Pubbl. Mar, 2 Feb 2021
La natura giuridica dei diritti edificatori compensativi
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Giulia Fadda
Con la sentenza n. 23902 del 29 ottobre 2020 la Corte di Cassazione si è espressa a Sezioni Unite sulla natura giuridica dei diritti edificatori compensativi affermando il principio di diritto secondo cui gli stessi non sono assimilabili ai diritti reali. Il presente articolo si propone di analizzare il suddetto principio di diritto la cui disamina costituisce, al tempo stesso, occasione per porre a confronto la cessione di cubatura con i diritti edificatori e per delinearne le differenze.
Sommario: 1. Premessa; 2. Cessione di cubatura; 3. Diritti edificatori; 4. Diritti edificatori compensativi; 5. Conclusioni.
1. Premessa
Il presente articolo ha ad oggetto la disamina della sentenza n. 23902 del 29 ottobre 2020 della Suprema Corte di Cassazione, pronunciata a Sezioni Unite, con la quale quest’ultima è intervenuta in relazione all’annosa questione sulla natura giuridica dei diritti edificatori di tipo compensativo.
Si tratta di quei diritti riconosciuti dalla pubblica amministrazione competente al privato come corrispettivo del sacrificio di quest’ultimo derivante dall’apposizione di un vincolo di inedificabilità su un proprio terreno a favore dell’amministrazione oppure dalla sua cessione gratuita alla stessa.
Nel caso specifico gli Ermellini hanno affermato il principio di diritto secondo cui tale tipologia di diritti edificatori non è riconducibile alla natura di diritto reale.
Più in particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che un terreno privato della propria edificabilità al fine di attuare quanto previsto dagli strumenti urbanistici vigenti non sia sottoponibile ad imposizione ICI.
Nel corso del presente articolo saranno esaminate, dapprima, le caratteristiche fondamentali della cessione di cubatura, disciplinata dal punto di vista pubblicitario dall’art. 2645-quater c.c., e, di seguito, dei diritti edificatori richiamati dall’art. 2643 n.2-bis c.c.
Tale disamina costituirà, al tempo stesso, occasione per evidenziare le differenze tra le due fattispecie.
In secondo luogo, con specifico riferimento ai diritti edificatori, verrà ripercorsa la distinzione tra diritti compensativi, perequativi ed incentivanti.
Infine, l’analisi sarà incentrata sui diritti edificatori compensativi al fine di meglio esaminare il principio di diritto pronunciato dalla Suprema Corte nella recente sentenza a Sezioni Unite innanzi citata. Tale analisi costituirà anch'essa occasione per porre a confronto i diritti edificatori compensativi con quelli di tipo perequativo.
2. Cessione di cubatura
Fin dal secolo scorso gli operatori del diritto hanno dovuto far fronte all’esigenza dell’autonomia privata di disporre della cubatura, vale a dire della potenzialità edificatoria di un determinato terreno, mediante accordo intercorrente tra le parti interessate.
Infatti, sempre più spesso, i privati hanno compiuto atti con i quali la cubatura relativa ad una determinata area di terreno è stata oggetto di cessione a favore di un suolo appartenente ad un altro proprietario.
La sottoscrizione di tali accordi è finalizzata ad incrementare la capacità edificatoria di un determinato terreno con l’utilizzo di quella inutilizzata facente capo ad altra area di terreno.
A tal riguardo, però, il legislatore non è mai intervenuto con una normativa generale che disciplinasse il fenomeno della cessione di cubatura.
Tale circostanza ha comportato l’insorgenza di problematiche relative all’individuazione della nozione e dei presupposti di tale fattispecie giuridica, dato che, nonostante la mancanza di disciplina, l’autonomia privata nel corso del tempo ha sempre più fatto ricorso all’istituto in esame1.
Con riferimento alla nozione, la dottrina ha ricostruito la cessione di cubatura come negozio mediante il quale la volumetria inerente ad un determinato terreno è ceduta a favore di un altro, al fine di incrementarne la capacità edificatoria.
Dal punto di vista dei presupposti deve, innanzitutto, trattarsi di terreni appartenenti a soggetti diversi. Infatti, nel caso in cui si tratti di terreni nella titolarità di un medesimo soggetto non è corretto definire tale fenomeno come cessione di cubatura. In particolare, nel caso di specie è giusto parlare più correttamente di un atto di asservimento compiuto dal privato a favore di un terreno di sua proprietà.
