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Pubbl. Ven, 4 Ago 2023

La responsabilità civile della scuola tra autoprotezione e contatto sociale qualificato

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autori Massimiliano Marletta ,



Il caso dell´allievo che cade di ritorno dal bagno della scuola solleva una pluralità di questioni che non possono non scomodare princìpi, istituti e categorie del diritto privato. Questo articolo, nell´affrontare la questione della responsabilità civile della scuola, propone una riflessione critica dalla quale emerge la necessità di dare luogo ad un´operazione di contemperamento degli interessi, i quali risultano talvolta in tensione tra loro. Muovendo dalla dottrina e dalla giurisprudenza di riferimento sul punto, si darà contezza della complessità di detta operazione, la quale, se patologicamente effettuata, può condurre ad un´impropria manipolazione degli istituti giuridici.


ENG

The school liability between self-protection and social qualified contact

The case of the pupil who falls down the stairs on his way back from the school bathoroom raises a plurality of issues that cannot help but inconvenience principles, institues and categories of private law. This article, in investigating the issue of the school liability, proposes a criticial reflection that takes into account the relevance of balancing interests that are in tension with each other. Moving from case law and jurisprudence, it will be shown that this is a hard operation and if not properly conducted, it can lead to a manipulation of legal principles.

Sommario:  1. Il caso come manifesto dell'assoluta rilevanza dei princìpi nel diritto civile; 2. Responsabilità della scuola e contatto sociale qualificato; 3. Conclusioni.

1. Il caso come manifesto dell'assoluta rilevanza dei princìpi nel diritto civile

 L'assunto per il quale il diritto civile rappresenta campo di elezione della “legislazione per princìpi” importa quale immediata conseguenza quella di porre l’interprete dinnanzi alla scelta della regola di risoluzione del caso concreto maggiormente aderente al principio regolatore la materia.

Il ricorso alla ratio, allo spirito della norma, verso cui un tempo si nutriva una certa diffidenza[1], ad oggi appare più che mai strumento fondamentale per il giudice, il quale può così trovare mezzo appagante per ovviare all’incompletezza dei testi legislativi.

L’ordinamento positivo, paragonabile alla mano che tenta di toccare il polso (la metafora coglie nel segno poiché per quanto la si avvicini al polso, non lo toccherà mai), trova braccio d’ausilio in una valvola di respiro che consente di adeguare il sistema iuris all’acclarata complessità del vivere sociale.

La materia della responsabilità civile si innesta con perfetta aderenza sul crinale di dette considerazioni, essendo invalse in via di prassi fattispecie problematiche non puntualmente regolamentate dal legislatore, che hanno però stimolato un’attenta riflessione critica in dottrina ed in giurisprudenza.

Nel novero di esse si inserisce a pieno titolo il caso dell’alunna che dopo essere tornata dal bagno della scuola, cade dalle scale, procurandosi un infortunio.

Le questioni giuridiche sottese alla species facti emergono su un duplice piano: in primis, vi si interroga se sussista o meno una responsabilità in capo all’istituto scolastico. In secondo luogo, una volta presa posizione sull’ an della responsabilità, vi si chiede se questa sia riferibile alla commissione di un illecito contrattuale (o meglio, da inadempimento ex art. 1218 c.c.), ovvero aquiliano.

Procedendo con ordine, deve darsi contezza che, in assenza di una puntuale formulazione normativa, non può che volgersi lo sguardo all’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sul punto, onde ravvisare l’esistenza di analoga casistica dalla quale prendere le mosse per giovarsi del metodo analogico così come consentito dall’art. 12 delle Disposizioni Preliminari al codice civile (c.d. Preleggi).

Prima di addentrarci nei meandri della trattazione casistica, deve precisarsi che la giurisprudenza ha elaborato una figura peculiare, rappresentata dal “contatto sociale qualificato[2]”, il cui richiamo e la cui prospettazione appaiono indispensabili ai fini di una corretta ricostruzione della questione.

2. Responsabilità della scuola e contatto sociale qualificato

La figura del contatto sociale qualificato ricorre allorquando, in assenza di un vincolo contrattuale, e perciò, su un piano meramente fattuale, un soggetto si affida ad un altro per il compimento di una data prestazione, e questi dia spontaneamente avvio alla prestazione, ingenerando così nell’altro un affidamento circa la corretta esecuzione della stessa. Da ciò discende un obbligo di protezione nei confronti del soggetto che ripone affidamento[3].

