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Pubbl. Gio, 27 Giu 2024

Il Consiglio di Stato sul rapporto tra accesso documentale e accesso civico generalizzato

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Carmela Fugazzotto
AvvocatoUniversità degli Studi di Messina



Il presente contributo, dopo un´attenta analisi dell´evoluzione delle diverse configurazioni del diritto di accesso, si concentra sulla sentenza del Consiglio di Stato del 2 febbraio 2024, n. 1117 la quale prevede che la richiesta di accesso civico generalizzato può essere avanzata da chiunque senza previa manifestazione di un interesse concreto ed attuale e senza onere di motivazione, poiché ciò è finalizzato a superare il divieto di controllo generalizzato sulle attività della Pubblica Amministrazione. Inoltre, il rapporto tra la regolamentazione dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico deve essere inteso non in termini di reciproca esclusione, ma piuttosto di inclusione e completamento, al fine di assicurare la tutela della conoscenza degli interessi coinvolti.


ENG This contribution, after a careful analysis of the evolution of the various configurations of the right of access, focuses on the Council of State ruling of 2 February 2024, n. 1117 which states that the request for generalized civic access can be initiated by anyone without prior demonstration of a concrete and current interest and without the burden of motivation, as this is aimed at overcoming the prohibition on generalized control over the activities of the Public Administration. Furthermore, the relationship between the regulation of documentary access and that of civic access must be understood not in terms of mutual exclusion, but rather of inclusion and completion, in order to ensure the protection of knowledge of interest involved.

Sommario: 1. L’evoluzione della disciplina sul diritto di accesso. Dall’accesso classico, a quello civico, fino a quello generalizzato; 2. Natura giuridica; 3. Accesso classico (documentale); 4. Accesso civico; 5. Accesso generalizzato: disciplina e natura; 6.Sentenza Consiglio di Stato del 2 febbraio 2024, n. 1117: il caso; 7. Decisione del Consiglio di Stato: le motivazioni di diritto; 8. Conclusioni.

1. L’evoluzione della disciplina sul diritto di accesso. Dall’accesso classico, a quello civico, fino a quello generalizzato

L’introduzione di norme in materia di accesso ai documenti amministrativi con la legge del 7 agosto del 1990, n. 241 ha segnato un’importante innovazione all’interno del sistema amministrativo basato sulla segretezza, portando ad un nuovo sistema imperniato sui principi di pubblicità e trasparenza.

Da subito, è utile chiarire come tale metamorfosi legislativa è andata di pari passo ai percorsi evolutivi della trasparenza e dell’accesso. La nozione di trasparenza utilizzata dal nostro legislatore è mutata con gli anni, tanto nell’estensione quanto nella finalità conformatrice dell’attività dell’Amministrazione a cui essa è destinata. A tale trasformazione del principio di trasparenza è corrisposta un’uguale trasformazione della disciplina dell’accesso, di cui ne costituisce la principale estrinsecazione.

In un primo momento la trasparenza è stata introdotta dal legislatore per imporre all’amministrazione la conoscibilità del suo operato all’esterno con lo scopo di permettere un controllo di conformità dell’azione amministrativa da parte dei soggetti coinvolti con i principi di legalità e imparzialità.

Tale originaria concezione normativa della trasparenza è legata alla fisionomia dell’accesso classico così come introdotto e disciplinato dalla legge n. 241 del 1990.

Quest’ultima, infatti, dopo aver previsto all’art. 1, comma 2, che l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e trasparenza”, all’art. 22, comma 2, pur riconoscendo l’accesso ai documenti amministrativi come principio generale dell’azione amministrativa, sottolinea come questo non può condure ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni; la legittimazione attiva ad azionare la pretesa ostensiva, difatti, lungi dall’essere riconosciuta in capo a chiunque è “ristretta” ad stratta cerchia di legittimati in possesso dei requisiti indicati dall’art. 22, comma 1, lett. b), che richiede “un interesse diretto, concreto, e attuale, corrispondente, ad una situazione giuridica tutelata al documento al quale è chiesto l’accesso”[1].

