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Pubbl. Ven, 21 Ott 2022

La cristianità del costituzionalismo moderno

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Matteo Zuzzè



Il premoderno e il moderno non sono poi così distanti. La modernità, infatti, non ha mai interrotto il proprio dialogo col divino e la ´morte di Dio´ non è mai realmente avvenuta. E´ possibile allora ipotizzare la sussistenza di un legame tra costituzionalismo e religione. Il costituzionalismo moderno, infatti, ponendosi come figlio del ´costituzionalismo cristiano´ e trovando la propria anticipazione nell´avvento di Dio nel mondo, racconterebbe anche la storia della Trascendenza.


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The christianity of modern constitutionalism

The premodern and the modern eras are not that far apart. Modernity, in fact, has never interrupted its dialogue with the divine and the ´death of God´ has never really happened. It is possible, then, to assume the existence of a link between constitutionalism and religion. Modern constitutionalism, in fact, by posing itself as the child of ´Christian constitutionalism,´ and by finding its anticipation in the advent of God in the world, would also narrate the history of Transcendence.

Sommario: 1. Costituzionalismo e costituzionalismi; 2. I paradigmi del costituzionalismo moderno; 3. Costituzionalismo e religione; 4. Conclusioni.

1. Costituzionalismo e costituzionalismi  

Il termine costituzionalismo è strettamente collegato a quello di Costituzione, e, forse, più della stessa, risulta vasto e controverso, poiché racchiude in sé tutta una serie di altri concetti. Si pone all'origine della Costituzione, rappresentandone proprio l'anima.

È quel retroterra culturale, storico, filosofico e politico che informa di sé le costituzioni e sul quale, nel tempo, le costituzioni si sono costruite, ponendone come limite, ammesso che anche alle costituzioni sia concesso averne, la trasposizione di quella dialettica farraginosa che sta alla base di ogni scelta sul ‘dover essere’, il trapianto di quella agognata libertà che segna una svolta decisiva rispetto al passato, distruggendo, per sempre, i miti di ieri, inneggiando l'indipendenza e la democrazia, come a volere sottolineare l'arduo processo di affrancamento dagli assolutismi del passato e del futuro.

È l'uomo che si pone al centro della riflessione costituzionale, l'uomo in quanto tale, centro autonomo di imputazione, titolare di un complesso di diritti inalienabili, validi in ogni tempo e in ogni luogo, e di questo il costituzionalismo si fa portavoce: «Toute societé dans la quelle la garantie des droits n'est pas assurée, ni la séparation des pouvoirs déterminée, n'a point de constitution»[1].

L'art 16 della Dichiarazione francese dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 fissa così il nucleo forte su cui deve ergersi ogni Costituzione che possa intendersi come il prodotto del costituzionalismo moderno: il primato dei diritti dell'uomo e la tutela di tali diritti; la separazione dei poteri, cui si aggiunge l'autonomia della sfera politica da quella religiosa. Nucleo forte da cui è possibile, dunque, desumere che «il costituzionalismo non si riferisce ad un concetto neutro di costituzione, ma a un preciso ordine di valori costituzionali»[2], il modus essendi della costituzione, il suo cuore pulsante. Valori che, in linea di massima, sono comuni a tutti gli Stati dell'Occidente, sebbene il ragionamento sulle costituzioni sia una meditazione che richieda un approccio relativistico, storico e sempre territoriale.

L'organizzazione dei poteri non è un fatto di dottrina o un fatto teorico, ma le elaborazioni debbono essere sempre basate su una modellistica concreta e territoriale e, pertanto, lo studio delle costituzioni non può mai prescindere dai propri contesti storici e territoriali. È dunque da tali contesti che bisogna partire per comprendere come il costituzionalismo si sia radicato nel tempo nei singoli paesi e quale sia il senso sottostante ad ogni singola Costituzione. «Storicità e relatività dei fenomeni giuridici hanno come immediato corollario che non esiste un diritto standardizzato ed eterno, […] ma esistono i diritti, intesi come sistemi giuridici storicizzati, ciascuno dei quali trae la sua legittimazione, la sua configurazione, la sua coerenza interna, la sua stessa ragione di esistenza dall’assetto storicamente determinato di società e sistemi socioeconomici particolari»[3].  

La costruzione dell'ordinamento inglese, ad esempio, non può dipendere da visioni eurocentriche. Questo aspetto consente di rendere ‘pragmatica’ la dimensione del diritto e delle costituzioni: non ci può essere una Costituzione, ma ci saranno tante costituzioni quante sono le comunità organizzate, ognuna recante un proprio patrimonio culturale e di tradizioni. Ognuna raccontando la sua propria storia, a cui la Costituzione inevitabilmente è collegata. Per comprendere una Costituzione, dunque, si deve prima comprendere la storia dell'ordinamento a cui quella Costituzione appartiene, leggendo e interpretando quel documento costituzionale «in relazione ai principi e ai valori che qualificano il relativo ordinamento statuale»[4].

Parrebbe allora più opportuno parlare non di costituzionalismo al singolare, ma di costituzionalismi[5], per indicare i tanti modi di essere che una Costituzione, volta per volta, può assumere, e dunque i diversi retroterra che la fomentano. I diversi filoni culturali che ora si sovrappongono, ora convergono, ma che sono destinati, per sforzo di semplificazione, al compromesso, introducendo una grande macroarea concettuale che racchiude la visione occidentale tutta, distinguendo dalle costituzioni che hanno alle spalle una farraginosa elaborazione liberal-democratica, tutte quelle altre costituzioni ritenute orfane, invece, del proprio costituzionalismo, e, dunque, impropriamente definite tali, quelle cioè recanti idee di oppressione alle libertà.

Il costituzionalismo, come le costituzioni, fonda le proprie premesse sulle radici storiche, talvolta distoniche, tra i diversi paesi. È il motivo per cui il costituzionalismo inglese è tendenzialmente diverso da quello continentale europeo. Ne condividono l'anima, ma è netta la distanza delle origini. Questo spiegherebbe anche la tradizionale distinzione tra modelli di civil law e di common law[6] .  

Tutto il pensiero costituzionale ruota intorno all’indagine della forma di governo e della dignità umana. Del resto, ragionare di Costituzione significa inevitabilmente ragionare dell'uomo. Tutte le costituzioni assumono l'idea di uomo. Inizia così a costruirsi la base della limitazione del potere, proiettato alla massima garanzia dei diritti inviolabili e delle libertà dell'individuo. Se nel mondo classico la polis è anteriore ai cittadini e agli individui, quando si comincia ad affermare l'idea di Stato moderno ci sono, al contrario, prima gli individui e poi lo Stato[7].

