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Pubbl. Gio, 2 Nov 2023

La circolazione internazionale delle opere d´arte e la discrezionalità tecnica alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali

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Lia Montereale
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Roma La Sapienza



Il presente articolo, attraverso la disamina della normativa di settore e delle più recenti pronunce giurisprudenziali, intende analizzare l’istituto della discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione applicato ai beni culturali, in particolare al settore della circolazione internazionale delle opere d’arte. Verranno analizzate le possibili criticità derivanti dai provvedimenti di diniego all’uscita definitiva di un bene dal territorio nazionale e i parametri individuati dal giudice amministrativo per dirimere la controversia.


ENG

The international circulation of the artwork: the public administration discretionary power of assessment and the most recent judicial decisions

This article intends to analyze, through the examination of the specialized regulations and the most recent judicial decisions, the public administration discretionary power of assessment applied to cultural heritage, in particular to the sector of the international circulation of the artwork. The article is going to highlight the possible critical issues which arise from the denial of the permit of definitive exit of a cultural good from the Italian territory and the parameters identified by the administrative judge to resolve the dispute.

Sommario: 1. Premessa; 2. La discrezionalità tecnica; 2.1. La circolazione internazionale delle opere d’arte; 2.2. L’articolo 68 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e il decreto ministeriale n. 537 del 2017; 3. Le recenti pronunce del giudice amministrativo; 4. Conclusioni.

1. Premessa

In base ad un risalente orientamento giurisprudenziale, la tutela del patrimonio culturale (nelle diverse attività previste e disciplinate dal decreto legislativo n. 42 del 2004 recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio”) e la discrezionalità tecnica costituiscono un "binomio inscindibile[1]".

La giurisprudenza ha infatti evidenziato come l'esercizio dell’attività di tutela sia espressione della discrezionalità tecnica (ex multis: Cons. St., VI, 7 ottobre 2008, n. 4823; 9 novembre 2011, n. 5921; 20 dicembre 2011, n. 6725; 13 settembre 2012, n. 4872; 14 luglio 2014, n. 3637; 11 marzo 2015, n. 1257; 15 giugno 2015, n. 2903; 14 agosto 2015, n. 3932; 14 ottobre 2015, n. 4750; 3 dicembre 2015, n. 5487), la quale diventa fondamentale per la tutela del patrimonio culturale della Nazione (articolo 9 della Costituzione).

I provvedimenti emessi dagli uffici preposti alla tutela del patrimonio culturale non sempre però vengono accolti con favore, scontrandosi spesso con altri interessi, soprattutto privati, che richiedono l’intervento dell’autorità giurisdizionale. Fondamentale diventa quindi l’analisi e la comprensione del rapporto tra l’attività della pubblica amministrazione, nell’esercizio della sua attività di discrezionalità tecnica, e il potere del giudice amministrativo chiamato a dirimere la controversia insorta.

Con il presente articolo, si intende pertanto fornire un utile strumento di analisi e di raccolta delle più significative quanto recenti pronunce giurisprudenziali (2020 - 2023) che, rifacendosi ad un consolidato e pressoché costante orientamento giurisprudenziale, ribadiscono il perimetro di valutazione e i parametri a cui il giudice amministrativo è chiamato ad attenersi.

L’intento è quello di evidenziare come i “limiti” del sindacato giurisdizionale e la “prevalenza” del giudizio tecnico-discrezionale dell’amministrazione culturale investano tutte le attività di tutela (culturale, paesaggistica, etc.) previste e disciplinate dal codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare, si farà riferimento al tema della circolazione internazionale delle opere d’arte e alle possibili criticità derivanti dalle motivazioni espresse dall'amministrazione culturale e dai provvedimenti di diniego all’uscita definitiva di un bene dal territorio nazionale (capo V “Circolazione in ambito internazionale”, sezione I  “Principi in materia di circolazione internazionale”, del predetto Codice).

2. La discrezionalità tecnica

In alcuni settori, la valutazione tecnica è suscettibile di un controllo mediante regole scientifiche esatte e non opinabili (ad esempio, la gradazione alcolica di una bevanda o la quantità di stupefacente presente in una sostanza); altre volte, come avviene nel settore della tutela del patrimonio culturale, le regole tecniche sono frutto di scienze inesatte e, dunque, in essa emergono valutazioni opinabili (es. la valutazione di un bene come bellezza paesaggistica).

Si parla infatti di "discrezionalità proprio per indicare che tali giudizi, ancorché compiuti alla stregua di regole della scienza e della tecnica, restano opinabili, ciò in quanto l’applicazione della norma tecnica non determina un risultato univoco, posto che molte discipline tecniche e scientifiche non sono scienze esatte [...]

La giurisprudenza amministrativa, chiamata ad esprimersi in ordine al potere dell’amministrazione di valutare l’interesse culturale dei beni ai fini del vincolo di tutela (paesaggistico, monumentale, archeologico ecc.), ha avuto modo di affermare che detto potere è espressione di ampia discrezionalità tecnico-specialistica; ed è pertanto tendenzialmente insindacabile innanzi al giudice amministrativo, se non per eccesso di potere per intrinseca illogicità o travisamento dei fatti indotto da uno o più errori obiettivamente rilevabili, quali gli errori di calcolo (matematico, topografico, antropometrico) e/o gli errori nell'applicazione di regole mutuate da scienze esatte (matematica, geometria, geologia, biologia, chimica, fisica, ecc.) o di regole sulle quali si basano discipline applicative di queste ultime (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisdizionale, 2 marzo 2020, n. 145)[2]".

