Pubbl. Mer, 10 Giu 2020
Del regime di opponibilità del fondo patrimoniale ai creditori
Modifica paginaCon ordinanza del 13.05.2020, il Tribunale di Agrigento, tracciando chiaramente il regime di opponibilità del fondo patrimoniale ai creditori, ha ribadito che il medesimo non è opponibile ai creditori prelatizi anteriori mentre, rispetto ai creditori chirografari anteriori e prelatizi posteriori, occorre distinguere a seconda che essi fossero o meno a conoscenza che il debito era stato contratto per i bisogni della famiglia.
Sommario: 1. Il casus decisus; 2. L’art. 2740 c.c.: profili generali ed eccezioni per viincoli di destinazione con particolare riguardo al regime di opponibilità del fondo patrimoniale ai creditori; 3. L’operatività dell’art. 170 c.c. rispetto ai creditori anteriori alla costituzione del fondo: la decisione del Tribunale di Agrigento.
1. Il casus decisus
Il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Agrigento riguarda l’opposizione all’esecuzione da parte di due coniugi che, dopo essersi visti pignorare alcuni beni da parte del loro creditore, si opponevano alla procedura esecutiva eccependo, per quanto qui di interesse, la nullità del pignoramento per impignorabilità dei beni che ne erano stati oggetto, in quanto precedentemente conferiti in fondo patrimoniale ed atteso che il credito per la soddisfazione del quale l’esecutante stava procedendo era sorto per scopi ch’egli sapeva estranei ai bisogni della loro famiglia.
In particolare, nel caso in commento, il credito azionato era sorto prima della costituzione del fondo patrimoniale ed il creditore procedente era munito di ipoteca su alcuni dei beni del fondo, anch’essa iscritta precedentemente alla costituzione medesima.
2. L’art. 2740 c.c.: profili generali ed eccezioni per viincoli di destinazione con particolare riguardo al regime di opponibilità del fondo patrimoniale ai creditori
Per comprendere adeguatamente ciò di cui si tratterà nel presente scritto, non pare ultroneo partire dal principio della responsabilità patrimoniale generica accolto dal nostro ordinamento e dal come gli istituti quali il fondo patrimoniale rappresentino un’eccezione, di modo da poter comprendere più adeguatamente il quomodo pensato dal legislatore onde bilanciare nel miglior modo possibile le differenti istanze che tali istituti sottendono.
L’art. 2740 c.c., rubricato “Responsabilità patrimoniale”, dispone, al primo comma, che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Tale regola di assoggettabilità ad esecuzione di tutti i beni del debitore può però subire una limitazione. A tal proposito, al secondo comma, viene per l’appunto affermato che le limitazioni di responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.
L’art. 2740 c.c. rappresenta, pertanto, una garanzia generale per tutti i creditori che hanno uguali diritti di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione, quali i privilegi, il pegno e le ipoteche (c.d. par condicio creditorum ex art. 2741 c.c.).
Il debitore risponde con tutti i suoi beni dell’adempimento delle proprie obbligazioni, a prescindere dalla loro fonte, e contestualmente l’art. 2901 c.c. tutela il creditore rispetto agli atti di disposizione del proprio patrimonio posti in essere dal debitore[1].
Il patrimonio generale della persona costituisce un unicum, un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi, che può comprendere anche rapporti personali, riferiti ad un soggetto determinato (sia esso persona fisica o giuridica), tutti comunque suscettibili di valutazione economica.
È evidente allora che di patrimoni destinati (autonomi, separati o segregati, come dir si voglia) si parla tutte quelle volte in cui la legge considera una parte di quel “tutto” che è il patrimonio nel suo complesso, come oggetto di una disciplina ad hoc, registrando quindi una deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale. Avviene quindi il distacco di una massa patrimoniale avente una propria destinazione ed una sorte giuridica più o meno indipendente che rimane strettamente connessa ad una data destinazione[2].
Ed invero, esistono degli elementi costitutivi che, più di altri, caratterizzano la figura in esame e ne facilitano il riconoscimento: a) la limitazione di responsabilità; b) l’indisponibilità.
Si parla di limitazione di responsabilità quando ci si trova di fronte ad una deroga al principio generale secondo il quale il debitore risponde dell'adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri. In pratica una parte del patrimonio (quella appunto scissa dal resto) non risponde di tutte le obbligazioni del titolare, ma solo di quelle derivanti dalla realizzazione o mancata realizzazione dello scopo per cui il patrimonio destinato è stato costituito.