Una prima mutazione genetica[2] della nozione di trasparenza inizia ad intravedersi con il decreto legislativo del 24 ottobre 2009, n. 150, ove all’art. 11 si prevede l’accessibilità totale alle informazioni, da assicurare mediante la pubblicazione sui siti internet istituzionali delle pubbliche amministrazioni.

Su questa scia, la legge n. 190 del 2012 innalza la trasparenza dell’azione amministrativa quale misura traversale per la prevenzione ai fenomeni corruttivi e illegali nella pubblica amministrazione.

Partendo da queste premesse, poco dopo, sulla base della delega contenuta nell’art. 1, comma 35 della già menzionata legge, è stato introdotto il decreto legislativo del 14 marzo 2013, n. 33, che oltre a riunire in un unico corpus normativo gli obblighi di pubblicazione sparsi nei vari testi normativi, allarga il novero di atti e documenti oggetto di pubblicazione, costituendo la nuova sezione “Amministrazione Trasparente" all’interno dei siti istituzionali delle amministrazioni, individuando modalità e tecniche uniformi per assicurare la facile reperibilità e consultazione delle informazioni, fissando precise linee guida in materia di qualità delle informazioni.

Lo stesso decreto introduce il nuovo e importante istituto dell’accesso civico, che riconosce in capo a chiunque il potere di pretendere dalle amministrazioni non osservanti l’adempimento degli obblighi di pubblicazione, senza più richiedere- a differenza della disciplina prevista dalla legge n. 241/1990- la presenza dei requisiti legittimanti; pertanto, tutti possono accedere alle informazioni per le quali è prevista la pubblicazione sulla base del solo obbligo di pubblicazione previsto a carico delle amministrazioni.

E’ evidente, quindi, come la trasparenza non appare solo uno strumento di partecipazione e controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma diventa pioniera di un controllo diffuso e democratico della P.A., intesa come amministrazione aperta.

L’ultimo passaggio evolutivo si ha con il decreto legislativo n. 97 del  25 maggio 2016, intervenuto a novellare il già citato decreto legislativo n. 33/2013. L’art. 1 di quest’ultimo, come novellato nel 2016, non si limita a riconoscere la trasparenza quale totale accessibilità agli atti e documenti detenuti dalle P.A., ma altresì la considera strumento per “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”[3]. La trasparenza finisce, così, per atteggiarsi come principio funzionale al controllo democratico e generalizzato, diretto a garantire una maggiore partecipazione democratica, e non più solo amministrativa.

Conseguentemente, al fine di allargare e garantire maggiori ambiti di accessibilità ai dati e atti detenuti dalle P.A., introduce il nuovo accesso generalizzato statuendo che “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis”[4].

Pertanto, se senza pretendere più i requisiti legittimanti, differentemente a quanto previsto dalla disciplina prevista dal decreto legislativo n. 241/1990, il decreto legislativo n. 33/2013 riconosce a chiunque il diritto di accesso “civico” ai documenti detenuti dalle P.A. per i quali lo stesso decreto prevede l’obbligo di pubblicazione, il decreto legislativo n. 97/2016 riconosce un diritto di accesso “libero e universale” non solo ai dati oggetti di specifici obblighi ma anche agli ulteriori detenuti dalla Pubblica amministrazione.

Tali evoluzioni, rispondendo al “diritto di conoscere”, hanno determinato il passaggio da una forma di trasparenza di tipo “proattivo”, incentrata sull’obbligo di pubblicazione sui siti ministeriali delle P.A., a una forma di trasparenza di tipo “reattivo”, ossia in risposta alle richieste di conoscenza avanzate dagli interessati.

 2. Natura giuridica

Alla puntale ricostruzione della disciplina sostanziale del diritto di accesso, nelle sue varie configurazioni, giova anteporre una breve disanima circa la natura giuridica della posizione del soggetto che presenta l’istanza di ostensione. A riguardo, nel tempo si sono fronteggiati due orientamenti giurisprudenziali. Il primo[5] di essi propinava circa la natura di interesse legittimo della situazione soggettiva in questione, concependo l’atto emesso dall’amministrazione in ordine all’istanza di accesso come provvedimento amministrativo. Esso giungeva a questa conclusione sulla base del termine atecnico usato dal legislatore per indicare il diritto di accesso, mediante il quale si intendeva solamente enfatizzare la posizione di importante rilievo e dignità costituzionale di chi formulava un’istanza di accesso[6]. Inoltre, evidenziava che il legislatore disponendo che sull’istanza di accesso si doveva provvedere con atto motivato, mirava ad una valutazione comparativa degli interessi coinvolti, dell’amministrazione, dell’istante e degli eventuali controinteressati[7].