In tal caso l’unico aspetto da regolare è quello del rapporto con la pubblica amministrazione, non essendo necessario un accordo tra privati al fine di permettere l’aumento di volumetria di un determinato terreno.
Di conseguenza, non è rinvenibile il binomio caratterizzante la natura giuridica della cessione di cubatura, vale a dire l’aspetto privatistico relativo all’accordo tra le parti e quello pubblicistico riguardante il rilascio di un titolo edilizio maggiorato a favore della parte cessionaria.
Il secondo presupposto per poter individuare una cessione di cubatura risiede nel fatto che i terreni appartengano alla medesima area del piano regolatore generale vigente.
Detto presupposto trova il proprio fondamento nella circostanza che all’interno della stessa area del piano regolatore non conta come siano distribuiti i diritti edificatori, ma assume rilevanza soltanto il fatto che la capacità edificatoria totale rimanga invariata. Di conseguenza, i privati hanno la possibilità di spostare mediante atti di cessione di cubatura la volumetria relativa ad un determinato terreno verso un altro appartenente alla medesima area del piano.
In terzo luogo, è fondamentale che non vi siano specifiche previsioni all’interno dello strumento urbanistico vigente contrarie alla cessione di cubatura.
Infine, non deve avvenire un diniego da parte dell’amministrazione comunale con riferimento all’operazione di cessione in parola. Quest’ultima caratteristica si traduce nella necessità di un consenso da parte della pubblica amministrazione alla cessione stessa.
Da una disamina della nozione e dei presupposti è possibile dedurre che si tratti di una fattispecie implicante non solo aspetti privatistici, ma anche pubblicistici.
Infatti, non conta soltanto l’accordo tra i privati, ma è necessario che sia presente anche un assenso da parte dell’amministrazione comunale competente, che si estrinseca nel rilascio della concessione o di altro titolo edilizio maggiorato con riferimento al terreno a favore del quale avviene la cessione di cubatura.
Tale modo ibrido di atteggiarsi, implicante aspetti sia privatistici sia pubblicistici, ha comportato la nascita di dispute in dottrina e in giurisprudenza sulla natura giuridica della cessione di cubatura2.
Di conseguenza, sono state formulate diverse teorie al riguardo che possono essere distinte tra quelle che valorizzano maggiormente l’aspetto privatistico e quelle che, invece, pongono al primo posto l’aspetto pubblicistico della fattispecie in esame. Tuttavia, non sono mancate teorie intermedie che hanno valorizzato entrambi gli aspetti.
Inoltre, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità trattasi di un diritto reale, atteso che la volumetria costituisce un bene autonomo da un punto di vista economico-giuridico rispetto al terreno sul quale può essere sfruttata. Di conseguenza, la cessione di cubatura costituisce un contratto ad efficacia reale. Più in particolare, il rilascio del titolo edilizio maggiorato da parte dell’amministrazione competente rappresenta solamente l’elemento che elimina l’ostacolo allo sfruttamento della maggiorazione di volumetria da parte del titolare del fondo a favore del quale avviene la cessione, dato che, a ben vedere, questa è già avvenuta in virtù dell’accordo tra i privati.
All’interno di questo filone di pensiero è possibile compiere delle distinzioni in base alla classificazione di detto diritto reale.
Alcuni hanno affermato che si tratti di un diritto di superficie con connotati atipici. Detta teoria è stata criticata sotto diversi punti di vista.
Innanzitutto, si è sottolineato che con la cessione di cubatura non è presente un elemento fondamentale per la configurabilità di un diritto di superficie, vale a dire l’acquisto del diritto ad edificare su un’area di terreno appartenente ad un terzo.
Infatti, nel fenomeno in esame il trasferimento della volumetria, e quindi del diritto ad edificare, a favore del cessionario da parte del cedente comporta che lo sfruttamento della capacità edificatoria avvenga non su un terreno di proprietà di un terzo, ma su un’area che si trova nella titolarità del cessionario.
Inoltre, si è sostenuto che vi sia una violazione del principio del numerus clausus dei diritti reali. Infatti, come affermato dagli stessi autori che sostengono la natura di diritto di superficie della cessione di cubatura, si tratta di un diritto di tal genere ma con connotati atipici.
Di conseguenza, questa atipicità dei connotati comporta la configurabilità di un diritto di superficie diverso rispetto a quello legislativamente previsto.