Uno Stato che nasce dalla crisi delle organizzazioni medievali e che si afferma come promotore di nuove libertà individuali. La nozione di Stato, seppure abbia radici antichissime, è con la modernità che acquista la colorazione di «società politica territoriale sovrana, contraddistinta da una assoluta indipendenza sia dall'Impero che dal Papato», come definito, già nel 1648, nel Trattato di Vestfalia. In questa prospettiva lo Stato sarebbe, allora, il prodotto di una moltitudine di consensi individuali, l'idea per cui gli uomini si spogliano volontariamente di ogni privilegio e cedono, in egual misura, i propri diritti al sovrano, uscendo da quella condizione bellicosa e guerresca, dalle sorti incerte, a due passi dalla morte, che è lo stato di natura[8].

Su questa ed altre dissertazioni filosofiche si costruiranno, per altro, le teorie dell'uguaglianza[9], uno dei capisaldi delle costituzioni moderne, che trae le fila dall'antica isonomia (l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge) e dal nuovissimo egalitarismo, il più recente impegno concreto dello Stato nella garanzia di un'uguaglianza che, non limitandosi alla mera forma, abbia la capacità di insinuarsi anche nella vita di tutti i giorni, facendosi ‘sostanziale’. 

Maturata la concezione ‘contrattualistica’ di Stato, secondo la quale dallo stato di natura sia possibile uscire soltanto attraverso un duplice accordo, il pactum unionis e il pactum subjectionis, figli della volontà libera dei soggetti, si supera, una volta per tutte, l'idea oggettiva di natura e quella di trascendenza, che avevano condizionato la tradizione classica e parte del pensiero medievale.

La teoria contrattualistica apre la strada ad una svolta decisiva che ha caratterizzato tutta la modernità. «I fondamenti di legittimità politica tradizionale, che variamente facevano riferimento alla volontà di Dio, alla tradizione dinastica e così via, vengono accantonati a favore di un nuovo principio»[10], il consenso dei cittadini/sudditi. Sia il ‘grande Leviatano’ di Hobbes che lo Stato di Locke sono la conseguenza, dunque, di un patto. Poco importa se la condizione precedente degli individui sia il timore vicendevole o, al contrario, la piena libertà; il bellum omnium contra omnes, in mancanza di un diritto naturale, o, al contrario, il dominio della legge di natura; la ricerca della pace o la conservazione della libertà.

Quello che conta è la precarietà dello stato di natura e la necessità di un accordo che ne consenta la fuoriuscita, dando vita ad un'organizzazione sociale. Ogni accordo pone al centro una rinuncia, quel do ut des caro ai romani, che abbia per esito non già la perdita dei diritti, ma la migliore garanzia degli stessi. Si rinuncia a qualcosa per avere in cambio altro. Si rinuncia alle proprie libertà, per avere in cambio un'organizzazione stabile che, di fatto, restituisca le stesse libertà ma più tutelate. Vengono meno le incertezze e i timori dello stato di natura, e, sia che si tratti di Stato assoluto o di Stato liberale, c'è sempre alla base un principio di autoconservazione dell'individuo, sia esso lupus o zoon politikon, e, per tale ragione, non più uguale a sé stesso, ma comunque uguale agli altri.

È un ‘uomo nuovo’ che si è spogliato delle precarietà della sua vita precedente, pur mantenendo con gli altri la naturale uguaglianza. Ciò che accomunava gli uomini nello stato di natura, ovvero l'incertezza, non esiste più quando si comincia a parlare di Stato, ma c'è, in compenso, una nuova e più definita idea di uguaglianza, caratterizzata, in primis, dalla scelta di tutti, da quel duplice accordo che ha comportato una rinuncia eguale dei propri diritti, e, infine, dalla stessa condizione di sudditanza, che rende i cittadini, alla vista del sovrano, non più luminosi di altri[11]«Il popolo si sostituisce a Dio come fattore diffusamente riconosciuto di legittimazione del potere, costituisce il fondamento di tutti i discorsi politici, la giustificazione di ogni azione, il principio fondante della Rivoluzione stessa»[12], ma poiché non ha in sé la capacità di compiere scelte giuste per sé, si affida alla tutela di un sovrano, al servizio del popolo e, per Locke[13],  facilmente sostituibile qualora non rispetti il patto o tenti di distruggere le libertà e di ridurre in schiavitù.

Ed è proprio in virtù di quell’accordo e di quelle libertà, nuovo oggetto di tutela, che, con la modernità, si cominciano a disegnare i confini del potere e la sagoma della sua limitazione. Come afferma Diderot, massimo rappresentante dell'Illuminismo: «non c'è altro vero sovrano che la nazione; non può esserci altro vero legislatore che il popolo; è raro che un popolo si sottometta sinceramente a leggi che gli sono imposte, le amerà, le rispetterà, obbedirà loro, le difenderà come opera propria, se ne è egli stesso l'autore»[14].  È una concezione democratica di Stato che, ponendo limiti specifici al potere, fa risiedere la sovranità stessa nel popolo.

È a Locke che si devono le principali teorizzazioni della democrazia moderna, alla quale si lega il liberalismo e il principio di bilanciamento del potere politico, un'esigenza che è propria del costituzionalismo moderno, a salvaguardia di quella ampia property che, nel linguaggio del filosofo inglese, è la vita e la libertà (e non solo il godimento e la disponibilità di un bene in senso stretto)[15]. Ad Hobbes e Locke, generalmente, va ricondotta la base filosofica del costituzionalismo di derivazione anglosassone e di tendenze democratico-liberali. E', invece, Al filosofo ginevrino che si collegano le tendenze ‘giacobine’[16] del costituzionalismo, ispiratrici dei moti rivoluzionari del 1789 in Francia e dei principi democratico-radicali.

Anche in Rousseau si evidenzia la visione contrattualistica di Stato, l’ipotesi dello stato di natura e quella successiva del contratto sociale, quella vis interna del pactum, che consente all'uomo di recuperare, nella società, la sua natura; «di trovare una forma di associazione che protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato e per la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a sé stesso e rimanga altrettanto libero quanto prima»[17]Lo Stato di diritto è quell'io comune, la macchina che vive, lavora ed è mossa dagli stessi cittadini, ai quali spetta anche il governo. La sintesi delle loro volontà, la volontà generale, diviene la sola fonte della legge e «l'uomo, obbedendo alla legge [non] ubbidisce [che] alla propria volontà»[18] 

Lo Stato, così teorizzato, dunque, si pone ex parte populi, esiste in funzione degli individui, e non viceversa. Il suo fine ultimo è la tutela delle libertà e dei diritti e la sua caratteristica principale la centralità della legge e del Parlamento rappresentativo. Il retroterra di teorizzazioni ed il patrimonio di diritti universali troveranno, dapprima nella legge e poi nella Costituzione, una ben precisa collocazione, determinando nella linea del tempo del giuridico il passaggio allo Stato costituzionale, in cui si avvertirà, sin da subito, «una radicale distinzione tra legge, norma creata dal legislatore, e diritti individuali, validi indipendentemente dalla legge»[19].

