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Pubbl. Mar, 12 Ott 2021
Sottoposto a PEER REVIEW

Le Sezioni Unite sulla clausola claim made illegittima: il giudice può sostituirla con la loss occurance

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Gianandrea Maria Perrella
AvvocatoUniversità degli Studi di Napoli Federico II



Per la III sez. civile della Cassazione, ordinanza 5259/2021, il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole claims made è partecipe del tipo di assicurazione contro i danni, quale deroga all´art. 1917, c. 1, c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all´assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto, non si impone un controllo di meritevolezza degli interessi ai sensi dell´art. 1322, c. 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell´attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti


ENG For the III civil sec. of Cass., ordinance 5259\2021, the civil liability insurance model with claims made clauses, is part of the type of insurance against damage, as an exemption allowed by art. 1917, p. I, of the Italian C.C., since the operating mechanism of the policy linked to the compensation request of the injured third party communicated to the insurer does not affect the insurance function. It follows that, with respect to the single contract, a control of the merit of the interests is not required pursuant to art. 1322, p. 2, of the Italian C. C., but the protection that can be invoked by the insured policyholder can invest, in terms of effectiveness, different plans, from the phase preceding the conclusion of the contract, up to that of the implementation of the profiles.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Le clausole claims made; 3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 9140 del 2016; 4. La sentenza delle Sezioni Unite n. 22437 del 2018; 5. La deeming clause; 5.1. Dalla deeming clause all’ultrattività per la responsabilità professionale; 6. Valutazione e modifica del contratto assicurativo; 7. Gli obblighi informativi dell’assicuratore e dell’intermediario nella fase precontrattuale; 8. La successione di polizze nel tempo; 9. Conclusioni

1. Introduzione

Il giudice che rileva la nullità della clausola claim made, potenzialmente squilibrata, non può dar luogo ad una trasformazione della stessa nella diversa clausola, ex art. 1917 c.c., loss occurance, ma è tenuto ad integrare il contratto in base a quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 1419 c.c., quindi riportando il negozio in equilibrio “secondo ciò che le parti contraenti avevano effettivamente voluto”, in quanto il contratto non può essere modificato dal giudice di merito al punto di arrivare alla realizzazione di un differente assetto contrattuale basato su di uno schema negoziale non voluto dai contraenti.

Questo è quanto recentemente stabilito dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5259 del 25.02.2021, riguardo al contratto di assicurazione per la responsabilità professionale dei medici. La terza sezione ha accolto con rinvio il ricorso di una compagnia assicurativa avverso la condanna - in solido con un ospedale della capitale - al risarcimento del danno inflitto ad una paziente a causa dell’imperizia del medico.

2. Le clausole claims made

La disciplina codicistica del contratto di assicurazione per la responsabilità civile è basata su di un concetto di sinistro definito come fatto dannoso. Il fatto generatore dell’obbligazione assicurativa deriva dal comportamento colposo tenuto dall’assicurato durante il periodo di efficacia della polizza e produttivo di un danno arrecato ad un soggetto terzo.

In base all’art. 1917, comma 1, c.c., ciò che determina l’obbligazione dell’assicuratore a corrispondere l’indennizzo al terzo è, in primo luogo, il momento in cui si manifestano gli effetti dannosi della condotta tenuta dall’assicurato, ed, in secondo luogo, il momento temporale in cui il terzo danneggiato fa pervenire all’assicurato la richiesta di risarcimento.

Questo tipo tradizionale di clausola, basata sul momento dell’insorgenza del danno, chiamata loss occurance, ha mostrato tutti i suoi limiti verso la fine degli anni ottanta, allorquando dottrina e giurisprudenza, elaborarono la teoria dei danni lungolatenti, cioè gli effetti dannosi che si possono verificare anche a distanza di molto tempo, rispetto al momento in cui si sono prodotti. A causa del sopraggiungere di questi nuovi tipi di danni, le società assicurative si trovarono costrette ad affrontare un elevato - e inatteso - volume di contenzioso, e conseguentemente, a liquidare risarcimenti in base a parametri molto diversi da quelli in base ai quali erano state accantonate le riserve economiche. In conseguenza di ciò, le compagnie assicurative introdussero sul mercato prodotti assicurativi basati su di una tipologia di sinistro del tutto diversa da quella tradizionale contenuta nell’art. 1917 c.c., stabilendo quindi di non attribuire più importanza al momento in cui il fatto dannoso veniva posto in essere dall’assicurato, ma bensì al momento in cui il terzo danneggiato faceva pervenire all’assicurato la richiesta di risarcimento danni, andando così ad inserire nei contratti assicurativi delle clausole claims made o a richiesta fatta [1].

Nei contratti assicurativi che contengono clausole claims made la garanzia assicurativa non è fornita per i danni materialmente cagionati ed emersi nel periodo di copertura della polizza, ma bensì per quei danni, per i quali durante tale periodo, sia stata presentata all’assicurato per la prima volta, una richiesta di risarcimento danni, anche nel caso in cui il fatto dannoso sia stato cagionato in un periodo precedente alla stipulazione del contratto, a condizione però, che le parti ignorino che tale fatto possa dar luogo a richieste risarcitorie, perché altrimenti dovrà essere applicata la disciplina prevista dagli artt. 1892 e 1893 c.c.

3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 9140 del 2016

Da quando i primi contratti assicurativi contenenti clausole claims made videro la luce, si sono susseguite nel nostro Paese una lunga serie di sentenze, sia di merito che di legittimità, di segno diametralmente opposto, né si può affermare che vi sia mai stata univocità di vedute in dottrina.

