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Pubbl. Mer, 25 Nov 2015

La violenza sessuale in Kenya

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Loredana Vega


La violenza sessuale è un crimine presente in molte nazioni e in ognuna ha una pena diversa. Il Kenya sembra essere però la nazione con più casi di violenza ad avere poche o nulle soluzioni.


Sommario: 1. Brevi cenni - 2. La violenza nella storia - 3. Le associazioni in Kenya - 4. Il caso più grave e la condanna a "tagliare un prato".

1. Brevi cenni

Ogni giorno in Kenya ci sono nuovi casi di violenza sessuale, casi che non vengono presi in considerazione come si dovrebbe. Il Kenya è uno stato patriarcale con una forte stigmatizzazione della donna; la sua società conserva l’ideale della castità fino al matrimonio e il sesso è ancora un tabù. Proprio per questo è difficile per le ragazze, bambine e donne che hanno subito violenze, parlarne pubblicamente con la famiglia, gli amici e ancor di più con la polizia, la quale il più delle volte manca di assistenza.

La violenza è un atto deplorevole che causa tormento mentale e sebbene sia un atto che dura poche ore, anche guarendo fisicamente, le vittime portano addosso le cicatrici psicologiche di quanto successo per il resto della loro vita. Tuttavia, nonostante la crudeltà intrisa in questo atto, in Kenya è un crimine sempre crescente.

Negli scorsi anni si è particolarmente acuita la violenza di gruppo, specie ai danni di ragazzine. Tutto questo perché non c’è controllo da parte della polizia e dunque le gang circolano in libertà tra le strade in cui le prede più facili sono appunto le giovani ragazze. (1)

La situazione è simile in altre nazioni e grandi centri urbani come New Delhi, dove gli stupri di gruppo in aree pubbliche sono titoli nazionali di cadenza settimanale. In Sud Africa, circa mezzo milione di persone sono vittime di questo crimine ogni anno. Il record mostra che la polizia in Kenya non ha preso con serietà e professionalità dovuta questi crimini. Le punizioni previste non sono mai abbastanza forti, poiché i colpevoli vengono obbligati a lavori pubblici o non vengono mai arrestati; ma può un lavoro pubblico essere la giusta conseguenza di una violenza?

In genere, quando lo stupratore non viene preso, le vittime hanno paura di parlare per non essere attaccate nuovamente e, provando un senso di vergogna e colpa, tengono per se stesse la storia senza mai dirlo a nessuno; non importa quanto non abbiano avuto colpa, avranno troppa vergogna per avere nuove esperienze.

Lo stupro può essere l’offesa di una volta nella vita di un uomo, o un percorso abituale per una persona patologicamente disturbata. Alcuni addirittura possono portare la violenza all’estremo perverso fino a diventare degli assassini seriali. Lo stupro, anche di gruppo, può essere considerato perfino uno sport da alcuni studenti universitari di alto rango, atleti, o anche leader a capo di società.

2. La violenza nella storia

Per spiegare meglio il fenomeno della violenza possiamo partire dalle origini. La violenza infatti vede il suo inizio con gli schiavi africani, violati da parte dei commercianti di schiavi, lasciando tracce permanenti nelle etnie e nella psiche degli Americani (2). Da sempre vi è lo stupro ai danni di donne o persone più deboli e quindi in minoranza. Ne è un esempio la violenza alle donne cinesi da parte dei soldati giapponesi, alle donne ebree da parte dei nazisti, o più recentemente ai danni delle donne musulmane in Bosnia, attaccate sessualmente da parte dei cosiddetti “Cristiani” serbi.  "Ogni guerra che è stata fatta è stata accompagnata da violenze su larga scala", secondo la scrittrice del National Sarah Elderkin. (3)

Sebbene si verifichi anche lo stupro nei confronti degli uomini, magari proprio da parte di altri uomini nelle prigioni, generalmente la violenza è un’aggressione commessa dagli uomini nei confronti delle donne. Ci sono svariati dibattiti riguardo le motivazioni della dominazione e della lussuria dell’uomo in quest’atto. Molte femministe sostengono, infatti, che la violenza non abbia nulla a che fare con l’atto sessuale in sé, bensì ha tutto a che vedere con il potere.
La violenza sessuale è vista, quindi, come la dominazione da parte dell’uomo in una società che ha svalutato la forza dell’uomo stesso (Sarah Elderkin) nella vita di tutti i giorni ma che ha glorificato la violenza nell’atletica e nei film. Ergo, molti uomini sentono il bisogno di mostrare la loro superiorità fisica e la loro posizione di potere su altri esseri umani.

