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Pubbl. Ven, 13 Ott 2023

Il decreto Cutro è illegittimo secondo il Tribunale di Catania

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autori Ilaria Taccola , Daniela Torcivia



Nell´articolo si esaminano l´ordinanza del giudice di Catania del 29.9.2023 (R.G. 10461/ 2023) che non ha convalidato il provvedimento di trattenimento di tre migranti tunisini sostenendo l’illegittimità del cosiddetto decreto “Cutro” e di conseguenza delle norme a esso connesse per violazione del diritto dell’Unione europea e la decisione del Tribunale di Firenze che prende posizione sulla nozione di ”paese sicuro” con riferimento alla Tunisia.


Sommario: 1. Le più rilevanti modifiche negli ultimi tre decreti sull’immigrazione del Governo Meloni; 2. L’ordinanza del giudice di Catania del 29.9.2023 (R.G. 10461/ 2023); 3. Il decreto del Tribunale di Firenze, Sez. Immigrazione del 20 settembre 2023, n. R.G. 9787 /2023.

1. Le più rilevanti modifiche negli ultimi tre decreti sull’immigrazione del Governo Meloni

Prima di analizzare la nota ordinanza del giudice di Catania, si deve premettere un breve inquadramento sul D.L. 20/2023, il cosiddetto decreto Cutro, denominato “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all'immigrazione irregolare” che ha introdotto delle modifiche al permesso si soggiorno per protezione speciale al fine di rendere più agevoli le espulsioni dei migranti irregolari.

Invero, la ratio della modifica legislativa in esame appare quella di cercare di restringere i divieti di espulsione agevolando quindi l’allontanamento dei migranti irregolari.

Più precisamente, il permesso di soggiorno per protezione speciale è stato introdotto dalla legge 132/2018, anche se i suoi presupposti sono stati ampliati dal D.L. 130/2020, convertito con la legge 173/2020, con l’effetto di aumentare le ipotesi di divieto di espulsione.

Ebbene, il D.L. 20/2023, convertito con modifiche nella legge n. 50/2023, ha eliminato le modifiche apportate all’articolo 19 T.U. immigrazione[1], restringendo nuovamente le ipotesi di divieto di espulsione e, di conseguenza, le possibilità di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.

In concreto, l’effetto ottenuto è quello della riduzione delle possibilità di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, tenuto conto che è stato soppresso il comma all’art. 19 T.U. che prevedeva il divieto di espulsioni in presenza di fondati motivi di pericolo per la tutela di diritti umani come il pericolo di essere sottoposto a tortura o altri trattamenti degradanti per la dignità dell’essere umano.

Inoltre, è stata prevista sempre dal Decreto “Cutro” una modifica nell'ambito della procedura di cui all'articolo 28 bis commi due lett. b) e b-bis) del decreto legislativo 25/2008[2], che ha introdotto una procedura accelerata per i migranti provenienti dai Paesi, definiti sicuri, nel caso di domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito da un richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro. Tale procedura accelerata alla frontiera prevede, infatti, il dimezzamento dei tempi per presentare ricorso e l’assenza della sospensiva automatica del provvedimento di espulsione se la domanda di protezione internazionale viene rigettata..

È stato anche approvato il Decreto-Legge n. 124 del 19 settembre 2023, "Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione" che aumenta a diciotto mesi il limite massimo per il trattenimento dei migranti nei centri di rimpatrio.

Inoltre, per completare questo quadro, il governo Meloni ha approvato di recente un nuovo decreto-legge 5 ottobre 2023, n. 133, in materia di immigrazione, denominato “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale, nonché per il supporto alle politiche di sicurezza e la funzionalità del Ministero dell'interno”.

L’ultimo decreto citato prevede che in merito dell’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati nl’autorità di pubblica sicurezza possa disporre lo svolgimento di rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici, per individuare esattamente l’età, dandone immediata comunicazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per la persona, la famiglia ed i minorenni, che ne autorizza l’esecuzione.

Inoltre, si prevede espressamente che nel caso di reiterazione della presentazione della domanda di protezione internazionale a seguito di rigetto, non venga interrotta la procedura di allontanamento dal territorio nazionale.

Infatti, si stabilisce che il questore, sulla base del parere de presidente della commissione territoriale del luogo in cui è in corso l’esame della domanda di protezione internazionale reiterata, procede con immediatezza all'esame preliminare della domanda e, se non sussistono nuovi elementi rilevanti per l’accoglimento della domanda, ne dichiara l'inammissibilità, senza pregiudizio per l'esecuzione della procedura di allontanamento.

Inoltre, con il decreto del Ministro dell’interno del 14 settembre 2023, denominato “Indicazione dell’importo e delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria a carico dello straniero durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto di accedere al territorio dello Stato”, si è data attuazione alla nuova norma dettata dall’art. 7 bis della legge 50/2023, di conversione del cosiddetto Decreto Cutro, per l’introduzione della garanzia finanziaria per i migranti che richiedono la protezione internazionale.

I migranti che provengono da Paesi definiti come sicuri sottoposti a procedura accellerata dovranno pagare 4.978 euro per evitare di attendere in stato di detenzione l’esame della propria domanda di asilo.