Il tratto identificativo di detta categoria è rinvenibile nell’inversione del normale iter logico di nascita del rapporto obbligatorio, il quale segue lo schema “obbligazione-prestazione”. In ordine al contatto sociale qualificato, è invece la spontanea esecuzione della prestazione che determina l’instaurarsi di una relazione giuridica obbligatoria di protezione (non a caso la dottrina denomina queste obbligazioni come “obbligazioni di protezione senza obbligo primario di prestazione”), prima inesistente.

La ratio profonda che assurge a momento giustificativo di quel che oggi può pacificamente considerarsi un istituto si coglie, in particolare, sul versante costituzionale della solidarietà, in forza del principio sancito dall’art. 2 della medesima Legge Fondamentale. Chi non è giuridicamente vincolato ad una prestazione in ragione di una legittimante fonte giuridica non è certo tenuto a porla in essere; tuttavia, nel momento in cui si decida di darvi esecuzione di propria volontà, è tenuto a proteggere i beni giuridici altrui potenzialmente incisi dal compimento della prestazione medesima.

In termini più semplici, un’intromissione nella sfera giuridica altrui impone di attivarsi adeguatamente in guisa da non cagionare lesioni al soggetto che subisce l’intromissione.

Muovendo da detta categoria, ed attribuitagli adeguata giustificazione casuale all’interno del nostro ordinamento, la giurisprudenza vi ha ricondotto innumerevoli fattispecie concrete. Ciò ha consentito, in particolare, di ampliare la tutela di soggetti incisi da siffatti “contatti qualificati”, associandovi un regime di responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c[4].

Tra le più salienti applicazioni concrete è possibile annoverare la violazione del dovere di buona fede in sede di trattative prenegoziali[5], la responsabilità del medico nei confronti del paziente e la resa di informazioni false della società capogruppo sottoscrivente lettere di patronage.

La finalità precipua per la quale si è fatto ricorso al contatto sociale qualificato è quella di attrarre entro il più garantista regime della responsabilità contrattuale ipotesi tradizionalmente riferite al differente regime extracontrattuale di cui all’art. 2043 del c.c.

Come noto, il criterio di discrimine tra siffatti regimi è quello della sussistenza tra le parti di una relazione intersoggettiva anteriore al danno: essa costituisce un “prius” in riferimento alla responsabilità contrattuale, un “posterius” rispetto alla lesione in ordine a quella aquiliana.

L’instaurarsi di un obbligo giuridico di protezione, occasionato dalla spontanea esecuzione della prestazione, anteriore al verificarsi di un potenziale evento di danno consente di associare al regime ex art. 1218 le fattispecie denotanti un contatto sociale qualificato.

Il richiamo a detto istituto può dirsi particolarmente di senso in quanto in esso vi è stato sussunto il caso di autolesione dell’allievo in ordine alla questione della responsabilità dell’insegnante e dell’istituto scolastico.

In particolare, il tema è stato affrontato dalla giurisprudenza di legittimità in forza della sentenza n. 9346/2002, avendo gli ermellini precisato che attraverso l’iscrizione si instaura tra l’istituto scolastico e l’allievo un contatto sociale qualificato dal quale trae origine, in capo all’istituto medesimo, l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità fisica dell’allievo in tutto il tempo in cui fruisce della prestazione scolastica, potendo non incorrere in responsabilità solo laddove dimostri che il danno sia derivato da causa non imputabile né all’istituto né all’insegnante.

Tuttavia, mutuare la soluzione prospettata dalla richiamata giurisprudenza sarebbe sin troppo semplicistico in quanto non si terrebbe debitamente conto delle circostanze concrete dalle quali i giudici della Corte hanno preso le mosse nel delineare detta regola risolutiva.

E’ doveroso rammentare che le ipotesi in ordine alle quali la giurisprudenza ha ammesso la responsabilità della scuola nel caso di autolesione dello studente sono riferibili a circostanze che consentivano la possibilità di una vigilanza da parte dell’insegnante, assunto che gli alunni si trovavano sempre all’interno della classe[6].

A fronte di una tale evenienza può risultare condivisibile l’applicazione dell’art. 1218 c.c., nella misura in cui l’insegnante ha omesso di dare luogo ad una vigilanza che le risultasse possibile nei termini di un sacrificio non eccessivo.

