Donazione simulata. La causa di nullità diversa è rilevabile d´ufficio
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Chiara Savazzi
L’articolo ha lo scopo di elaborare un’analisi compiuta sugli orientamenti giurisprudenziali e sugli approcci normativi, succedutisi nel tempo, sul tema della rilevabilità d’ufficio delle nullità diverse rispetto all’istanza eccepita in via principale. Assumono un ruolo cardine di questo excursus, le Sezioni Unite del 2012 e del 2014, la riforma legislativa del 2005, ed, infine, la sentenza in esame, del 2019. In particolare, ci si soffermerà altresì, sull’azione di simulazione promossa prima della morte del de cuius, volta ad a notificare l’atto di opposizione alla donazione.
Sommario: 1. Breve introduzione al metodo di analisi. 2. I motivi di ricorso e di appello. 3. Il ricorso in Cassazione. 3.1. Primo motivo, c.d. "formale". 3.2. Secondo e terzo motivo, c.d. "sostanziali. 4. Donanti, donatari e legittimari. 4.1. Donazione e azione di riduzione, ante 2005... 4.2. post 2005. 4.2.1. L'azione di simulazione relativa prima della morte del de cuius. 4.2.1.1. Azione di simulazione relativa e atto di opposizione alla donazione. 4.2.2. Inammissibilità dell'azione di simulazione assoluta. 5. Fulcro della questione: rilevabilità d'ufficio della nullità. 5.1. Sezioni Unite 2012. 5.2. Sezioni Unite 2014. 5.3. Cassazione 2019. 6. Osservazioni finali.
1. Breve introduzione al metodo di analisi.
La pronuncia che ci si propone di analizzare è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, n. 22457 del 9 settembre 2019[1].
La vicenda in esame riguarda una serie di istituti civilistici, le cui discipline si incrociano, anche nella loro evoluzione giurisprudenziale e codicistica. Invero, la sentenza in commento involge l’istituto della simulazione relativa, quello della donazione, dell’azione di riduzione, delle nullità, ed altresì quale introduzione più recente all’interno del codice civile, quello dell’atto stragiudiziale di opposizione alla donazione.
Considerati i numerosi istituti e le relative discipline che emergeranno durante la trattazione, si intende procedere considerando i fatti di causa nella loro progressione, così come analizzati dalla stessa Cassazione, rilevando le istanze delle parti, corroborate dai rispettivi motivi nei tre gradi di giudizio.
É necessario evidenziare, infatti, che sia le ricorrenti sia le controricorrenti hanno dato spazio e risalto, nelle loro argomentazioni, a riflessioni e dubbi giuridici che meritano di non essere tralasciati. Esposti i fatti, si proseguirà ponendo un’attenzione più specifica su singoli istituti, così da fornire un quadro quanto più completo possibile della vicenda, mediante un iter argomentativo relativo alle pronunce giurisprudenziali precedenti a quella in commento.
Fulcro centrale della disamina è il seguente principio di diritto, elaborato dalla Suprema Corte, che servirà altresì da riferimento e collante in tutti i passaggi del presente elaborato: « Il giudice innanzi al quale sia stata proposta un’azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell’atto di opposizione, ai sensi dell’art. 563 c.c. co. 4, deve rilevare di ufficio l’esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello, e sia perciò ormai inammissibile un’espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata, deve rigettare l’originaria pretesa, previo accertamento della nullità, nella motivazione, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.»
2. I motivi di ricorso e d’appello.
La vicenda tra origine da un ricorso, proposto avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano[2]. Le due ricorrenti convenivano in giudizio, in primo i grado, i genitori ed altresì la sorella ed il di lei marito, sostenendo che essi avessero posto in essere una compravendita fittizia, in quanto celante, in realtà, una donazione. Ciò, a loro dire, lo si poteva evincere da una serie di elementi, tra cui il rapporto parentale intercorrente tra i soggetti coinvolti ed il modico prezzo pattuito rispetto al valore degli immobili ceduti. La richiesta delle ricorrenti si basava, dunque, sull’accertamento della natura simulata degli atti, in modo da poter dar luogo all’atto di opposizione alla donazione e potersi avvalere dell’azione di restituzione nei confronti dei terzi aventi causa dei beni donati. I convenuti sostenevano, al contrario, che le vendite fossero reali.