2. I paradigmi del costituzionalismo moderno 

Sorge spontaneo domandarsi, allora, cosa si intende per diritti inviolabili dell'individuo e cosa si intende per separazione dei poteri. 

«L’uomo, tutti gli uomini indiscriminatamente, hanno per natura, e quindi indipendentemente dalla loro volontà, tanto più dalla volontà di pochi o di uno solo, alcuni diritti fondamentali»[20].  Avere un diritto significa avere una pretesa nei confronti dello Stato, imporgli, cioè, «doveri (di astensione) e obblighi (di prestazione)»[21]I diritti, infatti, antecedono le istituzioni politiche e limitano il potere costituito. La teorizzazione del ‘governo delle leggi’ risulterebbe, a tal proposito, funzionale alla tutela dei diritti e delle libertà degli individui. 

Invero, quello della genesi dei diritti è un discorso molto più complesso che affonda le proprie radici già in epoca premoderna[22] e che si estende per tutto il segmento storico, fino ad oggi. Se per Locke i diritti sono preesistenti allo Stato, in altre dottrine i diritti sorgerebbero ‘al confine’ tra lo stato di natura e lo stato civile, quando col passaggio dall’uno all’altro si realizza la completa sovrapposizione dei due momenti, di ciò che stava prima e di quello che sta adesso, fino alla definitiva soppressione dello stato di natura a favore dell’organizzazione civile. La condizione preesistente di Locke, lo stato di natura di cui parla il filosofo inglese, è caratterizzata dalla titolarità per gli individui di diritti e di libertà.

Di fronte al già esistente, il pactum lockiano avrebbe come suo obiettivo la semplice tutela di quei diritti che già sono propri dei cittadini. La fuoriuscita dallo stato di natura sarebbe il rimedio per una migliore garanzia degli stessi[23]. Hobbes e, in parte, Rousseau teorizzano, invece, uno stato di natura scevro di ‘socialità’. In questa visione statualistica l’uscita dallo stato di natura porterebbe con sé la nascita della società civile e dello Stato stesso. Il contratto hobbesiano e rousseauviano determinerebbero l’avvento di quel ‘novum’ prima inesistente. Prima del patto sociale, infatti, non esiste nulla, neppure i diritti degli individui che «solo l’autorità politica può far nascere»[24], come condizione necessaria non già per la loro tutela, ma, in primis, per la loro comparsa[25].

Sulle ceneri dell’Ancien régime e del colonialismo americano si affermarono nel 1789 e nel 1776, rispettivamente, la Dichiarazione dei Diritti francese e la Dichiarazione di Indipendenza americana, conseguenza dei moti rivoluzionari del tempo, ispirati alle teorizzazioni sulle libertà. Le garanzie di cui parla l’art. 16 della Dichiarazione francese[26]«convergono tutte verso un unico risultato, verso il primato, in materia di diritti e di libertà, della legge generale e astratta»[27], come a volere sottolineare l’impossibilità, di fronte ai diritti individuali, dell’arbitrio dei singoli. Come a volere rinunciare per sempre ai privilegi di ceto e alle divisioni in classe della società, riconoscendo un’«unica legge non più dipendente dai vari ordini»[28]

Con la Rivoluzione francese «la forza della legge diviene la stessa cosa della forza dei diritti»[29].

Alla legge si affida la tutela ma anche la nascita di tali diritti, sebbene si pongano specifici limiti al potere del legislatore che, incarnando la volontà generale, non può, tuttavia, mai nuocevi. Con le Dichiarazioni americane si realizza, invece, l’avvento della supremazia della Costituzione sulla legge. Tali Dichiarazioni si spingeranno oltre le teorizzazioni francesi di una legge che, per così dire, dà alla luce. Si cristallizza la centralità dell’uomo/cittadino sullo Stato e si esalta il primato dei diritti, prima ancora che della legge, regalando, così, alla contemporaneità la rigidità del documento costituzionale e il sindacato di costituzionalità sulle leggi, sancendo la definitiva limitazione del potere politico, che, se da una parte, risulta limitato dall’esigenza di tutela di diritti preesistenti, statuita mediante il pactum, dall’altra, al fine di distogliere dal rischio di possibili ‘ritorni al passato’, subisce, per mezzo della formale separazione dei poteri delegati, concettualizzata da Locke, ma poi ripresa e meglio elaborata da Montesquieu, la sua divisione tra più soggetti. 

L’art. 16 della Dichiarazione francese, infatti, pone accanto alla garanzia dei diritti, l’indispensabilità della separazione dei poteri. Affinché possa parlarsi di Stato costituzionale, dunque, lo Stato, onde evitare la concentrazione del potere in un’unica mano, deve organizzarsi separando e dividendo i poteri. «La libertà politica vi è soltanto quando non si abusa del potere; ma è un’esperienza eterna che qualunque uomo che ha un certo potere è portato ad abusarne: va avanti finché non trova dei limiti e, perché non si possa abusare del potere, bisogna che il potere arresti il potere» [30].

La sovranità non è del singolo, sia esso il monarca, sia esso il popolo. La sovranità appartiene, secondo Montesquieu, a diversi soggetti, dal momento che in ogni Stato si configurano tre generi di poteri: il potere legislativo, che è condizionato e limitato dal potere esecutivo, dal momento che questo «deve prender parte alla legislazione con la sua facoltà di impedire di spogliarsi delle sue prerogative»[31];  il potere esecutivo, condizionato a sua volta da quello legislativo; e il potere giudiziario che è «bouche de la lois»[32].  Questo caposaldo della modernità ha caratterizzato il passaggio dallo stato assoluto a quello moderno e liberale, dapprima con l’avvento della monarchia costituzionale, originata in Inghilterra a seguito della Gloriosa Rivoluzione e del Bill of Right, e poi col passaggio da questa alla monarchia parlamentare. In entrambe le forme di Governo, il monarca risultava limitato nell’esercizio dei suoi poteri.

