Pubbl. Mar, 9 Apr 2024
Prospettive di riforma del trattato di Lisbona nel processo di integrazione europea
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Lucia Cannata
L’attuale fase della vicenda europea è caratterizzata da una situazione di perdurante crisi economico-finanziaria e come spesso accade in tali contesti, si assiste alla riemersione di idee sovraniste che rischiano di mettere in discussione l’autonomia stessa della struttura istituzionale dell’Unione europea. Da ciò l’esigenza di compiere un passo avanti efficace rispetto al cammino intrapreso di unificazione europea, nella ricerca di una sovranità europea condivisa tra i vari Stati membri, in grado di superare i nazionalismi statali.
Prospects for reform of the Lisbon treaty in the process of European integration
The current phase of the European affair is characterized by a situation of enduring economic-financial crisis, and as often happens in such contexts, we are witnessing the re-emergence of sovereignist ideas that threaten to call into question the very autonomy of the institutional structure of the European Union. This brings up the need to take an effective step forward from the undertaken path of European unification, in the search for a shared European sovereignty among the various member states, capable of overcoming state nationalisms.Sommario: 1. Introduzione; 2. L’assetto istituzionale nel corso del processo di integrazione: coesistenza del metodo intergovernativo e comunitario; 3. La propensione verso il sistema intergovernativo nell’attuale assetto istituzionale; 4. L’autonomia nell’attuale assetto istituzionale e prospettive di riforma del trattato di Lisbona; 5. Conclusioni.
1. Introduzione
Il processo di integrazione europea ha percorso, in concomitanza con eventi geopolitici ed economici che hanno interessato l’Europa, fasi alterne talvolta ispirate da tendenze europeiste e fasi, invece, altre volte caratterizzate da un prevalente euroscetticismo.
L’Unione europea si trova attualmente in una fase delicata della sua storia, in cui a causa soprattutto di eventi importanti, quali la guerra in Ucraina, i conflitti armati extra-europei, che hanno comunque coinvolto i Paesi dell’Unione, l’emergenza energetica, le crisi migratorie, sono riemersi all’interno degli Stati sentimenti nazionalisti che si muovono in direzione decisamente contraria ad una reale integrazione europea. Tali eventi, unitamente anche al recesso del Regno Unito dall’Unione europea, attuato in virtù del riconoscimento a ogni singolo Stato membro del potere di recedere dall’Unione europea, introdotto con il Trattato di Lisbona (art. 50 TUE), hanno messo in evidenza alcune carenze relative all’assetto ordinamentale e politico dell’Unione stessa.
Nella gestione della crisi economica e politica che ha investito l’Europa hanno prevalso schemi ispirati a modelli di integrazione prevalentemente intergovernativa. Il particolare rafforzamento del ruolo del Consiglio europeo e la sempre maggiore rilevanza da questo assunta, indice della resistenza degli Stati all’applicazione del metodo comunitario, pone attualmente a rischio l’equilibrio di poteri che da sempre ha caratterizzato il processo di integrazione e l’autonomia stessa del sistema organizzativo dell’Unione europea[i].
Nell’esigenza di rendere l’Unione europea più democratica e più efficace nell’azione, il Parlamento europeo, sulla base degli obiettivi contenuti nella Conferenza sul Futuro dell’Europa (conclusa il 9 maggio 2022), ha messo in atto un programma di riforme istituzionali volto a recuperare un corretto equilibrio tra le varie componenti istituzionali e ha recentemente approvato una Risoluzione con cui ha chiesto l’avvio di una Convenzione per la riforma del Trattato di Lisbona, secondo la procedura prevista nell’art. 48 del TUE[ii].
La proposta del Parlamento europeo mira a rafforzare le competenze e i poteri dell’Unione; in essa sono contenute alcune modifiche rilevanti che tendono ad un maggiore rafforzamento del ruolo del Parlamento e della Commissione europea, organismi comunitari e ad una modifica del processo decisionale in seno al Consiglio, con la previsione di un aumento del numero di decisioni prese a maggioranza qualificata.
Lo scopo del lavoro è fornire una riflessione in merito al livello di integrazione esistente nell’Unione, sui possibili ulteriori sviluppi e sulle riforme istituzionali che possono essere considerate utili al fine di avanzare nel senso di un’Europa federale, sovrana e democratica, anche in relazione alla proposta di riforma del Trattato di Lisbona presentata dal Parlamento europeo.
2. L’assetto istituzionale nel corso del processo di integrazione: coesistenza del metodo intergovernativo e di quello comunitario
La nascita della Comunità europea (ora Unione europea) è stata ispirata da un forte impulso ideale, nella finalità di creare una struttura politica sovranazionale entro la quale nazioni, con identità e tradizioni culturali e giuridiche differenti, potessero coesistere pacificamente e prevenire tra loro i conflitti.
Con la costituzione della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1951, data cui si fa comunemente risalire l’inizio del processo di integrazione europea, alcuni Stati europei decisero di mettere insieme la produzione del carbone e dell’acciaio, delegando l’esercizio di alcune tipiche funzioni della sovranità statale a favore di un’organizzazione dotata di poteri vincolanti nei confronti dei suoi membri. Essa può essere considerata un ente sovranazionale per l’autonomia di cui era provvista e per il potere di vincolare con i propri atti sia gli Stati membri che le imprese del settore carbosiderurgico[iii]. La Comunità europea presenta significativi elementi di peculiarità e caratteristiche diverse rispetto a quelle riconducibili alla classica impostazione della cooperazione intergovernativa fra gli Stati, potendosi considerare, infatti, come un centro autonomo, dotato di propri interessi, distinti da quelli degli Stati, e avente la capacità di compiere scelte politiche, definito quindi “sovranazionale”, proprio per la presenza di un’organizzazione in grado di esercitare funzioni tipicamente assegnate agli Stati, senza peraltro disporre di tutte le prerogative della sovranità, tipico di uno Stato federale. Si tratta di una organizzazione internazionale sui generis, che opera mediante istituzioni con competenza a produrre atti vincolanti sia per gli Stati che per gli individui (persone fisiche e persone giuridiche), direttamente applicabili nei loro riguardi e tutelabili dinanzi ai giudici nazionali[iv].
L’obiettivo politico dell’iniziativa che ha portato alla creazione della CECA era, in realtà ben più ambizioso rispetto a quello che poi è stato realizzato. Si voleva, infatti, creare le basi per una futura unione a carattere federale. Il progetto politico iniziale di integrazione europea si è ispirato alla teoria del federalismo, in cui l’obiettivo è la creazione di uno stato federale europeo in cui gli Stati cedono parte della loro sovranità ad un’entità comune, federale e superiore con un governo centrale. In tale visione la Comunità europea è intesa come mezzo per assicurare la pace, attraverso la creazione di istituzioni federali sovranazionali, mentre la sovranità degli Stati è considerata un fattore delle divisioni[v].
Nell’approccio del metodo funzionalista, che ha, invece, poi guidato in larga parte il processo di integrazione europea, la creazione della Comunità europea è essenzialmente guidata da una prospettiva di stampo utilitaristico, basata sull’efficienza politica del sistema nel suo complesso[vi]. In questa visione il principale strumento per l’integrazione è quello economico, anche se l’integrazione economica rappresenta solo il mezzo scelto per raggiungere l’unità europea, nell’iniziale scopo innanzitutto politico[vii].
Il metodo funzionalista ha reso comunque possibile un lento, ma inarrestabile avanzamento dell’integrazione europea, pur non conducendo all’unificazione politica dell’Europa, come era nelle speranze dei suoi sostenitori.
L’Unione europea, fin dagli inizi del processo di integrazione è costituita da un sistema politico con istituzioni comuni, organismi che potremo definire comunitari per la caratteristica di rappresentare gli interessi della Comunità e in cui sono presenti anche organismi più rappresentativi degli Stati che potremo definire intergovernativi[viii].
