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Pubbl. Mer, 21 Ago 2024

L´Emptio venditio e le problematiche riguardanti il contratto consensuale romano

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Giuseppa La Masa
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Enna Kore



Con il presente lavoro si vuole attenzionare l´origine dell´emptio venditio e le problematiche annesse alla consensualità del contratto di compravendita. Tale istituto si sviluppò dapprima nell´ambito della iurisdictio peregrina e successivamente nell´ambito della iurisdictio urbana nel III secolo a.c


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The emptio venditio and the problems concerning the Roman consensual contract

With this work we want to pay attention to the origin of the emptio venditio and the problems related to the consensuality of the sales contract. This institute developed first in the context of the iurisdictio peregrina and subsequently in the context of the iurisdictio urbana in the 3rd century BC.

Sommario: 1. Introduzione; 2. L’origine dell’emptio venditio e la sua evoluzione; 3. Lo stretto collegamento tra mancipatio e traditio nel contratto di compravendita; 4. L’emptio venditio nel De Agricoltura di Catone e nel brano di Varrone; 5. Actio empti, Actio venditi e responsabilità per l’evizione; 6. Le modifiche dell’emptio venditio nell’epoca giustinianea; 7. Considerazioni conclusive

1. Introduzione

Il contratto di compravendita sin dai tempi più antichi ha rappresentato la funzione economica-sociale dello scambio e riveste un ruolo importante sia per il diritto contrattuale sia per gli scambi tra privati.

A tal proposito occorre chiarire come nel sistema economico-giuridico romano la compravendita era un contratto consensuale bilaterale ad effetti obbligatori e non ad effetti reali, in cui i momenti fondamentali sono il trasferimento di proprietà, il futuro trasferimento dei beni e il regime della circolazione dei beni e affidamento dei terzi.

La struttura dell’emptio venditio (o compravendita) è oggetto di un continuo dibattito tra gli studiosi che si trovano sempre più spesso a far emergere le differenze tra il modello presentato dai giuristi classici da quello della compilazione giustinianea, che invece è il punto focale della tradizione giuridica successiva.

La presente ricerca parte dall’origine dell’emptio venditio e dal suo processo evolutivo, affrontando le tematiche e le problematiche principali dell’istituto ed esaminando le fonti (Gaio) che tengono in considerazione lo stretto collegamento tra emptio venditio e pretium.

In particolare si è ritenuto opportuno illustrare i diversi strumenti attraverso cui si realizzava tale contratto ossia la mancipatio e la traditio e la garanzia che l’ordinamento romano riconosceva contro l’evizione, quale l’auctoritas.

Infatti la mera obbligatorietà della compravendita romana viene chiarita dalla sua derivazione dalla mancipatio, che rappresentava il negozio formale adoperato dai romani per il trasferimento dei diritti reali.

Come si avrà modo di vedere gran parte degli ordinamenti moderni ha recepito lo schema fondamentale romano seppur con diverse modifiche. Una questione di particolare importanza che verrà trattata riguarda, da un lato, l’individuazione del rapporto che intercorre tra il modello della vendita obbligatoria tipica del sistema romano e il modello della vendita consensuale tipica del sistema francese e italiano, dall’altro il modello della vendita obbligatoria con atto di trasferimento reale tipica dei paesi germanici.

2. L’origine dell’emptio venditio e la sua evoluzione

L’emptio venditio viene fatta risalire intorno al III secolo a.C. e fu creata per soddisfare le crescenti esigenze di commercio internazionale che erano sorte a Roma grazie all’espansione territoriale.

Tale istituto, a differenza della traditio o della stipulatio, si sviluppò nei rapporti tra i peregrini e solo successivamente fu esteso nei rapporti tra cives.