Emerge quindi come la discrezionalità tecnica differisca sia dall’accertamento tecnico - che si riferisce a dati che possono essere acquisiti in modo certo e indubbio (come le misure di un fondo, la gradazione alcolica di un liquore), che mancano di una valutazione e di un giudizio - sia dalla la c.d. “discrezionalità amministrativa”.

In quest’ultimo caso, il giudice amministrativo è chiamato a verificare che l’amministrazione abbia svolto una ragionevole ed adeguata ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti. Con riferimento invece alle attività di tutela del patrimonio culturale, il giudice è chiamato a verificare esclusivamente la logicità e l’attendibilità del giudizio tecnico - scientifico espresso dall’amministrazione culturale, nonché la correttezza del criterio tecnico e dei procedimenti prescelti, affinché il sindacato giurisdizionale non si sostituisca né si sovrapponga a quello dell'amministrazione, attraverso una valutazione alternativa e pertanto altrettanto opinabile.

Il Consiglio di Stato, sez. VI, 4 settembre 2020, n. 5357, in tema di imposizione del cd. vincolo culturale, ha infatti ribadito come "Il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità.

L'apprezzamento compiuto dall'amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile".

Anche in ambito paesaggistico, tale principio è stato ripreso e confermato dal Consiglio di Stato, sez. VI, che, con sentenza n. 3652 del 2015, ha stabilito come, nell’esercizio della funzione di tutela, non possano essere tenuti in considerazione altri interessi che non siano l’interesse pubblico primario oggetto dell’azione di tutela. Nello specifico la predetta sentenza ha stabilito che "alla funzione di tutela del paesaggio (che il Mibac qui esercita esprimendo il suo obbligatorio parere nell'ambito del procedimento di compatibilità ambientale) è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione […].

Invero, anche nel procedimento in questione (circa il quale è il caso di rammentare il precedente di cui a Cons. Stato, VI, 10 giugno 2013, n. 3205) il parere del Mibac in ordine alla compatibilità paesaggistica non può che essere un atto strettamente espressivo di discrezionalità tecnica, dove - similmente al parere dell'art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - l'intervento progettato va messo in relazione con i valori protetti ai fini della valutazione tecnica della compatibilità fra l'intervento medesimo e il tutelato interesse pubblico paesaggistico: valutazione che è istituzionalmente finalizzata a evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del preesistente valore protetto.

[…] La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione […] richiede, a opera dell'amministrazione appositamente preposta, che si esprimano valutazioni tecnico-professionali e non già comparative di interessi, quand'anche pubblici e da altre amministrazioni stimabili di particolare importanza.

[…] Diversamente dalla discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica non può dar luogo ad alcuna forma di comparazione e valutazione eterogenea. Nell'esercizio della funzione di tutela spettante al Mibac, l'interesse che va preso in considerazione è solo quello circa la tutela paesaggistica, il quale non può essere aprioristicamente sacrificato dal Mibac stesso, nella formulazione del suo parere, in considerazione di altri interessi pubblici la cui cura esula dalle sue attribuzioni".

Sempre il Consiglio di Stato, sez. VI, 29 luglio 2020, n. 4830 ha ribadito i parametri e i limiti del sindacato giurisdizionale, stabilendo che "[…] la soprintendenza, nel verificare la compatibilità paesaggistica, dispone di un'ampia discrezionalità tecnica e, dunque, il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale solo nelle ipotesi di difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato".

2.1. La circolazione internazionale delle opere d’arte

Con riferimento alla circolazione internazionale dei beni culturali, è necessario premettere come essa costituisca un settore complesso e particolarmente delicato, trattandosi di beni per i quali viene richiesta l’uscita definitiva dal territorio nazionale e relativamente ai quali un eventuale provvedimento di diniego all’esportazione andrebbe inevitabilmente a comprimere il diritto della proprietà privata sugli stessi.

In Italia, la disciplina specialistica concernente la circolazione internazionale dei beni culturali trova la sua fonte primaria nel decreto legislativo n. 42 del 2004 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio, d’ora in avanti “Codice”,  il quale, in un apposito capo (il capo V del titolo I della parte seconda), stabilisce le regole e le procedure giuridico-amministrative in materia di circolazione internazionale di beni già riconosciuti di interesse culturale, o non ancora riconosciuti come tali ma suscettibili di esserlo. Il Codice dei beni culturali esprime un orientamento “protezionistico” tipico dei paesi c.d. “esportatori” o “source countries” che rientrano tra quei paesi ricchi di beni culturali che, soprattutto in passato, sono stati saccheggiati a favore dei paesi c.d. “importatori” o “market countries”.

Il sopra richiamato capo V, si apre con l’articolo 64-bis secondo cui il controllo sulla circolazione internazionale, definita funzione di preminente interesse nazionale, è finalizzato a preservare l'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti, affermazione che va letta in combinato disposto con l’articolo 9 della Costituzione secondo il quale la Repubblica "promuove lo sviluppo della cultura" e "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".

La normativa codicistica, a sua volta, va integrata con la disciplina contenuta nel regio decreto n. 363 del 1913, per quanto ancora applicabile (articolo 130 del Codice dei beni culturali) e con i decreti ministeriali emanati in materia di circolazione internazionale, vale a dire: il decreto ministeriale n. 537 del 2017 recante “Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell'attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico” e il decreto ministeriale 17 maggio 2018, n. 246, successivamente modificato, recante “Condizioni, modalità e procedure per la circolazione internazionale di beni culturali.

La Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della cultura, inoltre, ha adottato la circolare n. 13 del 2019 recante “Atto di indirizzo in materia di uscita dal territorio nazionale, ingresso nel territorio nazionale ed esportazione dal territorio dell’Unione europea dei beni culturali e delle cose di interesse culturale” che fissa principi e regole operative in materia di circolazione internazionale dei beni culturali.

Il controllo all’esportazione, sia da un punto di vista scientifico che amministrativo, è svolto dal Ministero della cultura per il tramite della Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio, Servizio IV “Circolazione che si avvale degli uffici di esportazione, uffici periferici incardinati sul territorio nazionale presso alcune Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio.

Coloro che sono interessati ad esportare un bene culturale all’estero devono presentare, per il tramite del portale informatico S.U.E. (sistema informativo uffici esportazione), a seconda dell’età e del valore economico del bene, un'istanza di rilascio di attestato di libera circolazione[3] o una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà[4], indirizzandola ad un determinato ufficio esportazione che viene liberamente individuato dall’operatore.

L’amministrazione valuta l’interesse culturale del bene, potendo denegarne l’uscita, se lo ritiene di interesse culturale, e avviando contestualmente il procedimento di dichiarazione di interesse culturale. Detto procedimento porterà all’eventuale adozione del c.d. provvedimento di vincolo ad opera degli uffici competenti. In caso di assenza di interesse culturale, l’ufficio di esportazione potrà autorizzarne l’uscita dal territorio nazionale.

Con riferimento all’articolo 68, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004, nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell’attestato di libera circolazione, gli uffici di esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale di cui fanno parte, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, a termini dell'articolo 10 del Codice. Nel compiere tale valutazione gli uffici di esportazione si attengono a indirizzi di carattere generale stabiliti con decreto del Ministro.

Detti indirizzi sono contenuti nel decreto n. 537 del 2017, adottato dall’allora Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, recante “Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell'attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, che sostituiscono integralmente i criteri contenuti in una circolare del 1974, c.d. circolare Argan, del Ministero dell’istruzione (che si fondava sul parametro del “danno” derivante al patrimonio nazionale dall’uscita del bene dai confini nazionali, poi eliminato dal decreto legislativo n. 42 del 2004).

Gli indirizzi del 2017 sono stati elaborati da un gruppo di lavoro istituito con il decreto del Direttore generale archeologia, belle arti e paesaggio del 24 ottobre 2016, n. 492, per la formulazione di una proposta volta all’adozione di provvedimenti finalizzati ad individuare nuovi criteri per il rilascio dell’attestato di libera circolazione previsto dall’articolo 68 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, al fine di adempiere alla disposizione normativa contenuta nella legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza).

Il riferimento è in particolare all’articolo 1, comma 176, della predetta legge, a norma del quale il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto "definisce o aggiorna gli indirizzi di carattere generale cui gli uffici di esportazione devono attenersi per la valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell'attestato di libera circolazione, ai sensi dell'articolo 68, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42".

I “nuovi” indirizzi sono articolati in sei distinti elementi di valutazione[5], a loro volta ulteriormente specificati sulla base di criteri valutativi interni che concorrono a definire con maggiore precisione il loro significato. Al riguardo, autorevole dottrina stabilisce che "[…] anche i criteri previsti dal DM del 2017, come già quelli della circolare del 1974 confermano la tendenziale qualificazione in termini di discrezionalità tecnica del potere esercitato, con l'eccezione dell'elemento numero 4 relativo alla appartenenza ad un complesso e/o contesto storico artistico, archeologico monumentale, anche se non più in essere o non materialmente ricostruibile, connotato in chiave tendenzialmente vincolata.

Dalla natura tecnico discrezionale del potere esercitato, discendono i limiti del relativo controllo giudiziale - che, anche in considerazione dei rilevanti margini di opinabilità che la materia storico artistico presenta, è limitato alla logicità, coerenza e completezza della valutazione, con un sindacato che, benché non meramente estrinseco, può censurare le sole conclusioni non opinabili e non può, dunque, sostituirsi a quello compiuto dall'amministrazione[6]". 

L’autorizzazione all’esportazione di un’opera d’arte costituisce l’oggetto di una valutazione complessa che coinvolge più attività e professionalità chiamate di volta in volta a pronunciarsi. I giudizi sull’importanza di un artista, di una scuola o sull’interesse culturale di una determinata opera non sempre però incontrano l’accordo degli esperti e l’unanimità di giudizio.

Talvolta accade che una stessa opera non ritenuta importante o di interesse culturale in un determinato momento storico venga invece successivamente riscoperta e rivalutata. Questo accade anche perché il legislatore lascia spazio al progredire della conoscenza, della sensibilità e di altri fattori che possono intervenire a mutare nel tempo la considerazione verso un’opera o un’artista e che influenzano la discrezionalità tecnico-scientifica che il Ministero della cultura esercita. Bisogna tener conto degli sviluppi nel frattempo intervenuti sia rispetto ai concetti cardine della tutela di bene e patrimonio culturale, sia rispetto all’evoluzione delle conoscenze, strumenti e metodi propri delle discipline storiche e storico artistiche.

Il diniego all’esportazione e il contestuale avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale sono provvedimenti finalizzati al soddisfacimento dell’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale della Nazione, ma che incidono anche sui diritti della proprietà privata come sanciti dalla Costituzione. Pertanto, bisogna porre la massima cura nel formulare un provvedimento restrittivo, evitando giudizi apodittici non sostenuti da una adeguata argomentazione critica e storica.

