Pubbl. Gio, 12 Mar 2020
Il conflitto di interessi dei funzionari pubblici: il fenomeno e la disciplina
Modifica paginaIn questo contributo si indagano alcune tematiche di confine del diritto amministrativo: il fenomeno del conflitto di interessi dei funzionari pubblici e la sua attuale disciplina.
Sommario: 1. Premessa teorica sul conflitto di interessi: il fenomeno. - 2. Il dato costituzionale. - 3. Le fonti primarie. - 3.1. La cd. legge anticorruzione n. 190 del 2012. - 3.2. L’art. 6-bis della l. n 241 del 1990. - 3.3. L’art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001. - 4 Le fonti regolamentari: il D.P.R. n. 62 del 2013. - 4.1. I codici di comportamento delle singole amministrazioni. - 5. Casistica - 5.1. La delibera ANAC n. 209 del 2017. - 6 Conclusioni.
Abstract eng: This paper concerns some issues of administrative law: the phenomenon of the conflict of interest of public officials and its current discipline. This research consists of two parts: a theoretical introduction on conflict of interest; a regulatory study on positive discipline and remedies. The second part is structured according to a nomological - deductive model that goes from the general to the particular: the indices of positive law are searched and analysed by following the hierarchy of the sources according to a descending scheme (constitution - primary sources - secondary sources). It is not possible to insert a systematic foreword on a doctrinal source because the most authoritative manuals do not suffciently deal with the topics under research.
Abstract ita: Questo contributo si compone idealmente di due parti: una premessa teorica sul conflitto di interessi; una indagine normativa sulla disciplina positiva e sui rimedi. La seconda parte è strutturata secondo uno modello nomologico - deduttivo che va dal generale al particolare: si ricercano e si analizzano gli indici di diritto positivo percorrendo la gerarchia delle fonti secondo uno schema discendente (costituzione - fonti primarie - fonti secondarie). Non è possibile inserire una premessa sistematica su base dottrinaria perché la manualistica più autorevole non tratta adeguatamente gli argomenti oggetto di indagine[1].
1. Premessa teorica sul conflitto di interessi: il fenomeno
“Conflitto di interessi” è una locuzione che, già sul piano linguistico, ha una forte connotazione normativa.
Secondo l’uso corrente della lingua italiana si intende per conflitto di interessi ogni ipotesi in cui il rappresentante sia portatore di un interesse contrastante e incompatibile con l’interesse del rappresentato[2]. Il riferimento a rappresentante e rappresentato fa diretto rinvio alla disciplina dell’istituto della rappresentanza, contenuta nel Codice civile.
In particolare, si richiama idealmente la disposizione per cui si stabilisce che il conflitto di interessi è causa di annullabilità del contratto se era conosciuto o conoscibile dal terzo contraente (art. 1394 c.c.).
Sul piano linguistico, pertanto, la nozione di conflitto di interessi non è autodescrittiva, ovvero non rinvia all’idea di un’entità che si può individuare attraverso la percezione sensibile della realtà (come ad esempio “la morte di un uomo” descritta dall’art. 584 c.p.). Al contrario, si riferisce ad un concetto collocato ad un livello di astrazione superiore che può essere compreso solo attraverso l’ausilio dei principi logici che il sistema normativo sottende.
In questo senso, si tratta di un concetto evidentemente normativo in quanto postula un qualificato alla luce dei principi logici che i sistemi giuridici sottendono. Il suo fondamento si basa sul principio logico di non contraddizione[3]. Questo principio enunciato dalla logica classica implica che non può essere al contempo vera una proposizione e il suo contrario. Per dirlo con le parole di Aristotele “è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto”.
Riportando questa idea nell’ambito del diritto, il conflitto di interessi esprime tre ordini di relazioni. Se definiamo l’interesse come aspirazione di un soggetto a un bene della vita, allora il conflitto di interessi implica:
- La relazione tra un soggetto e un bene della vita (A), a cui aspira;
- La relazione tra lo stesso soggetto e un altro bene della vita (B), a cui ugualmente aspira;
- Un rapporto di incompatibilità logica tra il conseguimento del bene A e del bene B.