Nell’assetto istituzionale, ispirato alla teoria intergovernativa, è sottovalutato il ruolo delle istituzioni sovranazionali come istituzioni che agevolino il processo di integrazione europea. Il sostegno al processo di integrazione, essendo legato alle decisioni degli Stati membri, dipende da quanto le istituzioni comuni soddisfino le aspettative degli Stati stessi ed accrescano la legittimità degli esecutivi nazionali. In tale prospettiva il processo di integrazione europea costituisce un elemento di aggregazione capace di accomunare le decisioni e le azioni degli Stati europei[ix].
Diversamente, nell’assetto istituzionale ispirato al c.d. metodo comunitario (o sovranazionale), ove viene rivalutato il ruolo delle istituzioni comuni, ritenute in grado di favorire alcuni esiti del processo politico, dando vita a veri e propri equilibri indotti dalla struttura stessa: le istituzioni stimolano i progressi, facendo pressione sugli Stati affinché realizzino gli obiettivi fissati per rispondere alle necessità sia interne che esterne. Secondo l’approccio proprio della teoria istituzionalista, tramite l’azione delle istituzioni comuni possono essere raggiunti collettivamente risultati maggiori rispetto a quelli conseguibili individualmente dagli Stati[x].
Nel corso del processo di integrazione, in relazione ad eventi politici o in relazione all’espansione delle materie di competenza e soprattutto all’allargamento della Comunità europea conseguente all’ingresso di altri Stati, è riscontrabile la prevalenza degli aspetti propri dell’uno o dell’altro approccio.
Nell’assetto istituzionale della CECA si ha la presenza di elementi che denotano una prevalenza delle peculiarità comunitarie rispetto a quelle proprie del metodo intergovernativo, nella rilevanza del ruolo decisionale rivestito dall’Alta Autorità, organismo caratterizzato dalla presenza di personalità indipendenti al suo interno e formato da individui scelti, in funzione delle loro competenze professionali, dagli stessi Stati membri[xi]. Con la nascita della Comunità economica europea (avvenuta con il Trattato di Roma del 25 marzo 1957) e il conseguente ampliamento delle competenze della Comunità, l’equilibrio istituzionale si sposta a favore del Consiglio (organismo rappresentativo dei singoli Stati), al quale spettava il potere di adottare gli atti giuridicamente obbligatori, mentre l’Assemblea (poi Parlamento europeo) aveva un generale potere meramente consultivo, pur se, solitamente, la sua consultazione era obbligatoria. Dato l’ampliamento delle competenze della Comunità europea rispetto al precedente ambito della CECA, avente competenza limitata ad un unico specifico settore (carbosiderurgico), gli Stati membri sono stati restii a privarsi di un proprio potere di controllo, delegandolo ad una autorità indipendente, quale era l’Alta Autorità ed hanno preferito riservare tali poteri al Consiglio, l’istituzione rappresentativa dei governi degli Stati membri che è, quindi, in tale contesto l’organo al quale spettava la funzione normativa.
L’obiettivo della Comunità economica europea (CEE) è stato quella di attuare l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Successivamente alla istituzione della Comunità economica europea (CEE), dagli anni Sessanta in poi, si è verificato un rafforzamento dell'integrazione economica in Europa, con conseguente sviluppo economico, determinato sia dalla adozione di una politica agricola comune, che ha permesso ai paesi membri di controllare congiuntamente la produzione alimentare e sia dall’eliminazione dei dazi doganali sui beni importati (1968), che ha reso liberi gli scambi transfrontalieri.
Conseguentemente al progressivo ampliamento della cooperazione tra gli Stati membri, con i successivi Trattati, che segnano le ulteriori tappe dell’evoluzione del processo di integrazione europea, si è proceduto ad una parziale modifica dell’assetto istituzionale. Nella storia del processo di integrazione europea assume particolare rilevanza l’Atto Unico Europeo del 1986 con cui si ha l’ampliamento verso vari settori anche non prettamente economici: la politica monetaria, l’ambiente, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, la coesione economica e sociale, la cooperazione nel settore della politica estera. L’Atto Unico Europeo apporta anche alcuni cambiamenti istituzionali (a favore del metodo comunitario) che denotano la volontà di attuare un maggior snellimento delle procedure decisionali, quale l’introduzione di un numero maggiore di casi in cui il Consiglio poteva prendere decisioni a maggioranza qualificata e non all’unanimità e il rafforzamento dei poteri del Parlamento, mediante l’introduzione della procedura di cooperazione e delle procedure relative al parere conforme, aprendo così la strada al futuro ruolo del Parlamento come co-legislatore con il Consiglio.
Il processo di integrazione europea avrebbe dovuto realizzarsi nel Trattato sull’Unione Europea (TUE) firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, in vigore il 1° novembre 1993, che segna l’istituzione ufficiale dell’Unione europea e che avrebbe potuto rappresentare una svolta verso una caratterizzazione federale del processo comunitario. Con tale trattato doveva attuarsi il passaggio dall’integrazione economica a quella politica ed essere creato un impianto normativo, tendenzialmente di tipo comunitario, in grado di fronteggiare le nuove esigenze conseguenti allo sviluppo del processo comunitario. Il Trattato di Maastricht, con la sua struttura a pilastri, ricomprende però ben nettamente i due sistemi, quello comunitario e quello della cooperazione intergovernativa, che rimangono distinti anche se collegati da un’esigenza di coerenza globale. I due pilastri non comunitari, quello concernente la politica estera e di sicurezza comune e quello relativo alla giustizia e affari interni, si presentano come settori di cooperazione tra gli Stati membri, piuttosto che di integrazione in una entità sovranazionale. In tali settori il ruolo centrale spettava alle istituzioni governative, mentre limitato, o pressoché inesistente era quello delle istituzioni non governative[xii].
I progressivi sviluppi del quadro socio-economico europeo in costante mutamento hanno determinato la necessità di una continua adozione di misure volte a garantire una periodica revisione dei trattati istitutivi. Con i successivi Trattati sono state necessarie alcune modifiche istituzionali volte ad una maggiore comunitarizzazione, nell’obiettivo di rinforzare la legittimità democratica dell’Unione[xiii].
Verso la fine del secolo scorso, in concomitanza con l’ulteriore allargamento dell’Unione agli Stati dell’Europa orientale, è fortemente avvertita l’esigenza di sviluppare processi di democratizzazione, trasparenza ed efficienza in ordine ai meccanismi decisionali dell'Unione. In tale prospettiva nel 2002, viene istituita una Convenzione per la riforma delle istituzioni europee per la stesura di un progetto di costituzione, il progetto di Trattato che adotta la Costituzione per l’Europa (29 ottobre 2004), in grado di sostituire i precedenti Trattati istituivi, unificando i due trattati esistenti e apportando rilevanti cambiamenti. Tale Trattato non è stato però ratificato da parte degli Stati membri, a seguito dei negativi esiti referendari tenutisi in Francia ed Olanda.
In considerazione della mancata ratifica del Trattato costituzionale, le successive negoziazioni per la stesura di un nuovo Trattato hanno poi condotto alla firma del Trattato di Lisbona, il 13 dicembre 2007, in cui hanno confluito le esigenze di riforma tendenti a rafforzare l’efficienza e la legittimità dell’Unione europea. Tale Trattato, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha ripreso anche se con varie modifiche e integrazioni molte delle innovazioni previste nel progetto del Trattato Costituzione. In esso è fondamentale il richiamo ai principi fondamentali comuni degli Stati membri (art. 2 TUE), quali il rispetto della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani, ritenuti valori comuni agli Stati membri e sui quali si fonda l’Unione europea; viene, inoltre, affermato che la Carta dei Diritti Fondamentali, riconosciuta all’art. 6 del TUE, ha uguale valore giuridico dei trattati e viene previsto l’obbligo per l’Unione europea di aderire alla Convenzione Europea per la tutela dei Diritti e delle Libertà fondamentali dell’uomo (CEDU).