Le relazioni redatte dagli esperti a supporto del predetto provvedimento di diniego devono essere sviluppate in maniera esaustiva, con motivazioni puntuali, riferimenti bibliografici aggiornati, se disponibili, e attraverso l’associazione di più di un principio di rilevanza tra quelli riformulati nei sopra richiamati indirizzi del 2017, soprattutto nei casi in cui sembra essere predominante una valutazione legata alla qualità artistica del bene, non sufficiente da sola a giustificare un provvedimento di tutela. Proprio la concorrenza fra più parametri tra quelli indicati costituisce il “motivato giudizio” richiamato dall’articolo 68, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004.

I provvedimenti di diniego al rilascio degli attestati di libera circolazione, di cui le relazioni storico - artistiche costituiscono parte integrante, sono  spesso impugnati, a torto o a ragione, innanzi al giudice amministrativo per carenza e/o difetto di motivazione o per la (presunta) mancata applicazione dei criteri contenuti nei predetti Indirizzi[7].

2.2. L’articolo 68 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e il decreto ministeriale n. 537 del 2017

Come sopra anticipato, l’articolo 68, comma 3, del Codice dei beni culturali, stabilisce che "l'ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascia o nega con motivato giudizio, anche sulla base delle segnalazioni ricevute, l'attestato di libera circolazione, dandone comunicazione all'interessato entro quaranta giorni dalla presentazione della cosa".

Il successivo comma 4 stabilisce che "nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell'attestato di libera circolazione gli uffici di esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale di cui fanno parte, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, a termini dell'articolo 10. Nel compiere tale valutazione gli uffici di esportazione si attengono a indirizzi di carattere generale stabiliti con decreto del Ministro, sentito il competente organo consultivo".

Una circolare ministeriale del 2023[8] ha ribadito e chiarito come risulti necessario - a pena di illegittimità del provvedimento di diniego - che la motivazione contenuta nei provvedimenti di diniego sia puntuale e rispettosa dei sopra richiamati Indirizzi di carattere generale fissati nel predetto decreto ministeriale[9]. La motivazione non può quindi limitarsi ad un generico richiamo degli indirizzi né ricorrere a formule stereotipate.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti affermato come la discrezionalità tecnica, che caratterizza il giudizio dell’amministrazione sulla sussistenza dell’interesse culturale, non sia sindacabile dal giudice se non in termini di manifesta contraddittorietà, irragionevolezza o illogicità. Pertanto, il rispetto dei predetti indirizzi (d.m. 537 del 2017) e la presenza di un provvedimento adeguatamente motivato si pongono come ineliminabili condizioni di legittimità per il provvedimento di competenza.

A tal fine, nella relazione storico-artistica, da allegare a fondamento motivazionale del provvedimento di diniego, devono essere esplicitati con chiarezza i criteri (almeno due) che si ritengono compresenti tra quelli contenuti nel decreto 537/2017 sopra citato e gli elementi argomentativi in base ai quali tale concorrenza, indispensabile ai fini del diniego all’esportazione, è ritenuta sussistere.

A tal riguardo, occorre rammentare tre sentenze del 2023, favorevoli al Ministero della cultura, nn. 5630, 5631 e 5632, in cui il TAR Lazio ha ritenuto che il giudizio dell’amministrazione fosse stato puntuale, esaustivo e, soprattutto, rafforzato stante l'associazione di più di un principio di rilevanza tra quelli richiesti dal decreto ministeriale[10].

Negli ultimi anni, molte sono state le sentenze emesse dal giudice amministrativo in materia di circolazione internazionale di opere d’arte, nelle quali sono stati ribaditi i parametri e quindi i “limiti” stessi del sindacato giurisdizionale. È stato ribadito il principio secondo cui il giudizio sull’interesse culturale di un’opera è prerogativa esclusiva dell’amministrazione dei beni culturali, il quale può essere sindacato in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta.

Come già anticipato, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile[11].

Il giudice amministrativo è chiamato a verificare l’attendibilità di giudizio, la logicità, la coerenza e la completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto. L’interessato che voglia contestare il merito della scelta effettuata dagli uffici preposti alla tutela del patrimonio culturale non può limitarsi ad affermare che questa non sia corretta, dovendo invece dimostrare che il giudizio di valore espresso dall'amministrazione sia scientificamente inaccettabile[12].

Fino a quando si fronteggiano opinioni divergenti, tutte parimenti argomentabili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla posizione "individuale" dell’interessato[13].

3. Le recenti pronunce del giudice amministrativo

Alla luce di quanto sopra analizzato, si è pertanto ritenuto utile richiamare le pronunce giurisprudenziali più significative emesse nel triennio 2020 - 2023, sollecitate dai ricorsi originati avverso i provvedimenti di diniego al rilascio dell’attestato di libera circolazione e contestuale avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale, le quali hanno contribuito ad avvalorare l’importante binomio tra la tutela del patrimonio culturale e la discrezionalità tecnica esercitata dagli uffici del Ministero della cultura.

Con sentenza n. 1160 del 3 dicembre 2020, il TAR Veneto, sezione seconda, ha confermato come la discrezionalità tecnica non sia il frutto di scienze esatte ma costituisca un’attività opinabile per confutare la quale non è sufficiente la non condivisibilità di opinione ma è necessario dimostrare la sua palese inattendibilità[14].