Altri autori, invece, hanno ritenuto che la cessione di cubatura debba essere costruita come una costituzione di servitù, che sarà “non aedificandi”, se riguardante la totalità della volumetria, oppure “altius non tollendi”, nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto soltanto parte della capacità edificatoria del terreno della parte cedente.
In questo modo, il fondo dominante è vincolato a quello servente e con la trascrizione detta costituzione di servitù è opponibile ai terzi.
Al fine di soddisfare anche l’aspetto pubblicistico della fattispecie, i sostenitori di detta teoria affermano che sia necessario compiere anche un atto unilaterale d’obbligo verso l’amministrazione comunale; atto, questo, con cui il cedente si impegna a non edificare sulla propria area di terreno al fine di permettere il rilascio della concessione edilizia o di altro titolo edilizio idoneo maggiorato a favore della parte cessionaria.
A tal proposito, la dottrina ha ritenuto che sia opportuno l’inserimento di una condizione risolutiva legata al rilascio della concessione edilizia maggiorata o di altro titolo abilitativo a favore del cessionario da parte dell’amministrazione comunale entro un determinato periodo di tempo.
Tale accortezza si giustifica con la presenza nell’ordinamento vigente del principio generale di non ammissibilità di obbligazioni perpetue.
Detta teoria è stata criticata perché, innanzitutto, la cessione di cubatura si discosta dalla fattispecie della servitù prediale, in quanto non è presente solamente un obbligo di non facere, ma anche un pati. Infatti, il titolare del fondo servente deve rispettare non soltanto l’obbligo di non edificare su detto terreno, ma anche quello di sopportare una costruzione sul fondo dominante che travalichi i limiti di densità edilizia previsti dal piano regolatore generale vigente.
In secondo luogo, la servitù è rinunciabile da parte del proprietario del fondo dominante. Tale aspetto rende precario l’obbligo assunto verso l’amministrazione comunale competente.
Infatti, a causa della circostanza che il rilascio della concessione edilizia o di altro titolo edilizio maggiorato non avviene in contemporanea alla costituzione di servitù e alla sottoscrizione dell’atto d’obbligo da parte del cedente, il cessionario potrebbe nel frattempo ripensarci e ritenere non più necessario l’aumento di volumetria dell’area di cui è titolare.
Infine, il vantaggio non deriverebbe dall’atto di costituzione di servitù che è stipulato tra i privati, ma dall’atto della pubblica amministrazione, vale a dire dal rilascio del titolo edilizio maggiorato.
Infatti, come affermato in precedenza, il reale sfruttamento della maggiorazione di volumetria da parte del cessionario può avvenire solamente in seguito al rilascio del relativo titolo abilitativo.
Altra dottrina, sempre valorizzando l’aspetto privatistico, ha ritenuto che non sia necessario un accordo tra i privati, ma sia sufficiente un atto di rinuncia abdicativa avente ad oggetto la facoltà di edificare sul proprio terreno. Infatti, a detta di tali autori, in seguito alla rinuncia sarà rilasciata la concessione maggiorata a favore del titolare dell’altro fondo.
Anche tale teoria è stata criticata sotto vari punti di vista.
Innanzitutto, è stato sottolineato che non è chiaro quale sia l’oggetto della rinuncia. Infatti, non è ammissibile che sia oggetto di tale atto la facoltà di edificare, dato che non costituisce un diritto a sé stante ma una mera facoltà riconosciuta al proprietario nello sfruttamento del terreno di cui è titolare.
Inoltre, è stato osservato che la rinuncia abdicativa non ha come effetto il trasferimento del diritto ad un altro soggetto, ma solamente l’espansione del diritto di colui che è comproprietario della medesima area. A tale critica la dottrina che appoggia la teoria in esame ha sostenuto che possa essere configurata detta rinunzia come traslativa.
Ma anche quest'ultima soluzione è stata criticata, dato che è sempre presente la circostanza che non si sappia cosa sia oggetto della rinunzia. Infatti, non può esserlo la facoltà di edificare per le motivazioni espresse in precedenza.
Altra parte degli autori, valorizzando l’aspetto pubblicistico della cessione della cubatura, ha sostenuto che non sia necessario un atto tra privati, ma sia sufficiente il rilascio del provvedimento da parte dell’amministrazione competente. Infatti, quest’ultimo è opponibile ai terzi ed è sufficiente che il cedente aderisca allo stesso.
Questa teoria è stata criticata soprattutto per la mancanza di tutela delle parti.
Infatti, non basta la semplice sottoscrizione del progetto da parte del cedente, in quanto è necessario un atto d’obbligo da parte di quest’ultimo.