Il motivo per cui parte della giurisprudenza sosteneva la nullità di tali clausole, risiederebbe nella supposta mancanza del rischio, in quanto nel caso in cui l’illecito si fosse già verificato prima della stipulazione del contratto, questa circostanza comporterebbe la mancanza dell’alea del contratto, perché si riteneva che non fosse permessa l’assicurazione del rischio nel caso in cui l’evento negativo si fosse già verificato, non avendo quindi nessuna importanza la circostanza che il pregiudizio patrimoniale - inteso come richiesta risarcitoria - non si fosse ancora concretizzato. Questo orientamento poggiava le sue basi sul richiamo implicito dell’art. 1917, comma 1, c.c., tra le norme inderogabili dell’art. 1932 c.c. [2].

L’ultima pronuncia sul punto delle Sezioni Unite risale al 2018. Prima di approfondire il contenuto di questa interessante sentenza, sarà opportuno fare un passo indietro e rivolgere la nostra attenzione alla decisione delle S.U. del 2016, che ha avuto un importante ruolo nell’evoluzione giurisprudenziale di queste clausole.

Con la sentenza n. 9140 del 2016, le S.U. hanno ritenuto che la clausola claim made “pura” non sia nulla, diversamente da come tante volte sostenuto sia in giurisprudenza che in dottrina, ma bensì assolutamente legittima e non vessatoria, in quanto non prevede nessuna limitazione temporale alla retroattività, ma stabilisce però, che il giudice di merito è tenuto ad esaminare caso per caso la sua meritevolezza ai sensi del II comma dell’art. 1322 c.c., e, nel caso in cui il giudice rilevi un’ingiustificata limitazione della copertura assicurativa, debba procedere alla trasformazione della clausola claim made in una loss occurance.

Diverso, invece, è il discorso per la clausola claim made “impura”, in quanto limitando la copertura assicurativa ai soli casi in cui sia il sinistro, che la richiesta di risarcimento, avvengano in vigenza del contratto assicurativo, è ritenuta certamente svantaggiosa per l’assicurato, perché in questo modo potrebbe venirsi a trovare di fronte a possibili vuoti di copertura riguardo ai sinistri lungolatenti [3].

Per arrivare a considerare la clausola claim made “pura” meritevole di tutela, le S.U. partono da due presupposti: il primo è che vi sia nel nostro ordinamento un’ampia autonomia contrattuale, che permette alle parti tanto di determinare liberamente il contenuto del contratto, tanto di creare modelli di contratto innovativi; il secondo è  di natura economica, poichè questa clausola consente alla società di sapere precisamente fino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e a porre quindi in bilancio le somme necessarie per far fronte alle relative obbligazioni [4].

Ragion per cui ritengono del tutto possibile, che le parti facciano coincidere l’apertura della copertura assicurativa, non con la verificazione del fatto, ma bensì con la richiesta di risarcimento. Altro aspetto importante della decisione, è che si riconosce alla clausola claim made un mero potere di delimitazione temporale, di per sè non idoneo ad alterare l’alea del contratto, dal momento che il rischio garantito corrisponde alla richiesta di risarcimento, il quale resta un evento futuro e incerto.

La sentenza delle S.U. sopracitata non è stata del tutto condivisa in giurisprudenza. Esistono invero decisioni, che in merito a clausole claims made giudicate immeritevoli di tutela, non hanno sostituito tali clausole con altre loss occurance, ma hanno modificato lo schema contrattuale riconoscendo una copertura retroattiva del tutto autonoma, in quanto non corrispondente né al contratto e né ad una clausola loss occurance [5].

Inoltre, a riprova del fatto che la sentenza delle S.U. del 2016 non sia riuscita creare concordia in giurisprudenza, è interessante notare che successivamente la Cassazione [6] ha ritenuto che la clausola in questione sia “un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 comma secondo c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.

In base a questo orientamento, la claim made, essendo atipica, può essere adottata dalle parti solo se mira a realizzare interessi meritevoli di tutela, e, al riguardo, vengono stabiliti quali aspetti vadano sottoposti all’esame di meritevolezza:

  • se la clausola subordini o meno l’indennizzo alla condizione che tanto il danno, quanto la richiesta di risarcimento del terzo, si realizzino in costanza di contratto;
  • la qualità delle parti;
  • la possibilità che la claim made possa esporre l’assicurato a vuoti di garanzia.

Particolare attenzione viene posta da questa sentenza al tema dell’immeritevolezza, che viene circoscritta attraverso il metodo casistico, da cui vengono tratti tre indici, che saranno utili al giudice di merito al fine di poter determinare concretamente se ci si trovi in presenza di una clausola meritevole di tutela, oppure no e vale a dire:

  • se viene attribuito all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’assicurato;
  • se l’assicurato viene posto in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’assicuratore;

       ◦  se una delle parti viene costretta a tenere condotte contrastanti con i superiori doveri di                solidarietà costituzionalmente imposti.

4. La sentenza delle Sezioni Unite n. 22437 del 2018

A dare l’abbrivio ad un nuovo esame della questione da parte delle S. U., è stata l’ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018 della III sez. civile della Suprema Corte.

