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Pubbl. Mer, 14 Apr 2021

Anche in pendenza di divorzio il giudice della separazione può modificare l’assegno di mantenimento

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Lorenza Di Martino
AvvocatoUniversità degli Studi di Torino



Il presente contributo analizza la pronuncia della Corte di cassazione del 27 marzo 2020, n. 7547, rispetto agli attuali meccanismi di funzionamento di separazione e divorzio e ai principi del nostro ordinamento.


ENG This paper analyses the decision of the Court of Cassation of 27 March 2020, n. 7547, related to the functioning mechanisms of separation and divorce and the principles of our legal system.

Sommario: 1. Premessa; 2. Evoluzione in tema di mantenimento e assegno divorzile nell'ordinamento italiano; 3. Sentenza di separazione e divorzio e modificazioni delle relative statuizioni; 4. Conclusioni.

1. Premessa

Il presente contributo si pone l’obiettivo di commentare la pronuncia n. 7547 del 27 marzo 2020 della Corte di Cassazione, che si è espressa in tema di potestas iudicandi attribuita al giudice della separazione per la revisione del contributo di mantenimento, in pendenza di divorzio, salvo il caso in cui siano già stati adottati provvedimenti temporanei ed urgenti nella fase presidenziale o istruttoria.

Per affrontare il tema si rendono necessarie alcune premesse essenziali.

Innanzitutto, con la separazione i coniugi prendono atto di una situazione di crisi familiare che rende complicata senz’altro la convivenza, così come la gestione della eventuale prole. Si tratta di una situazione ancora reversibile, almeno fino al momento in cui i coniugi decideranno di avviare la procedura di divorzio, determinando lo scioglimento definitivo del vincolo coniugale.

Separazione e divorzio sono due istituti caratterizzati da presupposti ed effetti molto diversi e ciò determina conseguenze rilevanti anche per ciò che riguarda la ridefinizione del legame dei coniugi a livello economico. È proprio su questo tema che da tempo la giurisprudenza si interroga per offrire soluzioni sempre più vicine alle concrete esigenze delle parti, considerando da un lato i principi generali del nostro ordinamento, uno per tutti la solidarietà reciproca che ricade sui coniugi per effetto del matrimonio e dall’altro l’evoluzione dei valori della società, che se in passato metteva al primo posto l’indissolubilità di tale legale, oggi richiede una maggiore tutela della libertà e dell'autonomia di chi decide di sciogliere il vincolo coniugale[1].

2. Evoluzione in tema di mantenimento e assegno divorzile nell'ordinamento italiano

Come accennato in premessa, quando una famiglia attraversa una fase patologica, le esigenze economiche dei coniugi richiedono particolare attenzione: con la separazione, prima, e il divorzio, poi, una delle difficoltà più attuali è proprio trovare e/o riconquistare la reciproca indipendenza economica.

A tal fine l'ordinamento ha previsto il mantenimento nella fase della separazione ed in seguito l'assegno di divorzio. Nel primo caso, si tratta di un contributo che il coniuge economicamente più debole riceve dall’altro durante la fase di separazione, in modo da potersi riorganizzare economicamente al di fuori del contesto familiare senza gravare eccessivamente sull'altro, mentre il secondo riguarda la fase in cui lo scioglimento del vincolo matrimoniale diviene definitivo e gli ormai ex coniugi dovrebbero poter tornare riacquistare la loro reciproca indipendenza, anche economica, senza che precedenti scelte di vita costituiscano un ostacolo per tale risultato.

Chiarito a grandi linee l'an delle reciproche pretese tra i coniugi, è opportuno concentrarsi sul quantum delle stesse, per comprendere come è stato individuato il criterio per determinare l'ammontare del contributo riconosciuto al coniuge più debole. In origine, tali misure assistenziali erano calcolate utilizzando i medesimi criteri per entrambe le fasi, ma tra gli anni 2017 e 2018 sono intervenute pronunce innovative in relazione a tale punto di vista [2].

Per oltre un quarto di secolo le massime consolidate della giurisprudenza di legittimità hanno ritenuto che il criterio per valutare il contributo riconosciuto al coniuge economicamente più debole dovesse essere il c.d. tenore di vita coniugale, sia in fase di separazione, che al momento del divorzio[3].