Un presupposto del conflitto di interessi è quindi oggettivo: l’incompatibilità logica di due beni della vita che non possono essere perseguiti dallo stesso soggetto nello stesso momento.
Si innesta poi un elemento soggettivo: l’aspirazione di un soggetto a entrambi i beni incompatibili. Tale connotazione soggettiva costituisce l’elemento intellettivo del conflitto di interessi, che come tale non è apparente[4]. Da questo punto di vista si differenzia dall’abuso di potere (1398 c.c.) che segna il superamento oggettivo e percepibile del confine del potere. Il conflitto di interessi è perciò differente dall’abuso effettivo di un potere attribuito, che può anche mancare: esprime, al contrario, la potenzialità di un abuso, logicamente immanente in una determinata situazione di fatto.
Quanto detto è un corollario logico della struttura ontologica del conflitto di interessi: del resto, se al contrario il perseguimento nello stesso tempo di entrambi gli interessi, di cui l’agente è portatore, non è impossibile perché gli interessi non sono oggettivamente incompatibili, allora non può esistere alcun conflitto, ma al più una convergenza di interessi[5].
L’accertamento della componente oggettiva postula una indagine sul piano della realtà, relativa alle caratteristiche dei fatti e degli interessi in gioco, accertati in base alle leggi scientifiche di copertura che li governano o comunque secondo criteri di normalità causale[6].
L’accertamento della componente soggettiva è invece più complesso in quanto coinvolge il tema della prova di fatti psichici che, come noto, incontra limiti epistemologici talvolta insuperabili in quanto la mente umana è in parte inaccessibile. Il fatto psichico è di regola provato attraverso l’uso del ragionamento inferenziale partendo da fatti reali percepibili posti in essere dal soggetto ed escludendo l’esistenza degli stati psicologici incompatibili con la realizzazione di quei fatti. Lo schema di indagine fattuale è lo stesso che viene usato nel diritto penale. Così la prova della volontà di uccidere si desume dal fatto che l’agente abbia puntato la pistola e sparato alla tempia della vittima (più problematica è invece la ricostruzione della volontà nel caso in cui l’accusato spari alle gambe: potrebbe esserci la volontà delle lesioni).
Per ovviare a tali difficoltà epistemologiche prima ancora che probatorie, il legislatore fa spesso ricorso alle presunzioni, semplificando il funzionamento del sistema. È il caso della presunzione di conflitto di interessi del contraente con sé stesso[7].
È evidente che nella condizione di conflitto di interessi è insita la potenzialità lesiva di uno degli interessi in gioco. Lo schema logico è trasversale, sia in ambito privatistico che nel diritto amministrativo: rappresenta una situazione di fatto.
Si adatta sia al caso del rappresentante che ha interessi antitetici rispetto a quelli del rappresentato e quindi viola potenzialmente l’obbligo di agire nell’interesse esclusivo del primo o, al contrario, opera irrazionalmente contro i propri interessi. Si adatta simmetricamente al caso del funzionario pubblico portatore di interessi confliggenti rispetto all’interesse pubblico che dovrebbe perseguire in maniera esclusiva.
Del resto, la stessa relazione al Codice civile esprime la trasversalità dello schema, differenziando la sanzione. La relazione chiarisce che si commina la sanzione dell’annullabilità se il rappresentante lede l’interesse (privato) del rappresentato (1394 c.c.); “se l’atto compiuto in situazione di conflitto offende invece, anche soltanto virtualmente, un interesse pubblico, allora la sanzione è quella della nullità (art. 1471, n. 1 e 2)”[8].
La mens legis, quindi, già in tempi remoti, alle origini del Codice civile del 1942, sembra riservare un trattamento particolarmente severo al conflitto di interessi, anche in relazione ad un ambito pubblicistico.
2. Il dato costituzionale
I riferimenti costituzionali in tema di conflitto di interessi sono scarni e i pochi esistenti sono impliciti. I riferimenti espliciti sono inesistenti. Le disposizioni di rilievo sono gli artt. 97 e 98 della costituzione.
Il primo comma 1 dell’art. 98 prevede che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione”. Questo enunciato è il fondamento principale del divieto per i pubblici impiegati di operare al servizio non esclusivo della nazione. Si può ricavare un implicito divieto di perseguire interessi incompatibili con quelli della nazione (id est: con l’interesse pubblico al cui perseguimento sono istituzionalmente preposti i funzionari pubblici di turno).