Infine, alcuni autori hanno ritenuto che in realtà siano fondamentali sia l’accordo tra privati sia il rilascio del titolo edilizio maggiorato. A detta di tali autori, si tratterebbe di una fattispecie a formazione progressiva. Di conseguenza, l’accordo tra i privati non ha efficacia reale, ma assume una mera efficacia obbligatoria.
La critica mossa a detta teoria si basa sulla circostanza che così ricostruita la cessione di cubatura non comporterebbe un’adeguata tutela delle parti. Infatti, tutto sarebbe lasciato alla decisione della pubblica amministrazione di rilasciare oppure non rilasciare il titolo edilizio maggiorato. Al fine di tentare di riequilibrare la situazione potrebbe essere inserito nell’accordo tra i privati l’impegno della parte cedente a non vendere il terreno per un determinato periodo, a non edificare sullo stesso e a non richiedere la concessione a suo favore. Ma in questo modo, secondo le critiche mosse a tale ricostruzione, sarebbe richiesto un impegno esagerato alla parte cedente.
Dall’altro lato, se la parte cedente non si impegnasse in tal senso, allora la parte cessionaria non avrebbe garanzie al riguardo.
Nella prassi notarile, nonostante le critiche sopra richiamate, è utilizzata la tecnica della costituzione di servitù prediale sottoposta alla condizione risolutiva del rilascio del titolo edilizio maggiorato entro un determinato termine e la contestuale sottoscrizione di un atto d’obbligo verso l’amministrazione comunale competente da parte del cedente. Quest’ultimo può essere sostituito da un mandato con rappresentanza da parte del cedente verso il cessionario a prestare il proprio consenso al rilascio del titolo edilizio maggiorato e a qualsiasi richiesta avanzata da parte della pubblica amministrazione. In questo caso, si tratta di un mandato in rem propriam, dato che è conferito anche nell’interesse del mandatario.
Con la legge 26 aprile 2012 n.44 è stato inserito l’art.2645-quater c.c.3. Detta norma disciplina la trascrizione degli atti volti all’imposizione di un vincolo pubblicistico. Tra questi vi rientra anche la cessione di cubatura.
In seguito all’introduzione di tale norma è stato possibile osservare che l’unico interesse del legislatore è stato quello di disciplinare la circolazione della cubatura. Di conseguenza, non è ancora presente una nozione e un’enucleazione dei presupposti al fine della configurazione di tale fenomeno giuridico.
In particolare, rimane controversa quale sia la natura giuridica del negozio di cessione di cubatura, vale a dire se si tratti di un atto avente efficacia meramente obbligatoria oppure di un negozio con efficacia reale. Nel primo caso assume rilevanza il provvedimento della pubblica amministrazione competente, mentre nella seconda ipotesi è fondamentale l’aspetto dell’inerenza della cubatura al fondo.
Questo dilemma ha delle ripercussioni importanti sulla tassazione dell’atto di cessione.
A tal proposito, una recente ordinanza della Cassazione4 ha rimesso la questione riguardante la natura giuridica del negozio di cessione di cubatura alle Sezioni Unite della medesima Corte, di modo da far statuire un principio di diritto al riguardo che elimini le incertezze attualmente esistenti su tale fenomeno giuridico.
3. Diritti edificatori
Dopo aver analizzato il negozio della cessione di cubatura, è possibile incentrare l’attenzione sul fenomeno dei diritti edificatori, che costituiscono il tema centrale affrontato dalla sentenza oggetto del presente contributo.
Innanzitutto, è necessario precisare che, come nella cessione di cubatura, non è presente una disciplina generale dettata dal legislatore al fine di regolamentare gli aspetti fondamentali di tali diritti.
Di conseguenza la nozione di detto fenomeno giuridico è stata ricostruita dalla dottrina anche alla luce dell’art. 2643, comma 1 n . 2-bis) c.c.5 di cui in prosieguo.
In particolare, con il termine diritti edificatori si intendono quei diritti ad edificare previsti dalla legislazione di provenienza statale o regionale oppure dagli strumenti volti a pianificare l’assetto territoriale.
Quindi, è possibile osservare che l’esistenza di detti diritti deriva da un riconoscimento a livello pubblico da parte dell’amministrazione competente.