Nella prima esercitando il potere legislativo congiuntamente col Parlamento e ponendosi come titolare dell’Esecutivo, affidato, tuttavia, ad un Governo dipendente dal monarca stesso; la seconda, invece, si presentava come un’evoluzione della prima. Il primato del Parlamento, come avviene nell’attuale Inghilterra, marginalizza, di fatto, la figura del monarca, relegando le sue funzioni al mero cerimoniale, secondo il classico motto «The King reigns but does not rule»[33].

Da queste forme di monarchia deriva, per altro, l’assetto contenutistico della maggior parte delle costituzioni mondiali e delle moderne democrazie: dalla Costituzione degli USA, che sostituendo la figura del monarca a quella di un Presidente elettivo, dava vita alla Repubblica Presidenziale, alla Costituzione francese ed italiana che, in seguito alla razionalizzazione del secondo dopoguerra, attraverso il criterio fiduciario, aprendo al parlamentarismo, si ponevano l’obiettivo di una maggiore responsabilizzazione politica dell’Esecutivo nei confronti del Legislativo; e ancora, a titolo esemplificativo, il parlamentarismo tedesco post Weimar che, attraverso gli strumenti di sfiducia costruttiva e dello stato di emergenza legislativa, risulterebbe fortemente razionalizzato[34].

Come sostiene Montesquieu, «tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri»[35]. La spartizione del potere è un criterio, dunque, di massima importanza, consente, infatti, di ‘razionalizzare’ la sovranità che, in questi termini, risulterebbe controllata. Ogni potere, guardando a sé stesso e, contemporaneamente, agli altri, impedirebbe forme di prevaricazioni, garantendo, così, nell’organizzazione costituzionale, il bilanciamento di pesi e contrappesi.

3. Costituzionalismo e religione 

Altro aspetto fondamentale del costituzionalismo moderno è l’arduo processo di secolarizzazione, che oggi consente di tracciare un confine, quanto meno ideale, tra i costituzionalismi dell’Occidente e quelli d’Oriente. Il quesito circa l’importanza di tale processo e dello stesso caposaldo della laicità, invero, ad avviso di chi scrive, oggi non può che rimanere un quesito aperto. Va da sé, in ogni caso, che il concetto di laicità richiami, quasi come tassello indispensabile, quello di religione e, senza entrare nel merito dei problemi legati alla laicità, necessario, in questa sede, appare piuttosto riflettere sui rapporti che intercorrono tra il costituzionalismo - nello specifico il costituzionalismo moderno - e la religione.

La religione è «una determinazione essenziale o costitutiva dell’uomo. Il modo in cui l’uomo si avverte di fronte alla Trascendenza. È dunque per un verso un modo dell’esistere […]. Per altro lato, una struttura costitutiva (insieme con le altre) di ogni distinto modo della coscienza»[36]; l’apertura allo «spazio di Dio»[37], a prescindere dal proprio credo; la capacità di porsi al Suo cospetto, con quella consapevolezza di sofferenza che rende gli uomini uguali a tutti gli altri, recuperando nel tempo quello «status di persona» di cui i romani erano incuranti e abbandonando i limiti dell’ananke[38], a favore di una più ’santa’ onnipotenza, quella di un dio, che non limitandosi unicamente a creare, salvi ed ami. 

Gli uomini sono ben consapevoli dell’importanza che la religione, e soprattutto il cristianesimo, hanno attribuito alla questione dell’umanità. Lo stesso dio cristiano, per costruire il suo regno sulla terra, si è dovuto fare uomo, incarnandosi nella persona del figlio Gesù Cristo, accettando i limiti tutti della condizione umana e «con essi l’angoscia e la speranza». [39] È a partire da queste premesse teologiche che, con l’avvento di Dio sul mondo e della Sua Onnipotenza, già in epoca pre-moderna si inizia a riflettere sui rapporti fra governanti e governati, incidendo, inevitabilmente, «sulla teoria e sulla pratica del potere politico occidentale»[40]

La Natura stessa, che per i classici si poneva addirittura al di sopra del dio Zeus, atterrebbe alla volontà del nuovo dio e ai Suoi comandamenti, e l’opposizione al Suo ordine stabilito avrebbe per effetto l’opposizione alla Trascendenza. Ogni cosa deriva da Dio: lo Stato ne è Suo servitore, e i governanti altro non sono che Suoi mandatari. In questa visione del Tutto piegato alla volontà di Dio, l’obiettivo principale di fede cristiana sarebbe stato da sempre quello dell’evangelizzazione del messaggio di Dio, e dunque della Sua parola, «potenza divina per la salvezza di chiunque crede»[41].

Il potere trae, così, origine da un intervento dall’alto, dalla volontà superiore di Dio, che è fonte di legittimazione del vertice, quando si inizia ad accettare che al di sopra dell’Altissimo non c’è altro, e che è Lui che «concede i regni terreni ai buoni e ai cattivi […] secondo un ordine delle cose che sfugge»[42] agli uomini, e a questo ordine Egli non è soggetto, essendone il sovrano.

Tutto il Medioevo, sorretto dalle teorizzazioni dei padri della Chiesa, trova nel cattolicesimo il punto di approdo per disegnare le sorti di quel «nuovo modello giuspolitico nel quale s’intravedono in nuce gli elementi essenziali dello Stato moderno (costituzionale di diritto), il cui sviluppo procede parallelo a quello del diritto canonico, in un rapporto di mutua influenza»[43]. È possibile, in tal senso, ipotizzare l’esistenza di un legame tra il costituzionalismo e la religione che trova la sua ragion d’essere, come lascia intendere Alicino[44], nella ‘incarnazione’ della volontà di Dio che, ‘santificando’ il potere politico, restituisce uno spazio sulla terra, informando di sé tutto il sistema normativo, realizzando, poi, quella che Bellini[45], nella sua omonima opera, definisce la Respublica sub Deo[46].  

Il costituzionalismo moderno potrebbe, in questi termini, a parere di chi scrive, aversi come figlio del ‘costituzionalismo cristiano’[47]. Incide in maniera pregnante sui concetti liberali della modernità proprio il dato dell’esistenza di un’Onnipotenza al di sopra di ogni legge, e nei confronti della quale monarca e signore sono soltanto vicari. Si assiste allo «sdoppiamento della personalità regale che amministra la volontà di Dio in terra: il monarca diviene il ministro e servo di fronte al sovrano celeste; è quindi limitato nella sua azione politica dalle leggi di Dio, ma allo stesso tempo, proprio perché Dei vicarius, esso si presenta come legibus solutus rispetto agli uomini, suoi sudditi»[48]. Questa superiorità alle leggi terrene, di cui il monarca per altro è artefice, tuttavia, rimane strettamente connessa, e, anzi, dipende, dall’assoggettamento del principe all’onnipotenza di Dio.