Il TAR Lombardia, con le sentenze nn. 2430 del 5 novembre 2021 e 2475 del 9 novembre 2021, relativamente a due ricorsi originati dall’adozione di un provvedimento di veto all’esportazione e contestuale avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale, ha ribadito come l’attività di giudizio dell’amministrazione culturale possa essere sindacata dal giudice amministrativo solo sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione che ne mettano in discussione l’attendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta. Con le predette coordinate ermeneutiche si è inteso pertanto scongiurare il rischio di una sovrapposizione della personale e, dunque, opinabile valutazione del ricorrente a quella dell’amministrazione[15].

Ancora, con sentenza n. 1390 del 2022, il TAR Lombardia ha confermato come il ricorrente, per contestare il merito della scelta dell’amministrazione culturale, non possa limitarsi ad affermare che questa non sia corretta ma abbia invece l'onere di dimostrare che il giudizio di valore dalla stessa espresso sia illogico, contradditorio e scientificamente inaccettabile[16].

Anche il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4194 del 2022 e con sentenza n. 4686 del 2023, ha stabilito come, in caso di contrasto tra la posizione dell’amministrazione e quella del ricorrente, entrambe ben motivate e argomentate, prevalga la posizione dell’organo deputato alla tutela che rappresenta l’interesse pubblico e la posizione della collettività[17].

Sempre il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4151 del 2023, ha rafforzato il principio secondo il quale gli ampi margini di opinabilità in cui versa l’attività di giudizio tecnico - discrezionale dell’amministrazione culturale ne consentano il vaglio ad opera del giudice amministrativo esclusivamente sotto il profilo della logicità, coerenza e in generale per censurare eventuali errori metodologici del processo valutativo e un uso distorto del potere attribuito[18]. Si vedano in tal senso anche le seguenti sentenze del TAR Lazio del 2023 nn. 5630 [19],   5631 e 5632[20] .

Con sentenza n. 85 del 2023, il TAR Veneto ha ribadito e rafforzato l’assunto secondo cui l’amministrazione dei beni culturali non è chiamata a svolgere apprezzamenti di discrezionalità amministrativa, coinvolgenti la comparazione tra interessi pubblici e tra interessi pubblici e privati al fine della scelta discrezionale su quale interesse debba in concreto prevalere e ricevere tutela, in ragione del fatto che la scelta di prevalenza dell’interesse culturale sia stata già compiuta in apicibus dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione[21].

Infine, con la recentissima sentenza n. 8074 del 30 agosto 2023, il Consiglio di Stato, con riferimento ad un’opera di autore straniero, ha sancito ulteriormente l’importanza della dimensione tecnica della tutela e ribadito il principio secondo il quale le valutazioni tecnico - discrezionali dell'amministrazione culturale siano elastiche, relazionali e sempre in divenire. Il Consiglio di Stato ha definito i contorni dei controlli giurisdizionali, individuati nella congruenza, proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza delle connessioni e delle valutazioni espresse dall’ufficio preposto alla tutela.

Ha inoltre evidenziato come il controllo giurisdizionale non possa incentrare le verifiche effettuate sull’uso del sapere tecnico basandosi solo su alcuni specifici aspetti, dovendosi invece accertare una sommatoria di lacune di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l’attendibilità del giudizio espresso dall’organo competente[22].

4. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto, emerge come il giudizio tecnico-scientifico espresso nello svolgimento dell’attività di tutela (in sede di diniego all'uscita di un bene dal territorio nazionale, in sede di predisposizione di un vincolo o in materia paesaggistica) costituisca un procedimento complesso e articolato che richiede studio, analisi ed elevate competenze specialistiche che il giudice amministrativo non può mettere in discussione se non muovendosi nell’ambito del perimetro e dei parametri fino ad ora illustrati. Il giudizio svolto dagli uffici deputati alla tutela del patrimonio culturale costituisce un’attività opinabile che si avvale di discipline e scienze non esatte, il quale, di frequente, non trova accordo e unanimità di vedute, bensì prospettive e interessi differenti.

Se da un lato, la funzione che il Ministero della cultura è chiamato normativamente a svolgere consiste nell’assicurare la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, come stabilito nell’articolo 9 della Costituzione, allo stesso tempo, la recente riforma della predetta disposizione ha previsto che la Repubblica tuteli, oltre al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della Nazione, anche "l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni".

La richiamata riforma ha pertanto determinato un "allargamento" dei compiti di tutela affidati alla Repubblica, potendo rideterminare l’equilibrio e l’ordine di alcune priorità costituzionalmente sancite, alla luce di nuove prospettive, nuove ricomposizioni[23] e forse nuovi interessi, sempre e comunque sul presupposto che il vaglio di giustizia può incidere solo sugli spazi cognitivo-decisori pervasi da inattendibilità ed abnormità (nonché da illogicità e irragionevolezza) e non certo sull’alveo di intrinseca (e mera) valutazione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. SEVERINI, Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in Riv. Aedon, 2016, 3, 1 ss.

[2] Parere del Consiglio di Stato, 30 novembre 2020, n. 1958, emesso a seguito di ricorso straordinario presentato da parte ricorrente innanzi al Presidente della Repubblica.