Questa caratteristica costituisce una prima differenza rispetto alla cessione di cubatura, nella quale, come osservato nel paragrafo precedente del presente articolo, l’iniziativa al fine del potenziamento dell’edificabilità di una determinata area di terreno deriva dai privati, che si accordano, e solo successivamente è presente l’intervento della pubblica amministrazione al fine di rendere effettivo detto accordo.
Pertanto, il rapporto con la pubblica amministrazione nell’ambito dei diritti edificatori non si pone a conclusione dell’iter di trasferimento della volumetria, ma all’inizio. Infatti, è proprio dal rapporto con l’amministrazione competente che nasce il diritto edificatorio. Invece, nel caso di cessione di cubatura, il rapporto con l’amministrazione competente si pone dopo l’atto tra i privati di modo da suggellarne l’accordo.
Un’ulteriore differenza rispetto alla cessione di cubatura risiede nella circostanza che con i diritti edificatori avviene un’incidenza sulla pianificazione territoriale generale.
Invece, nella cessione di cubatura, come sopra ricordato, la cubatura complessiva rimane invariata e il trasferimento coinvolge aree omogenee, dato che appartenenti alla medesima area del piano regolatore generale vigente.
Il legislatore con legge 12 luglio 2011 n.106 ha inserito l’art. 2643, comma 1 n. 2-bis) c.c., con il quale è stata riconosciuta la trascrivibilità dei negozi che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori previsti da normative statali o regionali o da strumenti volti alla pianificazione territoriale. In questo modo è stata suggellata l’opponibilità di detti negozi ai terzi.
Anche in questo caso, come nella cessione di cubatura, è possibile osservare come il legislatore abbia ritenuto più importante regolamentare l’aspetto della circolazione di detti diritti, piuttosto che prevedere una disciplina al riguardo che avrebbe potuto risolvere, quanto meno, l’interrogativo ed il dibattito sulla natura giuridica di tali diritti.
Prima di procedere all’analisi della sentenza in oggetto, è opportuno, a questo punto, fare un distinguo tra le varie tipologie di diritti edificatori derivanti dalle diverse finalità che la pubblica amministrazione si pone.
Infatti, è possibile distinguere tra diritti edificatori compensativi, diritti edificatori perequativi e diritti edificatori incentivanti.
Con i primi è presente un rapporto sinallagmatico tra privato e pubblica amministrazione.
Da una parte, il privato appone un vincolo di inedificabilità su una propria area di terreno a favore della pubblica amministrazione oppure cede a quest’ultima gratuitamente detta area.
Dall’altra parte la pubblica amministrazione riconosce al privato un credito edilizio o volumetrico, vale a dire che la privazione di tutta o parte della potenzialità edificatoria di un’area di terreno appartenente al secondo a favore della prima comporta la nascita di un diritto ad avere una maggiorazione di edificabilità di un altro terreno sempre di proprietà del privato.
In questa fattispecie non è necessaria la caratteristica della vicinanza dei terreni o dell’appartenenza ad una medesima area del piano regolatore generale vigente.
Di conseguenza, detti diritti edificatori si distinguono dalla cessione di cubatura analizzata precedentemente.
I diritti edificatori perequativi sono, invece, quei diritti attribuiti direttamente dal piano urbanistico ai privati sui quali grava l’onere di contribuire alla riqualificazione di una determinata area6. Pertanto, una volta approvato il piano urbanistico i privati possono usufruire della volumetria senza necessità di un provvedimento specifico da parte della pubblica amministrazione competente. In particolare, quest’ultima potrà intervenire successivamente mediante una modifica del piano vigente.
Infine, i diritti edificatori incentivanti sono quelli dove avviene un aumento di volumetria a favore dei privati per incentivare la riqualificazione urbanistica dell’area7.
Quest'ultimi si distinguono dai diritti edificatori compensativi. Infatti, mentre per i diritti edificatori compensativi è presente un credito edilizio derivante dalla privazione di volumetria su un terreno del privato, nei diritti incentivanti è rinvenibile la creazione di nuova volumetria rispetto a quella originaria8.
4. Diritti edificatori compensativi
E’ necessario concentrare l’analisi sui diritti edificatori di tipo compensativo, dato che costituiscono il tema principale della sentenza pronunciata dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, citata in premessa.
In particolare, la stessa Corte di Cassazione sottolinea la differenza tra i suddetti diritti edificatori e quelli perequativi9.
Nello specifico, afferma che il diritto edificatorio compensativo si configura come una fattispecie a formazione progressiva.