Il richiamato canone solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione, perno valoriale della responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, nonché postulato dal quale far discendere il precipitato della buona fede integrativa, consente un’implementazione della tutela laddove il soggetto che incorre in responsabilità non si sia positivamente attivato onde impedire un evento dannoso che avrebbe, peraltro, potuto impedire.

Con riguardo al caso di specie, deve darsi contezza del fatto che ai fini della valutazione della responsabilità dell’istituto, non può non tenersi in debita considerazione che l’infortunio si sia verificato in uno spazio fisico in relazione al quale il potere di signoria dell’insegnante non può che dirsi limitato, se non inesistente.

3. Conclusioni

Il dovere di vigilanza dell’insegnante, e dell’istituto scolastico nel suo complesso, va infatti bilanciato con altri due princìpi fondamentali, i quali sono ravvisabili nella libertà di movimento del soggetto (il quale, altrimenti, dovrebbe essere accompagnato sino al bagno dall’insegnante, con evidentissima limitazione di tale libertà), la quale peraltro presenta un diretto fondamento costituzionale (ex art. 13) , nonché con il principio di autoresponsabilità.

Un noto giurista, Giovanni Carmignani, in relazione al principio di autoresponsabilità, asseriva che “non può fare la legge ciò che l’uomo deve fare da sé medesimo[7]”.

Attraverso tale formula, varie volte richiamata dalla dottrina,  la quale ingloba efficacemente il sostrato valoriale del principio di autoresponsabilità, può pervenirsi alla conclusione che il dovere di solidarietà, dal quale potrebbe derivare in via teorica l’attribuzione di responsabilità in capo all’istituto, deve in concreto essere contemperato con gli altri interessi rilevanti, guardando alle peculiarità del caso concreto.

Se, ragionando per assurdo, si argomentasse in senso contrario, si identificherebbe nel principio di solidarietà e nel contatto sociale un sin troppo comodo espediente atto a legittimare un’ipersensibilità ed iperprotezione dell’ordinamento avverso beni giuridici i quali potrebbero trovare un’adeguata tutela in ragione dell’attivarsi di poteri di signoria da parte del titolare del bene giuridico medesimo.

Questa posizione è stata condivisa dalla recentissima giurisprudenza di legittimità (Cassazione Civile 2023, ordinanza n. 15190), la quale, avendo affrontato proprio il caso dell'allievo che cade dalle scale di ritorno dal bagno, ha asserito che per tale tipo di azione (discesa delle scale) un dovere di vigilanza dell' insegnante possa configurarsi esclusivamente nel caso in cui le capacità psico-fisiche del soggetto siano talmente deficitarie da rendersi necessitato il sostegno da parte dell'insegante medesima[8], non potendovi provvedere autonomamente il soggetto recante siffatte menomazioni.

Alla medesima conclusione si può giungere prendendo le mosse da quella impostazione dottrinale e giurisprudenziale la quale mutua, in ambito civilistico, le categorie penalistiche riferibili al reato omissivo improprio, della posizione di protezione e della posizione di controllo[9], onde individuare un criterio di attribuzione di responsabilità (civile, si intende) al soggetto che ha omesso di impedire l’evento a causa della violazione del dovere di attivarsi.

Muovendo dall’assunto per il quale la titolarità di una posizione di protezione o di controllo trova la sua ratio nell’esigenza di neutralizzare fonti di pericolo che potrebbero ledere la sfera di soggetti particolarmente fragili, detta fragilità non può riconoscersi nel caso dell’allieva che di ritorno dal bagno, cade nelle scale della scuola.

Scendere i gradini è un atto intrinsecamente pericoloso che impone l’attivazione di stimoli sensoriali volti all’adozione di ben precise cautele che possano dunque impedire il verificarsi dell’evento lesivo, cautele che ben possono essere attivate dal titolare del bene.

Scendere le scale è un gesto della vita quotidiana e può dunque cogliersi in questo caso la differenza rispetto all’evenienza in cui uno studente usi per la prima volta , sotto la supervisione dell’insegnante, un taglierino estremamente affilato e si procuri una lesione.

In un caso del genere, il quale ben può fungere da adeguato termine di paragone, l'attribuzione di responsabilità in capo all'istituto può dirsi giustificata da una mancanza addebitabile all'insegnante, la quale omette di operare una sorveglianza su un'attività intrinsecamente pericolosa che ha essa stessa deciso di far porre in essere agli allievi.