La questione riguardava un contratto assicurativo tra la Società Gamma, che produce gru, e la compagnia Beta. La società Gamma aveva stipulato con la società Beta due polizze assicurative annuali per la responsabilità civile, contenenti entrambe la clausola claim made, la prima con valenza dal 01.01.2001 al 31.12.2002, e la seconda con valenza dal 01.01.2003 al 01.01.2004. Dato che a causa di un sinistro avvenuto nel 2002, il terzo danneggiato aveva inoltrato la richiesta risarcitoria nei confronti della società Gamma nel 2003, in base alla clausola claim made, occorreva far riferimento al secondo contratto, che, però, aveva una franchigia più elevata. Da questa circostanza nasceva l’interesse per la società gamma a considerare operante la prima polizza, perchè prevedeva una franchigia più bassa.

La III sez. della Cassazione condivide con le S.U. del 2016 il principio di base per cui le clausole claims made siano atipiche, e che di conseguenza la loro meritevolezza vada valutata in base all’art. 1322, II comma c.c., ma come per le sentenze gemelle del 2017, essa perviene alla conclusione che dette clausole siano immeritevoli di tutela, in quanto fornirebbero all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato senza contropartita per l’assicurato, ponendolo, quindi, in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’assicuratore, ed infine, costringerebbero l’assicurato a tenere delle condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

Nello specifico, la meritevolezza di queste clausole è messa in dubbio dall’ordinanza di rimessione sostanzialmente per due motivi. La prima ragione è che tali clausole escludono il diritto al risarcimento se la richiesta viene fatta dopo la scadenza del contratto, la seconda è che intendono per sinistro non già l’accadimento del fatto negativo, ma la richiesta di risarcimento del danno, così che il contenuto, la misura e finanche i limiti del credito, siano stabiliti in base ad accordi contrattuali vigenti al momento della richiesta e non al momento dell’accadimento del fatto.

La III sez., quindi, propone alle S.U. di dichiarare nulle dette clausole per due motivi:

nel contratto di assicurazione contro i danni, le parti non possono considerare sinistri fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c., oppure, nell’assicurazione per responsabilità civile, dall’art. 1917 c.c.;

nel contratto di assicurazione per la responsabilità civile deve considerarsi in ogni caso immeritevole di tutela, in base all’art. 1322 c.c., la clausola che disponga che la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo, dipendano non già dalle condizioni contrattuali esistenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma dalle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha presentato all’assicurato una richiesta di risarcimento.

Quanto alla conseguenza a cui debba necessariamente andare incontro la clausola claim made, la III sez. condivide la decisione già adottata dalle S.U. del 2016, e cioè la sostituzione della clausola in esame con una loss occurance.

Come abbiamo potuto notare la III sezione, rispetto alle precedenti decisioni di legittimità, pone l’accento sulla nozione di sinistro, in quanto ritiene che la clausola claim made dia un concetto di sinistro errato, che rischia di porre l’assicurato innanzi ad una serie di conseguenze irragionevoli.

Tale argomentazione, occorre anticipare, non è condivisa dalle S.U. del 2018, che, al riguardo, forniscono un necessario chiarimento sulla nozione di sinistro e rischio.

Per le S.U. del 2018, il sinistro è sempre considerato come il fatto generatore del danno, a differenza del rischio che è l’incertezza sul danno, sicchè la situazione di incertezza cessa, quindi, nel momento in cui danno e sinistro si sono manifestati. Ragion per cui può anche essere assicurato il sinistro già verificatosi, a condizione, però, che non sia già pervenuta all’assicurato una richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato, non essendosi le conseguenze dannose ancora determinate per l’assicurato.

La clausola claim made, quindi, ha la funzione di definire e delimitare il rischio, e, di conseguenza, l’oggetto del contratto, dando l’opportunità alle parti di accordarsi tra loro riguardo ai danni assicurabili e la definizione di sinistro; tutto ciò nel pieno rispetto delle caratteristiche fondamentali del contratto assicurativo, senza perciò renderlo una scommessa.

Detta clausola, dunque, avendo come scopo la delimitazione dell’oggetto del contratto, non può essere considerata vessatoria se rispetta i limiti stabiliti dalla legge, così come prescritto dall’art. 1322, comma 2, c.c. [7].

Risulta essere maggiormente condivisibile, al riguardo, la definizione di sinistro data delle Sezioni Unite del 2018, in quanto esse considerano tale il fatto idoneo a provocare un danno e non la fattispecie dannosa completa costituita dall’evento e dal danno. Il sinistro è, per l’appunto, l’evento materiale storico idoneo a cagionare il danno, il quale costituisce un elemento incerto. Questa concezione di sinistro non è mutevole e resta la stessa sia che ci si trovi in presenza di una clausola claim made sia che si sia al cospetto di una loss occurance.

Invece il rischio è l’incertezza del danno, e la sua mancanza provoca l'invalidità del contratto assicurativo, come sancito dall’art. 1904 c.c., per il quale il contratto sarà nullo se, da quando inizia ad essere operativa la copertura assicurativa, non vi è più l’interesse al risarcimento del danno, perché lo stesso si è già verificato, oppure perchè vengono meno le condizioni affinchè questo si possa verificare in futuro.

Tornando al sinistro, occorre rilevare che un autorevole dottrina [8], non concorda con le Sezioni Unite, in quanto ha sostenuto che la definizione di sinistro sia in realtà da considerarsi un “falso problema”, dal momento che non si colloca come nuovo e diverso problema in relazione a quello dell’ammissibilità delle clausole in esame. Questo orientamento, infatti, fa notare che la richiesta risarcitoria invero viene ogni volta documentata e si riferisce sempre all’evento dannoso accaduto, sicchè soffermarsi solo sulla definizione di sinistro potrebbe essere fuorviante, oppure costituire un falso problema, poichè la questione da indagare non è se sia legittimo condizionare la validità della garanzia assicurativa al fatto che la richiesta debba essere inoltrata necessariamente durante il periodo di efficacia della stessa, quanto piuttosto se la clausola claim made sia o meno valida.