Infatti, nel momento in cui il privato appone il vincolo di inedificabilità oppure cede gratuitamente la propria area di terreno all’amministrazione comunale competente matura un credito edilizio o volumetrico, che non è utilizzato immediatamente per un altro terreno di proprietà del medesimo privato.
Più in particolare, è possibile individuare tre fasi di detta fattispecie a formazione progressiva.
Innanzitutto, è presente la fase di decollo. Si tratta del momento in cui nasce il credito edilizio o volumetrico a favore del privato, vale a dire in seguito all’apposizione da parte di quest’ultimo del vincolo di inedificabilità oppure della cessione dell’area di sua proprietà.
In seguito al decollo inizia la fase del volo, che risulta essere l’elemento intermedio tra la nascita del credito edilizio e l’individuazione del terreno di destinazione della volumetria.
Infine, è presente la fase di atterraggio, che si sostanzia nel momento in cui il terreno di destinazione è identificato.
Nel caso del diritto edificatorio perequativo, invece, non è presente detto iter progressivo. Infatti, il diritto è attribuito direttamente ad un terreno del privato e quest’ultimo in cambio ha l’onere di riqualificare l’area in cui detto terreno si trova.
Da tale differenza è possibile capire anche la diversità di soluzioni adottate dalla Suprema Corte in riferimento alla sottoposizione alla tassazione ICI del terreno in caso di diritto edificatorio compensativo e di diritto edificatorio perequativo.
Nell’ipotesi di diritto edificatorio perequativo, gli Ermellini10 hanno riconosciuto la sottoposizione al detto tributo, data la presenza del requisito oggettivo dello stesso, vale a dire la mera potenzialità edificatoria. Infatti, detto diritto edificatorio costituisce una qualità intrinseca del suolo.
Nel caso, invece, del diritto edificatorio compensativo la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza oggetto del presente contributo ha affermato che non possa avvenire l’imposizione dell’area di terreno privata dell’edificabilità a tale tributo. La giustificazione risiede nella circostanza che non si tratti di diritto reale e, quindi, non rappresenti una qualità intrinseca del suolo11. Detta affermazione si basa su molteplici elementi.
Innanzitutto, gli Ermellini sottolineano che nel caso in cui si volesse qualificare i diritti edificatori compensativi come diritti reali dovrebbero essere ricondotti in una categoria di diritti reali tipici. Infatti, in caso contrario si verificherebbe la violazione del principio del numerus clausus dei diritti reali.
A tal proposito, affermano che tale tipologia di diritto non possa essere ricondotta né alla servitù, né al diritto di superficie.
Non può trattarsi di servitù perché non è presente la caratteristica del rapporto tra fondo dominante e fondo servente, caratterizzato dagli elementi di dominanza del primo sul secondo e di asservimento del secondo al primo12.
Infatti, il rapporto tra i fondi coinvolti è configurabile come di scambio, e non come di asservimento e dominanza.
Inoltre, non è rinvenibile né il concetto di vicinanza tra fondi, né quello di utilità. Infatti, il fondo che beneficia del credito di volumetria potrebbe non essere vicino a quello di partenza. Inoltre, detta area non è individuata fin da subito.
Non si tratta neppure di diritto di superficie, dato che è assente la caratteristica fondamentale di quest’ultimo, vale a dire la circostanza che il diritto ad edificare riguardi un’area di terreno appartenente ad un altro soggetto13.
In secondo luogo, la Suprema Corte evidenzia che la connessione del diritto edificatorio al fondo originario e a quello di destinazione non significa che si tratti di un diritto reale. Infatti, detta connessione è funzionale all’iter progressivo che caratterizza detto diritto edificatorio.
Di conseguenza, il diritto in oggetto non presenta la caratteristica dell’inerenza al suolo originario, ma ne è autonomo. Infatti, si distacca con la fase di decollo e rimane in volo fino a quando non è identificata l’area di terreno di atterraggio.
In terzo luogo, la Cassazione sottolinea che il diritto compensativo non possa essere qualificato neppure come obbligazione propter rem.
La prima motivazione risiede nella circostanza che detta obbligazione debba essere prevista dalla legge. Infatti, come per i diritti reali, anche per essa vale il principio di tipicità.
Inoltre, non è presente il diritto di seguito, vale a dire che l’alienazione del terreno non comprende anche il diritto edificatorio.
Detta mancanza deriva dalla circostanza che l’obbligazione propter rem si configura come vincolo debitorio, mentre il diritto edificatorio compensativo costituisce un credito a favore del privato.