La precipua differenza rispetto all'attività di "salita e discesa" delle scale, la quale a sua volta presenta carattere intrinsecamente pericoloso, è data dal fatto che quest'ultima costituisce un'esplicazione del "vivere normale" e dunque, la caduta non può considerarsi addebitabile alla scuola.

Parte della dottrina particolarmente attenta al raffronto tra dato positivo e categorie giuridiche "artificiali", ha evidenziato che in forza del ricorso al richiamato contatto sociale qualificato si consentirebbe al danneggiato di fruire di una tutela più solida, la quale però non può tradursi in un'interpretatio abrogans della normativa di riferimento in materia, data dall'art. 61 della L. n. 312/1980, la quale ancora la responsabilità civile della scuola ad una violazione che sia scaturita da comportamento doloso o da colpa grave del personale direttivo e docente. 

Detto parametro soggettivo di imputazione della responsabilità non può certo dirsi sussistente nell'ipotesi in esame: a volerla riconoscere, potrebbe asserirsi che il contatto sociale qualificato rappresenterebbe un velo di Maya finalizzato a celare un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in netto contrasto con l'impianto generale di cui all'art. 1218 del c.c. e che domina l'intera materia.

Il ricorso a princìpi generali dell’ordinamento, ricavati da un’interpretazione sistematica delle norme (i quali devono avere sempre un riferimento, anche implicito, nel diritto positivo), deve costituire strumento atto ad ampliare entro margini di ragionevolezza ed in un’ottica di fisiologia le istanze di tutela della collettività, non potendo al contempo rappresentare strumento per permettere ai consociati di trovare una comoda scappatoia all’assunzione delle proprie responsabilità.

Del resto, un’impostazione di detta tipologia, non tradisce, quanto piuttosto rafforza, la portata del principio costituzionale di solidarietà, il quale, nel suo spirito più profondo, implica, anzi assorbe, il primario precipitato dell’autoresponsabilità.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Tale diffidenza era perlopiù serbata da quelle scuole giuridiche (con particolare riguardo ai c.d. “formalisti) piuttosto attaccate all’interpretazione letterale delle norme.

[2] La categoria del contatto sociale qualificato trae origine dall’elaborazione dottrinale tedesca del XX secolo, la quale ha ricondotto lo stesso, insieme ai rapporti contrattuali di massa ed ai contratti nulli producenti effetti giuridici, nella più ampia categoria dei rapporti contrattuali di fatto.

[3] Taluni ritengono che il contatto sociale qualificato, in ragione della sua intima correlazione col principio di affidamento, trovi diretto fondamento positivo con riguardo alla disciplina posta dal c.c. in materia di gestione di affari altrui.

[4] Ciò lo si spiega storicamente in ragione del fatto che le fattispecie ad oggi ricomprese nel contatto sociale qualificato trovavano un tempo tutela entro il meno garantista regime della responsabilità ex art. 2043 c.c., il quale prevede un termine di prescrizione più breve ed un onere delle prova più rigoroso per il danneggiato.

[5] Ciò sia con riferimento all’ipotesi in cui a seguito della trattativa non si sia addivenuti alla stipula del contratto, sia con riguardo a quella in cui si sia addivenuti alla stipula di un contratto dannoso e sconveniente per una delle parti.

[6] La contiguità spaziale è proprio quell’elemento che consente all’insegante di vigilare sugli alunni.

[7] Il Carmignani aveva adoperato tale formula con riferimento al soggetto vittima del delitto di truffa, il quale, con l’attivarsi di una minima diligenza, ben avrebbe potuto cogliere i connotati ingannatori della condotta.

[8] La menomazione psico-fisica assurge ad elemento determinante ai fini dell’attribuzione di responsabilità in quanto eleverebbe a fonte di pericolo assai significativo un’attività che invece, per una persona che gode di ordinarie condizioni di salute, sarebbe inquadrabile entro i limiti del rischio consentito.

[9] Entrambe le categorie sono riconducibili in quella più ampia della posizione di garanzia, la quale rappresenta elemento tipico dell’illecito penale omissivo improprio ex art. 40 c.p.

Bibliografia:

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C.ANGELICI, Rapporti contrattuali di fatto, in Enc.Giuridica Treccani, XXV, 1991.

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