In questo senso la disposizione può essere un aggancio costituzionale in tema di conflitto di interessi. La norma, è evidente, resta generica. Non offre spunti di tutela effettiva sul piano operativo, se non viene accompagnata da una disciplina legislativa ordinaria che ne sia il corollario: come è normale che sia per una disposizione di rango costituzionale.
Il terzo comma prevede una presunzione implicita di conflitto di interessi per alcune categorie di pubblici impiegati. Si presume che lo status di alcuni funzionari di vertice del potere giudiziario (magistrati) e del potere esecutivo, in alcuni settori preposti alla tutela di interessi sensibili per la vita democratica (militari, polizia, diplomatici), possa essere incompatibile con l’iscrizione ai partiti politici (enti istituzionalmente coinvolti nell’esercizio potere legislativo). Il fondamento teorico è il principio di separazione dei poteri[9].
La disposizione prevede che “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”. Questa norma consente di vietare (con legge ordinaria) ai soggetti de quo di iscriversi ai partiti: comunque non vieta loro di partecipare alla vita politica, anche ricoprendo cariche elettive e consente di vietare solo l’iscrizione ai partiti, non anche la partecipazione effettiva alla loro vita interna.
Questa tematica è oggetto di particolare dibattito soprattutto in relazione alla posizione dei magistrati, che peraltro spesso riassumono nella prassi le funzioni giudiziarie dopo aver ricoperto funzioni politiche elettive[10]. La norma è pericolosamente lacunosa in quanto, tra l’altro, non consente di vietare la partecipazione attiva alla vita interna dei partiti a quei funzionari che non siano regolarmente iscritti. Questa prassi, però, è evidentemente in confitto con la ratio del dato costituzionale che mira a garantire l’immagine di imparzialità dei pubblici funzionari di vertice.
In secondo luogo, viene in rilievo l’art. 97 della costituzione[11]. La norma stabilisce i principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa che sono fondamento e limite del potere della pubblica amministrazione.
Sicuramente la prevenzione dei conflitti di interesse trova un aggancio in entrambi i principi enunciati ma, attenendo ad una dimensione lesiva del buon andamento solo potenziale, si salda principalmente con il principio di imparzialità.
Sul piano del diritto europeo i dati positivi risultano ugualmente scarni e inesistenti in materia di diritto pubblico.
In particolare, l’art. 28 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea prevede che “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero.”
La disposizione tocca di striscio il tema del conflitto di interessi ma non ne enuncia né la definizione né il contenuto e, in ogni caso, non ha alcuna attinenza con l’azione amministrativa e il diritto pubblico perché attiene prevalentemente ai diritti fondamentali dei lavoratori.
3. Le fonti primarie
A lungo le fonti primarie si sono disinteressate del tema del conflitto di interessi nell’ambito del diritto amministrativo.
Sul punto i riferimenti normativi classici sono tradizionalmente individuati solo nelle norme processuali che disciplinano gli istituti della ricusazione e astensione del giudice[12].
Emerge sul piano normativo che l’ordinamento mira a prevenire i danni potenziali derivanti da una situazione di conflitto di interessi in relazione alle funzioni giudiziarie attraverso l’istituto dell’incompatibilità. Siamo in ambito processuale. Si tratta di utilizzare una presunzione assoluta, assistita da una clausola aperta. Secondo questo schema logico, se un giudice è titolare di due posizioni giuridiche, che si presumono incompatibili, allora deve astenersi o può essere ricusato.
Le norme processuali prevedono una serie di situazioni tassative in cui il giudice si può trovare e che si presumono assolutamente incompatibili con l’esercizio della funzione giudiziaria: l’avere interesse nel procedimento; l’essere creditore o debitore di una delle parti o di un difensore; l’essere padre o coniuge di un debitore di una parte o del difensore; essere tutore, curatore, procuratore, datore di lavoro di una delle parti; l’essere prossimo congiunto del difensore, curatore o procuratore di una delle parti; l’avere una inimicizia grave con una delle parti o con un su prossimo congiunto; l’essere coniuge o prossimo congiunto del danneggiato, della persona offesa o della parte privata; l’essere coniuge o prossimo congiunto di chi ha svolto funzioni di pubblico ministero. Inoltre, è prevista una clausola aperta residuale in relazione a “gravi ragioni di convenienza” evidentemente atipiche.