5. Conclusioni
L'analisi della recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, citata in premessa, in materia di natura giuridica dei diritti edificatori compensativi è stata l'occasione per approfondire la tematica del trasferimento della volumetria da un terreno ad un altro.
In particolare, è stata soffermata l'attenzione sulla diversità di strumenti offerti dall'ordinamento in riferimento alla volumetria inerente ad un determinato terreno. A tal proposito, innanzitutto è stato possibile osservare la natura ibrida rinvenibile nella cessione di cubatura, a causa degli interessi coinvolti.
Infatti, da una parte vi sono i privati che necessitano di trasferire la volumetria da un terreno ad un altro, mentre, dall'altra, al fine di soddisfare l'interesse dei privati a diminuire la volumetria a disposizione di un terreno per aumentare quella di un altro, è necessario che sia rilasciata una concessione edilizia o altro titolo idoneo maggiorato al fine di sfruttare la nuova cubatura sull'area di terreno che la riceve.
E' auspicabile che con l'intervento della Cassazione a Sezioni Unite la problematica riguardante la natura giuridica di detto fenomeno sia risolta definitivamente.
In secondo luogo, con riferimento ai diritti edificatori è stato possibile osservare come tale categoria sia caratterizzata dalla varietà. Quest'ultima è rinvenibile in primo luogo dalla diversità di tipologie di diritti edificatori. Si fa riferimento alla distinzione tra diritti compensativi, perequativi e incentivanti.
In secondo luogo, la varietà è riscontrabile anche nella diversità di soluzione adottata da parte della Cassazione in ambito fiscale con riguardo alla natura giuridica dei diritti edificatori compensativi e di quelli perequativi.
Infatti, secondo la Suprema Corte, i diritti perequativi hanno natura di diritto reale, dato che possiedono la caratteristica dell’inerenza al fondo.
Con riferimento invece ai diritti compensativi gli Ermellini ritengono che non possano essere considerati come diritti reali in quanto sono autonomi rispetto al terreno.
1. Per una disamina della problematica della nozione e dei presupposti della cessione di cubatura: Tommaso Campanile, Federico Crivellari e Lodovico Genghini, “I diritti reali”, volume quinto dei “Manuali notarili” a cura di Lodovico Genghini, Cedam, 2011, pp. 269-273.
2. Per ripercorrere le varie teorie in materia: Tommaso Campanile, Federico Crivellari e Lodovico Genghini, op. cit., pp .274-289; Studio n.1763 del Consiglio Nazionale del Notariato, “Il trasferimento di cubatura” di Mauro Leo, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 29 settembre 1999.
3. L'art. 2645-quater c.c. così recita: “Si devono trascrivere, se hanno per oggetto beni immobili, gli atti di diritto privato, i contratti e gli altri atti di diritto privato, anche unilaterali, nonché le convenzioni e i contratti con i quali vengono costituiti a favore dello Stato, della regione, degli altri enti pubblici territoriali ovvero di enti svolgenti un servizio di interesse pubblico, vincoli di uso pubblico o comunque ogni altro vincolo a qualsiasi fine richiesto dalle normative statali e regionali, dagli strumenti urbanistici comunali nonché dai conseguenti strumenti di pianificazione territoriale e dalle convenzioni urbanistiche a essi relative”.
4. Cassazione, ordinanza, 15 settembre 2020, n. 19152, secondo cui: “Ora, focalizzando la questione attorno alle ricadute fiscali correlate alla natura del negozio di cessione di cubatura che qui viene in rilievo, v'è da dire che l'adesione ad una piuttosto che ad altra teoria in ordine alla natura della cessione di cubatura (teoria del diritto di superficie, della "rinunzia" abdicativa o traslativa, o della servitù non aedificandi o altius non tollendi) renderebbe applicabili i criteri ordinari di tassazione con aliquota dell'8% dell'imposta di registro di cui all'art. 1, parte prima, allegato "A" del D.P.R. n. 131 del 1986 già sopra ricordati. Per converso, qualificando la fattispecie quale negozio ad effetti meramente obbligatori, si dovrebbe giungere alla conclusione di applicare l'art. 9 della tariffa stessa (che assoggetta ad aliquota del 3% gli atti diversi da quelli altrove indicati nella tariffa aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale). Orbene, la diversità di indirizzi giurisprudenziali dei quali si è dato conto sembrano dunque giustificare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, ex art. 374, comma 2, c.p.c., relativa alla qualificazione giuridica dell'atto dì cessione di cubatura ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro apparendo altresì necessario indagare sui possibili effetti e sulla natura giuridica del diniego di autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale rispetto all’eventuale imposizione fiscale applicata sul presupposto della qualificazione dell’atto di cessione come negozio immediatamente traslativo del diritto edificatorio. Parimenti necessaria risulterà la verifica delle ricedute ai fini fiscali delle sopravvenienze di carattere urbanistico successive alla cessione”.