Di per sé il vincolo in questa fase di crisi temporanea risulta persistere, pertanto, il contributo in sede di separazione mirava a garantire il medesimo tenore di vita esistente in costanza di matrimonio. Tale criterio sembrava essere il più congruo in termini di aiuto economico al coniuge, in quanto più connesso alla vita “precedente”.

Tale criterio era stato ricavato, in via interpretativa, dall’art. 156 c.c. che disciplina gli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, richiamando “adeguati redditi propri”, da intendersi non solo come reddito da lavoro, ma altresì come qualsiasi entrata o utilità patrimoniale valutabile, da valutare in relazione al dovere di assistenza materiale di cui all'art. 143 c.c.

In sede divorzile, si ritrova il medesimo criterio all’art. 5 comma VI l. 898/1970 che fa riferimento espresso a “mezzi adeguati”.

Con il tempo però è stato introdotto un progressivo alleggerimento del vincolo solidaristico tra le parti, in quanto la stessa Suprema Corte ha sottolineato in più occasioni la differenza che intercorre tra il dovere di assistenza materiale in vigenza di matrimonio e la solidarietà post coniugale.

Il presupposto di tale affermazione dovrebbe apparire chiaramente: con la separazione il vincolo coniugale risulta attenuato, ma ancora del tutto vigente, mentre solo il divorzio sarà piena efficacia estintiva del matrimonio.

L’intensità della tutela riconosciuta al coniuge più debole con l'attribuzione del contributo economico viene pertanto influenzata dalla sussistenza o meno del vincolo. La Corte ha introdotto tale distinzione proprio per evitare una situazione di c.d. “cripto indissolubilità del matrimonio” per cui i due coniugi, di fatto, rimangono economicamente legati anche se è già intervenuto lo scioglimento del vincolo[4].

Il criterio del tenore di vita è stato pertanto progressivamente ridefinito, in primis in relazione all’assegno di divorzio, con una valutazione incentrata sull'incapacità del coniuge di provvedere al proprio sostentamento: nel 2017 è stato introdotto un sistema bifasico per cui, in un primo momento, si avrà la valutazione del criterio dell’autosufficienza economica ai fini dell’accertamento dell’an debeatur e solo in un secondo momento si applicheranno i criteri previsti dall’art. 5 comma VI l. div., per determinare il quantum debeatur.

Successivamente, le Sezioni Unite nel 2018 hanno posto fine al dibattito tra i criteri del “tenore di vita” e della “autosufficienza economica”: il primo è stato ripudiato perché ormai superato e il rigore del secondo è stato ridefinito[5]. Tale pronuncia ha individuato tre funzioni dell'assegno divorzile: quella assistenziale, legata all'insufficienza dei mezzi adeguati di uno dei coniugi e quella perequativo-compensativa, che tiene conto del contributo fornito alla conduzione della vita familiare dal coniuge richiedente l'assegno. E così viene meno anche il predetto sistema bifasico, che lascia spazio ad un sistema complesso basato sulla valutazione comparativa delle condizioni dei coniugi, secondo i richiamati criteri posti dalla l. 898/1970.

Per stabilire la meritevolezza dell’assegno di divorzio il giudice è chiamato a valutare in concreto i criteri assistenziale e perequativo-compensativo[6] che risultano sempre meno scindibili, tenendo conto del principio di solidarietà, così da permettere all’ormai ex coniuge più debole di raggiungere in concreto un livello reddituale adeguato all’eventuale contributo fornito alla vita familiare, considerando le aspettative professionali sacrificate, che dovranno comunque sempre essere dedotte e dimostrate in giudizio[7]. Tale conclusione poggia sul cardine costituzionale della pari dignità dei coniugi di cui all’art. 29 Cost.: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare".

Se tale solidarietà è ritenuta applicabile con riguardo alla situazione in cui il vincolo coniugale cessa, allora anche per quanto riguarda il mantenimento bisogna tenere conto dei medesimi principi costituzionali, laddove il vincolo tra i coniugi, almeno formalmente, ancora esiste[8].

Le richiamate modifiche relative a modalità e criteri per l’attribuzione dell’assegno di divorzio dovute alle pronunce della Suprema Corte hanno fatto sorgere un quesito circa la necessità di una revisione anche in relazione ai parametri per il mantenimento. La risposta positiva a tali dubbi e più in generale un ripensamento della solidarietà coniugale hanno contribuito a definire il funzionamento dell’attuale sistema di riconoscimento del contributo di mantenimento.