Il risultato pratico è che nel patrimonio del medesimo soggetto, che resta il solo titolare, si formano due masse patrimoniali non solo tra loro del tutto distinte ed autonome ma anche soggette a diversa discipline in punto di responsabilità per i debiti contratti dal loro dominus, atteso che, mentre la massa per così dire "generale" risponderà di tutti i debiti presenti e futuri, la seconda, separata, potrà essere oggetto delle pretese dei soli creditori coi quali il debitore abbia contratto per il perseguimento degl interessi giuridici riferibili a detta massa.
L'indisponibilità nella fattispecie “patrimonio destinato” è complementare alla limitazione di responsabilità, perché se fosse possibile disporre liberamente dei beni separati, distraendoli dallo scopo cui sono destinati, ne deriverebbe la loro sottrazione ai creditori individuati in base alla destinazione.
La dottrina tradizionale[3] ha sempre letto nell’enunciato dell’articolo 2740 c.c. un principio di ordine pubblico, sorretto da una riserva di legge delle ipotesi derogatorie della responsabilità generale, ammissibili, quindi, solo se previste dal legislatore e, per di più, non suscettibili di interpretazione analogica. Tuttavia, il proliferare delle ipotesi di destinazione patrimoniale, caratterizzate da una limitazione della responsabilità del titolare del patrimonio, ha fatto dubitare, in dottrina, dell’effettività e dell’efficacia di tale disposizione.
Nel tentativo di sottrarre il patrimonio dell’interessato dall’aggressione dei suoi creditori, infatti, si è sempre più frequentemente assistito alla nascita di fondi patrimoniali, trust e vincoli di destinazione che, nelle intenzioni del debitore – spesso non senza finalità fraudolente – avrebbero dovuto rappresentare una barriera invalicabile contro chi avesse accampato pretese economiche nei suoi confronti, così mettendo al sicuro la propria ricchezza da “attacchi” esterni, non di rado con conseguenze anche assai lesive degli interessi di chi, invece, quel patrimonio aveva piena ragione di aggredire, per soddisfare i propri diritti di credito.
Per questi motivi, la giurisprudenza ha svolto, e continua a svolgere, un ruolo fondamentale nel tracciare i limiti oltre i quali non è comunque possibile sottrarsi al principio della responsabilità patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.[4], indipendentemente dall’ampiezza e dalla natura dello “scudo giuridico” cui si fosse fatto ricorso, atteso che, ove gli interessi di tutela del proprio patrimonio sottendono istanze fraudolente a danno dei creditori, il nostro ordinamento non può ad essi riconoscere alcuna forma di tutela.
Proprio per evitare che negozi come il fondo patrimoniale – capaci, come si è visto, di sottrarre al creditore gran parte del, se non tutto, il patrimonio del debitore – finiscano per essere lesivi degli interessi del ceto creditorio e, al contempo, che vengano completamente svuotati di utilità per il debitore che li ponga in essere, lo stesso conditor legis ha di regola tracciato un più o meno complesso regime normativo di opponibilità dei medesimi ai creditori.
Nello specifico caso del fondo patrimoniale, viene in considerazione il disposto dell’art. 170 c.c., a mente del quale «L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia[5]». A questo va aggiunto che, dopo la costituzione del fondo, perché sia opponibile ai terzi è necessario anche rispettare il disposto degli artt. 162, comma quarto, e 163, comma terzo, c.c., dai quali deriva che l’atto costitutivo andrà annotato a margine dell’atto di matrimonio dei coniugi per essere opponibile ai terzi[6].
Da tale momento, ai sensi dell’art. 170 c.c., in linea generale i creditori dei coniugi non potranno soddisfarsi sui beni del fondo né sui frutti dei medesimi se i predetti sapevano che i debiti erano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia[7]. Dal tenore letterale dell’articolo in commento si desume che il conditor legis ha inteso disciplinare tre diverse categorie di debiti: a) debiti contratti per bisogni della famiglia, per i quali l’esecuzione è consentita; b) debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia ma che il creditore riteneva fossero stati contratti per il perseguimento degli stessi, nel quale caso l’esecuzione è consentita; c) debiti contratti per bisogni estranei a quelli della famiglia e conosciuti come tali dal creditore, per i quali l’esecuzione non è consentita[8].
In tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato dunque nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che condicio sine qua non dell’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso sarà l’inerenza diretta ed immediata di detti debiti con i bisogni della famiglia.