Così ad esempio nelle fonti troviamo:

Est autem emptio iuris gentium, et ideo consensu peragitur et inter absentes contrahi potest et per nuntium et per literas”.[1]

Secondo l’opinione del Luzzatto, la tutela della compravendita consensuale obbligatoria avrebbe ricevuto una prima forma di tutela da parte del praetor peregrinus, il quale in forza del suo imperium avrebbe concesso ai peregrini azioni idonee per tutelare i vari rapporti economici che sorgevano; infatti la preclusione dello ius civile ai peregrini aveva fatto sorgere disordini e malcontenti all’interno della comunità extra urbana e lo stesso praetor peregrinus aveva risolto il problema.

Alla fine del III secolo a.C, il praetor urbanus avrebbe esteso le medesime tutele inter cives e solo successivamente si ebbe l’estensione all’interno dello ius civile.

La compravendita, come detto in precedenza, rientra nella categoria dei contratti consensuali ed è fonte di obbligazione come viene specificato in Gai 3. 135 “consensu fiunt obligationes in emptionibus et venditionibus.”

Questo contratto consensuale si basava essenzialmente sulla bona fides e sul consenso tra le parti e ha effetti meramente obbligatori; facendo nascere per il venditore l’obbligazione di trasferire la cosa, per il compratore l’obbligo di pagarne il prezzo. A tal proposito Gaio chiarisce:

Emptio et uenditio contrahitur, cum de pretio conuenerit, quamuis nondum pretium numeratum sit ac ne arrha quidem data fuerit. [….].”[2]

Il testo di cui sopra fa riferimento al fatto che la compravendita si realizza dopo che i due soggetti si siano accordati sul pretium che secondo lo stesso Gaio deve essere certum e che deve consistere in moneta numerata. Contrariamente a quanto affermato da Gaio i Sabiniani, invece ritengono che la compravendita si possa perfezionare anche tramite la permuta della cosa; i Proculiani invece sostengono che la compravendita non può perfezionarsi tramite la permuta ma “Pretium in numerata pecunia consistere debet”. Gaio appare convinto che il pretium deve essere certum e durante il periodo Giustinianeo si richiede che sia iustum o verum proporzionato al valore della cosa.

La caratteristica più evidente della compravendita romana è quella dell’obbligatorietà che nasce dall’accordo tra le parti e come viene specificato da Arangio Ruiz: “l’emptio e venditio è un contratto consensuale e bilaterale in virtù del quale una delle parti si obbliga a trasmettere all’altra il pacifico godimento di qualcosa detta merce, mentre l’altra si obbliga a trasferire alla prima la proprietà di una somma di denaro detta prezzo”.[3]

A tal proposito in un passo di Paolo si chiarisce la prestazione che grava in capo alle parti contrattuali:

“(…) multum differunt praestationes. Emptor enim, nisi nummos accipientis fecerit, tenetur ex vendito, venditori sufficit ob evictionem se obligare, possessionem tradere et purgari dolo malo: itaque si evicta res non sit, nihil debet;(…)”. Quello che si evince dalla comprensione del passo è che il compratore è tenuto a trasferire la proprietà del denaro costituente il prezzo, invece è sufficiente che il venditore trasferisca il possesso della cosa e non adotti un comportamento doloso

Tenendo in considerazione le fonti Paoline il venditore deve garantire la pacifica disponibilità della cosa e attenersi alla bona fides.

Un ulteriore comprensione delle regole contrattuali vigenti in capo al venditore e al compratore si può intravedere nel passo di Celso:

Dedi tibi pecuniam ut mihi Stichum dares: utrum id contractus genus pro portione emptionis et venditionis est, an nulla hic alia obligatio est quam ob rem dati re non secuta ? in quod proclivior sum: et ideo, si mortuus est Stichus, repetere possum quod ideo tibi dedi, ut mihi Stichum dares. finge alienum esse Stichum, sed te tamen eum tradidisse: repetere a te pecuniam potero, quia hominem accipientis non feceris: et rursus, si tuus est Stichus et pro evictione eius promittere non vis non liberaberis, quo minus a te pecuniam repetere possim.[4]

