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Pubbl. Lun, 22 Apr 2024

Le Sezioni Unite si pronunciano in tema di effetti della mancata traduzione dell´ordinanza cautelare personale

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Chiara Squizzato
Praticante AvvocatoUniversità degli Studi di Padova



Il presente contributo è volto ad esaminare la sentenza dell´11 aprile 2024, n. 15069 (ud. 26 ottobre 2023), con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale attinente alle conseguenze della notifica dell´ordinanza di custodia cautelare personale nei confronti di un soggetto alloglotta.


ENG This contribution is aimed at examining the ruling of 11 April 2024, no 15069 (hearing of 26 October 2023), by which the United Sections of the Court of Cassation were called to resolve the jurisprudential conflict concerning the consequences of the notification of the pre-trial detention order against a subject who speaks a foreign language.

Sommario: 1. Il caso; 2. Gli orientamenti giurisprudenziali; 3. I motivi della decisione; 4. Conclusioni.

1. Il caso

Il caso di specie prende le mosse dall’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, il quale rigettava l’appello proposto, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., da T.P.N.

Egli, cittadino polacco, dopo essere stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per tentato omicidio, veniva assistito da un interprete, dal momento che non comprendeva la lingua italiana, all’udienza di convalida innanzi al Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Roma.

Successivamente, dal momento che, dopo la convalida del fermo e l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l’ordinanza veniva, in un primo momento, notificata in lingua italiana il difensore con due istanze chiedeva al giudice che ne venisse dichiarata la perdita di efficacia.

Il giudice adito rigettava le istanze sulla base del fatto che era intervenuta in un congruo termine la notifica dell’ordinanza tradotta in lingua polacca.

Avverso tale provvedimento, veniva proposto appello cautelare innanzi al Tribunale del riesame di Roma, con cui veniva contestata la congruità del termine entro cui era intervenuta la traduzione e, soprattutto, si evidenziava che le due istanze non avevano lo scopo di ottenere la traduzione dell’ordinanza di cui trattasi, bensì erano volte ad ottenere la declaratoria di inefficacia della stessa.

Avverso l’ordinanza di rigetto dell’appello, ha proposto ricorso per Cassazione l’accusato, per mezzo del proprio difensore, il quale deduceva l'error in procedendo, per avere il giudice del riesame ritenuto che l’omessa traduzione non avesse limitato le prerogative difensive; violazione di legge, con riguardo agli artt. 143, co. 5 e 6, 144, 146, 147 e 310, co. 2 c.p.p.; violazione di legge, con riguardo agli articoli 125 e 306 c.p.p., per avere il Tribunale del riesame ritenuto non rilevante il fatto che il Giudice per le Indagini Preliminari non avesse dato riscontro alle due istanze presentate dalla difesa, tese a far dichiarare l’inefficacia dell’ordinanza; violazione di legge, con riguardo agli artt. 143, co. 2 e 306 c.p.p., per non essersi il giudice pronunciato in ordine alla congruità del termine entro cui era intervenuta la traduzione.

Investita del ricorso la Prima Sezione Penale, ed invididuata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, con ordinanza del 4 maggio 2023, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, con riferimento al quesito «se la mancata traduzione entro un termine congruo in una lingua nota all’imputato che non conosca la lingua italiana dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale determini la nullità di detto provvedimento ovvero la perdita di efficacia della misura oppure comporti il solo differimento del termine per proporre impugnazione»[1].

2. Gli orientamenti giurisprudenziali

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, nel rimettere la suesposta questione alle Sezioni Unite, ha delineato in maniera chiara ed analitica i due orientamenti contrapposti in ordine agli effetti della mancata traduzione entro congruo termine dell’ordinanza cautelare personale.

In base ad una prima e più mite impostazione, in caso di omessa o tardiva traduzione dell’ordinanza cautelare personale emessa nei confronti di un soggetto alloglotta, la conseguenza non sarebbe da rinvenire nella nullità dell’atto, bensì nella mera irregolarità dello stesso.

