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Pubbl. Lun, 18 Gen 2016

L’esterovestizione societaria: verso gli obiettivi della Cooperazione Fiscale Internazionale

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Gaetano Locci


Frequentemente, le moderne realtà di gestione societaria sono interessate da tecniche elusive del regime fiscale nazionale e, di contro, tendenti ad accedere a trattamenti fiscali agevolati. Segue l´analisi dell´operazione di esterovestizione societaria, quale fenomeno rilevante sotto il duplice profilo penal-tributario.


Notoriamente lo scopo principale della localizzazione delle attività in un paese a regime fiscale agevolato, è quello di assoggettare gli utili a minore tassazione. In tale ambito, con il termine esterovestizione ci si riferisce alla fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società, all’estero, che di fatto è attiva e opera in Italia. Saranno, infatti, ritenute fittizie le localizzazioni all’estero di società se verrà accertato che in Italia:

  1. si tengono alcuni consigli di amministrazione della società straniera;
  2. si definiscono i contratti di vendita;
  3. viene elaborata la contabilità industriale;
  4. risiedono le risorse finanziarie e il controllo del soggetto estero.

 A regolare l’aspetto della residenza fiscale societaria, in Italia, ne troviamo conferma nel TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che come disposto dall’ art. 73 comma 5-bis, “i soggetti esteri che hanno nel territorio dello Stato italiano la sede dell’amministrazione, si considerano fiscalmente residenti nel medesimo Stato”. Si tratta, in verità, di una disposizione assoluta che si colloca al limite tra il criterio di imposizione e la presunzione assoluta d’imposta, ma si avvicina molto a quest’ultima. Pertanto, si considera esistente nel territorio dello Stato, la sede dell’amministrazione di società ed enti non residenti, le quali detengono partecipazioni dirette di controlli in società ed enti residenti.

A tal proposito la residenza degli amministratori deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’art. 2 TUIR. La società verrà considerata fiscalmente residente in Italia, “qualora per la maggior parte del periodo d’imposta, risulti prevalentemente amministrata da consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.

L’eventuale contestazione, da parte della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate, della residenza fiscale in Italia di società o enti residenti, mette in luce la necessità di verificare le possibili conseguenze sia sotto l’aspetto fiscale che penal-tributario.

A tal riguardo viene da pensare: quali sono le norme applicabili alla materia in oggetto?

Alla fattispecie in oggetto non sembrano applicabili le ipotesi di interpello antielusivo regolate dall’art 21 della L. 413/1991, nè quello relativo alle società controllate estere, cosiddette CFC, di cui all’art. 167 TUIR. A proposito è stato emanato un decreto c.d. Internazionalizzazione, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, il 21 Aprile 2015, il quale prevede l’introduzione di un nuovo strumento in materia, “Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale”. Il nuovo strumento consentirà anche la definizione preventiva dei valori di uscita e di ingresso in caso di trasferimento della residenza, ai sensi degli artt. 166 e 166-bis del TUIR.  

Per l'Amministrazione Finanziaria è sempre stato piuttosto difficile provare la reale localizzazione di una società, in particolare per quanto riguarda la sua sede amministrativa. In modo particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate la verifica dell’effettiva sede dell’amministrazione di una società "investe complessi profili di fatto del reale rapporto di una società con un determinato territorio". Ci tengo a ricordare la Risoluzione n. 312/E-2007 ( prima risoluzione “pilota” concernente l’esterovestizione successivamente all’introduzione degli artt. 5-bis e 5-ter dell’art 73 TUIR),  l’Agenzia ha ritenuto inammissibile l’istanza di interpello presentata da una holding di mera gestione di partecipazioni con sede legale ed amministrativa ad Amsterdam, diretta a chiarire in quale Stato essa debba ritenersi fiscalmente residente.  

L'onere della prova non è più a carico dell'Amministrazione Finanziaria, bensì della società sottoposta a verifica.                  In applicazione del principio di tassazione nel Paese della sede della “effettiva direzione” or place of effective management, i redditi conseguiti dal soggetto c.d. esterovestito, la cui residenza fiscale viene riqualificata nel territorio dello Stato italiano, sono assoggettati a tassazione in Italia. A ciò va detto che, qualora i soggetti interessati non abbiano proceduto a porre in essere nello Stato comportamenti dichiarativi, si applica la disposizione dell’art 41 D.P.R. 600/73, che consente agli Uffici impositori di procedere all’accertamento d’ufficio dei redditi di tutti i contribuenti che abbiano omesso la dichiarazione.                         

Quali profili penal-tributari da considerare nelle società esterovestite?

Posso ben dire che gli amministratori delle società esterovestite che subiscono la procedura di cui al comma 5-bis dell’art 73 TUIR, nel senso che risultano soccombenti a fronte della presunzione prevista, riceveranno l’avviso di accertamento con recupero delle imposte evase, quindi possono altresì essere destinatari di rilevanti conseguenze sanzionatorie, sia a livello tributario che penale.

Dunque il reato tributario che viene in risalto è quello di omessa dichiarazione di cui all’art 5 d.lgs. n. 74/2000, come rubricato, “è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi  o sul valore aggiunto, non presenta, pur essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 3.000”.

L’unica strada da percorrere per poter sostenere la buona fede del contribuente, e quindi l’inesistenza del reato per assenza di dolo, è quella di chiedere l’applicazione dell’art.15 d.lgs. n. 74/2000, a mente del quale non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione. Quindi la responsabilità penale per il reato di omessa dichiarazione deriva solo quando il giudice ha potuto ricostruire l’esistenza di tutti gli elementi del reato medesimo, c.d. libero convincimento del giudice. Orbene, indipendentemente dalla casistica posta in essere dal comma 5-bis dell’art 73 TUIR, può divenire rilevante la dimostrazione della sede legale o dell’amministrazione nel territorio dello Stato di cui al comma 3 dell’art 73. Se la società viene considerata residente nello Stato italiano, ne deriva che le dichiarazioni fiscali presentate all’estero non sono valide ai fini penali, e quindi l’orientamento della Suprema Corte a tal proposito è scevro da dubbi d’interpretazione.

Questa materia è incastonata nella più ampia cooperazione fiscale internazionale e, benché gli Stati membri abbiano dimostrato diffidenza verso la delega alle istituzioni dell’Unione Europea delle competenze in ambito tributario, le disposizioni riguardanti l’esterovestizione societaria si sono rivelate in linea con quanto stabilito in ambito internazionale. Questo perché l’International Fiscal Cooperation persegue una duplice finalità: una rispondente ad un’esigenza antielusiva e l’altra di stampo unionale o meglio comunitario.