Il giudice di prime cure[3], valutati gli elementi addotti, accoglieva l’istanza delle ricorrenti, sostenendo che mediante la tipologia di atti posti in essere, fosse stata celata una donazione, simulando delle vendite.
In seguito, i convenuti proponevano appello. Essi sostenevano che la domanda attorea non avrebbe dovuto trovare accoglimento poichè, basata sull’accertamento della simulazione relativa oggettiva, non trovava fondamento in quanto l’atto ritenuto dissimulato, ovverosia la donazione, non possedeva in realtà i requesiti essenziali di validità della stessa. In base al codice civile ed alla Legge notarile[4], infatti, la donazione richiede, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico e la presenza di due testimoni; elementi che in tal caso i convenuti reputavano mancanti. La Corte d’Appello accoglieva il gravame presentato dalle parti e, in conseguenza di ciò, rigettava la domanda attorea.
3. Il ricorso in Cassazione.
Le due ricorrenti principali decidevano di proporre ricorso in Cassazione avverso la sentenza d’appello, delineando tre motivi. É bene precisare che il primo motivo risulta a se stante e seguendo la stessa linea di esegesi della Suprema Corte si preferisce trattarlo separatamente dagli altri. Gli altri due, invece, risultano essere avvinti dalla medesima ratio e per tale ragione possono essere analizzati congiuntamente, parallelamente alle considerazioni elaborate dalla Corte su entrambi.
3.1. Primo motivo, c.d. “formale”.
Il primo motivo si incentra su un aspetto che potremmo definire “formale” rispetto ai due successivi. Ciò che viene contestato è un’errata applicazione degli artt. 281 sexies e 132 c.p.c. ed altresì dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la motivazione risulterebbe non sufficientemente esaustiva; inoltre si contesta la modalità di attuazione dell’art. 183 c.p.c., poichè le parti non avrebbero avuto la possibilità di trattare nei giusti termini la questione inerente alla nullità della donazione.
Afferma la Corte che, trattandosi di motivo quello relativo alla nullità presentato in sede di gravame, in quanto motivo principale dello stesso, le parti appellate avevano sia il tempo sia il modo di poter intervenire in proposito, sostenendo le proprie argomentazioni sulla questione; non si trattava, invero, di un elemento rilevato d’ufficio, di cui all’art. 183 co. 4 c.p.c.
Per quanto concerne la presunta mancanza di motivazione, la Corte nega la fondatezza di tale motivo poichè afferma che, nel caso in esame, il giudice dell'appello ha fornito una motivazione adeguata, sebbene sintetica e concisa. Invero, a seguito della riforma di cui alla Legge n. 134 del 2012[5] che ha inciso sulla proposizione del ricorso per vizi attinenti alla motivazione l’impugnazione per la suddetta ragione è ammessa solo qualora il provvedimento sia talmente carente di argomentazioni, sì da risultare un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Le Sezioni Unite, con la sentenza 8053 del 2014[6], avevano elaborato il concetto di “minimo costituzionale”, a cui deve essere ridotto il sindacato di legittimità sulla motivazione. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno rappresentato in modo puntuale la vicenda di cui trattasi, motivando il non accoglimento della domanda attorea in base alla circostanza per la quale la richiesta di accertamento della simulazione relativa oggettiva degli atti di vendita, non avrebbe potuto giungere ad alcuno scopo. L’atto reputato come dissimulato – la donazione – non era stato redatto in presenza di due testimoni, venendo meno il requisito della forma e rivelandosi, dunque, nulla.
3.2. Secondo e terzo motivo, c.d. “sostanziali”.
Proseguendo con il secondo ed il terzo motivo, si rileva che essi attengono maggiormente al cuore della questione, inizialmente proposta dalle ricorrenti. Il primo luogo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1414 e ss. c.c., in quanto preso atto della causa di nullità di cui un atto possa essere inficiato qualora venga promossa l’azione di accertamento della simulazione relativa dello stesso, il giudice dovrebbe dedurre la nullità del negozio stipulato, avendo constatato la mancanza dei requisiti essenziali per la validità della forma.