In conclusione è opportuno brevemente riportare un ulteriore motivo per il quale la III sez. chiede alle Sezioni Unite di ritenere la clausola claim made immeritevole di tutela, e cioè l’incertezza in cui potrebbe venirsi a trovare l’assicurato nel caso in cui sia consapevole di aver causato un sinistro, ma non gli sia ancora pervenuta una richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato. In questo caso l’assicurato potrebbe trovarsi innanzi a due scelte, o chiedere direttamente al terzo danneggiato di avanzare la richiesta di risarcimento quando ancora il contratto è in corso, venendo così meno al principio di salvataggio previsto dall’art. 1915 c.c., oppure non far nulla e rischiare di non essere più indennizzato dalla compagnia assicurativa, nel caso in cui il terzo danneggiato gli facesse pervenire la richiesta risarcitoria a polizza scaduta.

La situazione di svantaggio in cui può venirsi a trovare l’assicurato effettivamente non può essere trascurata, ma potrebbe efficacemente essere risolta con l’adozione per legge della deeming clause nei contratti assicurativi.

5. La deeming clause

Nell’ambito assicurativo per venire incontro alle esigenze dell’assicurato, che come ha evidenziato la III sezione, potrebbe venirsi a trovare in una spiacevole posizione, nel caso in cui il terzo danneggiato facesse pervenire la richiesta risarcitoria in un periodo di tempo in cui il contratto è scaduto, sono state sviluppate le clausole di denuncia preventiva o deeming clause [9], che consentono la copertura del danno anche per le richieste risarcitorie ricevute dall’assicurato dopo la scadenza del contratto, a condizione però, che afferiscano a circostanze già denunciate quando il contratto assicurativo era in corso.

Questa clausola, quindi, dà la possibilità all’assicurato di comunicare alla compagnia assicurativa ogni circostanza di cui viene a conoscenza finchè il contratto è valido, e dalla quale potrebbe in futuro scaturire una richiesta risarcitoria. Là dove presente, la deeming clause permetterebbe all’assicurato di usufruire della copertura assicurativa, anche nel caso in cui la richiesta di risarcimento non sia arrivata in costanza di contratto [10]. Altro vantaggio, è rappresentato dal fatto che l’autodenuncia andrebbe a sostituire gli obblighi informativi, ed inoltre renderebbe impossibile una modifica delle condizioni patrimoniali della polizza [11].

Riguardo alle deeming clause le S.U. del 2018 non dicono molto, stabilendo piuttosto che debba essere il giudice di merito ad accertare l’immeritevolezza del contratto, e a dichiarare abusiva la clausola che permette all’assicuratore di recedere dal contratto nel caso in cui si verifichi un sinistro.

5.1. Dalla deeming clause all’ultrattività per la responsabilità professionale                     

Un altro strumento per tutelare i professionisti, soggetti a dover stipulare un’assicurazione professionale obbligatoria, è l’ultrattività decennale della copertura assicurativa. La quale prevede, che la compagnia assicurativa sia tenuta a risarcire i danni arrecati a terzi, se la richiesta di risarcimento è presentata all’assicurato per la prima volta entro i dieci anni successivi alla scadenza della polizza, a condizione però, che il fatto che ha generato l’evento dannoso, si sia verificato nel periodo in cui era in corso la copertura assicurativa [12].

La prima legge a prevedere la copertura ultradecennale dei sinistri, è stata la n. 24/2017, la quale con l’articolo 10 dispone l’obbligo per le strutture sanitarie di assicurarsi per la responsabilità civile, sia verso i terzi, che verso i prestatori d’opera, e poi con l’art. 11 prescrive che: “la garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purchè denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione definitiva dell'attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura. L'ultrattività è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta.”

Il contenuto di queste norme è stato ripreso anche dal D.L. n. 138 del 2011, successivamente convertito dalla L. 148 del 2011 novellato nel 2017, che all’art. 3, comma 5, lettera E, prevede sia l’obbligo di stipulare un contratto di assicurazione per l’esercente di una libera professione, ma anche che le condizioni generali di polizza debbano necessariamente prevedere: “l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura”. L’ultrattività è stata estesa a tutte le polizze assicurative attive al momento dell’entrata in vigore della norma.

Ed inoltre, è stata applicata anche all’assicurazione per la responsabilità civile degli avvocati; con il D.M. del 22.09.2016, ex L. 247 del 2012, è stato sancito che anche a favore degli eredi debba essere prevista una retroattività illimitata, ed un’ultrattività almeno decennale, per gli avvocati che cessano di esercitare la professione nel periodo di vigenza della polizza, con l’esclusione per l’assicuratore della possibilità di recedere dal contratto, in conseguenza della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o nel periodo di ultrattività.

In base a quanto poc’anzi accennato, le S.U. del 2018 hanno stabilito che queste disposizioni più favorevoli all’assicurato, siano idonee a creare un nuovo modello di garanzia assicurativa per la responsabilità civile, in tutti i casi contraddistinti da danni di origine incerta o lungolatenza.