3. La propensione verso il sistema intergovernativo nell’attuale assetto istituzionale
Il Trattato di Lisbona, pur apportando all’assetto istituzionale alcune importanti modifiche, tese a ridurre la complessità del sistema precedente, unificando in un unico sistema i tre settori prima nettamente distinti nella precedente struttura a pilastri ha previsto, però, nell’ambito di tali settori, modalità di azione non uguali fra loro. Nell’ambito di settori di particolare interesse per gli Stati, quale soprattutto il settore della politica estera e di sicurezza comune, permangono forme di forte controllo da parte degli Stati membri, con la previsione di procedure specifiche che perpetuano il metodo intergovernativo, in cui assumono particolare rilevanza nel processo decisionale gli organismi rappresentativi degli Stati, con un predominio delle competenze del Consiglio europeo e del Consiglio e della prevalenza della regola di votazione all’unanimità[xiv].
Un elemento contenuto nel Trattato di Lisbona che denota in particolare la propensione verso la dimensione intergovernativa è l’istituzionalizzazione del Consiglio europeo, compreso nell’art. 13 del TUE tra le istituzioni dell’Unione[xv]. Le funzioni del Consiglio europeo sono di definizione degli orientamenti politici generali; tale istituzione, anche se non può esercitare funzioni legislative, esercita una potente influenza sul Consiglio, nelle cui varie formazioni, siedono i Ministri dei governi degli Stati membri. Anche per quanto attiene il procedimento decisionale, lo schema è inquadrabile nell’ambito del metodo intergovernativo, essendo per le decisioni del Consiglio europeo richiesta l'unanimità nei casi di maggiore importanza[xvi].
Anche la modifica, introdotta nel Trattato, relativa alla durata della nomina del Presidente del Consiglio europeo, per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola volta, (mentre in precedenza tale qualifica spettava ai membri del Consiglio europeo per rotazione) è stata prevista nella finalità di rafforzare tale figura, la cui funzione è di assicurare la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione europea e in base ai lavori del Consiglio “Affari generali”. Con tale previsione viene garantita una maggiore continuità dell’azione del Presidente del Consiglio europeo sia all’interno dell’Unione europea sia sulla scena internazionale e al contempo anche la valorizzazione del Consiglio europeo come istituzione.
Nell’assetto normativo risultante dal Trattato di Lisbona sono state introdotte anche alcune norme tendenti all’ampliamento del metodo comunitario, nel tentativo di mantenimento di quell’equilibrio di poteri che da sempre ha caratterizzato il sistema istituzionale europeo.
Tra le norme volte a privilegiare la dimensione comunitaria, vi è la previsione, contenuta nell’art. 16, par. 3 del TUE, della maggioranza qualificata, quale regola generale di votazione in seno al Consiglio[xvii]; non mancano però alla regola della maggioranza, eccezioni importanti nelle quali è richiesta l’unanimità[xviii]. Un’altra delle modifiche in senso favorevole al metodo comunitario è costituita dalla generalizzazione della co-decisione come procedura legislativa ordinaria (art. 289, par. 1, TFUE), con conseguente ampliamento dei poteri del Parlamento europeo in chiave co-decisionale legislativa e di bilancio; anche in tal caso, però, sono previste eccezioni non marginali, in cui è previsto (art. 289, par. 2, TFUE) in taluni casi, il Consiglio come solo legislatore, limitando così il potere del Parlamento all’approvazione o all’espressione di un parere consultivo in merito.
Nell’intento di rendere la Commissione europea maggiormente rappresentativa degli interessi dell’Unione, il Trattato di Lisbona contiene, all’art. 17, par. 5 del TUE, la previsione relativa alla riduzione del numero dei commissari, slegando così la composizione della Commissione dalla necessaria presenza di un Commissario per Stato; tale previsione, non ha però avuto applicazione[xix].
Nella finalità del conferimento di una maggiore legittimazione alla Commissione e di attuazione di un maggiore coordinamento tra tale istituzione e il Parlamento europeo, nel Trattato di Lisbona è contenuta nell’art. 17 TUE, la previsione della partecipazione del Parlamento europeo alla procedura di nomina dei membri della Commissione. Tale procedimento di nomina risulta però influenzato anche dalla partecipazione di altre istituzioni, in particolare del Consiglio europeo e del Consiglio; non si ha, quindi, in realtà una effettiva partecipazione del Parlamento europeo alla nomina dei componenti della Commissione, in quanto tale scelta viene concordata da parte di varie istituzioni.
La Commissione europea è l’istituzione che nell’architettura istituzionale dell’Unione è preposta a rappresentare e tutelare, in piena indipendenza, gli interessi generali dell’Unione[xx] e che dovrebbe, quindi, costituire nell’ambito del sistema decisionale dell’Unione una sorta di ago della bilancia nei rapporti tra componente sovranazionale ed intergovernativa. Ad essa è, infatti, attribuito (articolo 17 del TUE) il compito di promuovere l’interesse generale dell’Unione, adottando le iniziative appropriate e le sono affidate funzioni di coordinamento nel processo di programmazione annuale e pluriennale dell’Unione, di promozione di accordi al fine di coinvolgere il Parlamento e il Consiglio nella preparazione del programma di lavoro annuale.
Nell’attuale assetto istituzionale prevalgono, invece, schemi caratterizzati dalla prevalenza del metodo intergovernativo, in cui assumono particolare rilevanza nel processo decisionale gli organismi rappresentativi degli Stati, piuttosto che gli organismi rappresentativi degli interessi comunitari. Nel sistema delineato nel Trattato, il ruolo del Consiglio europeo è stato, infatti, rafforzato; inoltre, negli ultimi anni il ruolo decisionale del Consiglio europeo ha acquisito in concreto sempre maggiore rilevanza anche in conseguenza della crisi economica finanziaria che ha spinto gli organismi decisionali a risolvere questioni urgenti, ricorrendo a procedure non sempre rientranti negli schemi tipici: l’esigenza di immediatezza nella soluzione di tali questioni ha creato delle deviazioni rispetto alle strutture decisionali dell’Unione, con l’adozione di procedure e atti atipici, concentrando le azioni dell’Unione nel Consiglio europeo, in tal modo marginalizzando le istituzioni sovranazionali[xxi].
4. L’autonomia nell’attuale assetto istituzionale europeo e prospettive di riforma del Trattato di Lisbona
L’Unione europea sin dalla sua costituzione, come già esplicitato nei paragrafi precedenti, è stata caratterizzata dalla presenza di una organizzazione avente un centro autonomo di interessi, distinti da quelli degli Stati, e avente la capacità di compiere scelte politiche, definito quindi ente “sovranazionale”[xxii], finalizzato a favorire la cooperazione su questioni di comune interesse degli Stati partecipanti, attraverso una combinazione di assetti sia ispirati al metodo comunitario e sia tendenze, invece, tipiche del metodo intergovernativo, ma è sempre stato presente un equilibrio dei poteri nell’ambito del sistema organizzativo.
Il Consiglio europeo, estendendo i propri poteri e la sua influenza, in vari ambiti, sui lavori della Commissione e del Parlamento europeo, ha determinato un indebolimento della Commissione e uno sbilanciamento di poteri, mettendo così a rischio lo stesso equilibrio fra Stati membri e Istituzioni sovranazionali che ha caratterizzato il processo di integrazione europea[xxiii].
Tale situazione rischia di pregiudicare l’autonomia stessa della struttura istituzionale del sistema politico dell’Unione europea e della sua rispondenza all’idea di democrazia rappresentativa[xxiv].