Contrariamente a quanto detto, l’opposto orientamento riconosceva al diritto di accesso ai documenti amministrativi la natura di diritto soggettivo.  A favore di tale tesi, deponeva la circostanza che l’amministrazione non dispone di margini di discrezionalità sull’istanza di accesso avanzata dal privato, inoltre i casi di sottrazione sono limitati e ben identificati dalla legge.

A tutto ciò si aggiungeva la considerazione che il ricorso amministrativo avverso al provvedimento di reiezione dell’istanza di accesso, in caso favorevole, si concludeva con un ordine di facere per l’amministrazione e non con una pronuncia di mero annullamento dell’atto di diniego.  È ben chiaro che l’adesione ad uno e altro orientamento porta a notevoli e diverse implicazioni sulla la giurisdizione del giudice amministrativo che sugli effetti del giudicato.

3. Accesso classico (documentale)

L’art. 22 della legge n. 241 del 1990 indica quali titolari del diritto di accesso tutti i soggetti privati, ivi inclusi i portatori di interessi pubblici diffusi, che vantano un interesse diretto, concreto e attuale, conforme ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui è chiesta l’esibizione[8].

L’interesse che legittima la richiesta di ostensione deve essere personale e concreto, nel senso che il soggetto che intende difendere la situazione di cui è portatore deve essere qualificata e ritenuta meritevole di tutela dall’ordinamento, non essendo sufficiente l’indistinto interesse del cittadino alla legalità e al buon andamento dell’attività amministrativa.

Tale specificazione va a definire meglio la nozione di soggetto “interessato” all’accesso, in quanto non è richiesto solo la presenza di un interesse diretto, concreto e attuale, ma anche una situazione giuridicamente tutelata “collegata al documento al quale si è chiesto l’accesso”[9]. Ciò posto, per stabilire se si è in presenza di un diritto di accesso bisogna far riferimento al documento di cui si richiede l’esibizione, al fine di ragguagliare l’incidenza, anche latente, sull’interesse di cui il soggetto è portatore.

Al fine di completezza, appare utile puntualizzare la possibilità di distinguere “l’accesso esoprocedimentale”, tutelato dall’art. 22 e ss., dall’ “accesso endoprocedimentale”; il primo consente all’estraneo del procedimento amministrativo la possibilità di chiedere l’esibizione dei documenti qualora dimostri la titolarità di un interesse giuridicamente tutelato, diversamente nel secondo il partecipante al procedimento amministrativo null’altro deve dimostrare se non la sua partecipazione al procedimento.

Come già osservato, l’interesse che legittima l’accesso deve essere differenziato e legato ad una situazione giuridica soggettiva rilevate; non è necessario che tale posizione presenti tutti i requisiti essenziali per l’instaurazione di un giudizio, la legittimazione all’accesso è riconosciuta a coloro sono in condizione di dimostrare che gli atti oggetto di richiesta di esibizione hanno o possono per il futuro produrre effetti diretti o non lesivi della propria posizione giuridica[10].

A tal riguardo, la Pubblica Amministrazione che detiene la documentazione cui accedere, non deve esprimersi sulla fondatezza della pretesa sostanziale per la quale sono necessari gli atti o sindacare sulla loro effettiva utilità, in quanto il controllo che è chiamata a fare si sostanzia soltanto nel giudizio estrinseco sull’esistenza di un bisogno di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, non preordinato ad un controllo generalizzato e indiscriminato sull’azione amministrativa, espressamente vietato ai sensi dell’art. 24, comma 3 l. 241/1990.

Se l’accesso ai documenti amministrativi, considerate le importanti finalità di interesse pubblico sottese, costituisce la regola generale dell’attività amministrativa, è importante rilevare che lo stesso art. 22 sopra richiamato dispone che tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad accezione di quelli specificatamente indicati all’art. 24, commi 1,2,3,5 e 6.