6. Valutazione e modifica del contratto assicurativo

Le S.U. del 2018 superano quello che per le S.U. del 2016 era considerata un’indagine fondamentale, cioè l’esame sulla meritevolezza delle clausole claims made ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., e lo fanno in quanto partono da un altro presupposto, che è quello della tipicità di queste clausole, e in base a ciò, spostano l’attenzione del giudice su un altro aspetto, che è quello della valutazione della causa in concreto del contratto, ex art. 1322, comma 1, c.c..

Partendo quindi dal presupposto che la clausola in questione è tipica, in quanto prevista dalla legge, quindi in astratto lecita e valida, l’aspetto principale da indagare per le S.U. del 2018, non è più quello di meritevolezza, come sostenuto dalle S.U. del 2016 - le quali va ricordato, sostenevano che dette clausole fossero atipiche - ma bensì quello che il contenuto contrattuale rispetti i limiti imposti dalla legge, ed inoltre, che come prescritto dall’art. 1322 c.c., sia volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Per completezza espositiva, e per comprendere meglio i due diversi arresti delle Sezioni Unite, è utile soffermarsi sul concetto di meritevolezza, e su quello di causa in concreto del contratto.

Come è noto l’art. 1322 del codice civile, sancisce con il comma 2, che i contraenti hanno la facoltà di stipulare contratti anche se questi non sono disciplinati dalla legge, ma a condizione, che siano volti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

La meritevolezza può essere definita come una restrizione all’autonomia contrattuale, che riguarda tutti i contratti atipici, la norma in questione vincola tanto i contraenti in fase di accordo contrattuale, quanto il giudice nella fase in cui deve verificare la meritevolezza del contratto.

In base al comma II dell’articolo in commento, l’esame sulla meritevolezza del contratto deve riguardare due criteri, il primo è l’interesse che il contratto è diretto a realizzare, ed il secondo è la comparazione tra gli interessi delle parti e l’ordinamento giuridico.

La causa del contratto può essere definita invece, come l’assetto degli interessi perseguiti dalle parti mediante il contratto. La causa in concreto è quindi la ragione pratica della programmazione negoziale, e l’uso che le parti hanno inteso fare del contratto per raggiungere un certo scopo o risultato.

Le S.U. del 2018 quindi, a differenza di quelle del 2016, sostengono che le claims made in quanto tipiche, non possono considerarsi immeritevoli, ma il giudice non può sottrarsi dall’effettuare un sindacato di merito sul contenuto del contratto, sindacato che deve essere effettuato ai sensi del I comma dell’art. 1322 c.c., basato quindi sull’indagine causale concreta fondata sul rispetto della legge, e non sulla meritevolezza, come previsto dal II comma dell'art. 1322 c.c..

Con la sentenza del 2018, le Sezioni Unite affermano implicitamente che il controllo sulla meritevolezza, dovrebbe essere effettuato solo sui contratti innominati, ed è invece escluso, qualora i privati abbiano stabilito regole difformi dalla disciplina dispositiva [13].

Orientamento, questo del 2018, assai lontano dai precedenti arresti giurisprudenziali [14], i quali al contrario sostenevano, che l’inserimento di clausole tipiche nel contratto, non implichi in se l’esclusione del controllo di meritevolezza, perché anche attraverso una regolamentazione tipica, i contraenti possono voler soddisfare interessi non tipici, e quindi presentare il problema dell’esistenza e della liceità della causa.

Altro motivo di perplessità, risiede nel fatto che le S.U. del 2018, non chiariscono realmente la differenza tra il giudizio di meritevolezza, previsto dal comma 2 dell’art. 1322 c.c., ed il sindacato basato su altre disposizioni, comunque contenute nello stesso articolo. In dottrina infatti, non si ravvedono ragioni per non espletare un’indagine su tutti i contratti, sia tipici che atipici, circa la conformità all’ordinamento giuridico degli interessi perseguiti, tralasciando ogni denominazione formale come meritevolezza, oppure causa concreta del contratto, anche perché il giudice, quando indaga sull’adeguatezza del contratto, ben potrà procedere ad una riscrittura dello stesso, se lo ritiene inadeguato rispetto al risultato che si intende perseguire, applicando quindi l’art. 1419, comma 2, c.c., esattamente come avviene per l’indagine di meritevolezza [15].

Ulteriori dubbi sono stati sollevati in dottrina [16], in quanto si è sostenuto, che al criterio della conformazione del contratto in base al principio di adeguatezza, non sia stato fornito dalle S.U. un adeguato livello di astrattezza, e in conseguenza di ciò, il giudice si troverebbe a non avere dei precisi criteri da seguire per valutare le clausole. Al riguardo un altro aspetto che solleva in dottrina forti perplessità, concerne il fatto che nella sentenza si stabilisce che il criterio di indagine per verificare se il contratto sia adeguato o meno, è l’analisi dell’aspetto sinallagmatico, cioè lo scopo pratico del contratto. Per poterlo valutare adeguatamente, il giudice, non deve verificare l’equilibrio economico tra rischio assicurato e premio pagato, ma l’equilibrio giuridico, che tuttavia è un concetto che la sentenza non chiarisce, tanto che in dottrina ci si chiede se lo squilibrio esista ogni volta in cui il premio pagato, che come è ovvio viene rimesso al libero accordo delle parti, non copra sinallagmaticamente il rischio assicurato, perché in questo caso ci si potrebbe trovare di fronte ad un incontrollato intervento correttivo del giudice di merito. Per non parlare della complessità del compito richiesto al giudice, che consisterebbe nel valutare, se un risparmio di premio beneficiato dall’esercente di una libera professione, per aver accettato una clausola claim made, sia in grado di compensare una limitazione di copertura, o in ogni caso una copertura diversa da quella garantita da una clausola loss occurance.