Di conseguenza la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare che il contratto dissimulato fosse privo del suo nucleo essenziale ed imprescindibile ed inoltre, rigettare il gravame dichiarandolo inammissibile per difetto di interesse. In secondo luogo, essi denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1414 e ss. c.c. e 1418 e ss. c.c., relativamente al rilievo d’ufficio della nullità. Infatti secondo i ricorrenti, considerata la nullità nel negozio, la domanda attorea non avrebbe dovuto essere rigettata, dovendo, al contrario, constatare l’impossibilità dell’atto di produrre qualsiasi tipo di effetto.
Come anticipato, la Suprema Corte ha proceduto ad esaminare le due ragioni suddette congiuntamente, proponendo un ragionamento in parte ancorato a consolidate pronunce giurisprudenziali sull’argomento, in parte innovativo. La Corte sottolinea che la domanda attorea fosse diretta a far accertare la finzione della negoziazione avvenuta fra i vari soggetti, volta in realtà ad arricchire i soggetti riceventi (c.d. donatari), simulando una compravendita. L’intento delle ricorrenti, tuttavia, non era quello di ottenere l’inefficacia delle donazioni che nella realtà erano state poste in essere.
Questo scopo infatti, lo si sarebbe potuto perseguire solo in un secondo momento, mediante l’azione di riduzione, in epoca successiva all’apertura della successione, secondo quanto stabilito dall’art. 553 c.c. La volontà delle ricorrenti era piuttosto diretta all’accoglimento dell’azione di simulazione relativa, per poi procedere alla trascrizione dell’atto di opposizione alla donazione, volta a bloccare il decorrere dei termini utili per esperire l’azione di restituzione verso i terzi acquirenti, successivamente all’azione di riduzione.
A tal riguardo è necessario operare una breve digressione – di ordine cronologico e normativo – relativo all’inedito istituto dell’atto di opposizione alla donazione.
4. Donante, donatari e legittimari.
Donatari e legittimari risultano talvolta legati tra loro da un soggetto che, disponendo in vita dei suoi averi, può incidere sulle loro vite, creando una “connessione” di tipo patrimoniale.
La situazione giuridica da analizzare fa riferimento a diversi elementi giuridici, ampliatisi e modificatisi nel corso del tempo.
Fino al 2005, la vicenda prospettabile era sostanzialmente la seguente. Un soggetto, vivente, decideva di procedere alla donazione di un proprio bene di qualsivoglia natura, a favore di un soggetto, c.d. donatario. Solo dopo la morte del donante, colui che si ritenesse leso nella sua aspettativa ereditaria, nonchè nella c.d. quota legittima, avrebbe potuto esperire l’azione di riduzione contro il donatario, per poi ottenere, una volta accolta la domanda, la restituzione o il rimborso del bene.
Accanto all’ipotesi di una regolare reimmissione del legittimario in ciò che era di sua spettanza, poteva tuttavia accadere che il donatario si trovasse sprovvisto del bene e, dunque, impossibilitato a far fronte alla richiesta avanzata dal legittimario. Ciò succedeva pochè il donatario poteva aver ceduto, nel corso del tempo, il bene, vendendolo ad un terzo soggetto. Quest’ultimo si trovava, pertanto, ad essere coinvolto in una situazione per nulla piacevole, pur avendo regolarmente proceduto ad effettuare un semplice acquisto.
4.1. Donazione e azione di riduzione, ante 2005...
Si trattava dell’ipotesi menzionata nell’art. 563 c.c. in combinato disposto con l’art. 2652 n. 8 c.c., per i quali il legittimario poteva esperire e trascrivere una domanda di riduzione nei confronti degli aventi causa dal donatario, solo dopo la morte del di lui donante ed entro dieci anni da quest’ultima. L’arco di tempo intercorso tra l’atto di donazione e la morte del donante, con la conseguente apertura della successione, poteva essere a dir poco esteso, comportando senza dubbio qualche remora, da parte di chi doveva e poteva scegliere se acquistare o meno un determinato bene da un venditore che lo aveva, a sua volta, ricevuto mediante un atto di donazione. Invero, le perplessità erano dettate dalla possibilità che in un qualsiasi momento futuro potesse subentrare la richiesta di restituzione da parte di un legittimario, essendogli questa preclusa solo dopo dieci anni dalla morte del de cuius (altresì donante): un tempo infinito!