La ‘pretesa’ del modello costituzionalistico, di imporre limiti alla signoria del sovrano, trova anticipazione già nella ‘sacralità’ propria del potere medievale. La voluntas del principe si arresta di fronte alla Rivelazione, di fronte cioè all’ immutabilità e alla dinamicità[49] del diritto divino, riconducibile alla volontà di Dio e, pertanto, non soggetto ad alcuna modificazione da parte dell’uomo, assumendo i caratteri propri di qualsiasi altra costituzione, con la particolarità, tuttavia, che la legge di Dio e quella morale, operante nel cuore degli uomini, a differenza di altre leggi, rimangono prive di demarcazioni spaziali e temporali[50].  «Il principe sovrano», alla luce di queste considerazioni, è pertanto «vincolato in un sistema normativo che oltrepassa e sovrasta la legge positiva»[51] , in ogni tempo e in ogni luogo. È l’idea del potere che limita il potere; dell’assoggettamento dell’autorità alla legge, che raggiungerà la sua massima elaborazione nello Stato liberale, fino a depurarsi definitivamente, con la secolarizzazione, dai dettami religiosi e trovare nell’ ‘estremizzazione’ del costituzionalismo una nuova propria legittimazione.

 Al diritto canonico si deve la centralità dell’uomo e dei suoi diritti, dal momento che la venuta di Gesù Cristo «libera i cristiani da una grave condizione servile»[52]. È il Signore, il Maestro, che, piuttosto, si pone in una posizione di servizio, e lo fa nei confronti dell’intera umanità, anche verso colui[53] «cui il diavolo aveva messo in cuore di tradirlo» (Vangelo Gv, 13, 1-16). L’uomo, dunque, si pone come motivo costante nell’ambito della Chiesa e ciò fa anche del più piccolo ed insignificante dei fedeli, pur sempre, un figlio di Dio. Il ‘viaggio verso il nuovo’, di cui scrive Zanetti[54], la liberazione ebraica dalla schiavitù, operata da Mosè, se visto in chiave contrattualistica, descriverebbe, ancora una volta, il passaggio, per mezzo di un pactum (in questo caso tra gli Ebrei e Dio), dallo stato di oppressione (il pre-giuridico) al nuovo ordine (il giuridico), in cui si affermano la sovranità di Dio e delle Sue leggi.

In questi termini, al cristianesimo va il privilegio di avere realizzato il «regno della libertà»[55], una libertà che, tuttavia, non è legata, come nella secolarizzazione, al singolo in quanto tale, riconoscendosi questo nella communitas, e che, ancora in chiave ‘teologica’, non è invero neppure piena capacità di autodeterminazione, ma, pur sempre, un’elevazione dell’individuo all’autentica destinazione, alla missio divina della tranquillitas e del bonum commune[56]

L’abolizione della schiavitù ebraica è l’accesso al populus Dei, che prende forma grazie al nuovo vincolo spirituale instauratosi tra l’uomo e Dio. Una spiritualità che ha avuto nella storia anche il compito di affermare un importante caposaldo del costituzionalismo moderno, e cioè l’uguaglianza di tutti gli uomini. Di fronte alla Trascendenza tutte le creature, in quanto finite, infatti, sono uguali. «La tradizione ebraico-cristiana fu così (ed è tuttora) vettore di un’importante base filosofica della nozione di uguaglianza e assorbì nel suo seno quelle elaborazioni antiche che avevano affermato che gli uomini sono tutti uguali. […] Gli autori medievali, ispirati da una forte religiosità, sono consapevoli che esiste un senso importante nel quale si può dire che tutti gli uomini sono eguali»[57].

Questa visione ‘teologica’ dell’uguaglianza, per cui tutti gli uomini sono legati tra loro dal rapporto di fratellanza e accomunati dall’essere, in egual misura, figli dell’unico Dio Padre, favorendo l’irrilevanza delle disuguaglianze, consente la valorizzazione di uno dei più importanti dei diritti dell’individuo che, col costituzionalismo moderno, troverà, poi, una sua propria collocazione nel complesso dei cosiddetti ‘diritti soggettivi’. 

Con l’aprirsi dell’uomo allo ‘spazio di Dio’ si rafforza la libertà interiore dell’individuo, che trova concreta collocazione nel dialogo intimo tra l’umanità e il Padre. Ogni cosa sembra muoversi in questo spazio e tutto sembra teso all’unica finalità del bene comune che lo stesso Gesù Cristo aveva evangelizzato ai suoi seguaci, ed esonerato da questa tensione non può risultare neppure il potere politico esercitato nello Stato, tramite di valori volti ora alla realizzazione di quel bene, ora alla tutela della ‘dignità creaturale’, l’uomo che, in quanto creato da Dio, riacquista la sua dimensione personale. «Ne consegue che nessuna organizzazione politica quale ne sia la costituzione (regnum, respublica, civitas sibi princeps, ecc.) può asservire totalmente l’uomo che conserva una sua irriducibile singolarità e come tale supera la società politica»[58]. 

Il monarca, pertanto, risulta titolare di un «dominio circoscritto»[59], che non può mai configurarsi come un potere del tutto absolutus, dovendosi, per la ‘sacralità’ della sua origine, sottomettere alla «sovranità trascendente ed esterna, che assicura la compattezza interna dello Stato»[60]uno Stato piegato alla conoscenza di Dio e alla realizzazione della Sua missione sulla terraÈ la ragione per cui i diritti del re non possono mai sovrastare quelli del popolo, piuttosto il re diventa titolare di specifici obblighi nei confronti dei suoi sudditi e verso la legge di Dio, che, ponendosi al di sopra dello Stato, con i diritti della comunità, finiscono per costituire il limite esterno ed interno all’autorità politica, risolvendosi in un importante caposaldo del costituzionalismo: «il principio che fonda e legittima un potere costituito al tempo stesso lo regola e lo limita»[61].  

La Trinità e l’importanza che Dio ha riservato all’umanità, come mezzo per l’affermazione della sua Onnipotenza e come strumento di ingresso della città di Dio in quella dell’uomo[62], non lascia spazio alla tirannide. Lo Stato medievale è uno Stato con Dio, se non un vero e proprio Governo di Dio. Tutto il pensiero cristiano porta su di sé il peso delle Sacre Scritture e la responsabilità del rispetto dei principi in esse raccolti, che sono fonte di ispirazione per la comunità, condizionandone gli aspetti della vita sociale e politica.  Nella tirannide, infatti, non c’è spazio per Dio, o meglio non c’è spazio per l’uomo in Dio. Il tiranno, realizzando il suo esclusivo interesse personale, si allontana dal concetto di equo e, annegando nella propria fame di potere, anche dal concetto di giustizia universalmente condivisibile.