Le Sezioni Unite del 2018, alla luce di quanto esposto, conferirebbero al giudice di merito un potere di controllo sul contratto di assicurazione, ancora più penetrante di quanto non già fatto da quelle del 2016.

Quanto invece alla modifica del contratto operata dal giudice, la sentenza del 2018 delle Sezioni Unite, prevede che sia il giudice di merito a sostituire ai sensi dell’art. 1419 c.c., le clausole nulle, con altre sempre claims made, presenti nella regolamentazione legislativa, come ad esempio la L. n. 24/2017, che se pure non è legge dotata di valenza generale, in quanto rivolta ai professionisti del settore sanitario, comunque è idonea a fornire dei requisiti minimi di garanzia agli assicurati.

Infatti nel caso che ci vede impegnati, la Cassazione con l'ordinanza in commento ha condiviso la decisione delle Sezioni Unite del 2018, accogliendo il quinto motivo di ricorso proposto dalla compagnia assicurativa, in quanto la C.d.A di Roma applicando al contratto una clausola loss occurance si è “illegittimamente astenuta dall’integrare, come affermano le S.U. n. 22437 del 2018, lo statuto negoziale secondo il meccanismo previsto dall’art. 1419 c.c., ossia avendo omesso di riportare ad equilibrio ciò che le parti contraenti avevano effettivamente voluto e che non poteva certo essere ricondotto alla realizzazione di un differente programma, fondato su uno schema negoziale (quello proprio dell’art. 1917 c.c.) che le parti avevano voluto, invece, espressamente emendare e modificare”.

Quando invece avrebbe dovuto, “indagare tra i differenti modelli di clausola claim made rinvenibili nell’ordinamento, ed individuare quello ritenuto maggiormente compatibile alla realizzazione di un equilibrato assetto degli interessi dei contraenti, così riadeguando le condizioni di polizza in funzione della causa concreta, tenendo conto anche di tutti gli altri elementi (criterio di calcolo dell’importo del premio; durata di efficacia del contratto; sinistrosità pregressa, ecc) a condizioni operative compatibili con gli interessi perseguiti al momento della stipula dai soggetti contraenti, così da salvaguardare una causa del contratto funzionale alla volontà delle parti di concordare una prestazione assicurativa che contemplasse un rischio contraddistinto dal duplice elemento della verificazione del sinistro e della richiesta risarcitoria pervenuta dal danneggiato

7. Gli obblighi informativi dell’assicuratore e dell’intermediario nella fase precontrattuale

Altro aspetto trattato dalle Sezioni Unite del 2018, è quello del dovere d’informazione dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, perché riflettono le S.U., la tutela della parte debole del contratto inizia proprio dalla fase precedente alla stipulazione del contratto; fase che sarà oggetto della valutazione del giudice di merito, in quanto sarà necessario dimostrare di aver edotto l’assicurato su tutto il contenuto del contratto, così da garantire all’assicurato una copertura assicurativa in linea con le sue esigenze.

L’importanza di fornire all’assicurato tutte le informazioni necessarie in fase precontrattuale, è sottolineata dalle S.U., poichè sostengono che l’adeguatezza del contratto, si può ottenere attraverso il rispetto della regola degli obblighi informativi rivolti all’assicurato, e la sua conoscenza del prodotto e del rischio. In quanto solo dopo essere venuto a conoscenza di un dato prodotto assicurativo, è possibile per il cliente valutare se questo sia in grado di tutelarlo efficacemente.

Il mancato rispetto dell’obbligo di informazione dell’assicurato, determina il diritto al risarcimento del danno subito da quest’ultimo, a meno che, non sia possibile accertare un vizio nel consenso, che comporta l’annullamento del contratto.

Ferma restando l’incontrovertibile necessità di fornire tutte le informazioni utili all’assicurato, in dottrina [17], si sono manifestati non pochi dubbi riguardo alla decisione delle Sezioni Unite, di far ricadere sugli intermediari assicurativi la responsabilità per il mancato rispetto degli obblighi informativi, in quanto gli intermediari sono soggetti alle decisioni delle compagnie assicurative, e non sono in grado di poterle influenzare. Il dovere di fornire le informazioni al cliente si svolge su piani e momenti differenti, perchè l’obbligo della compagnia di fornire tutte le informazioni utili all’assicurato, termina con le informazioni fornite al cliente nella fase precedente alla stipulazione del contratto, e con la consegna del documento informativo [18]; mentre il dovere degli intermediari inizia successivamente, ed è quello di fornire al cliente, in modo comprensibile, le informazioni ricevute dalla compagnia, così da portare il cliente ad effettuare una scelta consapevole riguardo al tipo di polizza più adatta alle proprie esigenze.

Ragion per cui, difficilmente può ritenersi condivisibile la scelta delle Sezioni Unite di far ricadere la responsabilità sul solo intermediario, che non ha certo il potere di modificare il contratto o chiedere alla compagnia di modificarlo.

8. La successione di polizze nel tempo

Altro problema assai delicato che riguarda le claims made, è il passaggio da una polizza assicurativa ad un'altra, perché in questo caso, l’assicurato anche in presenza di una clausola “pura”, rischia di trovarsi di fronte ad un pericoloso vuoto di copertura.