Paradossalmente confrontando la vicenda in esame con altre situazioni giuridiche attinenti al diritto reale della proprietà si può affermare che colui che in buona fede avesse acquistato a non domino un bene mobile, avrebbe ottenuto maggiore certezza dell’assetto giuridico che si sarebbe venuto a creare, conseguendo la proprietà mediante il possesso. Allo stesso modo, risultava essere più tutelato colui che, in forza di un’usucapione decennale, diveniva proprietario se in buona fede di un bene immobile acquistato a non domino.
Nella circostanza in esame, al contrario, si dava luogo alla cessione di un bene da parte del reale proprietario, ovverosia il donante, risultando – in seguito – l’acquirente, esposto ad un mutamento del suo titolo di proprietario, in ragione di un legittimario presumibilmente leso nei suoi diritti patrimoniali.
4.2. post 2005.
Il legislatore, considerata la necessità di fornire una più pregnante tutela agli aventi causa dai donatari, esposti quasi sine die, alle pretese altrui, ha apportato delle modifiche alla disciplina suddetta, attraverso le leggi n. 80 del 2005[7] e n. 263 del 2005[8].
Ad oggi si prevede, infatti, che l’azione di riduzione con conseguente richiesta di restituzione può essere promossa entro il termine di vent’anni decorrente dalla data di trascrizione della donazione oggetto di riduzione. Tuttavia, in base alle norme sulla successione di cui agli artt. 553 ss. c.c. l’azione di riduzione non può essere esperita quando sia ancora in vita il donante, nonchè futuro de cuius.
Per tale ragione, nell’eventualità in cui, trascorsi vent’anni dalla donazione, egli sia ancora in vita, il suddetto lasso di tempo potrebbe non essere sufficiente per poter garantire i diritti dei legittimari.
Il legislatore si è, pertanto, premurato di inserire nel codice civile la possibilità di notificare e trascrivere un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione volto a sospendere il decorso del tempo dei vent’anni che impedirebbe l’azione di riduzione.
Di tale atto, disciplinato all’art. 563 co. 4 c.c., possono avvalersi il coniuge e i parenti in linea retta del donante, che si ritengano lesi nelle loro quote ereditarie; esso necessita di essere rinnovato prima che siano trascorsi vent’anni dalla sua trascrizione, in modo da renderlo attuale e, soprattutto, certo, agli occhi di eventuali terzi potenziali acquirenti, i quali, consapevoli della querelle in corso, non si avventurino in un acquisto del tutto aleatorio.
4.2.1. L’azione di simulazione relativa prima della morte del de cuius.
Accanto all’introduzione dell’atto di opposizione alla donazione, la riforma operata nel 2005 ha fatto sì che divenisse ammissibile altresì l’azione di simulazione ancor prima dell’apertura della successione. Ciò era infatti, non solo inimmaginabile, bensì non ammesso dai precedenti orientamenti giurisprudenziali di legittimità[9].
Tra di loro pattuiscono di non volere gli effetti dell’atto posto in essere (c.d. simulazione assoluta) o di volere gli effetti un’altra tipologia di atto (c.d. simulazione relativa) che reputano, dunque, quello realmente efficace. La situazione giuridica che ne deriva non è altro che una fictio iuris di cui, tuttavia, i terzi restano ignari, non avendo essi contezza della realtà. In ragione di ciò, l’esigenza di dar luogo a rapporti giuridici solidi e certi, seppur contemperati dal principio di circolazione dei beni, rende necessaria la protezione dei soggetti terzi, i quali possono ricevere un danno dalla situazione apparente.
L’acquisto viene infatti ritenuto valido, sempre però rispettando le regole sulla trascrizione della domanda di simulazione. Viene quindi posta una deroga al generale principio secondo il quale “nemo plus iuris trasferre potest quam ipse habeat”, con l’intento di tutelare un soggetto che, senza colpa alcuna, abbia confidato nella veridicità della situazione presentatagli e di considerare conseguentemente efficace il negozio per il quale si è impegnato. La disciplina della simulazione è strettamente connessa al principio dell’autoresponsabilità, per il quale il soggetto che abbia ingenerato affidamento in uno o più soggetti, dando vita ad una situazione di fatto o di diritto, è ritenuto responsabile delle conseguenze che ne derivino.