Nella valutazione dell’autonomia e della qualità democratica del sistema politico dell’Unione europea assume rilievo, innanzitutto, il ruolo e il grado di indipendenza che, in tale sistema, ha il Parlamento europeo, l’organismo direttamente rappresentativo dei cittadini europei, al quale è demandato il compito di rappresentare gli interessi dei cittadini nel processo legislativo europeo e di garantire il funzionamento democratico delle istituzioni dell'Unione europea.
Per quanto attiene tale aspetto, nel corso del processo di integrazione europea, le competenze e i poteri attribuiti a tale istituzione sono stati progressivamente ampliati dai Trattati ed anche il Trattato di Lisbona va in tale direzione, avendo esteso il potere di co-decisione anche a settori prima esclusi; tuttavia per questioni di non marginale importanza il Trattato ha mantenuto la previsione della sola approvazione da parte del Parlamento europeo o di una sua funzione consultiva.
Nell’obiettivo di rendere più equilibrato tale assetto dei poteri, il Parlamento europeo ha approvato il 22 novembre 2023 una Risoluzione con cui ha chiesto l’avvio di una Convenzione per la riforma del Trattato di Lisbona che mira a rafforzare le competenze e i poteri dell’Unione e che, per quanto riguarda l’assetto istituzionale, propone il rafforzamento del ruolo degli organismi comunitari ed un loro maggiore coordinamento[xxv].
Nell’ottica della attuazione di una maggiore autonomia e di riduzione del deficit democratico dell’Unione europea, nella proposta di modifica del Trattato recentemente approvata dal Parlamento europeo, viene proposto che sia lo stesso Parlamento, a maggioranza dei propri membri, a determinare la propria composizione, nel rispetto dei principi di cui all’art. 14 del TUE, previa approvazione del Consiglio, con delibera a maggioranza qualificata rafforzata[xxvi].
Nella finalità di attuare un maggiore rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo è prevista, inoltre, la proposta relativa alla riduzione dell’uso di procedure legislative speciali che assicurerebbe così al Parlamento europeo un potere di co-decisione con il Consiglio nell’adozione di atti legislativi comunitari. Nella proposta di modifica del Trattato verrebbero, inoltre, attribuiti al Parlamento maggiori poteri mediante il conferimento del diritto di iniziativa legislativa. Nell’attuale previsione, il Parlamento europeo, a maggioranza dei membri che lo compongono (art. 225 del TFUE), può soltanto chiedere alla Commissione, al quale spetta esclusivamente il diritto di iniziativa legislativa, di presentare adeguate proposte sulle questioni per le quali reputa necessaria l’elaborazione di un atto dell’Unione; la proposta non obbliga però la Commissione ad avviare la procedura legislativa, dovendo solo comunicare le motivazioni per cui non presenta la proposta. Nella nuova formulazione dell’art. 225 del TUE, il Parlamento può, a maggioranza dei membri che lo compongono, conformemente all'articolo 294, adottare proposte sulle questioni cui si applica la procedura legislativa ordinaria[xxvii]. Il conferimento dell’iniziativa legislativa anche al Parlamento europeo, contenuto nella proposta di riforma del Trattato, si pone nell’ottica di garanzia di una maggiore democraticità del sistema decisionale dell’Unione europea.
Per quanto riguarda la Commissione europea, la proposta di riforma dei Trattati mira a rafforzarne il ruolo, mediante la revisione delle norme sulla composizione della Commissione (rinominata “Esecutivo europeo”). Il potere di proporre i candidati per la nomina a membri della Commissione verrebbe attribuito al Presidente della Commissione, sulla base delle preferenze politiche, tenendo conto dell’equilibrio geografico e democratico[xxviii]. I candidati membri dell'Esecutivo europeo sarebbero poi soggetti, collettivamente, ad un voto di approvazione del Parlamento europeo ed in seguito a tale approvazione l’Esecutivo verrebbe, quindi, nominato dal Consiglio europeo, con delibera a maggioranza semplice.
Al fine di garantire una maggiore legittimità democratica al ruolo del Presidente della Commissione e una maggiore coerenza tra il Parlamento e la Commissione, la proposta di riforma intende modificare anche l’art. 17, par. 7 TUE sul procedimento di nomina del Presidente della Commissione europea, attribuendo al Parlamento europeo il potere di proporre un candidato, in seguito alle elezioni del Parlamento. Il Presidente della Commissione europea, verrebbe quindi scelto dal Parlamento in base ai risultati delle elezioni europee, tenendo conto dei risultati ottenuti dai partiti politici a livello europeo; mentre nella attuale previsione, spetta al Consiglio europeo scegliere il Presidente della Commissione e il Parlamento può solo limitarsi ad approvarlo o bocciarlo[xxix]. In tal modo, quindi, i ruoli del Consiglio europeo e del Parlamento europeo per quanto riguarda la nomina e la conferma del Presidente della Commissione verrebbero invertiti per rispecchiare più fedelmente i risultati delle elezioni europee.
Con l’emendamento proposto all’art. 17, par. 8 del TUE, verrebbe inoltre conferito al Parlamento il potere di votare, oltre alla già prevista mozione di censura collettiva dell'Esecutivo anche una mozione di censura individuale di un singolo membro dell'Esecutivo secondo le modalità di cui all'articolo 234 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea[xxx]. Tale previsione consentirebbe l’attuazione di un maggior controllo del Parlamento sull’operato della Commissione ed un maggior coordinamento tra le due istituzioni.
Nell’ottica di garantire una maggiore capacità di azione all’Unione europea, nella proposta di riforma di modifica dei Trattati si prevede, inoltre, per quanto riguarda le decisioni del Consiglio, di aumentare il numero di settori in cui le azioni sono decise a maggioranza qualificata, anziché all’unanimità (come nel caso della politica estera e sicurezza comune). La procedura servirebbe a velocizzare le procedure decisionali, evitando i veti incrociati dei governi che finiscono spesso con il bloccare decisioni importanti che, invece, andrebbero prese con tempestività.
5. Conclusioni
Nel ripercorrere a grandi linee le principali tappe che hanno contraddistinto l’integrazione europea e che hanno condotto all’attuale esito, è emerso che il processo volto all’integrazione europea è stato discontinuo, in quanto legato alle situazioni geo-politiche contingenti e ha visto momenti in cui prevalevano spinte verso un’integrazione effettiva, nel senso della costruzione di un ente federale, e fasi più caute caratterizzate dalla volontà di una semplice cooperazione tra gli Stati membri e che per poter rendere efficiente l’Unione e continuare il processo di integrazione europea occorre ricercare la migliore composizione di equilibrio tra i due elementi di unione sovranazionale e di Stati nazionali[xxxi]..
Nella situazione contingente, caratterizzata da una propensione verso la sopravvalutazione degli schemi intergovernativi, si rende pertanto necessaria una riqualificazione del sistema istituzionale in più adeguati livelli sovranazionali, rafforzando il ruolo della Commissione e del Parlamento europeo e attuando altresì una maggiore valorizzazione dell’autonomia del Parlamento europeo, assicurando così anche l’aspetto relativo alla democraticità del sistema.
La proposta di riforma del Trattato di Lisbona presentata dal Parlamento europeo ha elevate potenzialità per il futuro dell’Europa e si presenta come una strada necessaria da percorrere per dare un futuro al progetto comunitario, anche se una revisione istituzionale non appare facile da attuare, in quanto la soluzione delle riforme istituzionali urta contro la volontà da parte di alcuni Stati membri di recuperare un maggior spazio di sovranità. Alcune proposte in particolare, quale ad esempio la proposta di superamento dell’unanimità nell’ambito delle decisioni del Consiglio viene considerata dai sostenitori di un’Unione europea intesa come mera cooperazione tra gli Stati, una proposta che mette a rischio la sovranità nazionale.