Infatti potrebbe accadere, che l’assicurato sia al corrente di aver posto in essere una condotta colposa in grado di realizzare un effetto dannoso, la cui emersione potrebbe anche avvenire in futuro.

In questo caso, se nel medesimo tempo la polizza assicurativa scade, la richiesta di risarcimento arriverebbe al danneggiante in un periodo in cui si trova senza alcuna copertura, e in base agli artt. 1892 e 1893 c.c., il contratto assicurativo sarebbe annullabile, a causa delle dichiarazioni inesatte o reticenti rese dall’assicurato, potendo la compagnia assicurativa, rifiutarsi di manlevare l’assicurato, a causa del fatto che lo stesso era a conoscenza della possibilità che un danno, anche se futuro e incerto, si sarebbe potuto verificare [19].

Emblematico è l'esempio dell’avvocato [20], che ponga in essere una condotta lesiva in costanza di contratto, in grado di manifestare effetti dannosi in un periodo successivo [21]. Orbene, dato che il danno al cliente diventa attuale solo con il deposito della pronuncia del giudice, e che la richiesta di risarcimento intanto interviene quando ormai l’assicurato ha sottoscritto una polizza successiva, ben potrebbe verificarsi il paradosso per il quale quest’ultimo, pur essendosi sempre assicurato e avendo versato i relativi premi, si trovi alla fine sprovvisto di copertura. L’inconveniente poc’anzi prospettato si verifica, invero, in virtù della contemporanea esplicazione di due meccanismi operazionali diversi, connessi l’uno, ad una tradizionale regola di condotta prevista dalla disciplina del codice civile all’art. 1892, l’altro, alla caratteristica insostituibile del modello claim made. In altri termini, il sinistro potrebbe risultare privo di garanzia in quanto, da un lato, il nuovo assicuratore potrebbe opporre la c.d. prior knowledge dell’assicurato in virtù del disposto dell’art. 1892 c.c., in ragione della consapevolezza del carattere pregiudizievole della condotta al momento della sottoscrizione della polizza [22]; dall’altro lato, per parte sua, il precedente assicuratore potrebbe rifiutarsi di adempiere alla richiesta dell’avvocato, eccependo la mancata ricezione della richiesta risarcitoria, nel periodo di vigenza della polizza-in quanto avvenuta in un momento successivo [23]-.

Né certamente si potrebbe pensare di mettersi al riparo da simili situazioni, introducendo nel contratto assicurativo una clausola di denuncia preventiva cd. deeming clause (vedi par. 5), perché queste clausole, benchè sicuramente utili, non risolvono tutti i problemi, in quanto può accadere che la compagnia assicurativa si rifiuti di rinnovare il contratto, oppure per farlo potrebbe richiedere il pagamento di un premio notevolmente più alto, o imporre un elevato innalzamento della franchigia.

Al riguardo è d’uopo precisare, che a volte l’assicurato si trova a rendere alla compagnia assicurativa informazioni reticenti senza alcuna malizia, ma solo perché non è stato messo in condizione di conoscere quali siano le informazioni importanti da fornire alla compagnia.  

In questo caso occorre rilevare che in base al principio di buona fede e correttezza, l’assicuratore è tenuto ai sensi dell’art. 1175 c.c., a chiedere all’assicurato, mediante formulario, tutte le informazioni che intende conoscere relative al rischio da assicurare, così da poter calcolare il rischio e formulare l’ammontare del premio assicurativo. Le eventuali imprecisioni o reticenze nella dichiarazione dell’assicurato, dal momento che sono state causate dall’assicuratore, che non le ha specificatamente richieste, restano a suo carico [24].

Riguardo invece alle condotte opportunistiche, consistenti nel tentativo di far ricadere sulla compagnia vecchi sinistri, che non potrebbero essere coperti dal contratto, anche in questo caso, possono essere considerate tali, soltanto se l’assicurato sia stato reticente in merito a fatti di cui era già a conoscenza, oppure di cui poteva già esserlo [25].

Sia nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una probabile condotta opportunistica, oppure a dichiarazioni reticenti, sarà compito del giudice in base al principio di buona fede, valutare se tali dichiarazioni siano o meno idonee a determinare l’annullamento del contratto, sempre considerando che il dovere di informazione dell’assicurato, sussiste solo sui fatti di cui è possibile ritenere, con ragionevole certezza, che potranno originare una richiesta risarcitoria da parte del danneggiato.

9. Conclusioni

Le clausole claims made, sono diventate da trent’anni a questa parte, la regola per tutti i contratti assicurativi sulla responsabilità civile dei professionisti, ma come spesso accade, quando il legislatore è assente, tocca al giudice di legittimità cercare di “regolare” una disciplina affermata nella prassi, ma non regolamentata, e nel farlo può commettere errori di valutazione, oppure lasciare delle pericolose zone d’ombra, che nè i cittadini, nè gli operatori del diritto, possono condividere.

Innanzitutto buona parte degli autori non condivide la decisione delle Sezioni Unite del 2018, di concentrare la valutazione del contratto solo sul profilo di adeguatezza della clausola, ai sensi del I comma dell’art. 1322 c.c., senza peraltro definire con criteri sufficientemente astratti e generali, il concetto di adeguatezza. Inoltre la sentenza non chiarisce affatto quale differenza vi sia tra il giudizio di adeguatezza e quello di meritevolezza.