Questo, pertanto, legittimerebbe gli oppressi a resistere al tiranno. Il sovrano, deve porsi al servizio dell’equità[63], ha il dovere di rispettare la legge naturale e divina, e di subordinarsi alla consuetudo, che è l’«espressione delle strutture più intime dell’assetto socio-politico»[64]. Sono questi i tratti caratteristici del ‘costituzionalismo cristiano’ che ripone nella pace e nella serenità della comunità le proprie basi, affermando l’esigenza di uno Stato che, inseguendo l’ordine razionale, si faccia promotore dell’armonia divina, in mancanza della quale la socialità si interromperebbe e verrebbe meno la stessa società.

 Pur consapevole dell’imperfezione umana di fronte alla perfezione divina, il cristianesimo regala all’uomo un posto nel mondo, gli attribuisce un valore, anticipando il moderno riconoscimento dei diritti fondamentali. Nonostante l’assenza di tecnicismo giuridico, al costituzionalismo cristiano va il merito di aver posto i principi etici e le libertà dell’uomo al centro della riflessione e di aver tentato una strada di equilibri tra autorità e libertà. Questo, come il costituzionalismo moderno, seppure legati ad aspetti differenti, il primo alla teologia e l’altro al consenso sociale, sembrano toccarsi da molto vicino su un punto, e cioè la consapevolezza della natura umana e dei principi che la trascendono.  

La ‘morte di Dio’, per lo meno in Occidente, avvenuta dapprima con l’Umanesimo e poi definitivamente nell’età dei lumi, e il ‘disincanto’[65] pongono, con la secolarizzazione, una nuova verità: Dio è onnipotente in Cielo, ma la terra ha un nuovo sovrano, creatore di un nuovo ordine giuridico[66] e fautore di un ‘dualismo’ che vede la sfera della coscienza distaccarsi da quella della giustizia umana, il potere spirituale dal potere secolare[67].  La città terrena, portatrice di proprie finalità, può realizzarsi a prescindere dal destino celeste.

Si comincia così ad ipotizzare per il monarca occidentale un’investitura popolare. Non solo il «rex est a populi voluntate», ma al popolo, come «universitas civium» viene anche riconosciuto l’esercizio del potere legislativo.

Questo già nel Medioevo consentiva di eliminare ogni privilegio della gerarchia ecclesiastica, scardinando, per altro, l’antico principio della Plenitudo del Pontefice. Nella ricerca di una più autentica religiosità, infatti, la vera sposa di Cristo diveniva l’universalità dei fedeli e l’obiettivo dei chierici, da sempre quello di parlare alle coscienze, poteva essere realizzato anche senza l’esercizio, da parte degli stessi, di poteri coercitivi sulle società civili. Il governo veniva eletto e dipendeva dal potere attribuito all’universitas civium, cui spettava anche «il potere di correggere il governante e di deporlo ove ciò fosse stato conveniente per il comune vantaggio»[68]. Come afferma un autore franco-inglese, Dupont-White, «la più grande scoperta dell’Europa non è la stampa ma la separazione dello spirituale dal temporale, della religione dalla politica»[69], sottolineando quel cambio di rotta nella storia occidentale che ha visto il primato del popolo e del suo consenso sostituirsi alla rivelazione divina, ora che gli stati moderni applaudono un nuovo legislatore, che non è più Dio, ma l’intero corpo dei cittadini, ora che «la nuova sovranità, vista in prospettiva nella forma compiuta del Leviatano hobbesiano laicamente e razionalmente costituito a partire da un patto sociale, non è più fondata sulle Sacre Scritture, ma sul diritto naturale dei popoli»[70] .

Alla libertà di culto e all’avvento dello Stato non confessionale, sorto anche sulle ceneri degli scontri violenti culminati nella Guerra dei Trent’anni e con la pace di Vestfalia[71], si legano la separazione degli affari di Stato dalle questioni di culto, segnando, così, la definitiva autonomia della città dell’uomo rispetto al potere religioso. Questo, invero, non significava ancora escludere il Divino dalle finalità temporali. Nel periodo tardo medievale, infatti, «la dimensione religiosa rimane irrinunciabile, anzi il religioso assume un valore sociale più che individuale e ciò è lontano dal soggettivismo (razionalistico e non) che sarà tipico della cultura moderna […]. La sovranità popolare contribuisce a dare corpo ad un costituzionalismo cristiano dove la policia, quale organizzazione condivisa della universitas civium, non si sottrae al confronto con la lex divina, ma vede in quest’ultima, nel suo porsi storicamente quale lex naturalis, il limite alla sua libertà nel rispetto del fine, anche ultraterreno, della vita umana»[72].

4. Conclusioni

Il nuovo sistema, così disegnato, per quanto ‘laico’ e per quanto distante dalle 'cose pubbliche’ di Dio, pone, come in passato, il proprio mirino di osservazione sull’uomo e sulla sua sfera intima. L’uomo è, infatti, collocato al centro di quel tutto che il cristianesimo, prima, e il costituzionalismo cristiano, dopo, hanno lasciato in eredità al costituzionalismo attuale.

Per mezzo del cristianesimo, come visto, è stato possibile recuperare addirittura la stessa idea di preesistenza dei diritti propri della persona, ai quali oggi si riconosce l'inviolabilità, e, dunque, una qualche costanza di validità nel tempo che consentirebbe, in ultima analisi, di affiancare la sfera privata e personale del singolo al mondo sacro di Dio.

Le costituzioni occidentali, non rinnegando il religioso, hanno anzi posto il problema della libertà religiosa. E va da sé che porsi il problema della laicità e della scelta religiosa significhi già riconoscere l'esistenza di uno spazio divino. 

La religione, pertanto, aspetto rilevante nella vita della comunità e dei singoli, obbliga, a valle, i governanti anche alla tutela di quello spazio intimo che è il religioso stesso.

In definitiva, nell'Occidente moderno la 'morte di Dio' non si è mai del tutto compiuta. Non manca, ad esempio, alle 'Chiese del mondo' di rivendicare un qualche diritto di intromissione sulle questioni di rilievo spirituale o sulla stessa sacralità dell'umano. 