[3] L’articolo 65, comma 3, del codice dei beni culturali, prevede che l’uscita definitiva sia preceduta da autorizzazione (attestato di libera circolazione) per le seguenti “cose”:

i. cose mobili a chiunque appartenenti, che presentino ictu oculi un qualche interesse culturale, anche se non ne sia stata ancora stabilita la gradazione e l’intensità, che siano opera di autore non più vivente, la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni e il cui valore sia superiore a 13.500,00 euro (la soglia di valore non si applica per reperti archeologici, oggetti derivanti da smembramento di monumenti, incunaboli e manoscritti per i quali è sempre obbligatorio l’attestato di libera circolazione);

ii. archivi e singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale;

iii. fotografie, con relativi negativi e matrici, opere cinematografiche e audiovisive o sequenze di immagini in movimento, documentazioni di manifestazioni sonore o verbali aventi almeno 25 anni;

iv. mezzi di trasporto aventi più di 75 anni;

v. beni e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di 50 anni.

I punti (iii), (iv) e (v) costituiscono le  cose rientranti nelle categorie di cui all’articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque appartengono.

[4] L’articolo 65, commi 4 e 4-bis, del codice dei beni culturali, prevede l’uscita senza autorizzazione (mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) per le seguenti categorie di “cose”:

i. opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre 70 anni, che coincidono con le cose di cui all’articolo 11, comma 1, lettera d) del codice;

ii. cose aventi più di 70 anni ma valore inferiore a 13.500,00 euro (tale soglia di valore non si applica per beni archeologici, oggetti derivanti dallo smembramento di monumenti, manoscritti e incunaboli per la cui uscita occorre sempre l’attestato, indipendentemente dal valore attribuito).

[5] 1) qualità artistica dell'opera; 2) rarità in senso qualitativo e/o quantitativo della medesima; 3) rilevanza della rappresentazione; 4) appartenenza a un complesso e/o contesto storico, artistico, archeologico, monumentale; 5) testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo; 6) testimonianza rilevante, sotto il profilo archeologico, artistico, storico, etnografico, di relazioni significative tra diverse aree culturali, anche di produzione e/o provenienza straniera.

[6]Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di Sandulli, Milano, 2019, 696.

[7] Per un'ipotesi in cui la motivazione è stata ritenuta incerta e carente, non essendo univocamente accertata la datazione dell'opera, né essendo stato indicato perché si tratterebbe dell'esemplare più antico nelle ragioni della sua appartenenza ad un complesso storico, con conseguente annullamento del provvedimento di diniego all'esportazione, si veda TAR Toscana, 9 novembre 2015, n.1492, richiamata in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di Sandulli, Milano, 2019, 698. 

[8] Circolare n. 12 del 2023, del Servizio IV "Circolazione" della Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della cultura.

[9] Come già sopra detto, in base al d.m. n. 537 del 2017, nella predisposizione delle relazioni storico - artistiche che costituiscono la motivazione per relationem dei provvedimenti di diniego, l'amministrazione deve far riferimento ai seguenti parametri: 1) qualità artistica dell'opera; 2) rarità in senso qualitativo e/o quantitativo della medesima; 3) rilevanza della rappresentazione; 4) appartenenza a un complesso e/o contesto storico, artistico, archeologico, monumentale; 5) testimonianza particolarmente significativa per la storia del collezionismo; 6) testimonianza rilevante, sotto il profilo archeologico, artistico, storico, etnografico, di relazioni significative tra diverse aree culturali, anche di produzione e/o provenienza straniera.

[10] "[…] Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, quindi, la p.a. ha valutato il dipinto in esame di interesse artistico e storico particolarmente importante, a termini dell'articolo 10, comma 3, D.lgs. n. 42/2004, attenendosi scrupolosamente agli indirizzi di carattere generale di cui al D.M. sopra citato (previsto dal comma 4 dell’art. 68 citato D.lgs.), in particolare, predisponendo, anche mediante il rinvio all’allegata relazione storico-artistica, un motivato giudizio, puntuale, esaustivo e, soprattutto, rafforzato stante l'associazione di più di un principio di rilevanza tra quelli previsti ex ante (“qualità artistica” e “rarità”)".

[11] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 4 settembre 2020, n. 5357 (già sopra citato); TAR Lombardia, sentenze nn. 2430 del 5 novembre 2021 e 2475 del 9 novembre 2021.

[12] Sentenza del TAR Lombardia n. 1390 del 2022.

[13] Consiglio di Stato, sentenza n. 4194 del 2022 e sentenza n. 4686 del 2023.

[14] Nel formulare il giudizio sul valore artistico di un’opera "l’Amministrazione non applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo ed univoco (come si verifica ad esempio allorché la P.A. sia chiamata ad accertare l'altezza di un determinato candidato o il grado alcolico di una determinata sostanza), ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare il quale non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità".

[15] Al riguardo, la richiamata sentenza prevede che: "[…] Il giudizio su tale interesse è connotato, secondo un granitico orientamento giurisprudenziale, «da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità» [così, Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747, che poi aggiunge: «l’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile.

In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo […] è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta (v., in tale senso, la giurisprudenza consolidata di questa Sezione: ex plurimis, le sentenze n. 1000/2015, n. 3360/2014, n. 2019/2014 e n. 1557/2014)»; in senso conforme, cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844; T.A.R. Campania, Napoli, VII, 28 aprile 2021, n. 2788].

Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso di specie, si ricava l’inammissibilità e, comunque, infondatezza del motivo in esame, in quanto basato su un’interpretazione parziale e riduttiva, tanto della categoria dei beni culturali, delineata dalle norme soprarichiamate, quanto degli «Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell'attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico», di cui al DM 6/12/2017, n. 537, oltreché su una sovrapposizione della personale e, dunque, opinabile valutazione della ricorrente a quella dell’amministrazione, inammissibile in questa sede".