3. L’operatività dell’art. 170 c.c. rispetto ai creditori anteriori alla costituzione del fondo: la decisione del Tribunale di Agrigento
Se, come s’è visto, l’art. 170 c.c. disciplina in maniera organica il regime di opponibilità del fondo patrimoniale ai creditori che vogliano soddisfarsi ai beni in esso costituiti, non può sfuggire che il medesimo non distingue tra creditori anteriori e posteriori alla costituzione del fondo. Vi è dunque differenza tra la posizione dei primi e dei secondi oppure la convenzione matrimoniale è in ogni caso loro opponibile?
A tale interrogativo è stato chiamato a rispondere il Tribunale di Agrigento, il quale, facendo ottimo governo della materia in argomento, ha chiarito che, per addivenire ad una soluzione, essendo il fondo patrimoniale una convenzione matrimoniale, occorre anzitutto partire dai sopra richiamati artt. 162, c. 4, e 163, c. 3, c.c., il combinato disposto dei quali, come già ricordato, fa sì che, mentre l’efficacia inter partes di una convenzione matrimoniale sussista già dal momento della sua stipulazione, per l’opponibilità ai terzi sia necessaria la preventiva annotazione della medesima a margine dell’atto di matrimonio degli stipulanti, essendo tale annotazione non mera pubblicità notizia ma avendo la natura di pubblicità dichiarativa. Dopo aver premesso ciò, il Tribunale continua precisando che si devono distinguere i creditori in tre categorie concettuali: a) i creditori prelatizi anteriori alla costituzione del fondo[9]; b) i creditori chirografari anteriori o posteriori alla costituzione del fondo; c) i creditori prelatizi con credito posteriore alla costituzione del fondo[10].
Compiuto tale distinguo, il giudicante statuisce quanto segue: a) i creditori prelatizi anteriori alla costituzione del fondo potranno sempre e comunque agire sui beni in esso costituiti, non essendo loro in nessun caso opponibile una convenzione matrimoniale che, anche se costituita antecedentemente al loro titolo di preferenza, sia comunque stata pubblicizzata successivamente; b) i creditori chirografari, non essendo muniti di alcun titolo di preferenza, potranno agire liberamente sui beni del fondo prima che questo venga costituito o comunque pubblicizzato mentre successivamente alla pubblicizzazione – e quindi all’opponibilità di esso nei loro confronti – potranno farlo solo nei più ristretti limiti di cui all’art. 170 c.c., i.e. qualora il debito sia stato contratto dai coniugi per i bisogni della famiglia o per scopi che, benché estranei ai bisogni familiari, il creditore ritenesse riconducibili ai medesimi; c) i creditori prelatizi posteriori alla costituzione potranno agire sui beni costituiti in fondo sempre e solo nei limiti previsti dall’art. 170 c.c., già pocanzi nuovamente precisati sub b)[11].
Per i motivi – pienamente condivisibili – esposti dal Tribunale di Agrigento, gli opponenti hanno visto rigettare la loro opposizione all’esecuzione rispetto ai beni sui quali il creditore aveva iscritto ipoteca prima che venissero costituiti in fondo patrimoniale.
[1] Cfr. M. DE CRISTOFARO, sub Art. 2901, in G. CIAN e A. TRABUCCHI, Commentario Breve al Codice Civile, a cura di G. Cian, XII ed., Milano, 2016, 3694.
[2] S. TROIANO, sub Art. 2740, in G. CIAN e A. TRABUCCHI, Commentario Breve al Codice Civile, cit., 3556.
[3] V. ROPPO, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. XIX, tomo 1, Torino, 1997, 485 ss. e 508 ss.; ID., Sulle limitazioni della responsabilità patrimoniale del debitore. Spunti sistematici intorno all’art. 2740, 2° co. c.c., in Giur. comm., 1982, 250; G. D’AMICO, Responsabilità patrimoniale e procedure concorsuali nella “società del debito”: oltre la tutela (esclusiva) del creditore, in Questione Giustizia, 2019, 172; A. GATTO, Il Trust e la responsabilità patrimoniale, in studiolimardi.it.
[4] Ritengono – invero ad esito di un ragionamento molto sofisticato sotto il profilo giuridico – che gli atti che creano patrimoni separati non siano in alcun modo lesivi del principio di responsabilità generica in quanto non limitano la responsabilità del debitore ma soltanto il patrimonio con il quale egli è responsabile per quel determinato debito: A. FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, in AA.VV., Destinazione di beni allo scopo - Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di B. Libonati e P. Ferro- Luzzi, Milano, 2003, 23 ss.; A. GENTILI, Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Rass. dir. civ., 2007, 19.