Altro aspetto non condivisibile è che, aldilà di come venga definito l’aspetto da indagare se quello di adeguatezza o di meritevolezza, le S.U. lasciano al giudice la valutazione sul funzionamento dell’assetto negoziale, se cioè questo sia o meno in grado di soddisfare gli interessi sia dell’assicurato, che della compagnia, oppure se soddisfi gli interessi di uno soltanto di questi. Così facendo, però, si rischia di arrivare ad una quantità di decisioni, anche molto discordanti tra loro, che non farebbero altro che creare molta incertezza.

L’indagine del giudice diventa così oltremodo pervasiva, in quanto arriva persino a poter stimare l’entità del premio, al fine di valutare se ci sia uno squilibrio giuridico tra il rischio e il premio, e qualora ritenga che non vi sia equilibrio, il giudice sarà tenuto ad adeguare il contratto andando finanche a decidere l’entità del premio.

L’unico modo possibile per risolvere i problemi che possono nascere da una così vasta discrezionalità attribuita al giudice di merito, è quella di disciplinare la materia per legge, così da evitare che possano sorgere decisioni contrastanti, che altro non farebbero che complicare oltremodo l’applicazione delle claims made. Anche perché oramai dopo tutti questi anni, il fatto che siano stati disciplinati soltanto alcuni settori, come quello degli operatori sanitari oppure degli avvocati, denota un’inattività del legislatore non più tollerabile, specie se si considera che le clausole claims made sono esaustivamente disciplinate in tutti gli altri paesi europei.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L. COSTANZO, Nota a Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 24 settembre 2018, n. 22437 in Dir. amm., 2018.

[2] Ex multis Cass., III sez. civile, n. 5791 del 13.03.2014.

[3] F. MARTINI, Concessa al giudice una discrezionalità non chiara, in Il Sole 24 Ore, 16.07.2016, n. 30, 48 ss.

[4] E. M. DE MASI, La clausola claims made tra meritevolezza ed equilibrio contrattuale, in Il caso.it, 11.02.2021.

[5] Trib. di Livorno del 27.07.2016 e di Milano del 09.06.2016.

[6] Cass., sentenze cd. “gemelle”, n. 10506 e 10509 del 2017.

[7] Dello stesso avviso anche P. CORRIAS, Le clausole claims made. Dalle S.U. del 2016 a quelle del 2018: più conferme che smentite, in Nuova giur. civ., 2019, 147 e ss.

[8] U. CARNEVALI, La clausola claim made e le S.U.: bis in idem, in Danno e Resp., 648 ss.

[9] M. CONFORTINI, Clausole negoziali, UTET, Milano, 2019.

[10] A. ACCIARI, M. BRAGANTINI, D. BRAGHINI, F. CHIARENZA, E. GRIPPO, P. LEMMA, M. ZACCAGNINI, Contratti di finanziamento bancario, di investimento, assicurativi e derivati, Wolter Kluwer, Assago (MI), 2016.

[11] G. FACCI, Le clausole claims made ed i c.d. “fatti noti” nella successione di polizze, in Resp. civ. prev., 2017, 760 e ss.

[12] G. CARPANI, G. FARES, Guida alle nuove norme sulle responsabilità nelle professioni sanitarie, Giappichelli, Torino, 2017.

[13] M. D’AURIA, Polizze claims made: ascesa e declino della clausola generale di meritevolezza?, in Corr. giur., 2019, 28 e ss.

[14] Ex multis Cass. n. 16315 e 26958 del 2007, e n. 10490 del 2006.

[15] A. M. GAROFALO, L’Immeritevolezza nell’assicurazione claim made, in Nuova giur. it., 2019, 70 e ss. e R. FORNASARI, La clausola claims made nuovamente al vaglio delle S.U.: dalla meritevolezza alla causa concreta, in Danno e resp., 2018, 685.

[16] M. D’AURIA, Polizze claims made: ascesa e declino della clausola generale di meritevolezza?, in Corr. giur., 2019. 28 e ss.

[17] R. FORNASARI, La clusola claims made nuovamente al vaglio delle S.U.: dalla meritevolezza alla causa concreta, op. cit., 658.

[18] U. CARNEVALI, La clausola claims made e le sezioni unite: bis in idem, in Contr., 2018, 648 e ss.

[19] P. SANTORO, Clausola claim made: la seconda stagione, in Danno e resp., 2019, 49.

[20] Artt. 185, comma I, lettera a, e 185 bis del codice delle assicurazioni.

[21] 747 G. FACCI, L’assicurazione obbligatoria dell’avvocato al tempo delle claims made: il recente D.M. 22 settembre 2016, in Corr. giur., 2017, 160, per il quale, dovrebbero, a titolo esemplificativo, rientrare in tale novero “una costituzione tardiva in giudizio che determina l’inammissibilità di eccezione di prescrizione della domanda attorea, un’erronea formulazione della domanda giudiziale, una mancata o carente deduzione di un mezzo istruttorio, una tradiva contestazione, un errore nell’individuazione del giudice competente oppure nella chiamata in causa di un terzo ed ovviamente altre ipotesi ancora”.

[22] Trib. Taranto, 12 gennaio 2016.

[23] M. GAZZARA, Note a margine della nuova disciplina in tema di polizze professionali per gli avvocati, in Contr. e impr., 2017, 988 e ss.

[24] Ex multis Cass. n. 1829 del 25.01.2018 e n. 8412 del 24.04.2015.

[25] G. FACCI, Le causole claims made ed i c.d. “fatti noti” nella successione di polizze, in Resp. civ. prev., 2017, 760 e ss.