Quest’ultimo identifica limiti all’accesso e criteri per il bilanciamento fra gli interessi contrapposti. Tali limiti possono essere distinti in tassativi ed eventuali.

Sono tassativi quelli espressamente previsti dalla legge a tutela di preminenti interessi pubblicistici non derogabili dalla P.A. Specificatamente, sono inaccessibili i documenti coperti dal segreto di Stato, volti a tutelare interessi pubblici, la sicurezza e l’integrità dello Stato[11]; quelli coperti di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge; i documenti concernenti procedure selettive contenenti informazioni psico-attitudinali di terzi; ancora, quelli relativi a procedimenti tributari, e attività di elaborazione di atti normativi o amministrativi generali.

Diversamente, i limiti eventuali sono identificati dalla stessa P.A. con regolamento governativo al fine di tutelare interessi primati indicati dalla legge: sicurezza nazionale, politica monetaria e valutaria, ordine pubblico, riservatezza.

Tutto ciò premesso, va bilanciato con il diritto di difesa e della tutela degli interessi giuridici che fuggono da controlimite; infatti, l’accesso diretto a tale scopo (c.d. accesso difensivo) deve essere in ogni caso garantito anche in conflitto con gli interessi prima elencati. Sul punto, costante giurisprudenza sostiene che, ai sensi dell’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990, deve essere in ogni caso assicurato quando risulti funzionale alla tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, di interessi giuridicamente rilevanti, indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione penale, ben potendo l’acceso essere finalizzato a una valutazione preliminare se proporre tale azione o meno[12].

Seppure si potrebbe ritenere che l’accesso difensivo finisca per prevalere su tutti i limiti, tassativi e facoltativi, una specificazione è contemplata al comma 5 dell’art. 24 ove si legge che “i documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso”. Pertanto, la ricognizione normativa di documenti coperti da segreto detenuti da una specifica amministrazione pubblica non può portare all’automatica esclusione degli stessi dall’operatività del diritto di accesso, dovendo la stessa P.A. preliminarmente verificare se la diffusione arreca effettivamente un pregiudizio agli interessi a presidio dei quali il divieto è normativamente previsto.

4. Accesso civico

Esaminati i profili sistematici della disciplina dell’accesso classico, così come prevista dalla legge  n. 241 del 1990, appare necessario illustrare le due forme evolute dell’accesso, ossia quello civico e quello generalizzato.

La base applicativa dell’accesso civico, come anticipato, è costituita non da “tutti i documenti amministrativi”, come previsto dall’art. 22 legge n. 241/190 per l’accesso classico, ma dai soli documenti per i quali la legge prevede un obbligo di pubblicazione a carico dell’amministrazione.

A fondamento dell’istanza di accesso è sufficiente porre l’inadempimento della P.A. rispetto ad agli obblighi di pubblicazione previsti, senza che sia necessario nessun requisito legittimante e/o interesse collegato al documento di cui si richiede l’esibizione[13].

Dinnanzi alla richiesta di accesso civico non vi sono controinteressati, in quanto la valutazione dell’eventuale tutela è fatta dal legislatore stesso ex ante individuando i limiti entro i quali sussiste a carico dell’amministrazione obblighi di pubblicazione[14].

Inoltre, il procedimento attivato a fronte della richiesta di accesso civico deve concludersi sempre “con un provvedimento espresso e motivato” in quanto non è previsto che il silenzio della P.A. protratto per 30 giorni equivalga a rigetto.

Alla luce di ciò, è evidente che l’accesso civico si va ad aggiungere all’accesso classico documentale, senza eliminarlo; sussistendo i presupposti di cui all’art. 5, comma 1, decreto legislativo n. 33/2013 la scelta di quale forma utilizzare è dell’interessato, che deve valutare e scegliere quella idonea a soddisfare le proprie esigenze.

5. Accesso generalizzato: disciplina e natura

Come previsto dall’art. 5, comma 2, decreto legislativo n. 33/2013 con l’accesso generalizzato chiunque ha il diritto di accedere ad atti e documenti ulteriori rispetto a quelli per i quali le amministrazioni hanno specifici obblighi di pubblicazione, nel rispetto dei limiti a tutela degli interessi giuridicamente rilevati normativamente previsti.

