o Corte di Cassazione - copia non ufficiale qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene» (Cass., S.U., 19702/2012). L'azione di esatto adempimento è negata anche se il venditore sia in colpa. Correlativamente il compratore non può avvalersi neanche dell'eccezione di inadempimento (Cass. n. 2484/1972; n 726/1970)”.
[4] Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019.
[5] Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019, secondo cui: “Se dunque la garanzia per i vizi pone il venditore in una condizione non di ‘obbligazione’ (dovere di prestazione) ma di ‘soggezione’, lo schema concettuale a cui ricondurre l'ipotesi che la cosa venduta risulti viziata non può essere quello dell'inadempimento di una obbligazione. La conclusione che precede, tuttavia, non impone di collocare detta ipotesi fuori dal campo dell’inadempimento (più precisamente, dell’inesatto adempimento) del contratto, nel quale tradizionalmente essa è stata collocata, con il conforto della prevalente dottrina, dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentt. nn. 5686/85, 7561/06, 14431/06, 20557/12). La consegna di una cosa viziata integra un inadempimento contrattuale, ossia una violazione della lex contractus; ma, come è stato persuasivamente osservato in dottrina, non tutte le violazioni della lex contractus realizzano ipotesi di inadempimento di obbligazioni”.
[6] Sul punto si veda, in particolare, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14895 del 29/05/2023, secondo cui: “Fondamentale è apparsa la valorizzazione dell'effetto traslativo e del funzionamento dei rimedi che la legge ad esse ricollega, che impone un superamento del concetto classico di inadempimento - inteso come inattuazione dell'obbligazione contrattuale - e il riconoscimento della possibilità di configurare vere e proprie anomalie dell'attribuzione traslativa”.
[7] Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019. Negli stessi termini, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14895 del 29/05/2023, secondo cui “In tema di compravendita, l’obbligo di garanzia per vizi della cosa venduta dà luogo ad una responsabilità speciale interamente disciplinata dalle norme sulla vendita, che pone il venditore in situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti minoris o della actio redhibitoria. Ne consegue che, essendo dette azioni fondate sul solo dato obiettivo dell’esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza, l’onere della relativa prova grava sul compratore, non trovando applicazione i principi relativi all’inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno”.
[8] Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019.
[9] Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 14109 del 23.05.2023.
[10] Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019.
[11] Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26402 del 13/09/2023.
[12] Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14895 del 29/05/2023. Va precisato, tuttavia, che una parte, sia pur minoritaria, della giurisprudenza riconosce all’acquirente l’azione di riduzione del prezzo, come rimedio di carattere generale, anche in casi di mancanza di qualità essenziali o promesse (cfr. Cass. n. 12301/2000).
[13] Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13214 del 14/05/2024.
[14] Cass., Sez. 2, Sentenza n. 639 del 21/01/2000.
[15] Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 7675 del 16/03/2023.
[16] In questi termini, Cass, Sez. 2, Sentenza n. 11037 del 05/05/2017.
[17] Cass., Sez. 6, Sentenza n. 3926 del 09/02/2023.
[18] Cfr. Cass., Ordinanza n. 30786 del 06/11/2023; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5597 del 17/04/2001; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4464 del 20/05/1997; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 587 del 30/01/1990; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 68 del 15/01/1969; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2229 del 13/08/1966.
[19] Cfr. Cass., Sez. 2, ordinanza n. 8775 del 03/04/2024.
[20] Cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; ex plurimis, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30042 del 26.10.2021; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Cass. Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.
[21] Cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747.
[22] Cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747.
[23] Cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 19529 del 16/07/2024; ex plurimis, Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 8775 del 03/04/2024; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3581 del 08/02/2024; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14895 del 29/05/2023; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 14109 del 23/05/2023; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 8451 del 24/03/2023; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 33612 del 15/11/2022; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 22979 del 22/07/2022; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 9960 del 28/03/2022; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 1218 del 17/01/2022; Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 34636 del 16/11/2021; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21258 del 05/10/2020; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 16073 del 28/07/2020; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8199 del 27/04/2020; Cass., Sez. U, Sentenza n. 11748 del 03/05/2019.
[24] Cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747.
[25] Cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747.
[26] Cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747.
[27] Cfr. Cass. civ., Sez. II, Ord., ud. 17/09/2024, dep. 26/09/2024, n. 25747.