Posto che la separazione costituisce un momento di transizione è accettabile che tra l'esigenza di alleggerire gli obblighi di solidarietà assunti con il matrimonio e la tutela del coniuge con maggiori difficoltà economiche, debba prevalere la seconda, seppure per un periodo limitato di tempo, così da dare modo al coniuge in difficoltà economica di responsabilizzarsi e cercare un'attività lavorativa adeguata a rendersi indipendente.

3. Sentenza di separazione e divorzio e modificazioni delle relative statuizioni

Ciò premesso, è utile provare a capire come avviene in concreto la modificazione delle condizioni di separazione. In ogni caso si tratta di una domanda proposta dai coniugi e può riguardare i rapporti patrimoniali, oltre che l’affidamento della prole.

La Suprema Corte ha già chiarito che il presupposto processuale della domanda di modifica dei primi ai sensi dell’art. 710 c.p.c. è il passaggio in giudicato della sentenza di separazione[9], la cui sussistenza deve essere accertata in concreto al momento della domanda stessa. L’art. 156 ultimo comma c.c. ammette modifica e revoca al sopravvenire di giustificati motivi.

Sulla base di tale ultima disposizione si può affermare che la pronuncia della separazione dà luogo ad un giudicato rebus sic stantibus, dal momento che le statuizioni relative alle condizioni economiche tra i coniugi in essa contenute non possono essere modificate con l’allegazione di fatti che dovevano farsi valere nel precedente giudizio; sono invece necessarie circostanze sopravvenute, che modifichino la situazione di partenza, su cui si basa la sentenza di separazione.

Con la pronuncia oggetto della presente analisi, la Corte di Cassazione ha tentato di delineare meglio i confini inerenti all’esercizio della potestà giurisdizionale relativa alla definizione dell’assetto patrimoniale tra le parti, in sede di procedimento di separazione e di successivo divorzio.

Pronunce precedenti escludevano che in pendenza di un giudizio di divorzio fosse possibile proporre un ricorso autonomo ex art. 710 c.p.c., ritenendo proponibile direttamente al giudice del divorzio l’istanza di modifica dell’assegno riconosciuto in sede di separazione:

«Deve ritenersi ammissibile, stante l'opportunità del simultaneus processus innanzi allo stesso giudice per la definizione delle questioni patrimoniali connesse, la proposizione della domanda di adeguamento dell’assegno di separazione nel corso del giudizio di divorzio, poiché questo è dovuto fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce detto giudizio[10]».

Gli Ermellini hanno invece riconosciuto al giudice della separazione la facoltà di pronunciarsi in tema di modifica del mantenimento, sostenendo che tale giudice

«è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo […], a meno che il giudice del divorzio non abbia adottato provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria, i quali sono destinati a sovrapporsi a (e ad assorbire) quelli adottati in sede di separazione solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza».

Appare logica conseguenza di tale impostazione che la sentenza di divorzio operi ex nunc, senza determinare automaticamente la cessazione della materia del contendere nella controversia relativa alla modifica delle condizioni di separazione, fino al passaggio in giudicato della medesima, nel caso in cui persista l’interesse delle parti a definire tale ultimo giudizio rispetto all’assegno riconosciuto al coniuge economicamente più debole. Secondo ius receptum è ammissibile la domanda di adeguamento dell'assegno di separazione, anche nel corso del giudizio di divorzio[11].

L’unica eccezione deriva dal ne bis in idem, per cui la domanda di modifica delle condizioni di separazione sarà preclusa se uno dei due coniugi richiede entrambi gli assegni, sia quello di mantenimento, che quello di divorzio, in relazione ad uno stesso periodo: in sostanza non si può invocare tale divieto per precludere automaticamente una modifica delle condizioni della separazione, pur in pendenza di un giudizio di divorzio; in ogni caso deve sussistere l'interesse ad agire di una delle parti e sarà proprio questo elemento a determinare l'ammissibilità della contemporanea pendenza dei due giudizi (modifica delle condizioni di separazione e giudizio di divorzio) [12].