È questo l’orientamento cui ha aderito la Prima Sezione al momento della remissione, sulla scorta di quanto affermato in diversi precedenti, in particolare della Quinta Sezione, secondo i quali la traduzione del provvedimento in lingua conosciuta dal suo destinatario è funzionale all’esercizio del diritto di difesa e non integra un elemento costitutivo dell’atto stesso. A dare ulteriore sostegno a questa lettura è la mancanza di un’espressa sanzione, all’art. 143, co. 2 c.p.p., in caso di violazione.

Diverso e più rigido orientamento, diffusosi in seguito alla pronuncia n. 5052/2003 delle Sezioni Unite, è volto ad individuare nell’omessa o tardiva traduzione dell’ordinanza che dispone l’applicazione di una misura cautelare personale nei confronti di soggetto che non comprende la lingua italiana un vizio dell’atto, dovendosi, tuttavia, distinguere gli effetti a seconda del momento di emersione della circostanza che il cittadino non conosce la lingua italiana.

In particolare, solamente qualora tale fatto fosse già conosciuto al momento dell’emissione dell’ordinanza si determinerebbe un’ipotesi di nullità intermedia, mentre diversamente sarebbe necessario disporre la traduzione del provvedimento in un congruo termine, in ottemperanza al dictum del secondo comma dell’art. 143 c.p.p.

3. I motivi della decisione

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno accolto il secondo orientamento, maggiormente garantista, non limitandosi solamente a ricostruire i due opposti indirizzi come sopra richiamati.

La Corte di Cassazione, invero, ha proceduto a collocare il contrasto che è stata chiamata a risolvere all’interno dell’attuale contesto legislativo e giurisprudenziale afferente al tema della capacità di difesa e degli strumenti di effettiva partecipazione al processo di colui che si trovi sottoposto a procedimento penale.

In primo luogo, le Sezioni Unite si sono dedicate, così, all’individuazione delle fonti da cui si desume il diritto del soggetto alloglotta ad ottenere la traduzione in lingua conosciuta dei provvedimenti di applicazione di una misura cautelare personale, ovverosia l’art. 6 CEDU, l’art. 111 Cost., così come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, gli articoli 2, pg. 1, e 3, pg 3, della Direttiva 2010/64/UE, attraverso il cui recepimento il nostro ordinamento ha provveduto a modificare la formulazione dell’art. 143 c.p.p., e l’art. 51 bis disp. att. c.p.p. Quest’ultimo, introdotto dal D. Lgs. 23 giugno 2016, n. 129, ad avviso dei giudici di legittimità, ha condotto ad un ampliamento delle prerogative difensive del soggetto alloglotta, nella misura in cui ne ha previsto il diritto all’assistenza gratuita di un interprete in sede di colloquio con il difensore.

A fronte di tale notevole estensione dei diritti riconosciuti all’indagato e imputato che non comprende la lingua italiana, tuttavia sono rimaste irrisolte alcune questioni, che hanno reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite in questa sede considerato.

Così inquadrato il contesto sistematico di riferimento, gli Ermellini hanno accolto l’impostazione secondo cui la tardiva o omessa traduzione dell’atto costituisce un vizio dello stesso.

Siffatta conclusione è supportata da argomenti di carattere sistematico, che affondano le loro radici nella sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993, pur intervenuta nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 143 c.p.p.

In particolare, «la necessità di una traduzione dell’ordinanza cautelare chiara, completa e celere trae il suo solido fondamento sistematico, che appare insuperabile, dal combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, Cost. e 6, par. 3, lett a), CEDU. Il provvedimento che dispone una misura cautelare personale, infatti, fin da subito, produce i suoi effetti tipici, incidendo direttamente sulla libertà personale dello straniero che non conosce la lingua italiana. Non è del resto indifferente per l’arrestato ottenere in tempi rapidi la traduzione dell’ordinanza cautelare che lo riguarda piuttosto che disporne a notevole distanza di tempo dalla sua esecuzione […]»[2].

