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Pubbl. Ven, 26 Giu 2015

Disciplina in materia di immigrazione e asilo politico. Alcune riflessioni sul tema.

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Eva Aurilia


Perché gli immigrati non vengono espulsi? Cosa ottiene chi chiede asilo politico?


1) Premessa: il panorama geopolitico

L’immigrazione designa il fenomeno di insediamento o spostamento di persone, dal Paese d’origine o provenienza, ad un altro, in maniera temporanea o definitiva dovuto, nel corso dei secoli, a motivi ed esigenze sempre diverse, prevalendo, spesso la necessità di trovare un lavoro e garantirsi i mezzi di sussistenza.

Il nostro Paese, soprattutto nel XIX secolo, ha visto gli italiani raggiungere altre mete, conquistandosi l’appellativo di paese di emigranti. Oggi, invece, si fa porto di numerosi flussi migratori. Tuttavia, coloro che raggiungono l’Italia non sono più gli aspiranti lavoratori provenienti dall’Est dell’Europa, dall’Asia o America Latina.

La crisi economica e il proliferare delle guerre, infatti, spinge gran parte del Nord-Africa e del Medio Oriente ad approdare nell’universo dei diritti e della democrazia, l’Europa, e negli ultimi anni, in particolare, in Italia, per la quale l’immigrazione è divenuto un fenomeno strutturale. Si tratta dei “nuovi immigrati”, di coloro che raggiungono le nostre coste sotto l’appellativo o le mentite spoglie di rifugiati, chiedendo asilo politico.

La situazione italiana è esasperata però dalla immigrazione illegale e clandestina, fiore all’occhiello delle grandi organizzazioni criminali che toccano i vertici istituzionali e non dell’intero stivale, trasformando le necessità, talvolta non reali, di milioni di persone in un’occasione lucrativa e speculativa, dando vita ad un business, secondo i molti, senza precedenti. Mafia Capitale, solo un esempio.

È proprio il tema dell’immigrazione clandestina e dell’emergenza rifugiati a riempire le pagine dei quotidiani. Si tentano di spiegare cause, effetti, possibili soluzioni. Intanto il fenomeno è tutt’altro che circoscritto e lungi dall’essere ridimensionato.

Prima di procedere all’analisi della normativa vigente, occorre un chiarimento preliminare.

Le norme in materia di immigrazione fanno riferimento e sono applicabili allo “straniero”, cioè al cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea e all’apolide, ossia a colui che risulta privo di qualsiasi cittadinanza.

Lo straniero “comune” è meglio conosciuto come immigrato, e si fa riferimento a colui che per scelta si sposta dal Paese di origine o provenienza. È colui che è in cerca di un lavoro o di condizioni migliori di vita. Requisiti e condizioni sono previsti per l’ingresso, il soggiorno e la permanenza nel nostro Paese.

Il mancato rispetto di detti requisiti e condizioni rende lo straniero clandestino, costretto spesso a pagare prezzi elevati e a mettere a rischio la propria vita per raggiungere l’Italia.

È irregolare, invece, lo straniero che abbia perduto i requisiti per il soggiorno in Italia, come nel caso del permesso di soggiorno scaduto o non rinnovato.

Diversamente, il rifugiato (denominato anche profugo) è colui che lascia il proprio Paese di origine o provenienza non per scelta, ma perché costretto da circostanze estranee alla propria volontà, quali guerre, regime statale e politico ostile o non democratico, perché perseguitato a causa della sua razza, religione, nazionalità, per il gruppo sociale al quale appartiene, per le sue opinioni politiche.
Il rifugiato può ottenere il riconoscimento di tale status attraverso apposita domanda che gli garantisce una vasta gamma di prerogative rispetto a quelle riconosciute agli immigrati, ai quali si guarda maggiormente nell’ottica dell’integrazione. Basti pensare al fatto che “nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. (Art. 33 Conv. Di Ginevra, 1951).

2) La normativa in materia di immigrazione

Soffermiamoci sulla normativa vigente in materia di stranieri, immigrati clandestini e richiedenti asilo.

La disciplina relativa agli stranieri e agli apolidi è contenuta nel D.Lgs. n. 286/1998 “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” come poi successivamente modificato da numerosi interventi legislativi tra i quali ricordiamo la legge Bossi-Fini (189/2002), la L. 94/2009 che introduce il reato di ingresso e soggiorno illegale, L. 161/2014 e il D.L. 7/2015.

