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Pubbl. Ven, 19 Giu 2015

Coercizione indiretta: astreinte amministrativa ed effettività del giudicato. Applicabilità nel giudizio di ottemperanza di una pena pecuniaria.

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Valeria Lucia


Il Consiglio di Stato, con l’Adunanza Plenaria n. 15 del 25 giugno 2014, ha preso posizione favorevole rispetto alla applicabilità della penalità di mora, art. 114, comma 4, lettera e) del codice del processo amministrativo, altrimenti detta ‘astreinte’, anche quando la decisione da ottemperare ha ad oggetto una prestazione pecuniaria, in ossequio alle richieste della Corte di Giustizia, per cui “il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l’ordinamento giuridico di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte.”


Ottenuta la decisione giudiziale, non sempre la parte vittoriosa riesce ad ottenere quanto statuito in suo favore; ciò si traduce in una inaccettabile carenza dell’ordinamento giuridico in termini di effettività delle decisioni emesse. Il nostro Legislatore ha ritenuto di poter garantire l’effettività delle decisioni degli organi giurisdizionali attraverso il recepimento delle astreintes, modelli giurisprudenziali di coercizione indiretta, di derivazione francese, con cui perseguire la specifica finalità di spingere un obbligato inadempiente alla coazione all’adempimento. Tale coazione si realizza prevedendo una somma da pagare da parte dell’obbligato inadempiente, qualora si rifiuti di ottemperare all’ordine del giudice di eseguire la prestazione dovuta.

Con la riforma del processo civile, attuata con la legge n. 69 del 18 giugno 2009,  nel nostro ordinamento per la prima volta ha trovato ingresso un meccanismo di coazione indiretta simile alle astreintes, art. 614–bis c.p.c., con cui è demandato al giudice di fissare una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni sua violazione, successiva inosservanza o ritardo nell’esecuzione di un obbligo di fare infungibile o di non fare. (Argomento già diffusamente trattato qui).

Tra le molteplici innovazioni introdotte dal codice del processo amministrativo nell’ordinamento, di sicuro interesse è l’art. 114, comma 4, lett. e), con cui è stata introdotta la facoltà per il giudice amministrativo di imporre alla Pubblica Amministrazione il pagamento di una astreinte per il ritardo nell’esecuzione della sentenza o per ogni violazione del giudicato. L’introduzione delle astreintes nel nostro ordinamento rappresenta certamente una delle innovazioni maggiormente in linea con il principio di cui all’art. 1 del codice del processo amministrativo, per cui deve essere garantita una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo.

Quanto ai presupposti di applicazione dell’art. 114, comma 4, lett. e) c.p.a.,  diversamente dalle astreintes francesi, si tratta di un potere esercitabile solo su istanza di parte e non d’ufficio, come per gli altri poteri di esecuzione del giudicato; pertanto, il ricorso alle astreintes è fortemente vincolato all’impulso di parte, sia in fase di ottemperanza, sia in sede di adozione delle misure di esecuzione del giudicato unitamente alla cognizione del merito, in ossequio ai limiti processuali imposti nel rispetto del principio dispositivo. Buona parte della dottrina, rispetto alla latitudine applicativa dell’istituto, non ha mancato di individuare un primo limite nel mancato riferimento ai riti speciali, come può essere quello sul silenzio o in materia di accesso agli atti, che maggiormente potrebbero giovarsi dell’applicabilità dell’astreinte.

Un elemento dell’istituto che ha creato un vivace dibattito giurisprudenziale è quello relativo alla natura della prestazione oggetto della decisione inottemperata, in particolare per le prestazioni pecuniarie.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, l’astreinte introdotta nell’ambito del giudizio di ottemperanza non è applicabile quando l’esecuzione del giudicato consiste nel pagamento di una somma di denaro. Per i sostenitori di tale orientamento restrittivo, l’obbligo oggetto di domanda giudiziale di adempimento, in quanto di natura pecuniaria, sarebbe già assistito per il caso di ritardo nel suo adempimento dall’obbligo accessorio di pagamento degli interessi legali. Diversamente argomentando, sempre secondo tale orientamento, la somma riconosciuta a titolo di astreinte andrebbe ad aggiungersi agli interessi legali, determinando così una duplicazione ingiustificata delle misure compensative dell’entità del pregiudizio derivante all’interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione del giudicato. L’effetto sarebbe quello di un ingiustificato arricchimento del creditore, cumulandosi prestazione principale e prestazione accessoria.