Si può altrimenti dire che, in un tentativo di lotta contro i secoli, all'interno dell'arduo e farraginoso retroterra storico e filosofico del costituzionalismo moderno, in parte, si intravedano i ripensamenti degli stessi principi cristiani (la ragionevolezza, la solidarietà, la tolleranza, il pluralismo) e, altresì, può legittimamente dirsi che le costituzioni -  tanto quanto la religione - abbiano anch'esse mirato ad accompagnare le comunità nel percorso di crescita anche personale, 'evangelizzando' la scala di valori costituzionalmente orientata e ricercando principi ordinatori della socialità. 

 Nonostante il moderno e i suoi nuovi templi, pertanto, «la storia dell’uomo resta, in ultima analisi, storia della salvezza»[73].


Note e riferimenti bibliografici

[1] «Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione» cit. art. 16, Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. 

[2] A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 3.

[3] G. DI PLINIO, Appunti su Shari’a, Diritti e Costituzionalismo islamico, in Iura Orientalia VI (2010), 283-315, (www.iuriaorientalia.net), p. 287. 

[4] G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. RINELLA, M. VOLPI, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p. 245. 

[5] Per approfondimenti si veda F. VIOLA, Costituzione e costituzionalismi, in Iustitia, 62 (2), 2009, pp. 247-255. 

[6] La common law è la legge comune a tutto il Regno, ai sudditi dell’Inghilterra e del Galles, nasce dall’esigenza di ‘centralizzazione’. La caratteristica principale è il primato della giurisprudenza, che si afferma come vera e propria fonte del diritto, e la regola del precedente giudiziario, che, se nei paesi di civil law, assume importanza unicamente interpretativa, nei paesi di common law acquista valore normativo e vincolante, alla luce dello stare decisis. È «un diritto regio amministrato attraverso una struttura unitaria e centralizzata che, per opera degli stessi giuristi pratici, tende ad assumere caratteristiche tecniche e di imparzialità al punto di affrancarsi dalla persona del Re».  (Per approfondimenti si veda G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. RINELLA, M. VOLPI, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, pp. 63-72). 

[7] Cfr. A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 186 ss.  

[8] In verità le teorizzazioni sullo stato di natura, come condizione ‘prepolitica’, in mancanza di qualsiasi organizzazione politica e di leggi, non attengono soltanto al giusnaturalismo seicentesco e settecentesco, ma hanno radici molto più antiche. Già in Grecia, la dicotomia tra nomos physis, cristallizata nel conflitto sofocleo tra Antigone e Creonte, spinse sofisti come Trasimano, Protagora e Licofrone a porsi il problema della nascita dello Stato, in chiave, si potrebbe dire, contrattualista, assecondando l’idea di un ‘pregiuridico’ come scontro perenne di volontà individuali, risolvendosi poi in quel bellum omnium contra omnes, caro a T. Hobbes.  La necessità di un accordo per uscire dall’aleatorietà dello stato di natura, come condanna della violenza ed esaltazione delle società civili, è cara anche all’illustre filosofo ateniese Aristotele: la fuoriuscita dallo stato di natura, per mezzo di un synthèke, un accordo, consentirebbe allo zoon politikon di distinguersi dal resto degli altri animali. Per Seneca lo stato di natura è una condizione di pace e di felicità, ma il ciclo distruttivo della violenza individuale comporta la necessità di una fuoriuscita. In Lucrezio è una condizione di lotta e di pericolo. Nelle Divinae Istitutiones di Lattanzio, scrittore di fede cristiana, l’umanità ha un bisogno diffuso di protezione ed è dovere dell’uomo assistere il suo vicino, per tanto, immorale ed impolitico sarebbe l’allontanamento dell’umanità dal consorzio. Altri scrittori cristiani, sulla base delle congetture bibliche, ad esempio, attribuivano al ‘pregiuridico’ l’originario stato di innocenza umano. Al vescovo Agostino di Ipponia, teorico dell’ascesa dalla città di Dio a quella dell’uomo, si deve, invece, per mezzo di questi temi, la giustificazione delle ingerenze del potere della Chiesa su quello secolare. 

[9] Per l’approfondimento delle dissertazioni filosofiche sul principio di eguaglianza si veda almeno A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, pp. 43-66.

[10]  A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 173.

[11] Cfr. T. HOBBES, Leviatano, I, cap XIII. 

[12] A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 106.

[13] Cfr. J. LOCKE, Due trattati sul governo, a cura di L. PAREYSON, Torino, utet, 1982. 

[14] D. DIDEROT, Osservazioni sull’istruzione di S.M.I. ai deputati per la redazione delle leggi, in Id., La politica, Roma, Editori Riuniti, 1982. 

[15] Cfr. J. LOCKE, Due trattati sul governo, a cura di L. PAREYSON, Torino, utet, 1982. 

[16] Per l’approfondimento del costituzionalismo di ispirazione giacobina e quello di ispirazione anglosassone si veda almeno A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, pp. 5-13. 

[17] J. -J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, in Id., Scritti politici, a cura di P. ALATRI, Torino, utet, 1979. 

[18] A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 180. 

[19]  Ivi, p. 188. 

[20] N. BOBBIO, Liberalismo e democrazia, in Il pensiero politico contemporaneo, vol I, a cura di G.M. BRAVO, S. ROTA GHIBAUDI, F. ANGELI, Milano, 1985, pp. 21-88. 

[21] FERRAJOLI, Diritto e ragione, Roma-Bari, Editori Laterza, 1989.  

[22] Nella concezione premoderna l’uomo partecipa a un ordine universale e il governo si conformava alla legge naturale. Ne deriva che tutto il medioevo viene a caratterizzarsi come la sede in cui la legge naturale e il bene comune superano le pretese private di chi governa, e, in questo senso, per Tommaso d’Aquino, religioso, teologo ed esponente principale della scolastica, il potere politico andrebbe in contro a dei limiti morali. L’uomo deve disobbedire al re terreno tutte le volte che questo venga in contrasto col re interiore che è Gesù Cristo. La legge positiva diventerebbe corruptio se non conforme alla legge naturale di ragione. L’uomo non è più mero oggetto ma diviene soggetto del diritto e, sebbene non si configuri una vera e propria libertà, come intesa con l’avvento della modernità, in quanto, ancora, strettamente riconducibile ai dettami di Dio e al suo ordine universale, emerge, in chiave contrattualista, l’idea di limite al potere del sovrano, ridotto a semplice mandatario. Questa concezione di governo ‘limitato’ troverebbe, per altro, la propria consacrazione nell’art 39 della Magna Charta del 1215, in cui si afferma che nessun uomo può essere limitato nella sua libertà «se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese». La limitazione del potere politico, per altro, non è soltanto la conseguenza ‘razionale’ dei vincoli morali imposti dalla legge naturale e dalla visione contrattualistica dei rapporti, ma interviene, in questo senso, anche la common law e il ruolo decisivo della giurisprudenza, a garanzia delle libertà e dei diritti dei consociati, contrastando la decisione del potere politico. Secondo Zagrebelsky, giurista, accademico italiano e giudice costituzionale, i diritti sono le «pretese degli status» e riflettono l’«ordine vero e giusto» a cui si conformano. (Si vedano TOMMASO D'AQUINO, Sritti politici, Bologna, Zanichelli, 1964; G. FASSO’, Storia della filosofia del diritto, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1968; ZAGREBELSKY, Relazione, in I diritti fondamentali oggi, a cura dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Padova, Cedam, 1995, pp. 19-37).  