Nell’ambito della successione è possibile e non è infrequente che il de cuius ponga in essere, in vita, una compravendita fittizia, celando l’atto di donazione in favore di determinati soggetti. Il legittimario che si ritenga leso e che voglia agire per far accertare la fictio iuris deve esperire in primo luogo l’azione di simulazione e, in secondo luogo, può operare con l’azione di riduzione, facendo valere il suo diritto alla reintegra della quota legittima. Tale diritto è considerato autonomo e, pertanto, il soggetto agente (il legittimario) viene considerato alla stregua di un terzo, potendo quindi avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, non sottostando alle limitazioni previste all’art. 1417 c.c.
Uno degli effetti della riforma del 2005, come già accennato, è stato quello di ritenere ammissibile l’esercizio dell’azione di simulazione da parte dei futuri legittimari, prima della morte del donante e quindi a successione non ancora aperta. La questione è stata analizzata anche da una sentenza della Corte di Cassazione, nel 2013[10], la quale ha ritenuto che la suddetta azione possa essere esperita dal coniuge e/o dai parenti in linea retta del donante, non con il fine immediato di esercitare l’azione di riduzione, bensì con quello di notificare e di trascrivere l’atto di opposizione alla donazione.
L’azione di riduzione continua sempre ad avere quale presupposto, quello dell’apertura della successione secondo consolidata giurisprudenza in quanto, insieme all’azione di restituzione, è volta ad individuare l’asse ereditario, calcolare la quota di riserva e valutare l’eventuale lesione e reintegrazione della c.d. legittima.
Tale contemperamento di esigenze appare non solo convincente, quanto anche equilibrato nel tenere in considerazione posizioni nettamente contrastanti. Se da un lato si tutela la certezza della donazione, quantomeno fino a quando non vi sia la sicurezza sull’assoluta arbitrarietà di quest’ultima cosa che potrà avvenire solo dopo la morte del donante dall’altro, si fornisce ai legittimari un mezzo per cautelarsi dinanzi alle scelte ingiustificate del donante.
4.2.1.1. Azione di simulazione relativa e atto di opposizione alla donazione.
All’azione di simulazione è dunque propedeutico l’atto di opposizione alla donazione, il quale prescinde dalla concreta lesione nei confronti del legittimario, il quale potrà, in seguito, vedere non accolta la sua richiesta di restituzione, qualora si reputi infondata la sua istanza.
Dottrina e Giurisprudenza concordano sulla possibilità, fornita al legittimario leso, di ottenere la reintegra del bene donato, qualora agisca vittoriosamente in riduzione, secondo le prescrizioni e i limiti di cui all’art. 563 co. 1 c.c.. Ciò ha luogo altresì qualora si sia proceduto in favore dei soggetti donatari, con un atto formalmente oneroso che dissimuli in realtà una donazione. Al contrario, la medesima tutela non può essere garantita nell’ipotesi in cui sia stata attuata una c.d. donazione indiretta, a seguito della quale si esclude – in base a quanto stabilito dalla Cassazione nel 2010[11] che il legittimario possa essere considerato detentore di una tutela recuperatoria di carattere reale.
Con la donazione indiretta, in concreto, si ottiene lo stesso risultato perseguibile con una donazione ordinaria. Tuttavia, come noto, l’atto di donazione indiretta assume le caratteristiche e le formalità prescritte per il negozio sotteso che si decide di concludere. A titolo di esempio, un soggetto acquista con proprio denaro un immobile, il quale non viene intestato al compratore bensì ad un soggetto beneficiario, che possiamo ugualmente definire “donatario”; in tal caso, per Giurisprudenza consolidata, non si ha una donazione del denaro, bensì una donazione indiretta dell’immobile[12].
Secondo una pronuncia un po’ datata ma ugualmente, tuttora, valida[13] a cui si faceva pocanzi cenno, qualora vi sia stata donazione indiretta, viene meno il recupero reale della titolarità del bene in capo al legittimario. Il valore della donazione, pertanto, viene rilevato non in natura, ma su una base pecuniaria, potendo – il legittimario – farlo valere alla stregua di un diritto di credito. La pronuncia ed il relativo principio di diritto della sentenza menzionata rappresentano una particolarità di non poco conto e si ritiene dunque essenziale citare testualmente una breve parte della pronuncia: «alla riduzione delle liberalità indirette non si può applicare il principio della quota legittima in natura, connaturale invece all'azione nell'ipotesi di donazione ordinaria d'immobile (art. 560 cod. civ.); con la conseguenza che l'acquisizione riguarda il controvalore, mediante il metodo dell'imputazione, come nella collazione (art. 724 cod. civ.)».