[16] "[…] A questo proposito vanno però richiamate le considerazioni sopra svolte in ordine alla natura tecnico-discrezionale delle valutazioni effettuate in questo ambito dall’amministrazione, le quali vanno vagliate con riguardo alla loro specifica attendibilità tecnico-scientifica.

Il presupposto normativo per la dichiarazione dell’interesse culturale non è infatti l’accertamento di un “fatto storico” (sempre verificabile in via diretta dal giudice anche con l’applicazione di scienze non esatte), bensì l’accertamento di un fatto “mediato” dalla valutazione affidata all'amministrazione, con la conseguenza che lo stesso giudice e la parte privata non possono sostituire le proprie valutazioni a quelle compiute dall’autorità  amministrativa, potendosi tutt’al più verificare se la scelta compiuta da quest'ultima  rientri o meno nella gamma di quelle plausibili alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto.

L'interessato, se vuole contestare il merito della scelta, non può quindi limitarsi ad affermare che questa non è corretta, ma ha l'onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall'amministrazione è scientificamente inaccettabile".

[17] "[…] È ben possibile per l’interessato ‒ oltre a far valere il rispetto delle garanzie formali e procedimentali “strumentali” e gli indici di eccesso di potere ‒ contestare anche il nucleo intimo dell’apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l’onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall’Amministrazione sia scientificamente inaccettabile. Fino a quando si fronteggiano opinioni divergenti, tutte parimenti argomentabili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla posizione ‘individuale’ dell’interessato".

[18] "[…] Deve richiamarsi il carattere ampiamente discrezionale delle valutazioni dell’Autorità preposta alla tutela già affermato dalla Sezione, con posizione consolidata, precisando che «il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità»:

carattere dal quale deriva che «l'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile» (Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2020, n.5357).

In coerenza con i richiamati principi, il merito della valutazione espressa può essere sindacato in sede giurisdizionale unicamente in presenza di evidenti profili di incongruità suscettibili, ancorché in via sintomatica, di palesare un distorto esercizio del potere attribuito. Tali profili, della cui allegazione è onerata la proprietà dell’opera, non si palesano nel caso di specie ove si censura l’operato dell’amministrazione affidandosi a generiche valutazioni soggettive proposte come alternative al giudizio espresso".

[19] "[…] La valutazione discrezionale sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, pena l’indebita ingerenza di quest’ultimo nel merito dell’azione amministrativa, a meno che non vengano censurati errori metodologici del processo valutativo, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti ovvero manifeste illogicità ed irragionevolezze che, nel caso in esame non si ritengono sussistenti (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 01/03/2021, n. 2501)".

[20] "[…] In assenza di illogicità manifeste, irragionevolezze e travisamenti dei fatti, la valutazione discrezionale dell’amministrazione non può considerarsi recessiva rispetto a quella “alternativa” proposta dalla ricorrente, con conseguente infondatezza del relativo gravame (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 01/03/2021, n. 2501)".

[21] "[…] Il potere che l'Amministrazione esercita al fine di individuare i beni di interesse culturale è connotato da discrezionalità tecnica la quale non richiede la ponderazione degli interessi coinvolti, neppure allo scopo di verificare il rispetto del principio di proporzionalità. Dunque, la valutazione della rilevanza storico-artistica del bene esaurisce la gamma delle verifiche che l’Amministrazione tutoria è tenuta compiere nell’esercizio del potere, essendosi il Legislatore già occupato, per così dire, “a monte” di contemperare l’interesse pubblico alla tutela del bene culturale e l’interesse del privato alla sua libera disponibilità, dando prevalenza al primo in presenza della valutazione di interesse storico-artistico".

[22] "[…] La stessa nozione di bene culturale è un concetto aperto, in cui contenuto viene dato dalle elaborazioni proprie di altri rami del sapere […]. Il riferimento alle acquisizioni di questi diversi campi del sapere non è, tra l’altro, fisso ma mobile. In sostanza, il “laboratorio” del sapere che definisce il carattere culturale del bene non può ritenersi ancorato ad un determinato periodo storico ma, al contrario, si nutre delle progressive acquisizioni ed elaborazioni che tale sapere esprime. In materie come quella in esame e nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, non può, infatti, aver spazio una pietrificazione” delle nozioni (evocando, sul punto, la nota Versteinerungstheorie, patrocinata, in passato anche dalla Corte Costituzionale tedesca; cfr.: Verfassungsgerichthof, sentenza del 29 settembre 1995, G50/1995; si pensi, altresì, alla nota teorica nordamericana del c.d. originalism).                                                                                                          

[…] Il sapere in questione non si ascrive al campo (per utilizzare una terminologia pur non unanimemente condivisa) delle c.d. “hard sciences” (dai dati sperimentali, oggettivamente quantificabili, controllabili e ripetibili), ma afferisce, al contrario, alle scienze non esatte, nelle quali i risultati delle valutazioni non possono ritenersi conseguenti e vincolati ma sono intrinsecamente opinabili, per l’assenza di certezze oggettive e di sicurezze anticipate. Non è, infatti, predicabile alcuna possibilità di oggettiva verifica di un giudizio che non ha come riferimento un dato quantificabile e riferibile ma opera, al contrario, attraverso valutazioni semiotiche delle opere e dei contesti, letture denotative, temporali e connotative dell’oggetto del proprio esame, percezioni ed elaborazioni concettuali non oggettivamente replicabili.