L’obiettivo di una riforma non è quindi semplice da raggiungere. La Convenzione per la riforma del Trattato di Lisbona, potrà accogliere o respingere le proposte che dovranno essere ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Nell’attuale crisi del processo di integrazione europeo è ipotizzabile che la scelta possa propendere verso soluzioni in cui si attua una differenziazione crescente tra i vari Stati europei attraverso il ricorso allo strumento della integrazione differenziata[xxxii].
Con l’allargamento dell’Unione a nuovi Stati e l’espansione delle politiche europee, vi è stato sempre più il ricorso a tale strumento per realizzare avanzamenti nell’integrazione europea, al fine di poter far fronte alle crescenti eterogeneità del sistema, rendendo così possibile la prosecuzione dell’integrazione anche laddove ad essa non partecipino, sempre e comunque, tutti gli Stati membri, ma un numero più ridotto di essi. Proseguendo in tale direzione si pone però anche il rischio di una frammentazione dello stesso processo di integrazione comunitaria.
L’integrazione differenziata presenta, infatti, profili di incoerenza rispetto al metodo di integrazione comunitaria, ponendosi tale soluzione in contrapposizione all’esercizio di un effettivo potere sovranazionale[xxxiii].
L’Unione europea avrebbe, invece, bisogno di affrontare le proprie divisioni con una prospettiva unificante: in un mondo globalizzato un’Unione europea non solida e incerta, non unita, rischia di essere irrilevante.
Le tendenze sovraniste costituiscono l’indice di un’incapacità dell’Unione di dare risposta al problema identitario pensato per contrastare le sovranità nazionali, costituendo un tentativo di recuperare ciò che è stato ceduto all’Unione europea, ma non tengono conto che in un mondo globalizzato le decisioni non vengono in realtà prese dai singoli Stati ed è semmai proprio la coesione tra gli Stati europei che può salvaguardare una vera autonomia decisionale dell’Europa, in grado di far fronte alle pressioni esterne provenienti dal mondo globalizzato[xxxiv].
Nell’evoluzione del processo dell’integrazione comunitaria, diviso fra l’applicazione del metodo comunitario e la necessità di tutela delle prerogative intergovernative degli Stati membri, appare in questo momento quanto più necessaria l’esigenza di rivitalizzare l’elemento politico della sovranazionalità, affinché l’Unione europea possa superare la situazione di crisi politico-istituzionale in cui attualmente si trova.
[i] Cfr. E. CANNIZZARO, Il Diritto dell’integrazione europea, 2^ edizione, Giappichelli, Torino, 2017, in cui, nella prima parte del lavoro dedicata alla struttura istituzionale ed alla ricostruzione dei rapporti tra le Istituzioni, viene evidenziato dall’Autore l’emergere di una crisi del progetto di integrazione europea dovuta soprattutto alla crisi finanziaria che ha interessato in generale gli Stati membri e che ha comportato l’adozione di alcuni provvedimenti in cui gli Stati sono stati i protagonisti nella politica decisionale.
[ii] La Risoluzione del Parlamento europeo sui progetti intesi a modificare i trattati (2022/2051(INL) è stata approvata il 22 novembre 2023 con 291 voti a favore, 274 contrari e 44 astensioni. Tale proposta di modifica è stata, quindi, trasmessa dal Consiglio dell’Unione europea al Consiglio europeo, con la richiesta di convocare una Convenzione di riforma del Trattato.
[iii] Le novità delle Comunità europee sono espresse già nel loro attributo di “sopranazionalità”, esplicitamente presente nell’art. 9 del Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 istitutivo della CECA per designare le funzioni dell’Alta Autorità e largamente impiegato dalla dottrina formatasi già rispetto a questa Comunità; nell’art. 9, par. 5: “Les membros de la Haute Autorité exercent leurs fonctions en pleine indépendance, dans l'intérêt général de la Communauté. Dans l'accomplissement de leurs devoirs, ils ne sollicitent ni n'acceptent d'instructions d'aucun gouvernement ni d'aucun organisme. Ili s'abstiennent de tout acte incompatible avec le caractère supranational de leurs fonctions”. Cfr. U. VILLANI, Metodo comunitario e metodo intergovernativo nell’attuale fase dell’Unione Europea, in Studi sull’integrazione europea, 2019, XIV, 259-270.
[iv] Tale peculiarità della Comunità europea viene evidenziata già nella nota pronuncia della Corte di giustizia Van Gend & Loos del 5 febbraio 1963, causa 26/62, in cui è affermato che «[…] La Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini […]».
[v] Cfr. A. Spinelli, et al., Il manifesto di Ventotene, Il Mulino, Bologna, 1991; tale teoria è espressa nel pensiero di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, Autori del Progetto di Manifesto per un’Europa Libera e Unita, meglio conosciuto come Il Manifesto di Ventotene, considerato il contributo fondamentale nella teorica del pensiero federalista ed europeista, redatto tra l’inverno del 1949 e la primavera del 1941. L’idea sostenuta di una federazione europea, prima considerata un’utopia, si presenta come una meta raggiungibile nella necessità di ricostruire su basi nuove una economia quasi distrutta. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio da parte di ciascuno Stato che si sente minacciato dalla potenza degli altri, quindi, la soluzione internazionalista è considerata come una scelta necessaria. Sulla nascita e lo sviluppo del Movimento federalista europeo cfr. anche S. Pistone, L’Italia e l’unità europea. Dalle premesse storiche all’elezione del parlamento europeo, Loescher, Torino, 1982; L.V. Majocchi, La difficile costruzione dell’unità europea, Jaca Book, Milano, 1996.
[vi] Anche nel funzionalismo, l’obiettivo è un’effettiva integrazione, analogamente alla teoria del federalismo, però le modalità sono diverse. La dinamica dell’integrazione, secondo i funzionalisti, non dovrebbe essere affidata ad un’assemblea costituente che impegni da subito tutti gli Stati ad una radicale rinuncia alla propria sovranità a favore delle istituzioni federali senza la precondizione di una integrazione politica, necessaria affinché le decisioni prese dalle istituzioni federali siano pacificamente accettate da Stati, restii a rinunciare alla propria sovranità. Secondo tale teoria, il parziale trasferimento di poteri di specifiche funzioni alle istituzioni sovranazionali crea pressione per un’ulteriore integrazione attraverso vari meccanismi; sebbene, quindi, l’integrazione si sviluppi in aree economiche, questo processo dovrebbe portare ad un’ulteriore integrazione in altre aree fino ad arrivare ad una integrazione politica. Sulla storia e sulle dinamiche dell’integrazione, fra gli altri, si veda A. Milward, The European Rescue of the Nation State, Routledge, Londra, 1994, classico resoconto economico e politico delle origini della Comunità Europea; S. Battini, L’Unione europea quale originale potere pubblico, in M.P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, 2^ edizione, Giuffré, Milano, 2018, 1-46; U. Morelli, J. Sondel-Cedarmas, Storia dell’integrazione europea, Guerini Scientifica, Milano, 2022, in cui viene descritto l’evolversi dell’integrazione europea tra confronto tra l’approccio sovranazionale, diretto a riconoscere poteri effettivi alle istituzioni comuni, e quello intergovernativo diretto a difendere le prerogative sovrane.