La condizione della donna nella società contemporanea è degenerata in maniera significativa, al punto che, come sostiene Margaret Were "Le donne non sono più al sicuro. Non importa che abbiano 6, 16, 36 o 66 anni. Il punto è che sono donne e quindi un target per i violentatori. I casi di violenza e violazione sono aumentati[…]; il caso agghiacciante è che in Kenya è diventato un dato di fatto che gli stupratori non devono più attendere che diventi buio o che si trovino in luoghi abbandonati per agire, poiché agiscono anche durante il giorno". (4)

3. Le associazioni in Kenya

Un caso degno di rilievo è avvenuto in Kenya, in particolare a Nairobi, dove la violenza commessa ai danni di una ragazza, che l'ha cambiata per sempre, ha finito per diventare un esempio positivo per la vita di tante altre.

Kanja, questo il nome della ragazza oggetto di violenza, nel 2002 è stata violentata con una pistola puntata contro e quando ha provato a resistere, le è stato detto di scegliere se vivere o morire (5). Dopo l’accaduto è andata alla polizia, ma non è stata presa seriamente, poiché in Kenya la violenza sessuale è il più delle volte tollerata nella cultura del paese africano. Cultura che rende difficile gestire la violenza in modo appropriato, visto il divieto di discutere apertamente della sessualità. La polizia ha poi classificato l’incidente non come violenza sessuale bensì come rapina con violenza.

Tutto questo è ancora un grande problema in Kenya; una ricerca nazionale ha affermato che circa il 32% delle ragazze subisce una violenza prima di diventare adulte. (6)

Fino al 2002 non vi erano programmi di supporto psicologico, per cui le vittime non avevano modo di reagire, essendo così obbligate a chiudersi in se stesse, entrando quindi in depressione o utilizzando alcool o altro per cercare di andare avanti. Nel 2005 Kanja, dopo un periodo intenso di aiuto, ha deciso di fondare la Wangu Kanja Foundation (7), utilizzando la sua esperienza per aiutare altre donne, ragazze e uomini che hanno subito violenze, ricevendo così comprensione e supporto medico, psicologico e legale. Con questa associazione, Kanja ha creato un posto sicuro per dare alle donne un luogo in cui sono libere di poter parlare delle loro esperienze senza che nessuno le giudichi. "Sto cercando di rendere la violenza sulle donne un problema sociale in Kenya, per far capire che ha conseguenze su tutti[…]. Il Kenya è uno stato patriarcale ed è importante quindi far sì che le donne siano indipendenti finanziariamente in modo da ridurre la loro vulnerabilità". (8)

Altro caso successo a Nairobi, è accaduto a Charlotte Campbell-Stephen, volontaria australiana andata a Nairobi per lavorare con associazioni che aiutano i bambini. Nel 2006 Charlotte è stata violentata per 8 ore consecutive da una banda, memorizzando tutto e raccontando poi i dettagli alla polizia. La volontaria nel 2015 ha lanciato anche un documentario intitolato “I will not be silenced” in occasione degli Human Rights and Film Festival di Melbourne.

A Charlotte è stato detto che nessuno vince casi di stupro in Kenya, che i giudici sono profondamente credenti della loro cultura patriarcale, la quale mantiene il silenzio tra le vittime. Campbell-Stephen ha però deciso di proseguire nel suo intento ed è riuscita a portare i suoi aguzzini in tribunale, sfidando così il sistema che contribuisce a togliere il potere alle donne in Kenya. “I will not be silenced” non solo mostra il caso in tribunale, ma raccoglie anche storie di donne che hanno acquistato la forza di combattere i loro esecutori grazie alla testimonianza di Charlotte.

La nazione ha però un ulteriore punto a sfavore che va ad aggiungersi alla poca assistenza: un sistema legale corrotto (9). La volontaria australiana ha infatti trascorso sette anni a combattere per far valere i suoi diritti, come avviene per ogni vittima. Non è possibile avere un avvocato, dunque viene assegnato un procuratore di Stato per ogni caso (10).

Per i primi anni del processo, Charlotte ha affrontato direttamente i suoi esecutori e nel momento in cui le è stato affidato un avvocato difensore, la cartella con le sue dichiarazioni è stata rubata e in seguito manomessa, obbligandola così a lasciare nuove testimonianze e dichiarazioni.

I suoi esecutori sono poi stati assolti da queste accuse ma condannati per una violenta rapina: accusa che, contrariamente a quella dello stupro, è considerata crimine serio e importante, punito con il carcere a vita. Ciò che ha spinto Charlotte ad andare avanti nella sua battaglia è stato proprio il fatto che i suoi esecutori non abbiano mai dimostrato rimorso per quello che hanno fatto.