5. L’art. 2643 comma 1 n.2-bis) c.c. dispone che: “Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione:
… 2-bis) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”.
6. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, secondo cui: "Nel caso dell'urbanistica perequativa, si ha distribuzione paritetica e proporzionale - tra tutti i proprietari di un determinato ambito territoriale o lotto tanto del vantaggio costituito dalla edificabilità, quanto dell'onere di contribuzione ai costi di riqualificazione, urbanizzazione e realizzazione di aree a servizi di pubblica utilità o verde. In questo modo, a tutti i suoli dell'ambito territoriale di intervento viene riconosciuto un valore edificatorio costante, indipendentemente dalla effettiva e specifica collocazione, all'interno di esso, dei fabbricati assentiti; collocazione che, stante appunto l'effetto distributivo-perequativo, risulta in definitiva indifferente per i singoli proprietari, i cui terreni saranno comunque destinatari di una quota uguale di edificabilità".
7. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, cit., secondo cui: "...al privato viene dalla PA attribuito - a titolo straordinario ed aggiuntivo rispetto a quanto già previsto dagli strumenti di pianificazione - un indice edificatorio con scopo di premio, ovvero di incentivo, a fronte dell'esecuzione di interventi di riqualificazione ambientale, architettonica, urbanistica o residenziale reputati virtuosi, perchè eccedenti gli standard minimi e di interesse generale".
8. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, cit., secondo cui: "Nel qual caso si evidenzia la creazione di "nuova" volumetria, cioè di una volumetria ulteriore e del tutto slegata da quella previgente, invece essenziale alla vicenda compensativa".
9. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, cit., secondo cui: “…i fattori di distinzione ed autonomia, posti in luce anche dalla dottrina, tra urbanistica perequativa ed urbanistica compensativa. La prima è avulsa da qualsiasi obiettivo restitutorio di una originaria edificabilità, si produce direttamente e preventivamente dal piano urbanistico (e non in contropartita della specifica assegnazione o cessione volontaria dell'area al Comune come nel caso di compensazione) e comporta la generalizzata, preordinata e diffusa attribuzione di un indice perequativo con effetto diretto sul terreno interessato in quanto facente parte del comparto di intervento. Ancorchè si verta, in entrambi i casi, di volumetria non esercitabile direttamente sul fondo, resta che solo nella perequazione l'indice di edificabilità viene attribuito "al fondo" divenendo una qualità intrinseca di questo, e solo nella perequazione la fattispecie di edificabilità può dirsi perfetta fin dall'origine, non necessitando di successiva individuazione ed effettiva assegnazione di aree surrogatorie di atterraggio. E' dunque nella compensazione - e non nella perequazione - urbanistica che si assiste alla massima volatilità dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo”.
10. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 28 settembre 2006, n. 25506, secondo cui: " ai fini dell'applicazione del D.Lgs. 504/1992, un'area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo: in tal caso, l'Ici deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione". Nello stesso senso, più di recente, Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza, 30 ottobre 2018, n. 27575.
11. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, cit., secondo cui: "Un'area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta, non è da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, dal momento che quest'ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso".
12. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, cit., secondo cui: "...non si riscontra nella fattispecie in esame alcun rapporto di dominanza-asservimento, quanto di scambiabilità, tra i fondi correlati; nè le nozioni qualificanti di utilità e vicinitas (sebbene valutate nella massima ampiezza di accezione, funzionale e non topografica, tradizionalmente accolta dalla giurisprudenza) potrebbero riferirsi ad un'area, quella di arrivo, ancora da individuarsi".
13. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza, 29 ottobre 2020, n. 23902, cit., secondo cui: "...difetta l'elemento essenziale dell'esercizio del diritto reale su cosa altrui mediante superamento del vincolo dell'accessione, venendo qui in discussione l'alterità oggettiva dei luoghi di produzione e di esercizio dello jus aedificandi in capo ad un medesimo titolare, e non l'alterità soggettiva tra proprietario del fondo e proprietario dell'edificio che ad esso acceda.