[23] Cfr. J. LOCKE, Due trattati sul governo, a cura di L. PAREYSON, Torino, utet, 1982.

[24] A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 79. 

[25] Cfr. T. HOBBES, Leviatano, I, cap XIII e J. -.J. ROUSSEAUIl contratto sociale, in Id., Scritti politici, a cura di P. ALATRI, Torino, utet, 1979.

[27]  A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 80. 

[28] Ivi, p.  81.

[29] Ibid. 

[31] Ivi.

 

[33] Cfr. G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. RINELLA, M. VOLPI, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, p. 405 e ss. e C. SATTO, Il re regna e non governa, in Ricerche di storia politica, dicembre 2018, pp. 283-304.   

[34] Per approfondimenti si veda M. VOLPI, Le forme di Governo, in G. MORBIDELLI, L. PEGORARO, A. RINELLA, M. VOLPI, Diritto pubblico comparato, Milano, G. Giappichelli Editori, 2016, pp. 405 e ss. 

[35] «In ogni Stato vi sono tre generi di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile. In forza del primo, il principe, o il magistrato, fa le leggi, per un certo tempo o per sempre, e corregge o abroga quelle che sono già state fatte. In forza del secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In forza del terzo, punisce i delitti o giudica le controversie dei privati. Chiameremo quest’ultimo il potere giudiziario, e l’altro semplicemente il potere esecutivo dello Stato. […] Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, poiché si può temere che lo stesso monarca, o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente. Non vi è nemmeno libertà se il potere giudiziario non fosse separato dal potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: infatti il giudice sarebbe legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati» cit. C.L. MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, a cura di S. COTTA, Torino, Utet, 1973.

[36]A. CARACCIOLO, Religione ed eticità, Recco (GE), Il Melangolo, 1999, p. 19. 

[37] Ivi, p. 26. 

[38] F. ALICINO, Religione e costituzionalismo occidentale. Osmosi e reciproche influenze, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiesa.it), n. 32/2012, ISSN 1971-8543, consultato il 16/07/2021. 

[39] A. CARACCIOLO, Religione ed eticità, Recco (GE), Il Melangolo, 1999, p. 33.

[40] F. ALICINO, Religione e costituzionalismo occidentale. Osmosi e reciproche influenze, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiesa.it), n. 32/2012, ISSN 1971-8543, p. 6. 

[43] F. ALICINO, Religione e costituzionalismo occidentale. Osmosi e reciproche influenze, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiesa.it), n. 32/2012, ISSN 1971-8543, p. 22.

[44] Ordinario in Diritto Ecclesiastico e Canonico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università LUM Jean Monnet di Cassamassima (Bari). 

[45] Ordinario di Storia del Diritto Canonico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma. 

[47] Interpretazione personale tratta dalla lettura dell’articolo di F. ALICINO, Religione e costituzionalismo occidentale. Osmosi e reciproche influenze, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiesa.it), n. 32/2012, ISSN 1971-8543. 

[48] E.H. KANTOROWIC, The King’s Two Bodies: A Studies in Medevial Political Theology, Princeton University Press, 1957, cit., pp. 194 ss.

[49] Per ulteriori approfondimenti sui caratteri del diritto divino si veda P. MONETA, Introduzione al Diritto Canonico, Torino, G. Giappichelli Editore, Quarta edizione, 2016, pp. 28-40. 

[51] F. ALICINO, Religione e costituzionalismo occidentale. Osmosi e reciproche influenze, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiesa.it), n. 32/2012, ISSN 1971-8543, p. 35.

[52] G. D’OCKAHM La spada e lo scettro. Due scritti politici, traduzione it. e note a cura di S. SIMONETTA, Milano, bur, 2005, p. 53.

[53] Si fa riferimento al gesto, narrato nel Vangelo di Giovanni, della lavanda dei piedi compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena. Gesù lava i piedi a tutti gli apostoli, compreso Giuda Iscariota, che, secondo la narrazione evangelica, più tardi l’avrebbe tradito (Cfr. Vangelo Gv 13, 1-16).

[54] Per approfondimenti si veda A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 49.

[55]  G. SOLARI, La formazione storico e filosofica dello Stato moderno, Torino, 1962, p. 25. 

[56]  G. MAGLIO, L’idea costituzionale nel Medioevo, Gabrielli Editori, 2006, p. 217. 

[57] A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Editori Laterza, 1997, p. 50. 

[58] ibid.

[59] F. ALICINO, Religione e costituzionalismo occidentale. Osmosi e reciproche influenze, in Stato, Chiesa e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiesa.it), n. 32/2012, ISSN 1971-8543, p. 36. 

[60] Ibid.

[61]  G. MAGLIO, L’idea costituzionale nel Medioevo, Gabrielli Editori, 2006, p. 222.

[62] Cfr. AGOSTINO, De Civitate Dei. 

[63] GIOVANNI DI SALISBURY, Policraticus

[64] P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Laterza, 2017, p. 91. 

[65] Cfr. P. PRODI, La storia moderna, Il Mulino, 2005, p. 41.

[66] Cfr. N. MATTEUCCI, Lo Stato moderno, Donzelli, 1998.

[67] Cfr. P. PRODI, Homo Europaeus, Il Mulino, 2015. 

[68] G. MAGLIO, L’idea costituzionale nel Medioevo, Gabrielli Editori, 2006, p. 145.

[69] DUPONT WHITE, Libertè de l’individu et pouvoir de l’Etat, 1856.

[70] MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, a cura di C. VASOLIi, Torino, Utet, 1975, discorso I, cap. XV, p. 198.  

[72] G. MAGLIO, L’idea costituzionale nel Medioevo, Gabrielli Editori, 2006, p. 161.

[73]Ivi, p. 139.