• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 25 Set 2015

Esenzione dal pagamento dell’IVA (reverse charge). Sentenza Cassazione n. 17815/2015

Modifica pagina

Gemma Occhipinti


In applicazione di recenti pronunce della Corte di Giustizia europea, la normativa nazionale può subordinare la concessione dell’esenzione dell’IVA sulle importazioni alla condizione che le merci importate, e destinate ad un deposito fiscale, vi siano “fisicamente” introdotte. Tuttavia, in ossequio al principio di neutralità fiscale, non si può imporre il pagamento dell’imposta ove la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge).


La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte riguarda l’ambito di operatività del regime di cui all’art. 50 bis co. 4 lett. b D.L. 331/1993. Detta disposizione prevede che siano effettuate senza pagamento dell’IVA anche le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti nel deposito IVA. Il quesito, pertanto, è il seguente: si può applicare la norma in esame ai casi in cui la merce non sia stata introdotta materialmente, ma solo virtualmente (mediante registrazione), nel deposito fiscale? E, in caso di risposta negativa, che tipo di incidenza avrebbe, sul pagamento dell’IVA di importazione, l’assolvimento del meccanismo di reverse charge?

Nella giurisprudenza interna, si era più volte affermato che l’introduzione della merce d’importazione nel deposito IVA costituisse il presupposto per l’esenzione dall’IVA all’importazione su merci comunitarie fruenti dell’esenzione daziaria, giacché vincolate al regime del deposito doganale stabilito nell’autorizzazione. Conseguentemente, in difetto del presupposto di immagazzinamento, l’IVA doveva essere versata. Era stata esclusa, inoltre, la duplicazione di imposta in caso di utilizzazione del meccanismo di autofatturazione in sede di estrazione dei beni virtualmente inseriti nel deposito IVA; si riteneva, infatti, che ciò non potesse compensare il mancato pagamento dell’iva all’importazione. Indi si era concluso che, il richiamo al sistema dell’autofatturazione, non potesse incidere in alcun modo sull’obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione nell’ipotesi di mancato immagazzinamento della merce in deposito IVA, in quanto detto meccanismo integrava una vera e propria operazione neutra di compensazione dell’IVA nazionale a debito con quella a credito.

Sul diritto vivente così richiamato si è innestata la nota sentenza Equoland della Corte di Giustizia 2014. Essa, in primo luogo, ha confermato la piena compatibilità della normativa nazionale e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell’inserimento “effettivo” della merce nel deposito IVA, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale - deposito dal quale far derivare il beneficio dell’esenzione dal pagamento dell’IVA. Spetta quindi agli Stati membri determinare i casi in cui il soggetto possa beneficiare dell’esenzione del pagamento dell’IVA; in tal senso, il legislatore italiano ha previsto che il soggetto debba fisicamente introdurre la merce importata nel deposito fiscale. Si presume infatti che tale presenza “fisica” garantisca la successiva riscossione dell’imposta. Pertanto, il test di proporzionalità tra obiettivo perseguito e misure utilizzate, al quale è stata soggetta l’attività dello Stato volta alla determinazione delle modalità necessarie per ottenere il beneficio di esenzione dall’IVA sulle importazioni, non ha evidenziato alcuna divergenza tra ordinamento interno e sistema UE. In secondo luogo, il giudice comunitario si è soffermato sulle conseguente prodotte dall’assolvimento dell’IVA col sistema dell’autofatturazione, attuato dall’importatore dopo il passaggio virtuale in deposito e all’atto di estrazione dei beni. Contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza interna, la Corte ha sostenuto che il meccanismo del reverse charge (inversione contabile) non ha valore formale o fittizio, ma costituisce reale assolvimento dell’IVA, in quanto consente di contrastare l’elusione e l’evasione fiscale. Pertanto, la sesta direttiva, che introduce siffatto meccanismo, osta ad una normativa nazionale che consenta allo Stato membro di richiedere il pagamento dell’IVA quando la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile (mediante autofatturazione e registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo).

Ebbene, la Corte di Cassazione, applicando le coordinate della sentenza Equoland al caso in esame, ha in primis affermato la piena compatibilità tra la normativa interna e quella comunitaria con riferimento alla necessità che i beni vengano materialmente introdotti nel deposito, e senza che sia sufficiente la mera presa in carico della merce. Il mancato immagazzinamento comporta, insomma, una vera e propria sottrazione: da quest’ultima, a sua volta, scaturisce l’obbligazione tributaria al pagamento dell’IVA di importazione. I giudici non hanno però ritenuto condivisibile il ragionamento della Commissione Tributaria Regionale, la quale aveva affermato che “l’obbligo tributario non viene meno per la circostanza che, successivamente all’importazione, siano state adempiute le formalità prescritte per l’estrazione dal magazzino, in quanto il c.d. reverse charge non comporta alcun versamento e non può quindi sostituirsi alla riscossione dell’IVA all’importazione, che comunque deve essere assolta”. Come già esplicitato, infatti, la stessa Corte di Giustizia attribuisce valenza sostanziale al meccanismo dell’inversione contabile, riconoscendogli, a talune condizioni, l’idoneità ad escludere il pagamento dell’IVA all’importazione.

Spetterà, dunque, al giudice del rinvio verificare se l’autofatturazione dell’IVA interna all’atto dell’estrazione della merce (che era stata inserita solo virtualmente nel deposito IVA) sia atto idoneo a determinare l’assolvimento, seppur tardivo e quindi sanzionabile, dell’IVA di importazione.

La sentenza viene quindi cassata e la questione rinviata ad altra Sezione della CTR stessa.