2.1) L'ingresso dello straniero (D.Lgs. n. 286/1998)

L’ingresso nel territorio italiano dello straniero è consentito a condizione che:

  1. si presenti attraverso un valico di frontiera appositamente istituito, salvi i casi di forza maggiore (art.4,1);
  2. sia in possesso di un passaporto valido o di altro documento di viaggio equipollente e del visto d’ingresso (salvo, per quest’ultimo, i casi di esenzione) (art.4,1);
  3. ferme le quote massime di stranieri, determinate annualmente, da ammettere nel territorio dello Stato (art.3,4), è consentito l’ingresso allo straniero che disponga di documenti che giustifichino lo scopo e le condizioni del soggiorno e dimostri di disporre di mezzi finanziari sufficienti in relazione alla natura, alla durata prevista del soggiorno, ed alle spese per il ritorno nel Paese di provenienza (o per il transito verso uno Stato terzo) (art.4,3);

Non può fare ingresso nel nostro paese lo straniero che (art. 4, comma 3 e 4):

  1. non soddisfi i requisiti sopra indicati;
  2. sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone;
  3. risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite;
  4. impedisce l’ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale;
  5. lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone;

2.2) Soggiorno per gli stranieri (D.Lgs. n. 286/1998)

"Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del presente testo unico o che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi." (Art. 5)

Nonostante la varietà dei permessi di soggiorno richiedibili e i diversi motivi deducibili a tale scopo, particolare interesse suscita il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, tra i più richiesti, che può essere rilasciato soltanto a seguito di un contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previsto dall’art 5-bis del T.U., che deve contenere:

  1. la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica;
  2. l'impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.

In particolare il datore di lavoro deve rivolgersi allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza e presentare apposita richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, individuando quindi il lavoratore da assumere.

2.3) Conseguenze del mancato rispetto dei requisiti per l'ingresso: il respingimento. (Art. 10)

"La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato." (art. 10, comma 1)

"Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri:

a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo;
b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso." (art. 11, comma 2)

Queste disposizioni non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari.

Per lo straniero respinto è prevista l'assistenza necessaria presso i valichi di frontiera.

2.4) (Segue) L’espulsione. (Art. 13)

L'espulsione, invece, conosce due varianti:

A) quella amministrativa (art.13), disposta dal Ministro degli Interni per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ovvero disposta dal prefetto nei casi tassativamente indicati, tra i quali proprio l’ipotesi del mancato possesso dei requisiti per l’ingresso nel territorio dello Stato, senza che però questo abbia dato precedentemente luogo ad un respingimento.
Si tratta comunque di una espulsione legata al mancato rispetto delle prescrizioni previste dagli articoli precedenti.
Il Decreto Legge n. 7 del 18 febbraio 2015 ha previsto un caso ulteriore di espulsione amministrativa: quando lo straniero ha commesso reati con finalità di terrorismo anche internazionale o quando ha compiuto atti finalizzati a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un'organizzazione terroristica.

B) quella disposta dal giudice in seguito a condanna penale (se emanata per un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza), sempre che il condannato straniero risulti socialmente pericoloso. Quindi, oltre alla condanna alla pena vera e propria, il giudice può ordinare che, dopo l’espiazione della pena, il cittadino straniero venga espulso. L'espulsione, quindi, non è automatica.
L’altro caso è quello della espulsione a titolo di sanzione sostitutiva alla detenzione, cioè disposta dal giudice in sostituzione della pena detentiva. Per fare questo, però, si devono verificare tre condizioni:

  • lo straniero condannato deve essere espellibile immediatamente secondo le regole che governano l’espulsione amministrativa: ingresso clandestino, per irregolarità del soggiorno o per sospetta irregolarità sociale;
  • la condanna a pena detentiva deve essere conseguente a reato (in materia di immigrazione) con pena massima non superiore a due anni e non deve riguardare delitti di particolare gravità (ad esempio, il delitto di strage, terrorismo, fabbricazione vendita e detenzione di armi, associazioni di tipo mafioso);
  • il giudice deve ritenere di non poter concedere la sospensione condizionale della pena.

3) Per contrastare il fenomeno della immigrazione clandestina

La L. 94/2009 (pacchetto sicurezza) introduce il reato di ingresso e soggiorno illegale ex art 10-bis che si affianca al reato di falsità in titolo di soggiorno ex art. 5; omessa esibizione dei documenti identificativi ex art. 6; al reato di permanenza illegale nel territorio dello stato ex art. 14 co. 5-ter e 5-quater .

In particolare l’art. 10-bis, 1 comma, prevede che: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale".   