E’ per tale ragione che solo la dimensione tecnica della tutela invera il principio fondamentale dell'art. 9 della Costituzione e consente una salvaguardia che prescinda dal cedimento per opportunità rispetto ad altri interessi. Il corretto esercizio della discrezionalità tecnica nella cura del patrimonio culturale è, quindi, essenziale per concretare il precetto dell’art. 9, comma 2, della Costituzione; realizza l'indefettibile funzione pubblica richiesta da questa eredità collettiva (il “patrimonio”) e ne assicura la rispondenza al suo “valore primario e assoluto”. L’identificazione “giuridica” di un bene culturale necessita, quindi, delle elaborazioni dello specifico sapere attraverso il quale si apprezza la valenza culturale dell’opera. Una constatazione che, in quanto derivante dallo stesso sistema normativo, vincola lo stesso Giudice che tale sistema è chiamato ad applicare e che, quindi, non può che tener conto dei tratti caratteristici di quel sapere.

Constatazione che, lungi dal tradursi nell’impossibilità di operare controlli su valutazioni tecnico discrezionali, disegna proprio i contorni di tali controlli, i quali dovranno, in sostanza, verificare la rispondenza di una determinata valutazione ai criteri e alle regole che quel sapere esprime. In sostanza, se la stessa norma di riferimento (nel caso di specie gli artt. 12 e 13 del Codice) risulta integrata dal sapere tecnico, un controllo giurisdizionale effettivo e reale non può che investire anche la verifica della corretta declinazione di quel sapere nella vicenda contenziosa, tenendo conto, altresì, delle peculiarità epistemologiche di questo sapere, ivi compresa l’opinabilità intrinseca delle stesse. Ovviamente, tale intrinseca opinabilità delle valutazioni non può condurre a negare, in ultima istanza, il tecnicismo delle valutazioni, finendo, in tal modo, per trasformare la valutazione tecnica in valutazione di opportunità che, come esposto, è cosa diversa dal giudizio tecnico.

Pertanto, da un lato, la pertinenza ai principi del sapere tecnico nella ricognizione e nella valutazione dell’opera non può essere surrogata da valutazioni sostanzialmente espressione di mera opportunità; dall’altro, non può nemmeno ritenersi che la discutibilità di un giudizio (che, come visto, è conseguenza necessaria dell’opinabilità intrinseca a questo sapere) sia ex se indice di distorsione nell’esercizio del potere. Una constatazione che si traduce, ex aliis, nella necessità di verificare il complessivo giudizio espresso; infatti, per infirmare la validità delle conclusioni raggiunte, non è sufficiente incentrarsi solo su alcuni parametri del carattere di bene del patrimonio culturale, essendo necessario, al contrario, che “la sommatoria delle lacune individuate risulti di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l'attendibilità del giudizio espresso dall'organo competente” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3894; Id., 13 settembre 2012, n. 4872).

La naturale opinabilità è, quindi, tratto necessario di questo sapere della quale il controllo giurisdizionale deve, comunque, tener conto non potendo pretendere né una verificabilità oggettiva tipica delle scienze esatte, né, all’opposto, una sostanziale rinuncia ad un controllo effettivo, imposto dalle previsioni di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione. […] Valutazioni tecniche come quelle in esame sono, infatti, essenzialmente incentrate su indici di congruità, legami e relazioni tra opere e contesti artistici o culturali, comprensioni filologiche delle opere, raffronti tra beni e vicende storiche e artistiche. Di questa stessa materia elastica e relazionale sono fatti gli strumenti di controllo che si individuano nella congruenza, proporzionalità, adeguatezza e  ragionevolezza delle connessioni e delle valutazioni espresse […].

E’ alla luce di tali criteri che va, quindi, misurata la corretta applicazione delle regole tecniche delle scienze umane ai casi concreti, operando, una verifica congiunta di tali criteri che, del resto, sono "tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo: perciò il potere che si manifesta con l'atto amministrativo deve essere esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3669)".

[23] G. PIPERATA, Nuovi scenari e nuove sfide per il governo della cultura, in  Riv. Aedon, 2022, 2, 1.

 

Bibliografia

Ministero per i beni e le attività culturali, ufficio studi, Adozione degli atti di individuazione dei beni culturali da parte degli uffici dell'amministrazione, in Notiziario 77-79, 2005, p.143. 

MONTEDORO G., Osservatorio sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato, in materia di beni culturali e paesaggistici, in Riv. Aedon, 2020, 3, pp.1 e ss., aedon.mulino.it

PIPERATA G., Nuovi scenari e nuove sfide per il governo della cultura, in Riv. Aedon, 2022, 2, pp.1 e ss., aedon.mulino.it

SANDULLI M.A. (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019.

SEVERINI G., Tutela del patrimonio culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in Riv. Aedon, 2016, 3, pp.1 e ss., aedon.mulino.it

VALENTINI A.P., Il controllo della circolazione internazionale delle opere d’arte, Milano, 2023.

Riferimenti normativi

Regio decreto n. 363 del 1913, per quanto ancora applicabile.

Decreto legislativo n. 42 del 2004 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Decreto ministeriale n. 537 del 2017 recante “Indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell'attestato di libera circolazione da parte degli uffici esportazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico”.

Decreto ministeriale n. 246 del 17 maggio 2018, successivamente modificato, recante “Condizioni, modalità e procedure per la circolazione internazionale di beni culturali”.

Circolare n. 13 del 2019 della Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della cultura recante “Atto di indirizzo in materia di uscita dal territorio nazionale, ingresso nel territorio nazionale ed esportazione dal territorio dell’Unione europea dei beni culturali e delle cose di interesse culturale”.

Circolare n. 12 del 2023 del Servizio IV "Circolazione" della Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della cultura.