Da ciò ne discende che la titolarità dei beni ceduti mediante donazione indiretta non è alterata nè posta in dubbio, nel momento in cui il legittimario reclami la non proporzionalità della sua quota. L’arricchimento avvenuto a favore del beneficiario rimarrà fermo e, al contempo, l’erede verrà tutelato mediante il meccanismo riservato ai diritti di credito.
4.2.2. Inammissibilità dell’azione di simulazione assoluta.
Se è possibile – in modo più esteso dal 2005 – esperire l’azione di simulazione relativa, non è parimenti ammesso l’esercizio dell’azione di simulazione assoluta, al fine di far accertare l’apparente fuoriuscita del bene dal patrimonio del soggetto cedente. Concedere tale possibilità darebbe luogo ad una vicenda giuridica priva di senso. La Suprema Corte stessa, invero, nella sentenza in commento[14], afferma «deve escludersi che sia possibile in vita del donante esercitare l’azione di simulazione assoluta ovvero l’accertamento di una donazione dissimulata ma compiuta mediante un atto simulato che non abbia i requisiti di forma o di sostanza prescritti per l’atto dissimulato, in quanto, se il presupposto legittimante eccezionalmente l’azione di simulazione in vita dell’ereditando è l’esigenza di assicurare la trascrivibilità dell’atto di opposizione, è evidente che a fronte di un atto di donazione affetto da nullità, come nel caso in esame, non vi sia possibilità di trascrivere l’opposizione e che quindi non sia consentito derogare al generale principio dell’inammissibilità delle azioni di simulazione ad opera del futuro legittimario.»
Non avrebbe senso che un soggetto proponesse un’azione volta a riconoscere l’esistenza di un altro e diverso negozio giuridico rispetto a quello apparente, chiedendo, invece, che il primo venga ritenuto nullo. Ciò, infatti, non gli permetterebbe di trascrivere l’atto di opposizione, il quale ha come presupposto imprescindibile una donazione valida ed efficace che possa, effettivamente, compromettere la sua aspettativa ereditaria. Una donazione nulla non comporterebbe la fuoriuscita del bene dal patrimonio del de cuius, non risultando l’ereditando, quindi, neppure potenzialmente leso, dato l’immutato asse ereditario.
Anche nel caso di specie, quindi, le ricorrenti proponevano l’azione di simulazione relativa in modo strumentale alla trascrizione del diritto di opposizione.
Se tale istanza veniva accolta nel giudizio di primo grado, nel procedimento di gravame la richiesta veniva rigettata, poichè la Corte d’Appello rilevava la nullità degli atti dissimulati, nonostante non fosse stata avanzata in primo grado la domanda di accertamento della nullità.
5. Fulcro della questione: rilevabilità d’ufficio della nullità.
Riguardo l’accertamento dei vizi, nel primo e nel secondo grado di giudizio, che comportano la nullità di un atto, si sono succeduti nel tempo differenti orientamenti che, più che distinti, potremmo definire a “formazione progressiva”. La Corte di legittimità ha, infatti, arricchito e reso più esaustivo, negli anni, il suo orientamento, fino a giungere alla sentenza odierna.
In questa fase della trattazione si analizzerà il fulcro essenziale del principio di diritto che la Suprema Corte è giunta ad affermare, delineando altresì le due pronunce che hanno preceduto cronologicamente questa in commento, poichè ritenute cornice fondamentale dell’attuale assetto giurisprudenziale.
L’orientamento dominante in giurisprudenza sosteneva che la nullità di un negozio poteva essere rilevata, in un procedimento, se la validità dell’atto si presentasse come strettamente connessa, nonchè propedeutica, alla domanda principale relativa all’esecuzione o all’applicazione del contratto stesso. Viceversa, qualora questo stretto legame non venisse in rilievo, presentandosi la nullità come diversa da quella fatta valere in via principale o, comunque, non inerente all’inadempimento, la diversa domanda di nullità non sarebbe potuta essere sollevata su istanza di parte nè rilevata d’ufficio dal giudice; in quest’ultimo caso, infatti, sarebbe stato violato il divieto di pronuncia ultra petita[15].
Ciò veniva sostenuto anche in forza delle regole sulla nullità di cui all’art. 1421 c.c., in combinato disposto con il principio della domanda, di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c.. L’orientamento contrapposto affermava, invece, che anche qualora la domanda principale fosse volta a far dichiarare l’annullamento del contratto o la risoluzione per inadempimento, la nullità potesse essere rilevata[16].
