Pubbl. Ven, 8 Mar 2024
Le Sezioni Unite sui presupposti per il riconoscimento della recidiva reiterata
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Giovanni Perrone
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono interrogate già in passato sulla natura circostanziale della recidiva e sulla applicabilità alla stessa delle disposizioni codicistiche relative alla circostanze e dopo aver risposto in senso affermativo a tale quesito, con la sentenza del 25 luglio 2023 n.32318 hanno altresì ammesso che ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata non sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice.
Sommario: 1. Premessa; 2. Le Sezioni Unite sulla natura giuridica della disciplina ex art. 99 c.p; 3. Le Sezioni Unite sulla recidiva reiterata: impianto motivazionale e alcune riflessioni critiche; 4. Conclusioni.
1. Premessa
L’istituto della recidiva fu introdotto nel codice Zanardelli, il quale stabiliva che chi, dopo la condanna e non oltre dieci anni dal giorno in cui la pena fu scontata o dichiarata estinta, commetteva un altro reato non potesse essere punito con il minimo della pena. Il Codice Rocco, oltre ad introdurre la classificazione delle varie tipologie di recidiva, riformulò la disciplina eliminando ogni riferimento all’avvenuta espiazione della pena e ogni limite di carattere temporale.
Il legislatore, con la legge 7 giugno 1974 n. 220, ha previsto il principio di facoltatività della recidiva, mentre, con la legge 5 dicembre 2005 denominata “ex Cirelli”, ha ridotto la sfera applicativa dell’istituto e ha inasprito gli aumenti di pena. In particolare, la legge “ex Cirelli” ha ristretto la nozione di recidivo riferendola solo a colui che “dopo essere stato condannato per un delitto non colposo ne commette un altro”, espungendo dalla sfera di applicazione della norma tutte le contravvenzioni e i delitti colposi.
Ad oggi, quindi, l’art. 99 c.p. prevede, al primo comma, la recidiva semplice affermando che, chi dopo essere stato condannato per un delitto non colposo ne commette un altro può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. Al secondo comma, invece, è disciplinata la recidiva aggravata che si configura quando il nuovo delitto non colposo è della stessa indole di quello precedente, ovvero se è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente o ancora, se il nuovo delitto non colposo è stato commesso, durante o dopo, l’esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena. In questo caso l’aumento di pena previsto è da un terzo alla metà. Il comma terzo prevede che qualora concorrano più circostanze, fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento della pena è della metà.
La giurisprudenza ha interpretato tale comma affermando che seppur non venga adoperato il termine “può” come nei commi precedenti non si prevede in questa ipotesi un caso di recidiva obbligatoria. Il quarto comma, invece, prevede che se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso previsto dal primo comma, è della metà e, mentre nei casi previsti dal secondo comma è di due terzi. Come si può denotare, mentre il primo comma configura la recidiva come una circostanza aggravante comune, i commi successivi prevedono delle forme di recidiva assimilabili a delle circostanze aggravanti ad effetto speciale. Il quinto comma prevede che se si tratta di uno dei delitti indicati dall’art. 407 c.p.p. l’aumento della pena, in caso di recidiva non può essere inferiore ad un terzo. Il quinto comma prevedeva anche che la recidiva, nei casi da esso disciplinati, doveva essere contestata obbligatoriamente.
Tale statuizione è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, la quale ha riaffermato con forza il principio di facoltatività dell’istituto. Infine, l’ultimo comma dell’art. 99 c.p. prevede che l’aumento di pena per effetto della recidiva non può mai superare il cumulo delle sanzioni risultanti dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.
La recidiva deve essere contestata espressamente nel capo d’imputazione, oltre che adeguatamente motivata, e la sua configurazione non comporta necessariamente effetti diretti, come l’aumento di pena, ma anche effetti indiretti potendo incidere anche solo in relazione al giudizio di bilanciamento ex art. 69 cp.1.