[5] A. NIGRO, Il fondo patrimoniale tra modifica del contenuto e scioglimento, in Not., 2013, 39: «I beni del fondo costituiscono un patrimonio di destinazione, essi dovrebbero avere quale finalità quella di contribuire alla sicurezza anche economica della famiglia, costituiscono inoltre un patrimonio separato nel senso che i beni costituiti in fondo sono sottratti al principio sancito dall’articolo 2740 c.c. in quanto l’esecuzione sugli stessi può aver luogo per inadempimento di debiti contratti per rispondere alle esigenze della famiglia e non per scopi estranei».
[6] Cass., 10 maggio 2019, n. 12545. Per la giurisprudenza di merito, in tal senso espressamente la pronuncia in commento. Si veda poi Cass., 6 marzo 2019, n. 6450, la quale ha ritenuto che la mancata annotazione dell’atto costitutivo del fondo a margine dell’atto di matrimonio comporti “inefficacia relativa” dello stesso, i.e. nei confronti dei terzi, rimanendo il medesimo perfettamente efficace nei rapporti tra i coniugi. Non si dimentichi, infatti, che secondo la dottrina assolutamente prevalente (per tutti L. GUGLIELMINO – B. NASTRINO – P. SIMONETTI, Manuale notarile, II ed., a cura di L. Genghini, Roma, 2019, 15 e 16), il fondo patrimoniale – insieme alla comunione (legale) e alla separazione dei beni rappresenta una convenzione matrimoniale con la quale i coniugi possono decidere di regolare i loro reciproci rapporti patrimoniale manente matrimonio. Il fondo patrimoniale, poi, qualora abbia ad oggetto beni immobili, deve essere trascritto nei pubblici registri ai sensi dell’art. 2647 c.c.; tale forma di pubblicità, tuttavia, assumendo il valore di mera pubblicità-notizia, non è da sola sufficiente a rendere il fondo opponibile ai creditori in assenza dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio (Cass., 23 settembre 2013, n. 21725: «La costituzione del fondo patrimoniale è opponibile ai terzi solo in quanto sia stata annotata a margine dell'atto di matrimonio, in quanto la trascrizione imposta per gli immobili dall'art. 2647 c.c. risponde ad una funzione di pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti del vincolo di indisponibilità»; Cass., 12 dicembre 2013, n. 27854: «La costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 cod. civ. è soggetta alle disposizioni dell'art. 162 cod. civ., circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del quarto comma, che ne condiziona l'opponibilità ai terzi all'annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647 cod. civ., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo»).
[7] Molto dibattuto è cosa debba intendersi per “bisogni della famiglia” e, conseguentemente, quali siano i crediti per i quali i creditori possono aggredire i beni costituiti in fondo. Secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, la locuzione starebbe ad indicare non solo le esigenze volte al pieno mantenimento e all'armonico sviluppo della famiglia ma anche quelle destinate a potenziare le capacità lavorative di uno dei coniugi, eventualmente imprenditoriali, così che sarebbero da escludere soltanto le esigenze di carattere voluttuario e quelle caratterizzate da intenti meramente speculativi, nonché le obbligazioni contratte per finalità non meritevoli di tutela (Cass., 26 agosto 2014, n. 18248, che ha ritenuto che «anche il credito extracontrattuale è ammesso a soddisfacimento sui beni in fondo patrimoniale, purché sussista una relazione tra il fatto generatore (o fonte generatrice) e le esigenze familiari»; Cass., 24 febbraio 2015, n. 3788; Cass., 24 febbraio 2016, n. 3600; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4593, per la quale addirittura anche il reddito da evasione fiscale può essere destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, gravando sul debitore l’onere di dimostrare che il debito verso il fisco è determinato da scopi voluttuari estranei ai bisogni della famigli; App. Lecce, 28 aprile 2016, in laleggepertutti.it, pag https://www.laleggepertutti.it/130424_chi-non-paga-le-tasse-perde-la-casa-nel-fondo-patrimoniale), fino a dettare una generale presunzione di inerenza dei debiti contratti dai coniugi ai bisogni della famiglia (in tal senso Cass., 15 marzo 2006, n. 5684; Cass., 19 febbraio 2013, n. 4011; Cass., 5 marzo 2013, n. 5385; Trib. Reggio Emilia, 20 maggio 2015, in Not., 2015, 600 ss., per il quale «ai fini dell’applicazione del divieto di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale ex art. 170 c.c., a livello soggettivo ed ai fini del riparto dell’onere probatorio, spetta al debitore provare che il creditore conosceva l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia, essendovi una presunzione di inerenza dei debiti alle esigenze famigliari, anche in ragione