La configurazione di totale apertura ha portato il sorgere di numerosi dubbi circa la natura di questo diritto. A riguardo, secondo alcuni si tratta di una sorta di azione popolare, altri, invece, conducono l’accesso civico generalizzato nell’area dei diritti pubblici di libertà, inteso come libertà di conoscere atti con i quali ciascuna Amministrazione esercita le proprie funzioni nella sfera di competenza[15].

L’istanza di accesso non necessita di motivazione o di indicazione circa gli interessi sottesi alla richiesta, non essendo questi valutabili dall’amministrazione, tenuta a fornire quanto richiesto.

Dal punto di vista procedimentale, dettando una minuziosa disciplina, l’art. 5, comma 3, prevede l’eventuale coinvolgimento di una nuova figura, il Garante della protezione dei dati personali, il quale interviene se l’accesso è negato o differito a tutela della protezione di dati personali. In tali circostanze, il responsabile della trasparenza provvede una volta sentito il Garante, che deve pronunciarsi entro dieci giorni dalla comunicazione, con contestuale sospensione del termine per l’adozione del provvedimento a decorrere da tale comunicazione fino alla ricezione del parere, per un periodo non superiore a dieci giorni.

La richiesta di accesso può essere trasmessa per via telematica alternativamente agli uffici che detengono i documenti richiesti, o all’istituzione appositamente indicata nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito istituzionale.

Giova evidenziare che, a differenza dell’accesso civico, nell’accesso generalizzato è possibile individuare eventuali controinteressati, a tutela dei quali la legge prevede appositi ausili e rimedi procedimentali e giudiziali.

A fronte di una richiesta di accesso, se l’amministrazione individua soggetti controinteressati[16] è tenuta a dare comunicazione agli stessi mediante lettera raccomandata con avviso di ritorno.  Ricevuta la comunicazione, ai controinteressati è riconosciuto un termine di dieci giorni per la presentazione di un’eventuale opposizione, decorso il quale l’Amministrazione provvederà sulla richiesta.

Un altro possibile esito procedimentale si ha nel caso in cui, nonostante la presenza di controinteressati, e i casi di “comprovata indifferibilità”, l’Amministrazione accoglie la richiesta e provvede a trasmettere i dati al richiedente, trascorsi 15 giorni dalla ricezione della comunicazione da parte degli stessi controinteressati.

Il procedimento si conclude con provvedimento espresso e motivato entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della richiesta con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati.

Diversamente dall’accesso classico, in mancanza di risposta non si forma il silenzio rigetto, potendo l’istante proporre istanza di riesame innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza, che in caso di rigetto totale o parziale, decide con provvedimento motivato entro il termine di venti giorni.

Con riferimento ad atti e documenti di amministrazioni delle regioni e degli enti locali il richiedente può presentare la richiesta al difensore competente per territorio. Quest’ultimo si pronuncia entro trenta giorni dal ricorso che deve essere notificato all’amministrazione interessata. L’accesso è consentito se l’amministrazione nel termine di dieci giorni non conferma il diniego o il differimento.

La tutela giustiziale non preclude la possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale, difatti se il richiedente si è avvalso del difensore civico il termine ultimo per agire in giudizio inizia a decorrere dalla data di ricevimento dell’esito della sua istanza al difensore civico. In caso di diniego o di differimento, il difensore civico provvede solo dopo aver sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro dieci giorni dalla richiesta. Inoltre, si prevede che la comunicazione al Garante sospende il termine per la pronuncia del difensore fino alla ricezione del parere del Garante per un periodo non superiore ai già detti dieci giorni.

6. Sentenza Consiglio di Stato del 2 febbraio 2024, n. 1117:il caso

Nella fattispecie in esame[17] i ricorrenti adivano al Tar Salerno per la dichiarazione dell’illegittimità del diniego espresso dal Comune all’istanza di accesso agli atti presentata nel corso di un procedimento di riqualificazione di un edificio storico finanziato in parte dal Ministero dell’Interno, deducendo con un unico motivo di ricorso la violazione del regolamento comunale per l’accesso agli atti e l’eccesso di potere.