Separazione e divorzio sono due istituti sostanzialmente diversi per natura ed effetti nel nostro ordinamento e a ciò corrisponde una demarcazione netta anche sul piano processuale. La differenza emerge anche rispetto ai presupposti richiesti dalla legge: da un lato una convivenza ormai divenuta intollerabile e dall'altro lo stato di separazione, oltre alle cause indicate all'art. 3 l. div. Entrambe le sentenze conclusive dei procedimenti hanno natura costituiva, ma soltanto quella di divorzio determina il venir meno dello status coniugale, con le relative conseguenze (es. perdita diritti successori). Infine, la separazione potrebbe anche essere reversibile e ritradursi in un pieno rapporto di coniugio, mentre la sentenza di divorzio è definitiva e restituisce alle parti la libertà di stato.

Si avrà preclusione anche nel caso in cui il mantenimento dei figli e del coniuge in regime di separazione sia richiesto in pendenza del giudizio di divorzio, qualora il giudice abbia già adottato provvedimenti temporanei ed urgenti nella fase presidenziale o istruttoria, essendovi altrimenti una impropria sovrapposizione tra provvedimenti incompatibili riguardanti lo stesso periodo temporale, seppure a diverso titolo[13].

Nelle ipotesi che residuano, quando il giudice della separazione ha pronunciato sullo status delle parti, ma risultano ancora pendenti questioni inerenti al rapporto patrimoniale, non vi è pregiudizialità rispetto alla fase di divorzio.

In concreto però, dal momento che i temi economici nella maggior parte dei casi vengono portati anche all'attenzione del giudice del divorzio è comunque probabile che la domanda di modifica delle condizioni della separazione si concluda in via anticipata per cessazione della materia del contendere. 

4. Conclusioni

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il giudice di merito non aveva adottato alcun provvedimento temporaneo e urgente che potesse precludere l’intervento modificativo del giudice della separazione, il quale si è pronunciato senza sovrapporsi a decisioni già adottate in fase presidenziale, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente (violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della l. 898/1970), che ha pertanto ottenuto il rigetto del ricorso, poiché è stato applicato correttamente il principio per cui il giudice della separazione è investito della potestas iudicandi sulla domanda di attribuzione o modifica del contributo di mantenimento per il coniuge e i figli anche quando sia pendente il giudizio di divorzio.


Note e riferimenti bibliografici


[1] G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, III ed., Torino, 2005, 184.

[2] Cass. civ. Sez. I, Sent., 10 maggio 2017, n. 11504 e Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 11 luglio 2018, n. 18287.

[3] C. RIMINI, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l'agonia del fondamento assistenziale, in Giurisprudenza Italiana, Agosto/Settembre 2017, 1799.

[4] Cass. civ. Sez. I, Sent., 10 maggio 2017, n. 11504; sul tema si veda F. TOMMASEO e A. SCALERA, Determinazione dell'assegno divorzile: la Cassazione cambia tutto, in Il Quotidiano Giuridico, 11.5.2017.

[5] A. SPANGARO, Assegno di mantenimento e di divorzio, in Giurisprudenza Italiana, 2020, 11, 2426 ss.

[6] Sulla rilevanza degli aspetti perequativo-compensativi in tema di assegno di divorzio si veda il commento a Cass. civ., Ord., 17 febbraio 2021, n. 4224 di C. MORETTI, Assegno divorzile: anche per l'ex moglie che ha dichiarato di essere autosufficiente, in Il Quotidiano Giuridico, 4 marzo 2021.

[7] Cass. civ. Sez. I, 11 dicembre 2019, n. 32398.

[8] E. AL MUREDEN, L'assegno divorzile e l'assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Famiglia e Diritto, 2018, 11, 1024.

[9] Cass. civ. Sez. Un., 27 luglio 1993, n. 8389. Si veda E. VULLO, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla modificablità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi, in Il Corriere Giuridico, 1993, 11,1311.

[10] Cass. civ. Sez. I Sent., 10 dicembre 2008, n. 28990. Si veda L. BIANCHI, Sui rapporti tra il giudizio di revisione ex art. 710 c.p.c. e il giudizio di divorzio, in Famiglia e Diritto, 2009, 7, 696.

[11] Cass. civ. Sez. I, Sent., 06 marzo 2017, n. 5510.

[12] Cass. civ. Sez. I, Sent., 23 ottobre 2019, n. 27205, Cass. civ. 28 febbraio 2017, n. 5062 e Cass. civ. 26 agosto 2013, n. 19555. Sul tema si veda F. DANOVI, Modifica della separazione e (parziale) autonomia dal divorzio, in Famiglia e Diritto, 2020, 3, 274 ss.

[13] Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 22 luglio 2013, n. 17825.