La situazione che viene descritta da Celso riguarda la consegna di denaro da parte di un soggetto ad un altro per la proprietà dello schiavo Stico; lo stesso giurista romano esclude che tale obbligazione possa rientrare nell’emptio venditio e la riconduce nell’obbligazione ob rem dati re non secuta.[5]

Secondo la dottrina maggioritaria non si può ricondurre tale obbligazione nel contratto di compravendita in quanto il pecuniam accipiens assume l’obbligazione di dare rem ritenuta incompatibile con il contratto di emptio venditio. Su questo assunto si è mosso Azone, il quale ha rilevato che il trasferimento della proprietà da parte del venditore portasse all’esclusione della compravendita.

Inoltre anche il Talamanca[6] ha rilevato che il “do pecuniam ut mihi Stichus des” è una chiara obbligazione di dare e la cui presenza contraddice tutta la struttura della compravendita romana.

La visione negativa di Celso ci viene richiamata anche da una parte della dottrina che rivede in tale forma di obbligazione il collegamento con i contratti innominati, ma ancor di più citando il Cristaldi si deve tenere in considerazione come il denaro non viene consegnato come pretium ma inserito nel quadro delle trattative negoziali al di fuori dello schema tipico negoziale e può ripeterlo con la condictio.[7]

3. Lo stretto collegamento tra mancipatio e traditio nel contratto di compravendita

La compravendita sembra essere caratterizzata da un tratto fondamentale, ossia la consensualità; difatti lo stesso Gaio faceva riferimento alla compravendita come obbligazione proveniente ex consensu.

Peraltro l’accordo ha sempre rappresentato la principale forma di autonomia privata e necessario per il perfezionamento del negozio giuridico.

In particolare il contratto di compravendita prevedeva che una delle parti (venditor) trasmette all’altra (emptor) il possesso di una res o merx dietro il corrispettivo di un prezzo in denaro. A proposito delle res, nel diritto romano arcaico, si aveva la distinzione tra res mancipi e res nec mancipi; le res mancipi erano i beni direttamente collegati ai bisogni della familia, come i terreni, gli animali da allevamento e gli schiavi, invece res nec mancipi erano i beni di altro genere, tali da costituire una fonte di ricchezza per la familia.

Secondo lo ius civile uno dei modi per il trasferimento della proprietà era la mancipatio. La mancipatio era un negozio che si svolgeva per il trasferimento del dominium ex iure quiritium e avveniva alla presenza di cinque testimoni romani e di un libripens che teneva la bilancia per pesare il bronzo non coniato. Successivamente il mancipio accipiens con un pezzetto di bronzo compiva la vindicatio dell’oggetto, così il libripens invitava il mancipio accipiens a toccare il bronzo che poi veniva consegnato al mancipio dans come simbolo del prezzo.[8]

Bisogna tenere in considerazione come la mancipatio è un atto solenne che consiste nel trasferimento del dominio di una cosa attraverso una finzione legale, in cui sono utilizzati la bilancia e il rame per garantire a tutti gli effetti il passaggio di proprietà anche se il pagamento avveniva in maniera differente. Come afferma lo stesso Gaio:

Est autem mancipatio, ut supra quoque diximus, imaginary quaedam venditio: Quod et ipsum ius proprium civium Romanorum est(…)”.[9]

Ed ancora Gaio chiarisce i passaggi della forma solenne della mancipatio:

[…] Eaque res ita agitur: Adhibitis non minus quam quinque testibus civibus Romanis puberibus et praeterea alio eiusdem conditionis, qui libram aeneam teneat, qui appellatur libripens, is, qui mancipio accipit […]”.[10]

I requisiti fondamentali della mancipatio erano: 1. Essere cittadino romano; 2. Essere pubescenti; 3. Possedere lo ius commercium. L’importanza della mancipatio sta nel fatto che il bene alienato diviene subito di proprietà dell’acquirente.