Specificatamente, questi in prima battura presentavano istanza di accesso ai sensi della legge n. 241/1990 per acquisire alcuni atti a sostegno dell’approvazione del progetto; tale istanza veniva rigettata per carenza di interesse e motivazione.

Successivamente, gli stessi avanzano una nuova istanza di accesso, ai sensi del decreto legislativo n. 33/2013 e dell’art. 10 d.lgs. 267/200, sottolineando che i documenti e provvedimenti concernenti l’esecuzione di opere pubbliche rientravano tra quelli oggetti di pubblicazione obbligatoria nell’albo informatico dell’ente comunale. Nonostante ciò, deducevano di aver ricevuto una seconda risposta negativa con una nota confermativa della precedente.

Il Tar di Salerno adito sulla base di tali argomentazioni accoglieva il ricorso. Avverso tale decisione il Comune proponeva appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.

L'appellante deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 22 e ss. della legge n. 241/1990, ovvero dell’art. 5 decreto legislativo n.33/2013, il difetto e l’erroneità della motivazione.

In particolare, il Comune sosteneva che la nuova istanza di accesso presentata, già oggetto di rifiuto, in assenza di nuovi elementi o una diversa rappresentazione dell’interesse della parte legittimante all’accesso rispetto alla precedente, non obbligava l’amministrazione ad un nuovo esame, con la conseguente laicità del provvedimento meramente confermativo del precedente rigetto.

Ancora, con un secondo motivo di gravame, la parte appellante sosteneva l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure per aver ritenuto presenti i presupposti per l’accoglimento dell’istanza di accesso ai sensi dell’art. 5 d. lgs. n. 33/2013.

A ragion sua la già menzionata istanza e la successiva domanda giudiziale erano basate su indimostrate e pretestuose insinuazioni circa la perdita del finanziamento, ed inoltre, le stesse si presentavano d’intralcio al buon andamento della P.A., ostacolando lo svolgimento degli ordinari compiti d’ufficio.

7. Decisione del Consiglio di Stato: le motivazioni di diritto

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale pronunciandosi definitivamente sull’appello lo respinge, condannando il Comune appellante al rimborso delle spese di lite che quantifica in euro 5000,00 (cinquemila), oltre gli oneri accessori di legge, a favore delle parti costituite in giudizio.

A sostegno della sua decisione, il Consiglio di Stato ritiene utile richiamare principi già espressi e chiariti in precedenti pronunce.

È ampiamente assodato che l’accesso civico “generalizzato” consente a chiunque di richiedere ed avere copia di atti e documenti “ulteriori” rispetto quelli pubblicati per previsione di legge (art. 5, comma 2, d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33). Tale modalità di accesso, non sottoposto a limiti ed oneri di motivazione circa la sussistenza dell’interesse alla conoscenza, è riconosciuto al fine di garantire un ampio controllo sul perseguimento delle funzioni pubbliche e favorire il dibattito pubblico, superando i limiti tipici dell’accesso documentale, incentrato sulla protezione di interessi individuali. In tal modo, l’interesse individuale alla conoscenza è in sé protetto, in assenza di qualsiasi voglia ragione di interesse pubblico o privato[18].

Come ampiamente puntualizzato da copiosa giurisprudenza amministrativa, il rapporto tra le due configurazioni dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato deve essere interpretato non in modo antinomico di esclusione reciproca, bensì in maniera integrativa e di completamento diretto alla tutela dell’interesse coinvolto[19].

Tuttavia, come già ampiamente trattato, questa generale accessibilità è temperata dalla previsione di accezioni[20], assolute e relative[21], normativamente previste, in presenza delle quali le amministrazioni possono o devono rifiutare l’accesso.

Tutto ciò premesso, nel caso di specie dall’analisi della motivazione del provvedimento di diniego non emergeva nessuna eccezione che poteva precludere l’accesso generalizzato; al contrario, con riferimento alla seconda istanza  di accesso civico generalizzato, il Comune non si era per niente pronunciato.