La contravvenzione in esame rientra nella competenza del Giudice di Pace. La ratio dell’incriminazione è duplice: creare uno strumento giuridico che renda più incisivi ed efficaci i provvedimenti di espulsione ed allontanamento ed introdurre un deterrente psicologico nei confronti dei soggetti che intendono entrare o rimanere clandestini in Italia.

Il bene protetto dalla norma è la sicurezza pubblica, la quale risulta pregiudicata dall’ingresso di persone che, in quanto sfornite dei requisiti di ammissibilità nel territorio dello Stato, sono potenzialmente pericolose.

Quanto al soggetto attivo, il reato può essere commesso soltanto dallo straniero.

Sotto il profilo materiale, si ricade nella fattispecie di cui all'art 10-bis, qualora lo straniero tenga, in maniera alternativa, una duplice condotta:
La prima riguarda l’ingresso illegale che consistente nell’introdursi nel territorio italiano violando le norme dettate in materia dal testo unico sull’immigrazione e dalla L. 28 maggio 2007, n. 68.
La seconda è invece rappresentata dal cd. trattenimento o soggiorno illegale e punisce chi, pur essendo regolarmente entrato in Italia, vi permane pur non essendo più legittimato (straniero irregolare).  

La dottrina si è mostrata fin da subito perplessa in ordine alla legittimità costituzionale della nuova incriminazione. La Consulta, investita della questione, ha tuttavia salvato la fattispecie, osservando come la norma in discorso non risulti in contrasto con il principio di offensività, posto che la stessa non punisce la mera disobbedienza o addirittura il mero status di clandestino, quanto piuttosto condotte che si pongono in contrasto con l’interesse pubblico al controllo e alla gestione dei flussi migratori, interesse non certo arbitrario, ma meritevole di considerazione. Osserva infatti la Corte che l’ordinata gestione dei flussi migratori rappresenta un bene strumentale per la tutela di quelli finali, quali la sicurezza, la sanità pubblica, l’ordine pubblico (Corte cost., sent. 08/07/2010, n. 250).

L’introduzione di questa fattispecie di reato non ha prodotto alcun miglioramento come non hanno mancato di notare in molti, tra cui importanti cariche istituzionali. Al contrario ha portato allo stallo gli uffici giudiziari, ogni giorno oberati da notizie di questo iniquo reato e la condanna ad ammende non pagate da nessuno.

Il reato in questione sembra destinato a scomparire, assorbito nel più ampio processo di depenalizzazione dei reati “minori”.

4) Perché migliaia di clandestini continuano a fare ingresso e a soggiornare nel territorio dello Stato pur trovandosi in situazioni per le quali scatterebbe il respingimento o l’espulsione?

Una prima risposta può essere individuata già nell’art. 19 del T.U. rubricato “divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili", a tenore del quale:

"In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione." (art. 19, comma 1)

"Non è consentita l'espulsione, salvo che nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1 (ordine pubblico o sicurezza dello Stato), nei confronti:

  • degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;
  • degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9;
  • degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana ;
  • delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono;" (art. 19, comma 2)

Inoltre, continua l'art. 19, all'art. 2-bis introdotto dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89 , "il respingimento o l'esecuzione dell'espulsione di persone affette da disabilità, degli anziani, dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate."

Si tratta di una parte importante di stranieri che raggiungono il nostro Paese e nei cui confronti non è possibile procedere nè al respingimento nè all'espulsione.

Il motivo principale, tuttavia, viene individuato nelle numerose richieste volte ad ottenere lo status di rifugiato politico, che accorda agli stranieri numerose prerogative.

Già la Legge Bossi-Fini (Legge 189/2002) era intervenuta, in maniera transitoria, con il dichiarato obiettivo di risolvere il problema dell’abuso delle richieste di asilo, presentate, secondo il governo in carica allora, per aggirare le norme sull’immigrazione.