2. L’ordinanza del Giudici del Tribunale di Catania del 29.9.2023 (R.G. 10461/ 2023)

In questo quadro articolato di modifiche in tema di immigrazione di cui si è dato pochi cenni, merita di essere analizzata la decisione del giudice di Catania del 29.9.2023 (R.G. 10461/ 2023) che non ha convalidato il provvedimento di trattenimento di tre migranti tunisini sostenendo l’illegittimità del cosiddetto decreto “Cutro” e di conseguenza delle norme a esso connesse per violazione del diritto dell’Unione europea.

In particolare, la giudice nell’ordinanza sostiene che la garanzia finanziaria richiesta ai richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri per evitare il trattenimento in un centro di rimpatrio è in contrasto con la normativa europea e va quindi disapplicata. 

Infatti, nell’ordinanza si evidenzia, innanzitutto, che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda come, infatti, prevede l’art. 6, co. 1 D. Lgs 142/2015; art. 8 della direttiva 2013/33/UE proprio perché il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale ex art. 13 della Costituzione.

Tale principio è stato, infatti, espresso dalla Corte di Giustizia  nel senso che gli“articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE [3]devono essere interpretati nel senso che ostano, in primo luogo, a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità, in secondo luogo, a che tale trattenimento abbia luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura”.

Inoltre, per quanto concerne la garanzia finanziaria, si ritiene che essa sia contrastante con il diritto europeo perché non viene concepita come misura alternativa al trattenimento ma come requisito amministrativo imposto al richiedente per la sola presentazione della domanda di protezione internazionale.

Infatti, si legge che “il D.M. 14 settembre 2023, prevedendo che la garanzia finanziaria sia idonea quando l'importo fissato possa garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento, pari a quattro settimane (ventotto giorni), la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale, della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi necessari, determinando in 4938,00 euro l’importo per la prestazione della garanzia finanziaria per l’anno 2023, da versare in un’unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa, e precludendo la possibilità che esso sia versato da terzi, non è compatibile con gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33, come interpretati dalla Corte di Giustizia nella sentenza sopra citata”.

Per tali ragioni, il decreto Cutro sarebbe contrastante in più punti con il diritto europeo e andrebbe disapplicato.

La decisione in commento è stata fortemente criticata dall’opinione pubblica e da diversi esponenti del governo in carica in quanto decisione “politica” a causa della partecipazione del Giudice Apostolico ad alcune manifestazioni di protesta nell’estate del 2018 contro l’allora Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in occasione del trattenimento a bordo della nave Diciotti di migranti salvati nel mediterraneo.

In disparte le accuse di politicità della decisione in commento, dal punto di vista giuridico bisogna tenere in adeguata considerazione un dato importante: la Corte di giustizia[4] si è espressa in un caso simile ritenendo la normativa introdotta dall’Ungheria che prevedeva una sorta di cauzione simile a quella introdotta dall’Italia, in contrasto con il diritto europeo.

3. Il decreto del Tribunale di Firenze, Sez. Immigrazione del 20 settembre 2023, n. R.G. 9787 /2023

La decisione del Tribunale di Firenze prende posizione sulla nozione della Tunisia come “paese sicuro”.

La normativa contenuta nel D.L. 4 ottobre 2018 ha inserito all’interno del D.lgs. 25 del 2008 l’art. 2 bis rubricato “paesi di origine sicura”, il quale prevede che con decreto del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia, possa esser predisposto un elenco dei Paesi di origine sicuri, individuati sulla base dei criteri enucleati ai commi 2 e ss. del medesimo art. 2 bis, all’esito di una formalizzata istruttoria tecnica. Il decreto in questione è stato emanato il 4 ottobre 2019 e poi successivamente aggiornato il 17 marzo 2023. In entrambe le versioni del decreto nella lista paesi da presumere sicuri è presente la Tunisia.

L’inserimento di un paese in detto elenco crea una presunzione di sicurezza che può essere superata dal richiedente asilo sia in fase amministrativa quanto poi in quella giudiziale, il quale deve invocare “gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova”.

Nel caso in esame il ricorrente ha cercato di superare detta presunzione invocando non tanto dei motivi attinenti alla sua condizione personale ma precisando che la Tunisia, per i recenti avvenimenti che si sono verificati su tale territorio e che riguardano la generalità delle persone, non soddisfi più le condizioni previste dalla normativa (commi 2 e ss. dell’art. 2 bis) per essere inserita all’interno dell’elenco paesi sicuri.

Il Giudice, quindi. si è chiesto se sia attribuito all’autorità giudiziaria il potere/dovere di verificare il corretto inserimento di un Paese nella lista dei Paesi sicuri, ove la predetta indicazione – compiuta dall’Amministrazione – si discosti dai criteri previsti dalla legge oppure detta indicazione non sia più rispondente ai predetti criteri alla luce delle mutate condizioni di fatto.