Un ulteriore modo di vendita dei beni è la traditio che riguarda le res nec mancipi corporales e non ha un rituale particolare come avviene nella mancipatio. In particolar modo la traditio appartiene allo ius gentium e fu utilizzata inizialmente per trasferire il possesso e successivamente come modo per acquisire la proprietà. Un elemento fondamentale della traditio è, inoltre, la iusta causa, il cui concetto ci viene spiegato dal giurista Paolo:

“Numquam nuda traditio transfert dominium, sed ita, si venditio aut aliqua iusta causa precesserit propter quam traditio sequetur”[11].

Secondo la dottrina prevalente la traditio risulta per certi versi ambigua e produce effetti diversi a seconda delle intenzioni delle parti, in quanto prevalentemente è caratterizzata dalla presenza di un preciso accordo riguardante la consegna della cosa e il pretium. In tal senso l'accordo porta una iusta causa che permette alla traditio di produrre il suo effetto traslativo e far acquisire la proprietà del bene.

Il terzo modo di acquisto della proprietà è la in iure cessio[12] ossia la cessione in tribunale. Lo svolgimento del processo ricalcava la legis actio sacramento in rem, in cui le due parti (venditor ed emptor) fingevano di contestare la proprietà di una cosa determinata; l’emptor pronunziava la formula solenne della vindicatio e l’acquirente invece rinunciava alla formula della controvindicatio. Nel diritto postclassico la in iure cessio scomparve e fu sostituita dalla traditio.

Dopo aver esposto brevemente le modalità attraverso cui si procedeva nel rapporto contrattuale di compravendita, appare opportuno chiarire citando la visione del Cannata, il quale ha evidenziato come la struttura del contratto di compravendita fu basata sulla fides e la prima forma fu quella della vendita a contanti attraverso mancipatio o traditio. I giuristi classici hanno identificato la compravendita come una modifica della vendita a contanti e della mancipatio, data la crescente necessità di trovare soluzioni idonee per il commercio internazionale.

Secondo il Talamanca lo sviluppo dei traffici economici tra i peregrini e romani e gente di diversa nazionalità avrebbe favorito l’emptio venditio, frutto del distacco del ius civile.

Il modello dell’emptio venditio appartenente allo ius gentium riprendeva in maniera minima gli istituti dello ius civile e si allontanava totalmente dal contratto di compravendita ellenistico.

La dottrina, con riguardo all’emptio venditio ha elaborato tre ipotesi che potremmo così riassumere: la prima faceva riferimento alla negazione dell’emptio venditio come ius gentium e collocandolo nello ius civile; la seconda teoria faceva risalire l’emptio venditio dallo ius civile e recepita poi anche dai peregrini grazie a dei trattati; la terza che l’emptio fosse totalmente legato allo iuris gentium.

Sula base dello studio effettuato e sulla base di una mia considerazione personale, oltre che da autorevole dottrina, si può certamente affermare che la compravendita consensuale romana fosse distaccata dallo ius civile e nata per disciplinare i rapporti commerciali tra Romani e stranieri. Lo sviluppo della fattispecie si deve principalmente all’operato del praetor peregrinus e successivamente fu estesa nei rapporti tra cives.

La tesi che fa derivare l’emptio venditio dallo ius gentium trova conferma anche in alcuni passi di Paolo:

Origo emendi vendendique a permutationibus coepit. olim enim non ita erat nummus neque aliud merx, aliud pretium vocabatur, sed unusquisque secundum necessitatem temporum ac rerum utilibus inutilia permutabat, quando plerumque evenit, ut quod alteri superest alteri desit. sed quia non semper nec facile concurrebat, ut, cum tu haberes quod ego desiderarem, invicem haberem quod tu accipere velles, electa materia est, cuius publica ac perpetua aestimatio difficultatibus permutationum aequalitate quantitatis subveniret.(….)”[13]

4. L’emptio venditio nel De Agricoltura di Catone e nel brano di Varrone

Inquadrata in questi termini l’emptio venditio ovvero come contratto consensuale derivato dallo ius gentium si può di certo parlare adesso delle prime forme di vendita di cui abbiamo notizia.