[vii] Cfr. M. Frapporti, Verso l’integrazione europea. Jean Monnet tra infrastrutture e governance logistica, in Scienza & Politica. Per una storia delle dottrine, 2019, vol. 31, n. 60, 203-227; Jean Monnet, che fu il primo Presidente dell’Alta Autorità della CECA, è considerato l’artefice del metodo neo-funzionalista e dell’idea secondo cui “l’Europa non si farà in un giorno, ma per tappe successive”. Il suo metodo si fondava sul gradualismo, anche se l’obiettivo ultimo cui una tale strategia avrebbe dovuto condurre era quello federale. Anche Ernst Haas è tra gli iniziatori del filone neo-funzionalista, alla fine degli anni ‘50. Nella teoria del neo-funzionalismo, l’integrazione è considerata un processo per il quale attori politici nazionali giudicano vantaggioso trasferire i loro obblighi verso un nuovo centro; secondo tale teoria nella fase iniziale del processo si hanno effetti espansivi dell’integrazione maggiori, poiché gli Stati sono più disponibili a mettere in comune le loro politiche, ma con l’inclusione di politiche più sensibili gli interessi nazionali possono riemergere, in quanto determinano gli Stati a difendere la loro sovranità nazionale. Anche nella teoria del neo-funzionalismo l’integrazione è considerata uno strumento per la prevenzione di nuovi conflitti in Europa; secondo tale teoria dovrebbe esserci un intervento congiunto degli esecutivi nazionali e delle istituzioni europee.
[viii] Tra le varie riflessioni che sono state formulate per spiegare un’entità politica atipica come l’Unione europea si veda fra gli altri G. Pasquino, L'Europa in trenta lezioni, Utet Libri, Torino, 2017, in cui l’Autore ripercorre i tratti caratterizzanti le varie tappe che hanno contraddistinto il progetto di integrazione europea, analizzando la genesi storica e i criteri ispiratori che hanno determinato in una visione ideale la costruzione dell’Europa. Nella ricostruzione degli equilibri di potere su cui l’Unione europea si basa e gli organismi di cui è composta, con uno sguardo al passato e al presente, fornisce un esame dell’Europa che c'è e di quella che avrebbe potuto esserci nel progetto federalista degli Stati Uniti d’Europa. Cfr. anche S. Cassese, Che tipo di potere pubblico è l’Unione europea?, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2002, vol. 31, n. 1, 141-167; G. Della Cananea, L’Unione europea. Un ordinamento composito, Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2003, secondo cui l’Unione europea è un ordinamento pubblico composito, al quale non si applicano gli istituti e le categorie teoriche proprie degli ordinamenti statali e internazionali.
[ix] Per una ricostruzione dell’Unione europea in termini essenzialmente intergovernativi, vedi A. Moravcsik, Preferences and Power in the European Community: A liberal intergovernmentalist approach, in Journal of Common Market Studies, 1993, 31, 4, 473-524; Id., In Defense of the Democratic Deficit, in Journal of Common Market Studies, 2002, vol. 40, n. 4, 603-24, in cui l’Unione europea è ritenuta dall’Autore democraticamente legittima e le sue istituzioni sono considerate strettamente vincolate da controlli ed equilibri costituzionali. Moravcsik è uno dei principali esponenti della teoria intergovernativa; il modello proposto è di “inter-governativismo liberale”, che si basa su una teoria liberale di base nel rapporto che si instaura tra gli Stati e sull’interpretazione intergovernativa delle relazioni interstatali, dove i governi hanno un ruolo determinante nei negoziati. In tale teoria non assume rilevanza l’influenza di attori sovranazionali nel processo di integrazione europea.
[x] Cfr. M. Mascia, Il sistema dell'Unione Europea. Appunti su teorie, attori, processi nella prospettiva di una Costituzione per l'Europa (2^ edizione), Cedam, Padova, 2005, in cui l’Autore mette in evidenza le opportunità offerte dal sistema dell’Unione ai cittadini di accedere ai processi decisionali.
[xi] L’Alta Autorità rappresentava l’organismo con poteri deliberativi: poteva, infatti, emanare decisioni e raccomandazioni che avevano effetti vincolanti nei confronti dei destinatari, mentre al Consiglio speciale dei Ministri, composto da rappresentanti dei governi degli Stati membri, era affidata una funzione consultiva dell’Alta Autorità; oltre all’Alta autorità e al Consiglio speciale dei ministri, vi era poi l’Assemblea comune, costituita dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali, avente anch’essa funzione consultiva e la Corte di giustizia, l’organo al quale era attribuito il controllo giudiziario sulla legittimità degli atti e sul comportamento delle istituzioni. Cfr. M. CALAMIA, M. DI FILIPPO, S. MARINAI, Diritto dell’Unione europea. Manuale breve, Giuffrè, Milano, 2022; L. Daniele, Diritto dell'Unione europea: sistema istituzionale, ordinamento, tutela giurisdizionale, competenze, Giuffrè, Milano, 2010.
[xii] A. Tizzano, Trent’anni dal Trattato di Maastricht, in Quaderni AISDUE, 2022, 1, 147-159, secondo l’Autore nel Trattato di Maastricht il sistema giuridico-istituzionale non viene semplificato, anzi in tale sistema vengono previste strutture più complesse, competenze più ampie, procedure più numerose e contorte, «[…] in un contesto tanto intricato e confuso da indurre qualche autore addirittura a parlare di un “caos costituzionale” […]» (p. 150).
[xiii] In particolare, con il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 (in vigore il 1° maggio 1999) il ruolo del Parlamento europeo è stato progressivamente potenziato e così anche i poteri della Commissione; è estesa ad altri ambiti la procedura di co-decisione del Parlamento e vengono ampliate le ipotesi di votazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio. Con il Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001 (in vigore il 1° febbraio 2003), nell’obiettivo di riformare il quadro istituzionale dell'Unione europea, affinché l’Unione potesse far fronte alle sfide dei nuovi allargamenti agli Stati dell’Europa centro-orientale, per snellire le procedure decisionali, sono state apportate ulteriori modifiche: i poteri legislativi e di controllo del Parlamento sono stati rafforzati e sono state ulteriormente ampliate le ipotesi di voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Nell’ottica di rendere la Commissione europea maggiormente rappresentativa degli interessi comunitari, viene ridefinita la composizione della Commissione: un commissario per ciascuno Stato e non più due per gli Stati membri più popolosi. cfr. L. Daniele, Diritto dell'Unione europea: sistema istituzionale, ordinamento, tutela giurisdizionale, competenze, cit.
[xiv] Sulle novità del Trattato di Lisbona, fra i vari contributi si veda J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Il Mulino, Bologna, 2008, che illustra i contenuti salienti del Trattato sull’Unione europea; nonché F. Bassanini, G. Tiberi, Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Quaderni di Astrid, Il Mulino, 2010, in cui vengono esaminati dagli Autori i pregi e i difetti del nuovo Trattato e illustrato l’impatto che esso potrà avere, le sue implicazioni e i suoi potenziali sviluppi anche in merito agli aspetti della legittimazione democratica.
[xv] Inizialmente (già a partire dagli anni Sessanta) tale organismo nasce in via di prassi, consistendo nelle riunioni informali intercorse tra i Capi di Stato e di governo degli Stati membri. La formalizzazione del Consiglio europeo si ha nel 1974 in occasione del vertice di Parigi del 9 e 10 dicembre 1974. Il Consiglio europeo viene inserito nei Trattati istitutivi con l’articolo 2 e con l’art. 4 dell’Atto Unico Europeo. Per la storia di tale istituzione cfr. C. R. CARCHIDI, Il Consiglio Europeo: evoluzione, competenze e prassi, Giuffrè, Milano, 2007.
[xvi] Cfr. L. Daniele, Diritto dell'Unione europea: sistema istituzionale, ordinamento, tutela giurisdizionale, competenze, cit.
[xvii] In tale sistema di votazione a maggioranza qualificata viene inserito un elemento demografico (non governativo), nell’ottica di rendere le decisioni maggiormente rappresentative degli interessi dell’Unione, in base al quale la maggioranza richiesta (di norma il 55% dei membri) deve rappresentare almeno il 65% della popolazione dell’Unione (art. 16, par. 4, TUE).