Al fine di chiarire detto dubbio, il giudicante è partito dall’assunto che l’inserimento di un paese all’interno della lista paesi sicuri ha una pluralità di conseguenze sulla procedura applicata alle domande di protezione internazionale avanzate dai richiedenti provenienti da quel territorio. In primis, deroga ad alcuni diritti procedurali che la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (cd. Direttiva procedure) garantisce – in modo chiaro e specifico - al richiedente asilo.

In primo luogo “la decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente di cui all'articolo 2-bis, comma 5, è motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso” (v. art. 9, comma 2-bis del D.Lgs 25 del 2008); in secondo luogo la proposizione del ricorso giudiziale non ha efficacia sospensiva automatica; e infine i termini di proposizione del ricorso sono dimidiati ( v. art. 35 bis del D.Lgs 25 del 2008), da 30 a 15 giorni.

È necessario comunque precisare che è lo stesso legislatore europeo – nell’ottica di evitare l’abuso del diritto alla protezione internazionale – che consente ai paesi membri di creare una lista paesi sicuri cui legare una procedura parzialmente diversa. Si tratta di una facoltà concessa agli stati membri e non un obbligo (tanto è vero che l’Italia ha introdotto l’art. 2 bis soltanto nel 2018 e quindi dopo aver dato precedente attuazione alla direttiva in questione)

Al contempo però la normativa europea impone agli Stati membri di aggiornare periodicamente dette liste, e ciò lo si evince chiaramente dal “considerando” n. 48 della direttiva procedure nel quale è previsto che “Al fine di garantire l’applicazione corretta dei concetti di paese sicuro basati su informazioni aggiornate, gli Stati membri dovrebbero condurre riesami periodici sulla situazione in tali paesi sulla base di una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni di altri Stati membri, dell’EASO, dell’UNHCR, del Consiglio d’Europa e di altre pertinenti organizzazioni internazionali. Quando gli Stati membri vengono a conoscenza di un cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani in un paese designato da essi come sicuro, dovrebbero provvedere affinché sia svolto quanto prima un riesame di tale situazione e, ove necessario, rivedere la designazione di tale paese come sicuro”; ed all’art. 37 – che correlandosi a quanto sopra esposto – obbliga gli stati membri a riesaminare “periodicamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri conformemente al presente articolo. La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.”.

All’esito, quindi, dell’analisi della normativa vigente sul punto, il Giudice si risolve per la sussistenza del potere/dovere di sindacare il legittimo inserimento di un paese all’interno della lista da cui discende causalmente una limitazione dei diritti procedurali e sostanziali che il legislatore europeo ha voluto garantire in via generale a tutti i richiedenti asilo, quale strumento di tutela di diritti fondamentali della persona consacrati tanto nelle carte europee quanto nella Costituzione italiana.

Nel caso di specie, il Giudice conclude accogliendo il ricorso del richiedente asilo in quanto ha ritenuto la Tunisia un paese non sicuro, valutando le circostanze di fatto che hanno determinato una crisi democratica nel paese africano: la sospensione decisa dal Tribunale amministrativo tunisino di 49 magistrati su 57; gli arresti di massa avvenuti nel mese di febbraio 2023; la partecipazione alle elezioni tenutesi a dicembre 2022 del solo il 9% della popolazione, all’esito delle quali il presidente Saïed ha deciso di sostituire il comitato esecutivo dell'ISIE (organo indipendente di controllo delle elezioni con persone di sua fiducia e l'organismo, nella nuova composizione, sia stato incaricato di organizzare sia le elezioni che il referendum).


Note e riferimenti bibliografici

[1]  Il D.L. 10 marzo 2023, n. 20 convertito con modificazioni dalla L. 5 maggio 2023, n. 50 ha soppresso al comma 1.1, il terzo e il quarto periodo dove si prevede il divieto di espulsione  per motivi di tortura o trattamenti inumani “Non  sono ammessi  il   respingimento   o   l'espulsione   o l'estradizione di  una  persona  verso  uno  Stato  qualora  esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi  di  essere  sottoposta  a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano  gli bblighi di cui all'articolo 5, comma 6. Nella  valutazione  di  tali motivi si  tiene  conto  anche  dell'esistenza,  in  tale  Stato,  di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”.

[2] DECRETO LEGISLATIVO 28 gennaio 2008, n. 25 Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

Art. 28 bis, comma 2 bis “Nei casi di cui alle lettere b) e b-bis) del comma 2 la procedura puo' essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 4 e la Commissione territoriale decide nel termine di sette giorni dalla ricezione della domanda”.

[3] CGUE (Grande Sezione), 14 maggio 2020, cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU

[4] Causa C-808/18 si “contesta, in particolare, all’Ungheria di avere, in violazione delle garanzie sostanziali e procedurali previste dalle direttive «procedure», «accoglienza» e «rimpatrio» , limitato l’accesso alla procedura di protezione internazionale, istituito un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti tale protezione e proceduto alla riconduzione forzata, su una striscia di terra frontaliera, di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno era irregolare, senza rispettare le garanzie previste dalla direttiva «rimpatrio». In tale contesto, essa ha proposto un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte, per far dichiarare che una parte sostanziale della normativa ungherese in materia viola talune disposizioni di tali direttive”.