del disposto dell’art. 143 comma 3 c.c.; a livello oggettivo, va fornita un’interpretazione estremamente ampia della categoria dei bisogni della famiglia che giustificano l’esecuzione anche sul fondo patrimoniale, corrispondentemente riducendo la portata del divieto dell’articolo 170 c.c., che deroga alla regola della piena responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.»). A questa linea interpretativa pare aver prestato adesione anche la dottrina (v. M. PISELLI, Fondo patrimoniale: fra i debiti anche gli oneri condominiali, in Quotidiano del Diritto – IlSole24Ore, 17 novembre 2014, pag. http://quotidianodiritto.ilsole24ore., per il quale, tra i debiti che legittimano l’aggressione dei beni costituiti in fondo, rientrano quelli per oneri condominiali e per spese processuali sopportate dal condominio per riscuotere detti oneri ove relativi ad un immobile costituito in fondo patrimoniale; A. A. MORAMARCO, Fondo patrimoniale, il mancato pagamento di imposte rientra nei bisogni familiari, in Quotidiano del Diritto – IlSole24Ore, 26 agosto 2016, pag. http://quotidianodiritto.ilsole24ore., secondo cui «le spese sostenute per il potenziamento della capacità lavorativa del coniuge, ovvero i risparmi conseguiti omettendo di pagare imposte e tributi, anche di derivazione imprenditoriale, costituiscono debiti contratti per i bisogni della famiglia; F. CARINGELLA e L. BUFFONI, Manuale di Diritto Civile, VI ed., Roma, 2016, 1937 e 1938, secondo i quali «La disposizione di cui all’art. 170 c.c. non va, tuttavia, intesa in senso restrittivo come riferentesi alla necessità di soddisfare l’indispensabile per il sostentamento della famiglia, bensì […] nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia stessa nonché al potenzialmente della sua capacità lavorativa, restando esclude le sole esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi»; N. COSPITE, sub Art. 170, in G. CIAN e A. TRABUCCHI, Commentario Breve al Codice Civile, cit., 298 e 299, per il quale «Il riferimento è alle esigenze connesse con il ménage domestico-familiare secondo le condizioni economiche e sociali della famiglia, interpretate anche alla luce di quanto i coniugi abbiano in concreto voluto attuare […]. Anche i bisogni individuali dei componenti la famiglia possono rientrare tra i bisogni della famiglia»; CNN Studio n. 2384 del 1999, Obbligazioni familiari e fondo patrimoniale: i limiti all'esecuzione, cit., 12).
[8] L. GENGHINI, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, cit., 312. Le tre categorie sono richiamate anche da Cass., 24 febbraio 2016, n. 3600.
[9] A questa categoria i creditori sono da ricondurre quando non soltanto il loro credito ma anche il loro titolo di prelazione sia anteriore alla costituzione del fondo. Diversamente, i.e. in caso di titolo di prelazione successivo, questi andranno inseriti nella categoria sub c).
[10] Premesso quanto già detto alla nota precedente, rientreranno in questa categoria i creditori con credito anteriore alla costituzione del fondo ma con titolo di prelazione posteriore e quelli il cui credito (e, di conseguenza, anche il titolo di prelazione) sia sorto dopo la costituzione (e adeguata pubblicizzazione) del fondo patrimoniale.
[11] «Per comprendere, dunque, il regime giuridico di opponibilità occorre distinguere tra i creditori titolari di ipoteca iscritta prima che della costituzione del fondo sui medesimi beni, i creditori chirografari nonché i creditori titolari di ipoteca iscritta su beni già conferiti al fondo. Con riferimento alla prima categoria di creditori, essi possono pignorare gli immobili ipotecati anche quando il pignoramento sia eseguito dopo l’annotazione e la trascrizione del fondo. E ciò poiché il diritto reale di garanzia non può essere frustrato da atti dispositivi successivi adottati dai debitori poiché con l’iscrizione dell’ipoteca sorge immediatamente per il creditore il potere di espropriare il bene, ex art. 2808 c.c., con prevalenza rispetto ai vincoli successivi. Quanto, invece, ai creditori chirografari, gli stessi hanno diritto a sottoporre a pignoramento i beni di cui all'art. 170 c.c. se la costituzione del fondo è annotata e trascritta in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento, semprechè il creditore al momento del sorgere dell'obbligazione ignorava che la stessa era stata assunta per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Di converso, l'azione esecutiva non può essere esperita quando il fondo è annotato e trascritto tempestivamente, semprechè il creditore, al momento dell'assunzione dell'obbligazione, conoscesse che la stessa era stata assunta per bisogni estranei a quelli familiari» (in questi termini l’ordinanza del Tribunale di Agrigento in commento).