2. Le Sezioni Unite sulla natura giuridica della disciplina ex art. 99 c.p.
La recidiva, facendo riferimento all’art. 70 c.p. è stata considerata,sin da subito, come un circostanza aggravante soggettiva inerente alla persona del colpevole anche se una parte della dottrina non ha mai condiviso tale impostazione, soprattutto a seguito delle modifiche legislative dell’istituto intervenute nel 1974 e nel 2005. In particolare, parte della dottrina affermava l’irriducibilità della recidiva a circostanza in senso tecnico considerandola come status soggettivo correlato al solo dato formale della ricaduta nel reato dopo una previa condanna passata in giudicato che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice. Tale orientamento dottrinale faceva leva sulla non vincolatività della classificazione fornita dal codice, sul carattere facoltativo della stessa e sulla non incidenza della stessa con riguardo al regime di procedibilità del reato2. Si specifica che tale orientamento si pone in netto contrasto con i principi costituzionali e comunitari.
Le Sezioni Unite invece hanno affermato la natura di circostanza aggravante della recidiva. Nella motivazione gli ermellini hanno affermato che l’art. 99 c.p. non va considerato solo in relazione all’art. 70 c.p., ma va letto, secondo una visione organica, in relazione all’art. 63 c.p., comma 3, all’art. 69 c.p. comma 4, all’art. 62 bis c.p. comma 2 e all’art. 133 c.p. In questo modo si denota che al pari delle altre circostanze aggravanti previste dal codice penale, la cui natura giuridica non è messa in discussione, esplica un’efficacia extra edittale. Il riconoscimento della recidiva ,infatti, consente al giudice di aumenta quantitativamente la sanzione penale, al di sopra limiti massimi di pena previsti in astratto dalla fattispecie incriminatrice, adeguandola e commisurandola al fatto concreto. L’affermazione della natura circostanziale della recidiva comporta quindi l’applicazione alla stessa anche dell’art. 59 c.p., il quale impone che le circostanze che aggravano la pena devono essere conosciute dall’agente, ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa 3.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che la recidiva richiede che il giudice compia un accertamento discrezionale relativamente al caso concreto in modo da comprendere se lo status di recidivo sia sintomatico, in relazione al tipo di reati commessi, alla loro offensività, omogeneità e vicinanza temporale, di un maggiore colpevolezza e di una maggiore capacità di delinquere. L’applicazione della recidiva, in conformità al principio di colpevolezza, deve anche dipendere dalla effettiva conoscenza e prevedibilità da parte del reo della sussistenza della recidiva e del possibile aumento di pena.
Questa impostazione sicuramente è stata incoraggiata da quegli orientamenti che hanno ritenuto inammissibile la contestazione obbligatoria della recidiva. Tali orientamenti sono stati recepiti anche dalla Corte Costituzionale la quale ha dichiarato illegittimo il comma 5 dell’art. 99 c.p. La Consulta infatti ha ritenuto che neanche in relazione ai reati più gravi, come quelli richiamati dall’art. 407 c.p.p., si può automaticamente ritenere che il fatto commesso da un soggetto già condannato in precedenza sia automaticamente rappresentativo di un maggior livello di colpevolezza4.
Il giudice deve quindi compiere, con ampio margine di discrezionalità, una verifica unitaria avente ad oggetto i profili riguardanti l’intensità della colpevolezza e la pericolosità del reo al fine di determinare l’aggravamento di pena o di effettuare un bilanciamento tra le singole circostanze aggravanti e le circostanze attenuanti.
La discrezionalità del giudice trova un limite effettivo nel principio di ragionevolezza e non discriminazione, infatti in tal senso la Corte di Cassazione ha affermato che nel momento in cui viene contestata una recidiva aggravata o reiterata ex art. 99 comma 2 e comma 4, il giudicante deve aumentare la pena in misura necessariamente superiore ad un terzo, altrimenti vi sarebbe il rischio che un recidivo semplice si veda irragionevolmente condannato ad una pena superiore a quella applicata ad un recidivo aggravato o reiterato5.