5.1. Sezioni Unite 2012.
A dirimere il contrasto interveniva la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del 2012[17], la quale si esprimeva in questi termini, relativamente al caso in cui fosse stata proposta una domanda di risoluzione del contratto: «Il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto, pronunciando con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda». Il giudice, in qualunque grado di giudizio decida di rilevare d’ufficio una nullità, deve necessariamente farlo presente alle parti, integrando il contraddittorio, dando loro la possibilità di presentare domanda di nullità[18]. Nell’ipotesi in cui questa venga avanzata, la pronuncia sulla nullità potrà avere valenza di giudicato; nell’ipotesi contraria in cui nessuna delle parti la richieda, il giudice la accerterà senza efficacia di giudicato sul punto.
Nel caso, da ultimo, in cui il giudice deciderà nel merito la domanda di risoluzione, riterrà sussistere la validità del negozio e pertanto il giudicato sarà implicito. Non si ritiene, tuttavia, che quest’ultima deduzione sia scontata nè tantomeno corretta, come precisato in un’ordinanza[19], in cui si pone la differenza tra questioni pregiudiziali in senso logico e questioni pregiudiziali in senso tecnico.
Mentre le prime sono propedeutiche alla questione principale e passano in giudicato se accertate incidentalmente, le seconde, se accertate nello stesso modo, sono comunque autonome e distinte dalla domanda principale. Quest’ultima, infatti, può essere risolta autonomamente; in tal caso si parla di “risoluzione della controversia in base alla ragione più liquida”, senza tener conto delle altre questioni laddove non vi sia domanda di parte le quali, pertanto, non passano in giudicato.
5.2. Sezioni Unite 2014.
A fronte di tale prospettazione, le Sezioni Unite intervenivano nuovamente sull’argomento, nel 2014[20], con due sentenze gemelle. Con esse la Cassazione analizzava la questione sotto più profili. In primo luogo, veniva posta una distinzione tra la rilevazione d’ufficio della nullità, la quale appare sempre come obbligatoria, in tutto il corso del procedimento, e la dichiarazione della nullità, la quale, al contrario, non risulta obbligatoria per il giudice, poichè egli può concludere il giudizio in base ad una decisione autonoma e distinta più “liquida” per l’appunto che non necessita una pronuncia sulla questione inerente alla nullità.
Anche in mancanza di domanda di parte, il giudice potrà dichiarare la nullità con conseguente, pertanto, efficacia di giudicato della stessa. In secondo luogo, veniva affermato che il rilievo della nullità può avvenire anche per cause diverse da quelle fatte emergere dalle parti, e ciò assume valenza in tutte le azioni di impugnativa del negozio giuridico.
Infine, le Sezioni Unite, sancivano una serie di poteri in capo al giudice, chiamato a pronunciarsi su una determinata domanda. Sussiste sempre l’obbligo di rilevare una causa di nullità dell’atto; vi è la mera facoltà di dichiarare la nullità, qualora il giudice rigetti la domanda principale, motivandola con la nullità del negozio emersa nel corso del procedimento; costituisce un obbligo, quello di non rilevare, e quindi non dichiarare, la nullità, qualora la pronuncia si fondi sulla “ragione più liquida”. In quest’ultimo caso non vi sarà efficacia di giudicato sulla validità o meno del contratto. Le parti, parallelamente, devono sempre avere la possibilità di esprimersi sul punto,e qualora procedano a domanda specifica di nullità, il giudice procederà con accoglimento o rigetto, in entrambi i casi con efficacia di giudicato.
In sostanza, le due sentenze gemelle statuiscono il principio secondo il quale il rilievo d’ufficio della nullità avrà efficacia di giudicato, solo se la decisione non si fondi sul criterio della ragione più liquida.
5.3. Corte di Cassazione, Sez. II Civ., n. 22457 del 9 settembre 2019.
Si è giunti, attraverso il summenzionato excursus logico e argomentativo della Cassazione, alla recentissima pronuncia quella in esame del 2019.
Con essa, richiamando la massima riportata nel primo paragrafo di questo lavoro, la Corte ha confermato il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità, in ogni grado del giudizio, anche qualora le parti non abbiano mosso alcuna richiesta in tal senso.