A supportare Charlotte, sono state le donne di Nairobi ispirate dalla sua forza e Kinuya, il poliziotto che ha visualizzato per primo il caso nel 2006 e che ha capito la gravità di questo problema, trovando la forza di combattere il sistema ed aiutarla.  

Primo caso in assoluto, quella di Charlotte è stata la prima udienza per caso di stupro a porte aperte in Kenya. Quello che Charlotte voleva raggiungere con questo era di far capire agli altri quello che succede alle vittime e come vengono trattate, e ci è riuscita.

"Mi ci sono voluti sette anni e mezzo, ma sento che per questi cambiamenti accaduti, nessun’altra donna andrà in contro a quello che ho passato io e se accadrà, ci saranno delle proteste", questo quanto ha detto Charlotte in un’intervista. (11)

4. Il caso più grave e la condanna a "tagliare un prato"

Il caso che più di tutti fa discutere e che è ai limiti dell’inverosimile è accaduto sempre in Kenya, ad una ragazza di 16 anni, la quale di ritorno dal funerale di suo nonno è stata violentata da 6 ragazzi che l’hanno poi picchiata e lanciata in una latrina profonda quasi 4 metri, lasciandola al suo destino. Quando i genitori di Liz l’hanno ritrovata e sono andati alla polizia, per tre dei suoi violentatori la pena è stata quella di tagliare il prato della stazione di polizia. Questo ha lasciato tutti alquanto perplessi e amareggiati, viste le gravi conseguenze alla colonna vertebrale che ha subito Liz.

Una donna etiope, Nebila Abdulmelik, che lavora per i diritti delle donne, ha cominciato una petizione su Avaaz - comunità online di petizioni mondiali - che ha portato i suoi frutti poiché ha cominciato a far pressione sul governo del Kenya. Le parole del direttore di questo sito, Sam Barratt, sono state: "Sono stati instancabili a non mollare mai. Tutto è cominciato con una semplice petizione, continuata con manifestazioni per le strade e ciò ha contributo a portare fondi per poter pagare un procuratore capace di far finire in prigione queste persone malvagie."

Kimberly Brown, la quale ha reso il caso legale, è meravigliata dalla voglia di agire del nuovo capo di giustizia e dice: "Questo non è un problema che riguarda solo il Kenya o l’Africa, bensì un problema mondiale. Storie come quella di Liz ispirano molte persone ad agire e cambiare rotta riguardo la tolleranza della violenza sessuale." (12).

Questa violenza ha lasciato Liz con gravi ferite, per le quali è stato necessario un anno per guarire, subendo molte operazioni alla spina dorsale. Anche se ora non è più su una sedia a rotelle, non significa che sia finita. Liz, nonostante sia una tra le 20 donne e ragazze che hanno denunciato uno stupro in Kenya, non si sente coraggiosa.
Ci sono state delle minacce a lei e alla sua famiglia, ma la ragazza ha continuato a combattere e i tre aggressori, condannati in precedenza a tagliare il prato, ottenendo una nuova condanna a 15 anni di reclusione.

Ora Liz spera che anche gli altri tre vengano fermati e condannati.
In ogni caso, come dice Njeri Rugene, la giornalista che per prima ha parlato dell’accaduto sul Daily Nation, "Avaaz con il lancio di questa petizione ha fatto molta pressione per un cambio delle regole, e vista l’attenzione internazionale (circa 2 milioni di persone hanno firmato la petizione), le autorità hanno cominciato ad agire" (13).

 

Note e riferimenti bibliografici

(1) Rape culture in Kenya - Link

(2) The effects of slavery and torture on an American Slave - Link

(3) Rape In Kenya - Link

(4) Rape In Kenya - Link

(5) Seual Violence in Kenya:"To the police, rape wasn't a crime" - Link

(6) National survey - Link

(7) Wangu Kanya Foundation - Link

(8) Sexual violence in Kenya: 'To the police, rape wasn’t a crime'  - Link

(9) Criminal justice system response to the problem of corruption in Kenya - Link

(10) “I will not be silenced” : fight for justice that gave Kenyan rape victims a voice - Link

(11) “I will not be silenced” : fight for justice that gave Kenyan rape victims a voice - Link

(12) Teenage victim in landmark Kenya rape case forced to leave village after threats – Link

(13) Teenage victim in landmark Kenya rape case forced to leave village after threats - Link