Accolto il secondo orientamento, i giudici di legittimità si sono soffermati sulle differenze di disciplina legate al momento in cui emerge che il soggetto alloglotta non comprende la lingua italiana:

- nel caso in cui la mancata conoscenza della lingua italiana sia emersa prima dell’emissione del provvedimento cautelare e la traduzione non sia stata effettuata entro congrui termini, la misura cautelare va ritenuta adottata in assenza di un elemento costitutivo. L’art. 143 c.p.p., invero, ad avviso dei giudici di legittimità, deve essere letto in combinato disposto con l’art. 292, co. 2 c.p.p., il quale è volto ad assicurare al soggetto privato della libertà personale l’esercizio delle proprie facoltà difensive. Dunque, la violazione dell’obbligo di traduzione del provvedimento limitativo della libertà personale emesso nei confronti di soggetto alloglotta, dà luogo ad un’ipotesi di nullità intermedia, la quale deve «essere eccepita con l’impugnazione dell’ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità»[3].

- nel caso in cui emerga solo successivamente che il soggetto non è in grado di comprendere la lingua italiana è imposto al giudice di disporre la traduzione del provvedimento entro un termine congruo, dal momento che, in caso di inadempimento a tale obbligo, l’intera sequenza procedimentale compiuta fino a quel momento si vede pregiudicata nella sua validità.

Le Sezioni Unite non si sono limitate a risolvere il contrasto nei termini di cui sopra, peraltro chiarendo, con riguardo alla nozione di congruità del termine, che la relativa verifica va effettuata caso per caso ad opera del giudice di merito ed è sottratta al sindacato di legittimità qualora la decisione sia stata adeguatamente motivata, bensì hanno proseguito il loro ragionamento, affrontando la questione dell’interesse che deve necessariamente sussistere affinché il soggetto alloglotta possa validamente dolersi della mancata traduzione dell’ordinanza cautelare personale. Invero, l’indagato o imputato non può lamentarsi della mera omissione o tardività della traduzione, in quanto è chiamato ad indicare il pregiudizio concreto e attuale subito con riguardo alle proprie prerogative difensive, è chiamato a dimostrare come la mancata tempestiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza abbia influito sulle proprie strategie[4].

4. Conclusioni

Dall’esame della pronuncia in commento, risulta evidente come le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, richiamati i due orientamenti contrapposti, abbiano inteso definire il contrasto giurisprudenziale accogliendo l’indirizzo maggiormente garantista per l’imputato che deduca un pregiudizio concreto e attuale.

Ciò che merita di essere evidenziato è il fatto che gli Ermellini non si sono limitati a dirimere il contrasto per il quale sono stati chiamati a pronunciarsi, bensì hanno reso una sentenza fondamentale nell’individuare il contesto legislativo all’interno del quale la questione si è posta e nel chiarire le conseguenze, in punto di garanzie difensive, derivanti proprio da siffatto contesto. È solo alla luce di ciò, infatti, che si può cogliere la rilevanza di tale pronuncia, che ha sì accolto l’indirizzo maggiormente restrittivo, ma sempre operando il necessario bilanciamento tra esigenze contrapposte e, dunque, richiedendo, ai fini dell’accoglimento delle doglianze presentate dal soggetto alloglotta, la sussistenza di un effettivo pregiudizio alle garanzie di difesa.

Pertanto, la Corte di Cassazione, in virtù di quanto esposto, dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali, posto che quest’ultimo, il quale era comunque venuto a conoscenza della traduzione del provvedimento prima di presentare appello avanti il Tribunale del riesame, non aveva dimostrato la sussistenza di un pregiudizio concreto e attuale alle proprie prerogative difensive derivante dalla tardiva traduzione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 11 aprile 2024, n. 15069 (ud. 26 ottobre 2023), in De Jure.

[2] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 11 aprile 2024, n. 15069 (ud. 26 ottobre 2023), in De Jure.

[3] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 20 dicembre 2018, n. 1262, in De Jure.

[4] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 20 aprile 2023, n. 33455, in De Jure; Cass. Pen., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 6624, in De Jure.