In particolar modo le prime testimonianze relative alla vendita ci sono giunte grazie al De Agricoltura di Catone e alle commedie Plautine.

Catone ha riportato chiaramente nella sua opera dei veri e propri modelli di contratto che potevano essere conclusi inter cives. La più importante lex venditionis riguardava la vendita delle olive che erano ancora appese sull’albero e lo stesso Catone consigliava le tecniche e le modalità che il proprietario del fundus doveva utilizzare per il corretto svolgimento della compravendita.

A tal proposito:

Oleam pendentem hac lege venire oportet. Olea pendens in fundo Venafro venibit. Qui oleam emerit, amplius quam quanti emerit omnis pecuniae centesima accedet,(praeconium praesens SSL), et oleum: (Romanici P.D, viridis P. CC,) oleae (caducae M̊ L, strictivae M̊ X modio oleario mensum dato), unguinis P. X; (…..)”[14]

Nel brano Catone mentre al venditor consiglia di dare una certa quantità di olio e di olive, e di comportarsi recte e in bona fides, all’emptor cerca di far comprendere che vi è un obbligo di pagare il prezzo, le spese d’asta e il banditore. Inoltre fino a quando non si pagherà il pretium gli oggetti dell’emptor verranno trattenuti nel fundus a titolo di pegnum e qualora non paghi la merx, tutta l’attrezzatura diverrà di proprietà del dominus.

Come appare evidente si tratta di una lex venditionis abbastanza complessa in cui la merx deve essere raccolta dall’emptor e il venditor ha il diritto di trattenere una parte del frutto stesso.

Nello specifico occorre chiarire come la compravendita di cui sopra si perfeziona con l’accettazione della controparte durante l’asta e l’accordo sarebbe stato manifestato e divenuto efficace con l’addictio che perfezionava il consenso.

Va rilevato peraltro che all’interno del contratto di compravendita catoniano manca il riferimento ad un espressa stipulatio del dominus, con la quale si sarebbe impegnato a consegnare il prodotto venduto. L’assenza di una stipulatio da parte del dominus ha fatto sorgere diverse teorie tra gli studiosi che ancora tutt’ora non sono state risolte. Una parte della dottrina aveva evidenziato come l’emptor provvedendo direttamente alla raccolta dei frutti ci trovava nella materiale disponibilità della cosa e risultava superflua una stipulatio da parte del dominus.[15]

Ovviamente un'altra parte della dottrina ha precisato come lo stesso Catone ha probabilmente voluto dare dei consigli più al dominus che all’emptor e non ha inserito tutto il procedimento contrattuale che prevedeva delle stipulatio reciproche che perfezionavano il negozio giuridico.[16]

Altri studiosi hanno cercato di comprendere il perché dell’assenza di una stipulatio da parte del venditore, ma una risposta certa nonostante i vari studi non si è avuta; l’unica cosa che sembra essere evidente è il riferimento al termine recte, in quanto il venditor avrebbe dovuto comportarsi secondo le regole della correttezza dopo l’addictio.

Tutto questo sembra essere un elemento che ci conferma la presenza di un accordo informale per la conclusione delle olive che avrebbe vincolato entrambi nonostante l’assenza di stipulationes reciproche.[17]

Un ulteriore testimonianza della compravendita nell’età repubblicana ci viene fornita da Marco Terenzio Varrone, il quale fa riferimento al mancato adempimento dell’obbligazione da parte di un contraente. A tal proposito Varrone nel De Re rustica scrisse:

In emptionibus ovium iure utimur eo, quo lex praescripsit; in ea enim alii plura, alii pauciora excipiunt: quidam enim pretio facto in singulas oves, ut agni cordi duo pro una ove adnumerentur, et si quoi vetustate dentes absunt, item binae pro singulis ut procedant. De reliquo antiqua fere formula utuntur: cum emptor 22 dixit: «Tanti sunt mi emptae?» et ille respondit: «sunt» et expromisit nummos, emptor stipulatur prisca formula sic: «Illasce oves, qua de re agitur, sanas recte esse, uti pecus ovillum, quod recte sanum este, extra luscam, surdam, minam (id est ventre glabro), neque de pecore morboso esse, habereque recte licere; haec recte fieri spondesne?». Cum id factum est, tamen grex dominum non mutavit, nisi est adnumeratum; nec non emptor potest ex empto vendito illum damnare si non tradet, quamvis non solverit nummos; ut ille emptorem simili iudicio, si non reddit pretium.”[18]

Il passo contiene delle informazioni molto importanti con riguardo allo schema negoziale della compravendita in cui i due contraenti erano soliti scambiarsi un accordo reciproco senza ricorrere alla formula solenne della stipulatio.

Questo non fa altro che riaffermare la posizione di alcuna parte della dottrina che aveva sostenuto come delle volte la compravendita poteva avvenire anche in assenza di forme solenni, così come abbiamo visto precedentemente nel De Agricoltura di Catone.

Il testo di Varrone ci presenta la nascita delle obbligazioni in capo ai contraenti, in cui il venditor prometteva e garantiva per la consegna del bene e l’assenza dei vizi sulla cosa, invece l’emptor garantiva il pagamento del pretium della cosa.[19]

Inoltre il compratore poteva agire ex empto per ottenere la condanna del venditore che non abbia effettuato la traditio della res e al contempo veniva garantito al venditore di agire per la consegna dei nummi spettanti.

5. Actio empti

Nel diritto romano in età classica le azioni esperibili a tutela dell’emptio venditio erano le azioni di buona fede quali actio empti esercitabile dal compratore e l’actio venditi esercitabile dal venditore.

Significativo è il passo di Ulpiano:

Quia adsidua est duplae stipulatio, idcirco placuit etiam ex empto agi posse, si duplam venditor mancipii non caveat: ea enim, quae sunt moris et consuetudinis, in bonae fidei iudiciis debent venire.”

Il passo presenta una tutela del compratore contro il venditore anche in assenza di una stipulatio reciproca come lo si denota dalla constatazione “quae sunt moris et consuetudinis, in bonae fidei iudiciis debent venire”[20]

Come appare evidente se non vi era la stipulatio, come accadeva spesso nello ius gentium, la garanzia veniva data al compratore tramite l’actio empti, ossia un’azione basata sulla buona fede e sulla consuetudine.

Così l’actio empti poteva essere esperita anche qualora il venditor avesse tratto ingiusto profitto dalla res tacendo anche dei vizi o avesse riferito qualità inesistenti. Secondo Letizia Vacca qualora si ravvisi un dolus in contrahendo si avrà l’id quod interest, ossia il risarcimento del danno subito dal compratore. Inoltre la buona fede era fondamentale per riconoscere una possibilità di sanzionare il dolus in contrahendo del venditore nell’ambito del iudicium empti e della valutazione dell’oportere ex fide bona a carico dei contraenti.

Dalle fonti possiamo comprendere con estrema certezza che il iudicium empti spettava al giudice, il quale doveva quantificare anche l’ammontare del risarcimento nei confronti del compratore. La valutazione del quantum dovuto dall’emptor nell’actio empti e concesso nomine evictionis sarebbe fondato sul pregiudizio subito a causa del mancato conseguimento dell’habere licere. Il iudex era, dunque, “autorizzato” a valutare la situazione nei termini descritti l’oportere ex fide bona, e ad utilizzare, laddove opportuno, il pretium recipere oppure un id quod interest.[21]

Qualora il venditor si renda inadempiente, il magistrato concede all’emptor l’actio empti, la cui formula risulta essere così costruita:

 “C. aquilius iudex esto. quod aulus agerius de numerio negidio hominem emit, qua de re agitur, quidquid ob eam rem numerium negidium aulo agerio dare facere oportet ex fide bona, eius c. aquilius iudex numerium negidium aulo agerio condemnato. si non paret absolvito.”