3. Le Sezioni Unite sulla recidiva reiterata: impianto motivazionale e alcune riflessioni critiche
Come detto sopra, la recidiva reiterata si ha quando il recidivo commette un altro delitto non colposo ed è disciplinata dall’art. 99 comma 4 il quale prevede, nei casi di recidiva reiterata semplice, l’aumento di pena della metà, mentre nei casi di recidiva reiterata aggravata un aumento fino a due terzi. L’art. 99 comma 4 c.p. riporta il seguente periodo, “se il recidivo commette un delitto non colposo”, pertanto la giurisprudenza si è domandata se ai fini della contestazione della recidiva reiterata fosse necessario che il reo fosse stato già condannato in passato con una sentenza che contestasse a sua volta la recidiva semplice. In altre parole, la Corte di Cassazione in relazione alla contestazione della recidiva reiterata si è interrogata sulla necessità o meno di un riconoscimento giudiziale anteriore al nuovo delitto dello status di recidivo. Se una parte della dottrina, seguendo un’impostazione estremamente formalistica, rispondeva in senso affermativo a tale quesito, la giurisprudenza ha proteso per la soluzione negativa. Le Sezioni Unite, in questo caso, sono state adite non per sanare un contrasto giurisprudenziale già esistente, ma per fugare sul nascere ogni possibile dubbio interpretativo.
I Supremi giudici in primo luogo hanno ritenuto che non vi sia alcun elemento, sul piano letterale, che indichi la necessaria contestazione della recidiva semplice nella precedente sentenza di condanna, come presupposto per l’applicazione della recidiva reiterata. Gli ermellini hanno affermato che l’intento legislativo nell’adoperare il termine “recidivo” è quello di richiamare la prima parte del primo comma dell’art. 99 c.p., vale a dire di soggetto condannato per un primo delitto non colposo che ne commetta un altro, e non anche la seconda parte del testo, relativo al riconoscimento giudiziale della recidiva e l’applicazione del trattamento sanzionatorio.
Il secondo argomento è sistematico e riguarda l’art. 105 c.p. sulla dichiarazione di delinquente o contravventore professionale. Si richiede nella norma che la persona che si trovi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità commetta un altro reato, e da tale locuzione quindi si desume che il grado superiore di delinquenza professionale può essere dichiarata sebbene manchi una precedente dichiarazione del grado inferiore di delinquenza abituale. Si ritiene che tale interpretazione trovi il suo limite nella circostanza in cui l’art. 105 c.p. preveda una figura di pericolosità sociale, mentre la recidiva, quale circostanza aggravante, è sottoposta alla disciplina dell’art. 59 c.p. che ne subordina l’applicazione al fatto di essere conosciuta o conoscibile dall’agente6.
Un terzo argomento a sostegno della non necessaria contestazione trova un aggancio nell’art. 162 bis c.p. che esclude l’operatività dell’oblazione per i recidivi reiterati. Tale nozione è stata interpretata come non necessitante una dichiarazione giudiziale, risultando sufficiente la mera sussistenza dei precedenti che, per numero e natura, integrino l’ipotesi recidivante. Secondo un orientamento contrario, l’utilizzo dell’art. 162 bis per motivare la natura sostanziale della recidiva reiterata appare come una forzatura, dal momento che il dato testuale della norma non fornisce alcun indizio utile a ricostruire la natura giuridica dell’istituto ex art. 99 comma 4 c.p.
Per ultimo le Sezioni Unite richiamano il patteggiamento allargato. Esso, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., non può essere richiesto da coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza o recidivi reiterati, anche se si deve specificare a tal proposito che la Corte di Cassazione ha ritenuto impropria la parificazione dei delinquenti abituali, professionali, per tendenza e recidivi essendo a tali fini imposta solo per esigenze di semplificazione normativa7.
4. Conclusioni
Secondo tale pronuncia la ratio sottesa alla recidiva è proprio quella di adeguare la pena alla maggiore colpevolezza che caratterizza l’azione di chi, nonostante le precedenti sentenze di condanna, continui a delinquere manifestando un immutato atteggiamento antidoveroso della volontà8.