La pronuncia sulla nullità, anche qualora sia già pendente il giudizio di appello, avrà efficacia di giudicato, in assenza di una sua impugnazione. Nel caso specifico, tenuto conto dello stretto legame tra l’azione di simulazione relativa, costituente la domanda principale, e la nullità emersa successivamente nel grado d’appello, la prima verrà rigettata, individuando la ratio decidendi nella causa di nullità della donazione, la quale non può in alcun modo essere ignorata, poichè rilevabile d’ufficio.
Le ricorrenti, nella vicenda in esame, ricevono ugualmente un vantaggio, poichè, al momento dell’apertura della successione, verranno inclusi nell’asse ereditario anche quei beni solo apparentemente fuoriusciti mediante il contratto di donazione dissimulato ed altresì nullo.
6. Osservazioni finali.
La decisione della Corte di Cassazione, baluardo non indifferente in tema di simulazione, di donazioni e di nullità, rende evidente, ad avviso di chi scrive, ed ancora una volta, come il diritto civile sia l’emblema del bilanciamento di interessi contrapposti, nonchè il diritto per antonomasia, mediante il quale si incontrano più esigenze e più aspettative.
Da un lato, l’impossibilità di accogliere la richiesta di accertamento della simulazione dell’atto, laddove quest’ultimo non rispetti le formalità necessarie per risultare valido e dunque efficace; dall’altro, la necessità di rilevare la predetta nullità, anche qualora sia in corso un giudizio per altra ragione, mantenendo fede a quel principio di autoresponsabilità, di ciascuna parte, e di certezza dei traffici, che rappresentano due dei corollari del sistema civilistico italiano.
[1] Cass. civ. II sez, 22457 del 9 settembre 2019.
[2] C. App. Milano, 4037 del 27 ottobre 2016.
[3] Trib. Varese, 1036 del 18 settembre 2015.
[4] Ordinamento del notariato e degli archivi notarili. L. 89 del 16 febbraio 1913, artt. 48 e 50.
[5] Decreto legge 83 del 22 giugno 2012 recante Misure urgenti per la crescita del paese, convertito in Legge 134 del 7 agosto 2012.
[6] SS.UU. civ. 8053 del 7 aprile 2014.
[7] "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali". L. 80 del 14 maggio 2005.
[8] Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonchè ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio-decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato. L. 263 del 28 dicembre 2005.
[9] ex multis, Cass. civ. sez. II, 2968 del 27 marzo 1987. Per il dibattito dottrinario sulla questione, si veda: G. GABRIELLI, Tutela dei legittimari e tutela degli aventi causa del beneficiario di donazione lesiva: una riforma attesa ma timida, in Studium Juris, 2005, p. 1134. S. DELLE MONACHE, Liberalità atipiche, donazioni occulte e tutela dei legittimari, in Familia, 2006, p. 693 ss.
[10] Cass. civ. sez. I, 11012 del 9 maggio 2013.
[11] Cass. civ. sez. I, 11496 del 12 maggio 2010.
[12] ex multis, Cass. civ. sez. I, 5122 del 6 aprile 2001.
[13] v. nota 10.
[14] Quando si menziona “sentenza in commento”, ci si riferisce alla sentenza in esame, in via principale, nel presente elaborato (22457/2019).
[15] ex multis, Cass. civ. sez. II, 2398 dell’11 marzo 1988.
[16] ex multis, Cass. civ. sez. II, 2858 del 2 aprile 1997.
[17] SS.UU. civ., 14828 del 4 settembre 2012.
[18] A sostegno di ciò, Cass. civ. sez. III, 21108 del 31 dicembre 2005.
[19] Cass. civ. sez. II, 16630 del 3 luglio 2013.
[20] SS.UU. civ., 26242 – 26243 del 12 dicembre 2014.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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- G. CIAN – A. TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, 2019, Cedam – Wolters Kluwer.
- G. GABRIELLI, Tutela dei legittimari e tutela degli aventi causadel beneficiario di donazione lesiva: una riforma attesa ma timida, in Studium Juris, 2005, p. 1134.
- S. DELLE MONACHE, Liberalità atipiche, donazioni occulte e tutela dei legittimari, in Familia, 2006, p. 693 ss.
- G. AMADIO, Lezioni di diritto civile, 2006, Giappichelli.