Sul punto però la giurisprudenza amministrativa non si è dimostrata univoca, si è infatti affermato anche un diverso orientamento interpretativo, peraltro suffragato con l’intervento del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 15 del 25 giugno 2014, secondo cui è applicabile l’istituto dell’astreinte per ritardo nell’esecuzione del giudicato non solo ai casi di ottemperanza a sentenze comportanti per la Pubblica Amministrazione obblighi di fare o non fare, ma anche alle condanne al pagamento di somme di denaro.

Il Consiglio di Stato, con la citata Adunanza Plenaria, non solo risolve il contrasto insorto in relazione alle condanne al pagamento di somme di denaro, ma coglie l’occasione per definire i tratti peculiari dell’astreinte amministrativa e le conseguenti differenze rispetto a quella di derivazione civilistica.

In primis viene individuata la natura giuridica dell’istituto, con la premessa che tale strumento serve a realizzare una coazione all’adempimento nei confronti del debitore e a garantire l’applicazione del principio di effettività. Secondo l’Adunanza Plenari esistono diversi strumenti a tutela della posizione creditoria, tra cui: la responsabilità contrattuale, art. 1218 c.c.; la responsabilità extracontrattuale, art. 2043 c.c.; le pene private, che derivano da un contratto o dallo status dei privati; i danni punitivi, utilizzati nei sistemi di common law per punire il danneggiante aggiungendosi alle somme derivanti dal risarcimento; nonché le sanzioni civili indirette, misure afflittive patrimoniali previste espressamente ex lege e applicate in via esclusiva dallo Stato. Ciò premesso, le astreintes, sempre secondo tale orientamento estensivo, rientrerebbero in tale ultima categoria, essendo la loro funzione coercitivo-sanzionatoria e non già riparatoria, in ciò distinguendosi dalle forme di risarcimento del danno, anche perché è lo stesso art. 614-bis c.p.c. ad individuare la misura del danno come uno solo dei parametri di quantificazione dell’astreinte. Per tali motivi, l’argomento equitativo per cui l’astreinte rappresenta una pena e non un risarcimento, consente l’applicazione estensiva anche alle pene pecuniarie, essendo indifferente l’oggetto della prestazione inottemperata.

Ben consapevole della complessità della questione giuridica proposta, l’Adunanza Plenaria ha individuato anche ulteriori argomenti, tra cui uno di ordine letterale per cui, relativamente alla diversità rispetto all’art. 614-bis c.p.c., in ambito civilistico il Legislatore ha espressamente previsto il limite del facere o non facere infungibile della prestazione, mentre in ambito amministrativo non vi è traccia di alcuna previsione restrittiva.

Sempre secondo l’Adunanza Plenaria, la lettura dell’istituto in un’ottica comparatistica rimanda alla funzione sanzionatoria dell’astreinte francese, quale pena per la disobbedienza ad una statuizione giudiziale. L’astreinte come misura sanzionatoria e non già risarcitoria è confermata anche a livello sistematico, in quanto è diversa la tecnica di esecuzione a livello amministrativo, essendo le prestazioni nel giudizio di ottemperanza tutte surrogabili.

In una ottica di migliore efficienza ed efficacia del processo amministrativo, è irragionevole non seguire le istanze estensive dell’Adunanza Plenaria in riferimento, considerando peraltro che con l’art. 1 del codice del processo amministrativo il nostro ordinamento auspica un miglioramento degli standard non solo nel rispetto della Costituzione, ma anche del diritto europeo. Rispetto ai principi costituzionali l’applicazione estensiva dell’astreinte permetterebbe, unitamente ad una pluralità di azioni amministrative esperibili, un migliore soddisfacimento dell’art. 24 della Costituzione, attraverso una pluralità ed una diversificazione degli strumenti di difesa offerti al privato. Sul versante europeo una maggiore latitudine applicativa dell’istituto renderebbe sicuramente merito alle ormai ripetute pronunce della Corte di Giustizia, con cui a più riprese ha ribadito che “il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l’ordinamento giuridico di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte.”