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Pubbl. Mer, 28 Gen 2015

Le sentenze Kadi della CGUE: tra lotta al terrorismo e diritti fondamentali

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Antonio Coppola


La Corte di Lussemburgo si è recentemente, e per ben due volte, espressa sulla impugnazione di un regolamento del Consiglio che prevedeva il "congelamento" dei beni delle persone - tra le quali il sig. Kadi - inserite in una blacklist di presunti terroristi predisposto da un organo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il c.d. Comitato delle sanzioni. La Corte di giustizia ha respinto la tesi del Tribunale di primo grado che aveva stabilito il difetto di giurisdizione del giudice comunitario. Essa ha ribadito il dovere di garantire il controllo di legittimità di tutti gli atti dell’Unione, anche di quelli che attuano risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.


L’Unione Europea, in altri termini, non può dare legittimamente esecuzione a decisioni, neppure adottate nell’ambito delle Nazioni Unite, nel cui iter di formazione manchi la predisposizione di strumenti di garanzia idonei alla tutela dei diritti fondamentali degli individui[1]. La Corte di giustizia, in sostanza, in entrambe le pronunce Kadi tenta di tracciare una composizione tra valori contrapposti: anche le esigenze derivanti dall’attuazione di risoluzioni del Consiglio di sicurezza devono passare attraverso le maglie della valutazione giurisdizionale della “proporzionalità” e del “minor sacrificio possibile” dei diritti fondamentali della persona che con quelle esigenze confliggono.

La Corte di giustizia, dunque, in seguito al ricorso del Kadi ha confermato un approccio dualista nella configurazione dei rapporti tra l’ordinamento comunitario e quello di appartenenza delle Nazioni Unite: ciò le ha consentito di sindacare la legittimità del regolamento di riferimento senza intaccare la validità e/o l’efficacia della risoluzione del Consiglio di sicurezza (che, dal punto di vista del diritto internazionale, dunque, resta tal quale com’era). Anche la Corte di giustizia, inoltre, non ha inteso sottrarsi alla difesa della propria identità costituzionale (si passi l’espressione, pur tecnicamente impropria) neppure dinanzi alla decretazione del Consiglio di sicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta di San Francisco[2]. La primauté della quale gode il diritto comunitario è inscindibilmente legata, e si giustifica oggi, nella visione della Corte, solo ed esclusivamente attraverso il pieno rispetto dei diritti fondamentali da parte delle istituzioni dell’Unione[3].

(Antonio Coppola)

[1] Con la sentenza del 3 settembre 2008, la Corte di giustizia Ue ha rilevato una violazione del diritto alla difesa, del diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto di proprietà.

[2] Cfr. G. F. FERRARI, Kadi: verso una Corte di giustizia costituzionale?, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2009, pp. 187 e ss.; A. BALSAMO, G. DE AMICIS, Terrorismo internazionale, congelamento dei beni e tutela dei diritti fondamentali nell’interpretazione della Corte di giustizia, in Cassazione penale, 2009, pp. 401 e ss.; M. E. BARTOLINI, Articolazione delle competenze e tutela dei diritti fondamentali nelle misure UE contro il terrorismo, in Diritto dell’Unione europea, 2009, pp. 47 e ss.

[3] Contra L. GRADONI, Raccontare Kadi dopo Kadi II: perché la Corte di giustizia dell’Unione europea non transige sul rispetto dei diritti umani nella lotta al terrorismocit., p. 614, per il quale “La mossa compiuta dalla Corte sullo scacchiere dei rapporti tra ordinamenti potrebbe essere intesa non solo – e forse non tanto – come un messaggio “solange” indirizzato al Consiglio di sicurezza, ma anche e soprattutto come una indicazione fornita agli Stati membri o, meglio, ai rispettivi governi: finché le garanzie democratiche nel processo politico-decisionale europeo non saranno rinforzate, l’Unione non potrà considerarsi implicitamente investita di poteri di emergenza”.