Ed ancora ulteriori informazioni ci vengono fornite da Ulpiano:

Si res vendita non tradatur, in id quod interest agitur, hoc est quod rem habere interest emptoris: hoc autem interdum pretium egreditur, si pluris interest, quam res valet vel empta est.”[22]

Nel passo si comprende come il compratore agendo con l’actio emptio agisce per ottenere l’habere rem e far emergere la situazione in cui si trova l’emptor data l’assenza della cosa.

6. Le modifiche dell’emptio venditio nell’epoca giustinianea

L’emptio venditio è un contratto che è stato perfezionato durante il regno dell’imperatore Giustiniano. Nello specifico tenendo in considerazione D.18, 1, 2:

Emptio et venditio contrahitur cum de pretio convenerit, quamvis nondum pretium numeratum sit ac ne arra quidem data fuerit.”

Come si può leggere nel Digesto l’emptio venditio è un contratto consensuale che si perfeziona con il semplice accordo tra le parti sul prezzo e l’oggetto della vendita. Tuttavia il trasferimento della proprietà richiede la consegna dell’oggetto, ossia la traditio. Questo contratto è contraddistinto dalla natura obbligatoria dove il venditore si impegna a consegnare il bene e l’acquirente a pagare il prezzo concordato.

Le riforme giustinianee chiarirono e consolidarono le norme esistenti e posero particolare attenzione sulla consensualità del contratto e sulle garanzie offerte all’acquirente, inclusa la protezione contro vizi occulti e l’evizione. Come si evince in Inst. 3, 23,1 :

Emptio et venditio contracta intellegitur, cum de pretio convenerit, quamvis nondum pretium solutum sit neque arra data”

Le modifiche avvenute al contratto durante il periodo di Giustiniano sono state esaminate da eminenti studiosi quali lo stesso Arangio Ruiz, il quale sottolinea l’importanza delle modifiche giustinianee per rendere più chiara la struttura del contratto e rafforzare le protezioni per entrambe le parti. Secondo Arangio-Ruiz tali riforme hanno affrontato problemi pratici come la tutela dell’acquirente, l’evizione e i vizi occulti, rendendo il contratto di compravendita più equo e creando così un sistema economico più stabile.[23]

Inoltre analizzando D.18, 1, 13, 22 si denota come era necessario affinché il contratto di compravendita si perfezionasse che vi fosse la traditio della res[24]. A tal proposito è opportuno menzionare la tesi del Talamanca, il quale riconosce la consensualità del contratto di emptio venditio e la necessità della traditio per il trasferimento della proprietà; tuttavia, egli critica la rigidità della separazione tra contratto obbligatorio e trasferimento reale, precisando che nella pratica giuridica romana poteva essere meno netta. Nello specifico Talamanca osserva che sebbene la traditio fosse richiesta, potevano esistere situazioni in cui la proprietà si considerava acquisita anche in assenza di una traditio formale.[25]Questa era una prassi utilizzata in epoca giustinianea, a detta del Talamanca, per trovare un equilibrio tra la formalità giuridica e le pratiche commerciali esistenti all’epoca.

Una visione parzialmente opposta ci viene offerta da Gallo, il quale considera la traditio come elemento essenziale per il trasferimento della proprietà e che garantiva la certezza del diritto nel sistema giuridico[26].