[xviii] Per le decisioni relative a settori politici particolarmente rilevanti, i Trattati prevedono l’unanimità. La regola dell’unanimità si applica ad esempio per le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza comune o per alcune decisioni nell’area della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (art. 87, par. 3, TFUE).
[xix] Il numero dei membri della Commissione, in base a quanto disposto dall’art. 17, par. 4, TUE, avrebbe dovuto corrispondere ai due terzi del numero degli Stati membri, scelti in base ad un sistema di rotazione paritaria tra gli Stati membri che tiene conto dell’elemento demografico degli Stati stessi, a meno che il Consiglio europeo non avesse deciso, deliberando all’unanimità, di modificare tale numero. Il Consiglio europeo con decisione 2013/272 del 22 maggio 2013 ha stabilito che la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il Presidente e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, pari al numero degli Stati membri.
[xx] Tale autonomia della Commissione viene garantita nella sua composizione, essendo scelti i suoi componenti tra cittadini di ciascuno Stato membro, in base alla loro competenza generale, garantendo così che il loro operato venga attuato in modo autonomo e indipendente rispetto agli interessi specifici dei singoli Stati, ovvero venga condotto nell’interesse generale dell’Unione.
[xxi] Per una ricostruzione generale del sistema politico e istituzionale europeo cfr. S. Aloisio, Le istituzioni politiche dell’Unione Europea: un quadro critico, in Ripensare l’”Europa”. Istituzioni, mutamenti e concetti, a cura di F. Martiny & T. Visone, Edizioni Altravista, 2019, 21- 39, ove viene analizzata dall’Autore la dialettica tra la componente sovranazionale e quella intergovernativa. Viene constatato lo sbilanciamento di potere a favore del Consiglio europeo, che ha esteso il suo raggio di azione sui lavori della Commissione e del Parlamento europeo (p.26). L’indebolimento del ruolo della Commissione, determinato dal rafforzamento del Consiglio europeo, ha attuato la prevalenza di un assetto istituzionale intergovernativo; diversamente, avverrebbe nel caso di un rafforzamento del rapporto fiduciario della Commissione con il Parlamento europeo. Nella stessa direzione si esprime anche L. S. Rossi, Equilibri istituzionali e metodi di integrazione dell’Unione: quale ruolo per la “nuova” Commissione europea?, in A. Tizzano (a cura di), Verso i 60 anni dai Trattati di Roma. Stato e prospettive dell'Unione europea, Giappichelli, Torino, 2016, Vol. 8, 65-89, ove in particolare secondo l’Autrice, nel Trattato di Lisbona il tradizionale confronto fra metodo comunitario e metodo intergovernativo: mentre in origine questo era rappresentato dalla dialettica fra Commissione e Consiglio, i due metodi e i due fronti sono ora piuttosto affidati alla leadership del Consiglio Europeo e del Parlamento europeo (p. 72). cfr. altresì L. Frosina, La crisi “esistenziale” dell’Unione europea tra deriva intergovernativa e spinte centrifughe, in Nomos Convegni, 2018, 2, 1-20, in cui viene analizzata la tendenza al rafforzamento della dimensione intergovernativa propria degli ultimi anni e la crisi identitaria che riguarda l’Unione europea e le sue conseguenze sul processo di involuzione democratica.
[xxii] contra L. F. Pace, L’inapplicabilità della nozione di “sovranità” all’ordinamento giuridico dell’Unione europea: motivi teorici e pratici. L’Unione quale soluzione della crisi dello Stato nazionale nel continente europeo, in Quaderni AISDUE, 2022, 1, 37 ss. Per l’Autore l’Unione europea non è titolare di una propria sovranità, in quanto gli Stati non trasferiscono poteri sovrani all’Unione, ma limitano i propri poteri sovrani; pertanto l’Unione europea è titolare delle competenze che gli Stati membri le hanno trasferito tramite i Trattati. Il concetto di “sovranità europea” è riferibile non ad una nozione tecnico-giuridica bensì ad una esigenza politica degli Stati membri di realizzare una forma di autonomia strategica dell’Unione. Cfr. altresì Cannizzaro E., Il Diritto dell’integrazione europea, l’ordinamento dell'Unione, cit., ove vengono analiticamente descritti dall’Autore, in una visione critica, i tratti essenziali dell’ordinamento dell’Unione nei suoi aspetti sistematici relativi all’organizzazione delle sue funzioni fondamentali. Il sistema ordinamentale creato dal processo di integrazione europea è definito “complesso e sfuggente”; una forma di organizzazione internazionale che «[…] esercita poteri per conto dei suoi Stati membri e fonda, di conseguenza, la propria azione sul loro perdurante consenso […]»; in questa opposizione fra una prospettiva internazionalista e una prospettiva statalista risiede “l’origine di un irrisolto dilemma” (p. 6). Viene rilevato dall’Autore che la proiezione esterna dell’integrazione pone il problema della coesistenza sul piano internazionale di più enti, l’Unione e gli Stati membri, ciascuno dei quali possiede una sfera limitata di competenze, ma nessuno dei quali possiede la pienezza delle prerogative generalmente riassunta con la formula della sovranità (p. 21).
[xxiii] Cfr. S. Aloisio, Le istituzioni politiche dell’Unione Europea: un quadro critico, cit., in cui l’Autore prendendo in esame l'equilibrio dei rapporti tra la componente sovranazionale e quella intergovernativa, rileva che la compressione del ruolo della Commissione a favore del Consiglio implica la prevalenza di un assetto intergovernativo dell’Unione europea, viceversa, il consolidarsi del suo rapporto fiduciario con il Parlamento europeo e una conseguente acquisizione di capacità di indirizzo politico, avrebbe il risultato opposto (p. 14). Cfr. anche A. Manzella, L’identità costituzionale dell’Unione europea, in Il pensiero e la forma europea della politica (a cura di G. Laschi), CLUEB, Bologna, 2007, vol. 7, 101-111, secondo l’Autore: nel processo di integrazione europeo, gli elementi necessari sono: unione sovranazionale, Stati nazionali, cittadinanza “complementare”. La vera questione istituzionale è la ricerca della migliore composizione di equilibrio tra di essi per rendere efficace ed efficiente l’Unione come struttura di governo (p. 104).
[xxiv] Cfr. U. Villani, Metodo comunitario e metodo intergovernativo nell’attuale fase dell’Unione europea, in Studi sull’integrazione europea, 2019, 2, 259 ss., ove l’Autore constata come la presenza dei due metodi abbia da sempre caratterizzato il processo di integrazione, ma come «[…] L’attuale uso del metodo intergovernativo, in definitiva, conduce alla elusione dei principi e dei valori fondanti dell’Unione europea, in specie il valore della democrazia incarnato dal Parlamento europeo e della rule of law, che postula il un pieno esercizio del controllo giudiziario a opera della Corte di Giustizia. Paradossalmente – ma, invero, a causa di disinformazione e di travisamento dei dati reali, spesso opera dei media e di soggetti politici – questo fenomeno, frutto di un nuovo, esasperato nazionalismo, finisce per alimentare ulteriormente pulsioni “sovraniste”, additando l’Unione europea come responsabile di ogni problema e difficoltà, che, spesso, invece, sono il risultato delle scelte politiche degli Stati e dei loro governi. […]» (p.269).
[xxv] La Risoluzione del Parlamento europeo del 22 novembre 2023 (2022/2051(INL) sui progetti del Parlamento europeo intesi a modificare i trattati, è stata approvata dalla Plenaria a maggioranza dei suoi membri, a seguito del rapporto trasmesso dalla Commissioni Affari Costituzionali. Il Parlamento, facendo seguito a quanto emerso nella Conferenza sul futuro dell’Europa, terminata nel maggio 2022, per rafforzare la legittimità ed efficacia dell’Unione europea, ha adottato nel giugno 2022 la Risoluzione con cui accogliendo gran parte delle sollecitazioni della Conferenza, si è espresso a favore della convocazione di una Convenzione per la riforma dei trattati, incaricando la Commissione affari costituzionali di preparare un testo degli emendamenti da apportare ai trattati, da quest’ultima pubblicato il 22 agosto 2023.