Le Sezioni Unite affermano, quindi, che il giudizio sulla recidiva deve essere particolarmente elastico e non ancorato a rigidi formalismi. In altre parole, il giudice deve valutare il complesso della progressione criminosa a prescindere dalla contestazione della recidiva semplice nella precedente sentenza.
Un vantaggio concretamente apportato da tale interpretazione consiste sicuramente nell’evitare che il giudice chiamato a decidere contesti irragionevolmente la recidiva semplice solo per non vedersi frustata la possibilità di applicare in futuro la rediva reiterata.
Secondo un’altra linea di pensiero, propria dei giudici dalla V sezione della Corte di Cassazione, sarebbe irragionevole contestare la recidiva reiterata, da cui discendo effetti diretti e indiretti molto gravosi, quando il giudice anteriormente non ha ritenuto sussistenti i presupposti per applicare la recidiva semplice. Gli ulteriori rischi che potrebbero derivare dalla decisione delle Sezioni Unite, sarebbero quelli di rendere ancor più evanescente l’onere motivazionale del giudice e di far ricadere di nuovo la recidiva in quell’automatismo applicativo contrario all’odierna concezione di colpevolezza9.
Si conclude pertanto, che il giudice, nel momento in cui si accinge a contestare la recidiva, deve analizzare il fatto di reato commesso alla stregua dell’intera serie criminosa, valutando l’omogeneità e l’offensività dei singoli reati, la loro lontananza temporale e tutti i singoli elementi che emergono da un'analisi fattuale. A tal proprosito, si specifica, inoltre, che la Corte Costituzionale, già da tempo, ha ritenuto che il principio di colpevolezza ex art. 27 Cost., costituisce un principio fondamentale che svolge una funzione complementare e non meramente integrativa rispetto a quella tipica del principio di legalità10. Alla luce di quanto appena affermato si ritiene, quindi, che il soggetto, al momento in cui agisce, deve essere perfettamente in grado di calcolare e prevedere le conseguenze sanzionatorie a cui sarà sottoposto. L'interprete, pertanto, dovrà fare particolare attenzione all'elemento temporale e cronologico, oltre che alla natura dei reati integranti la serie criminosa. A tal proposito, potrebbe verificarsi che, in relazione a reati non omogenei tra loro o comunque commessi in un lasso di tempo molto dilatato, il reo possa non effettivamente conoscere il suo status di recidivo e quindi non prevedere un’applicazione della pena maggiore. Da ciò deriva che il soggetto attivo in questo caso non sarà in grado di calcolare e calibrare le conseguenze delle sue azioni secondo quanto previsto dai principi fondamenetali sopra esposti e per questo motivo, non si può ritenere, in nessun modo, che sussista quella particolare intensità della colpevolezza che giustifichi un trattamento sanzionatorio aggravato.
1. Cass. Sez. un. 18 Giugno 1991 n.17.
2. F. MANTOVANI, G.FLORA, Diritto penale, 2023, Padova, pp 604 e ss.
3. Cass. Sez un. 24 maggio 2011, n. 20798.
4. Cort. Cost. sentenza 23 luglio 2015 n. 85.
5. A. MELCHIONDA, La nuova disciplina della recidiva, in diritto penale e processo, 2006, pp. 179-180.
6. Cass. Sez. un. 25 luglio 2023, n. 32318
7. F. LOMBARDI, Le Sezioni Unite sulla recidiva reiterata in assenza di una precedente dichiarazione di recidiva semplice, in rivista online www.lamagistratura.it, 2023.
8. F. CARINGELLA, F. DELLA VALLE, M. DE PALMA, Manuale di diritto penale parte generale, 2022, Roma, p. 1312.
9. A. ROTOLO, I presupposti per il riconoscimento della recidiva reiterata: le Sezioni Unite escludono la necessità di una precedente applicazione della recidiva, In rivista online www.sistemapenale.it, 2024.
10. Cort. Cost. sent. n. 364 del 24 marzo 1988.