A tal proposito tale tesi ci viene confermata da Ulpiano in D. 18, 1, 19:

“Paulus libro XXXI ad edictum: Si id, quod eministi, nondum tibi traditum sit, adhuc venditoris sit”

Secondo Gallo, le norme di Giustiniano hanno portato a delle maggiori garanzie per le parti facendo in modo che il trasferimento della proprietà avvenisse solo dopo la traditio e sottolineando l’importanza di fissare un prezzo tra le parti. come si evince in D. 18, 1, 2:

“Pretium autem constitui oportet nam nulla emptio sine pretio esse potest……”

Peraltro va considerato come le riforme di Giustiniano abbiano reso più chiaro ed accessibile il sistema giuridico romano, fornendo una base per le tradizioni giuridiche occidentali.

7. Considerazioni Conclusive

Il contratto di compravendita nell’antica Roma si basava su dei principi chiari e ben definiti, tra cui il consenso delle parti, l’oggetto della vendita e il prezzo. Questi principi sono stati recepiti dai diversi ordinamenti giuridici moderni grazie allo studio delle fonti romanistiche durante il Medioevo che hanno permesso la riscoperta del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano e l’insegnamento del diritto romano nelle università europee, come Bologna. L’impronta indelebile del diritto romano la si può trovare sui moderni codici civili, come il codice civile francese del 1804 e il codice civile italiano del 1942.

L’influenza della tradizione romanistica dell’emptio venditio è profonda e pervasiva, continuando a guidare le moderne transizioni economiche moderne e il diritto contrattuale moderno. 


Note e riferimenti bibliografici

[1] D. 18.1.1.2, Paul;

[2] Gai 3.139

[3] La compravendita di Arangio Ruiz, 1980, Jovene editore

[4] D. 12, 4, 16 (Celso, 3 digst)

[5] La compravendita di Arangio Ruiz, 1980, Jovene editore; Talamanca, Una verborum obligatio e obligatio re et verbis contracta, in Iura 50 (1999)

[6] M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano (Milano 1990) 586; I D., voce Vendita (dir. rom) cit., 380 ss.;

[7] Cristaldi , «Dedi tibi pecuniam ut mihi Stichum dares». A margine di D. 12.4.16, studi per Giovanni Nicosia, Giufrè editore

[8] M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, 2015 Giuffrè editore

[9] Gaio in Istituzioni: Lib. 1, par. 119. (traduz. Per il resto, la mancipazione è come si diceva prima, una specie di vendita immaginaria: che è per sé, è propria del diritto dei cittadini romani)

[10] Gaio in Istituzioni: Lib.1, par. 119(traduz. E ciò si fa così: convocati non meno di cinque testimoni, cittadini romani e pube, e un altro della stessa condizione, che regge una bilancia di rame, che si chiama portatore di bilancia, e che riceve la cosa da mancipare)

[11] D.41.1.31pr. (Paul.31 ad ed)

[12] M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, 2015 Giuffrè editore

[13] D. 18.1.1. Paul

[14] De agricoltura, Catone 146.1-3

[15] F. Gallo, Studi sul trasferimento del diritto romano, Torino 1955

[16]. Arangio Ruiz, La compravendita in diritto romano, I-II, Napoli, 19562,

[17] Burdese Alberto, Catone e la vendita, In Studia et documenta historiae et iuris vol. 66 (2000) p. 269-276 

[18] De re rustica 2.2.5-6, Varrone

[19] V. Arangio Ruiz, La compravendita, Jovene editore, Napoli 1987

[20] L. Vacca, Ancora sull'estensione dell'ambito di applicazione dell''actio empti' in età classica, in IURA, XLV, 1994 (pubbl. 1997), p. 60

[21] M. Marrone, Istituzioni di Diritto Romano, Palermo, 2006,

[22] Ulp. 28 ad Sab. D. 19.1.1 pr.

[23] Arangio-Ruiz, V. Istituzioni di diritto romano, 1947

[24]  D. 18, 1, 13, 22: “ Emptio et venditio efficitur non solum ex contractu, sed etiam ex traditione”

[25] Talamanca M., Elementi di diritto privato romano, Milano, Giuffrè ,1986

[26] Gallo P., Il contratto di compravendita in diritto romano, Milano, Giuffrè