Tale finalità è chiaramente espressa nella relazione illustrativa del disegno di legge presentato alle Camere: “[…] il disegno di legge pone mano ad un vecchio problema ancora irrisolto. In attesa di una disciplina organica in materia di diritto di asilo, che si ritiene comunque di rinviare a quando saranno definite le procedure minime – identiche per tutta l’Unione europea – attualmente in discussione a Bruxelles, mutuando proprio le norme attualmente al vaglio del Consiglio europeo, il Governo ha ritenuto almeno di risolvere il problema costituito dalla domande di asilo realmente strumentali, ossia presentate al solo scopo di sfuggire all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento ormai imminente. Finora la normativa vigente – l’articolo 1 della cosiddetta legge Martelli – imponeva non solo la sospensione del provvedimento di allontanamento, ma anche la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio in attesa del giudizio della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato che non sarebbe mai arrivato in quanto circa il novanta per cento dei presentatori di queste domande strumentali facevano poi perdere le loro tracce. La disciplina introdotta, invece, precedendo l’approvazione della direttiva in esame, instaura – per quelle domande che si ritengono manifestamente infondate – una ‘procedura semplificata’ che si concluderà entro i tempi previsti per il trattenimento nei centri di permanenza temporanei” (Relazione illustrativa del d.d.l. A.S. 795).

5) Chi può chiedere asilo politico?

L'art.10, comma 3, della Costituzione italiana, prevede che "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".
La Convenzione di Ginevra del 1951, aggiunge all'art.1 che può ottenere lo status di rifugiato politico lo straniero che, trovatosi per qualunque ragione fuori dallo Stato di residenza e abbia giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, non voglia o non possa rivolgere domanda di protezione proprio allo Stato in questione(si pensi all'ipotesi in cui l'agente di persecuzione sia lo Stato medesimo, o altro ente pubblico o il partito politico di spicco). Analogamente dicasi per l'apolide.

6) Disciplina sovranazionale di protezione e accoglienza.

La disciplina è contenuta nel D.Lgs n. 25/2008 recentemente integrato dal D.P.R n. 21/2015.

La domanda di protezione internazionale o di protezione sussidiaria è esaminata da un solo Stato, che è quello individuato in virtù dei criteri presivisti dal regolamento cd. Dublino III (regolamento 2003/343/CE), ovvero il primo Paese d'approdo dello straniero.
Nell'ipotesi in cui non sia possibile procedere all'individuazione in base ai criteri previsti, è competente il primo Stato nel quale la domanda è stata presentata. La domanda può essere presentata presso la Polizia di frontiera o presso la Questura competente. Nel primo caso, l'autorità di frontiera invita formalmente lo straniero a recarsi entro otto giorni presso l'ufficio della Questura competente alla formalizzazione della domanda, avvisandolo che in mancanza sarà considerato come "irregolarmente presente sul territorio dello Stato" (art.3,1 Dpr 21/2015).

Questo meccanismo e le lungaggini della relativa procedura fanno si che l'Italia sia spesso solo un Paese di transito e molti immigrati, infatti, oltrepassano i confini prima che sia possibile rilevarne le impronte.
Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, o comunque acquisite dalla Commissione stessa.

La Commissione territoriale provvede al colloquio con il richiedente entro trenta giorni dal ricevimento della domanda e decide entro i tre giorni feriali successivi. Qualora la Commissione territoriale, per la sopravvenuta esigenza di acquisire nuovi elementi, non abbia potuto adottare la decisione entro detti termini, informa del ritardo il richiedente e la questura competente (art. 27,2 D.lgs 25/2008).
Il colloquio può essere omesso laddove la Commissione ritenga di avere sufficienti motivi per accogliere la domanda (art. 12) ovvero non procede all'esame della domanda, dichiarandola inammissibile, se il richiedente é stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione oppure se il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine (art. 29).

Lo straniero viene ospitato in un Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) per il tempo necessario all'esame della domanda, e comunque non oltre 35 giorni. Terminato il periodo di accoglienza, al richiedente viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo valido 3 mesi e rinnovabile fino al momento della decisione (art. 20, 3).

Lo straniero sospettato di essere criminale di guerra o che è stato espulso per motivi di ordine e sicurezza pubblica, o già condannato per alcuni tipi di reati, può essere però trattenuto nei Centri di permanenza temporanea.

A questo punto la Commissione può:

  • riconoscere lo status di rifugiato;
  • riconoscere lo status di protezione sussidiaria;
  • rigettare la domanda attraverso un provvedimento motivato, alla luce della mancanza dei presupposti ovvero per manifesta infondatezza qualora risulti che la domanda sia stata presentata allo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento. (art. 32)

E' anche possibile che la Commissione, pur non accogliendo la domanda, ritenga che sussistano gravi motivi di carattere umanitario che impediscono allo straniero di rientrare nel suo Paese senza subire danni. In questo caso, la Commissione trasmette gli atti alla Questura territorialmente competente per l'eventuale rilascio di un permesso di soggiorno. 

Ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, lo straniero potrà richiedere all'Ufficio Immigrazione il rilascio del permesso di soggiorno.