[xxvi] Cfr. l’emendamento n. 23 della Risoluzione (2022/2051(INL) del Parlamento europeo approvata il 22 novembre 2023, con cui è proposta la modifica dell’art. 14, par. 2 ter (nuovo): «Il Parlamento europeo determina la propria composizione a maggioranza dei membri che lo compongono, nel rispetto dei principi di cui ai paragrafi 2 e 2bis, previa approvazione del Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata rafforzata».
[xxvii] Cfr. l’emendamento n. 189 della Risoluzione (2022/2051(INL) del Parlamento europeo del 22 novembre 2023 che, modificando l’art. 225 TFUE intende conferire il diritto di iniziativa legislativa al Parlamento europeo, prevedendo che: «A maggioranza dei membri che lo compongono, il Parlamento europeo può, conformemente all'articolo 294, adottare proposte sulle questioni cui si applica la procedura legislativa ordinaria. Prima di procedere in tal senso, comunica alla Commissione le sue intenzioni».
[xxviii] Cfr. l’emendamento n. 41 della Risoluzione (2022/2051(INL) del Parlamento europeo del 22 novembre 2023 che intende modificare l’art. 17, par. 7 TUE, apportando anche la seguente modifica: «[…] Il presidente eletto propone un elenco di candidati per la nomina a membri dell'Esecutivo. Detti candidati sono selezionati conformemente ai criteri di cui ai paragrafi 3 e 5 […]».
[xxix] Cfr. l’Emendamento n. 41 della Risoluzione (2022/2051(INL) del Parlamento europeo del 22 novembre 2023, che modificando l’art 17, par. 7 stabilirebbe che: «A seguito delle elezioni europee, il Parlamento europeo, deliberando a maggioranza dei membri che lo compongono, nomina al Consiglio europeo un candidato alla carica di presidente dell'Unione europea. Il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, dà la sua approvazione. Se il candidato nominato non ottiene la maggioranza, il Parlamento europeo, deliberando a maggioranza dei membri che lo compongono, nomina entro un mese un candidato. Il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza semplice, dà la sua approvazione».
[xxx] Cfr. l’Emendamento n. 42 della Risoluzione (2022/2051(INL) del Parlamento europeo di modifica dell’art. 17, par. 8 TUE. «L'Esecutivo è responsabile dinanzi al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo può votare una mozione di censura collettiva dell'Esecutivo o una mozione di censura individuale di un singolo membro dell'Esecutivo secondo le modalità di cui all'articolo 234 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Se è adottata una mozione di censura collettiva, i membri dell'Esecutivo si dimettono collettivamente dalle loro funzioni. Se è adottata una mozione di censura individuale, il Presidente dell'Esecutivo considera di richiedere che il membro dell'Esecutivo interessato si dimetta. Se il presidente decide di non richiedere al membro le dimissioni, l'Esecutivo dovrà essere collettivamente riconfermato secondo la procedura di cui al paragrafo 7, comma 3».
[xxxi] T. Cerruti, L’Unione europea in cammino fra crisi e prospettive di ulteriore integrazione, in Le Istituzioni del Federalismo, Numero speciale 1-2, 2022, 7-15, in cui è evidenziato come il processo di integrazione europea sia stato caratterizzato dalla costante alternanza fra crisi e tentativi di ripresa «[…] Gli ultimi venti anni confermano, infatti, la tendenza, da sempre latente, per cui davanti a situazioni problematiche inattese, talvolta provenienti dall’esterno, l’Unione europea si ritrae e gli Stati membri riaccentuano le loro prerogative sovrane, chiudendo i confini talvolta in senso proprio, talaltra in senso figurato […]» (p. 14); viene anche rilevato che «[…] l’Unione europea è però sempre uscita rafforzata dalle sue crisi, che costituiscono ancora oggi l’occasione per interrogarsi sull’opportunità e la fattibilità dell’assunzione di nuove competenze e, quindi, il perseguimento di una maggiore integrazione […]» (p.15).
[xxxii] Nel Libro bianco sul futuro dell’Europa del 2017 della Commissione europea si fa riferimento a cinque possibili scenari su come potrà essere l’Europa del 2025, in relazione ai diversi percorsi che potrebbero essere potenzialmente intrapresi dagli Stati membri e in cui si attua una integrazione solo in determinati ambiti. Cfr. Commissione Europea, Libro bianco sul futuro dell’Europa, Bruxelles, marzo 2017. Per una visione dei diversi scenari cfr. M. Franco, G. Luise, P. Pane, Scenari e prospettive politiche, sociali ed economiche della UE: il libro bianco sul futuro dell’Europa, in Atti del XXXIII Incontro Arethuse “Gobernanza Postcrisis en la Unión Europea”. Arethuse Spain, 2018, in cui gli Autori nel delineare i diversi scenari prospettano anche le conseguenze e i limiti delle scelte. cfr. anche A. Miglio, Riforma dell’Unione e integrazione differenziata: l’eterno ritorno di un binomio classico, in Quaderni AISDUE, 2023, 264-277.
[xxxiii] Cfr. M. Brunazzo, La differenziazione integrata. L’Unione europea e le sue prospettive future, Mondadori, Milano, 2017. L’Autore analizza in tale saggio gli aspetti legati alle scelte di alcuni Stati nel procedere verso una maggiore integrazione a differenza di altri che non hanno sentito tale la necessità e come l’integrazione differenziata possa conciliarsi con il fatto che l’integrazione europea è sempre stata considerata un processo unico per tutti i paesi membri. L’integrazione differenziata (con il rafforzamento dell’integrazione della sola zona dell’euro) al quale si fa riferimento nel dibattito politico sulle prospettive future dell’Unione europea, pone secondo l’Autore, importanti problemi, potendo creare maggiori tensioni tra i paesi membri e rischiare di minare l’integrazione nel suo complesso.
[xxxiv] Una significativa lacuna dell’integrazione europea viene individuata da molti studiosi nella mancanza di un’identità pan-europea, tale da intessere un solido legame tra l’identità sovranazionale e le identità nazionali dei singoli Stati membri. Tra le varie riflessioni si veda A. D'Attorre, L’Europa e il ritorno del ‘politico’. Diritto e sovranità nel processo di integrazione, Giappichelli, Torino, 2020; secondo l’Autore per la stessa sopravvivenza dell’Europa, in un quadro geopolitico ed economico radicalmente mutato rispetto a quello in cui il progetto europeo è stato concepito, occorre oggi ripensare, ancora prima della concreta forma istituzionale, ai suoi presupposti teorici e alle sue finalità fondamentali. Cfr. anche G. Scalise, Il mercato non basta: Attori, istituzioni e identità dell'Europa in tempo di crisi, University Press, Firenze, 2017, in cui l’Autrice analizza le radici sociali della crisi europea attraverso uno studio sulle diverse forme identitarie che caratterizzano l’Europa e i vari fattori che la influenzano. Cfr. anche, pur meno recente, A. Colombo, I volti dell’Europa, idee, identità, unificazione (Orientamenti e prospettive per un bilancio), in Il Politico, 2003, 197-248, in cui l’Autore mette in luce la necessità di accertare l’attuale “identità” dell'Europa, e di ricostruire le tappe del processo di integrazione, in cui federalismo e funzionalismo sono i principali punti di riferimento per le strategie a confronto e che hanno condizionato il difficile sviluppo dell'unità politica europea.