Ancora, non poteva essere condivisa la tesi dell’eventuale abuso del diritto di accesso civico generalizzato. Com’è noto, infatti, secondo la configurazione maggiormente sostenuta in dottrina, l’abuso di diritto si verifica in tutte le ipotesi di deviazione dell’esercizio del diritto rispetto alla finalità per il quale lo stesso è riconosciuto.

Nella situazione in esame, al contrario, dalla natura degli atti richiesti al Comune emergeva non solo la ragionevole esigenza conoscitiva alla conoscenza degli stessi, ma ancora la conformità della richiesta di accesso alle finalità a cui lo stesso è preordinato.

Pertanto, alla luce della ricostruzione operata, il Collegio respingeva l’appello con conseguente conferma della sentenza impugnata.

8. Conclusioni

La pronuncia analizzata si pone sotto i riflettori per la profonda ricostruzione dei profili sistematici dell’istituto dell’accesso. In particolare, rimarcando che il rapporto tra le due discipline, accesso documentale e accesso civico generalizzato, debba essere interpretato no come criterio di esclusione reciproca,bensì di integrazione e completamento,al fine di assicurare, seppure nella diversità dei regimi, la tutela dell’interesse alla conoscenza coinvolto, il quale è protetto ex se, coglie l’occasione per sottolineare come quest’ultimo sia garantito in via autonoma al fine di assicurare un controllo democratico sull’attività amministrativa, fermo restando le eccezioni stabilite dalla legge.

A riguardo, le amministrazioni non godono di nessun potere valutativo se i dati già pubblicati soddisfino e meno l’interesse conoscitivo alla richiesta, devono soltanto garantire l’accesso ai dati da loro detenuti, non disponendo di nessun margine di valutazione circa la loro utilità al richiedente.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Legge del 7 agosto 1990, n. 241.

[2] PATRONI GRIFFI, La trasparenza della pubblica amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, aprile 2013.

[3] Articolo 1, comma 1, decreto legislativo n. 33/2013, come novellato dal D. lgs. N. 97/2016.

[4] Articolo 5, comma 2, decreto legislativo. n. 33 del 2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016.

[5] Cons. Stat. ad. plen. del 24 giugno 1999, n. 16.

[6] Cons. Stat. ad. plen. del 24 aprile 2012, n. 7.

[7] BACOSI, Il “diritto” di accesso, ribadisce l’Adunanza Plenaria, sa di interesse legittimo, in Giust. Amm., 2001, 702.

[8] CARPENTIERI, La legittimazione all’accesso una questione non ancora chiarita, nota a Tar Campania, Napoli, Sez. I, 23 febbraio 1995, n. 38, in Foro amm.,1995.

[9] Cons. Stat., Sez. V, 30 agosto 2013, n. 4321.

[10] Cons. Stat., Sez VI,sentenza n. 3938 del 27 giugno 2018.

 [11] Cons. Stat., Sez. IV,sentenza  n. 389 del 19 gennaio 2011.

[12] Cons. Stat., Sez. V, sentenza n. 1664 del 9 marzo 2020.

[13] PARISIO, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in www.federalismi.it, 2018.

[14] Articolo 7 bis., decreto legislativo n. 33 del 2013.

[15] CUMIN, Il “nuovo” diritto civico di accesso, con particolare riguardo alla giurisdizione del G.A., in www.lexitalia.it, aprile 2013.

[16] Articolo 5, comma 5, decreto legislativo. 33/2013.

[17] Cons.  Stat, Sez. IV, 2 febbraio 2024, n. 1117.

[18] Cons. Stat., Sez. V, 4 gennaio 2021, n. 60.

[19] Cons. Stat. ad. plen.  n. 10/2020.

[20] Art. 5 bis d.lgs. n.33 del 2013.

[21] Nelle Linee guida Anac adottate con deliberazione n. 1309 del 28 dicembre 2016, concernente indicazioni operative e di esclusioni all’accesso civico generalizzato, è chiarito che nel caso delle eccezioni relative il legislatore non opera una preventiva individuazione di esclusione, come avviene per le eccezioni assolute, ma rimanda ad un’attività valutativa di bilanciamento che le Amministrazioni sono onorate di fare caso per caso , tra l’interesse pubblico all’accesso generalizzato e la tutela degli altrettanti interessi presi in considerazione dall’ordinamento.