Il permesso di soggiorno per asilo politico:

  • ha una durata di 5 anni (laddove invece per l'immigrato la durata varia in relazione ai motivi indicati nel visto di ingresso);
  • è rinnovabile;
  • consente l'accesso allo studio;
  • consente lo svolgimento di un'attività lavorativa (subordinata o autonoma), incluso l'accesso al pubblico impiego al pari di un cittadino dell'UE.
  • dà diritto alle prestazioni assistenziali dell'Inps (assegno sociale e pensione agli invalidi civili) ed all'assegno di maternità concesso dai Comuni.

Inoltre, i cittadini stranieri rifugiati godono degli stessi diritti riconosciuti ai cittadini italiani, fatta eccezione per quelli che presuppongono la cittadinanza italiana.

Non si applicano, inoltre, le disposizioni dettate in materia di respingimento ed espulsione dal Testo Unico.

L'espulsione del richiedente asilo politico consegue al diniego della domanda inoltrata in via ordinaria o a seguito di procedura semplificata.
Non è ammessa la espulsione dello straniero anteriormente alla definizione in via amministrativa della istanza di asilo avanzata dallo stesso.

L'espulsione inoltre non risulta ammissibile in pendenza di ricorso davanti al Giudice ordinario avverso il rigetto della decisione.

7) Spunti riflessivi

Bisogna tuttavia evitare di ragionare per luoghi comuni, attribuendo agli immigrati la "responsabilità" della crisi che colpisce l'Italia nel settore del lavoro, non essendo un'affermazione di questo tipo supportata da dati statistici di rilevanza scientifica.
Spesso sono infatti gli italiani ad aver richiesto in passato e a richiedere, ancora, la mano d'opera degli immigrati. Si tratta di quella che i sociologi descrivono usando la formula 3D. Si tratta di una sigla composta dalle iniziali di dirty, dangerous, demanding (sporco, pericoloso, faticoso): sono le caratteristiche delle occupazioni che si aggiudicano gli immigrati e che gli italiani escludono o evitano.
Sostanzialmente è come se l'occupazione degli immigrati e quella degli italiani viaggiassero su due linee parallele, nel senso che l'una è estranea all'altra.

Altrettanto dubbia è l'affermazione che lo Stato italiano "spenda troppo" per gli immigrati: "Nel complesso, le spese legate all'immigrazione rappresentano meno del tre per cento dell'intera spesa sociale", sancisce l'Ocse: "molto meno dei fondi dedicati alle politiche per l'infanzia (circa il 40 per cento), la famiglia, per disabili e anziani (circa il 20 per cento ciascuna)", anche se naturalmente "gli immigrati sono inclusi tra gli utenti della politica sociale generale a livello locale". I soldi specificatamente destinati per l'integrazione sono però pochi, e spesi male. "Il Fondo nazionale per le politiche migratorie, una parte del fondo sociale nazionale, ha sofferto della riduzione generale dei fondi sociali, passando da 16,5 milioni di euro nel 2006 a 6,2 milioni di euro nel 2012 e a 6,8 milioni nel 2013", scrivono gli autori: "Le risorse comunitarie destinate alle iniziative relative all'immigrazione sono tuttavia aumentate (il Fondo europeo per l'integrazione è salito da 15,1 milioni del 2009 a 37 milioni nel 2013)". (Fonte: "Il Sole 24 Ore").

Secondo un rapporto pubblicato dalla Fondazione della Cei, il numero delle partenze dall'Italia ha superato quello degli arrivi dei lavoratori stranieri: +16,1 per cento rispetto al 2012. Tra le cause della fuga ci sono la recessione economica e la disoccupazione.

L'Unione Europea si è impegnata negli ultimi mesi nel trovare un accordo per i richiedenti asilo che ha ad oggetto la loro equa distribuzione equa sul territorio europeo.

Tuttavia, si tratta di un intervento embrionale, riguardando un esiguo numero di rifugiati (si parla di 20mila persone), che saranno distribuiti fra i posti messi a disposizione dai paesi europei in base a criteri quali PIL, popolazione, tasso di disoccupazione e domande d'asilo ricevute. In base a questi criteri, all'Italia spetterebbe una quota di circa il 10 per cento (poco meno di duemila persone) delle 20.000 rientranti in questo progetto. Ventimila rifugiati, per fare un paragone sicuramente esemplificativo, rappresentano in media il numero di rifugiati sbarcati in Sicilia pochi mesi ogni anno.


Photo credits: Emile Lombard, Musée de l'histoire de l'immigration, Paris. Photo Flickr.