La legge generale sul procedimento amministrativo, invece, nella sua formulazione originaria non prevedeva alcuna disposizione sul conflitto di interessi dei funzionari pubblici[13].
Inoltre, le poche norme presenti nella disciplina di settore ricalcavano sostanzialmente lo schema della disciplina processuale citata. È il caso, ad esempio, delle norme sui concorsi per l’accesso agli impieghi pubblici[14].
L’impulso a integrare la disciplina è arrivato in tempi recenti dal diritto internazionale. In particolare, dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003 e ratificata dall’Italia con la legge n. 116 del 2009[15].
La convenzione si occupa, tra l’altro, degli strumenti di prevenzione della corruzione in relazione a situazioni potenzialmente a rischio[16]. Secondo la Convenzione un ambito particolarmente esposto al rischio corruttivo è quello delle attività dei pubblici funzionari nel settore privato o a contatto con il settore privato, in relazione agli interessi del quale possono crearsi pericolose situazioni di conflitto di interessi.
Così l’art. 12 comma 2 lett. e) della fissa l’obiettivo della “prevenzione dei conflitti d'interesse mediante l'imposizione, se del caso e per un periodo ragionevole, di restrizioni all'esercizio di attività professionali da parte di ex pubblici ufficiali e all'impiego, da parte del settore privato, di pubblici ufficiali dopo le loro dimissioni od il loro pensionamento, quando dette attività o detto impiego sono direttamente collegati alle funzioni che tali ex pubblici ufficiali esercitavano o supervisionavano durante il loro mandato”.
La formulazione della disposizione postula che l’esercizio in conflitto di interessi di attività professionali private sia già incompatibile con lo status di pubblico funzionario o di pubblico ufficiale durante l’esercizio delle funzioni. Infatti, suggerisce restrizioni per le attività private degli “ex” pubblici funzionari, presupponendo evidentemente che tali restrizioni siano a fortiori scontate per chi è attualmente al servizio della pubblica amministrazione.
Sul piano della teoria generale, quindi, il tema della prevenzione dei conflitti di interesse si pone al centro della prevenzione della corruzione. Conflitto di interessi e corruzione si saldano: la seconda si pone nella scia di progressione del primo, come naturale evoluzione. In altre parole, da un lato, il fatto corruttivo del pubblico funzionario è espressione del conflitto “reale” tra interessi privati e pubblici; dall’altro, il conflitto di interessi è espressione di una lesione solo “potenziale” di interessi pubblici ma che molto probabilmente (secondo criteri di regolarità causale, riscontrati a livello internazionale) darà luogo a fenomeni corruttivi: per cui o viene eliminato in tempo utile oppure si rischia il diffondersi o il radicarsi della corruzione.
3.1. La cd. legge anticorruzione n. 190 del 2012
Il dato normativo principale in tema di conflitto di interessi è costituito dalla legge anticorruzione. La legge citata prevede “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
Già dalla rubrica emerge la particolare attenzione al profilo preventivo della lotta alla corruzione. Il fenomeno corruttivo non è identificato nei singoli fatti corruttivi penalmente rilevanti, ma viene affrontato come problema sistematico[17]. L’attenzione del legislatore cade sulle condotte prodromiche e sui fenomeni di cattiva amministrazione che costituiscono il “brodo di cottura” della corruzione[18].
Di particolare rilievo sono i commi da 41 a 44 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2012.
Si tratta delle norme che dispongono l’introduzione dell’art. 6-bis della l. n. 241 del 1990 e la sostituzione dell’54 del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede importanti novità in tema di conflitto di interessi dei funzionari.
3.2. L’art. 6-bis della l. n 241 del 1990
L’art. 6-bis della legge generale sul procedimento è rubricato “conflitto di interessi” e prevede che “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.
La norma è un corollario dei principi di imparzialità e buon andamento[19], nonché di trasparenza[20] previsti dalla legge ordinaria e dalla costituzione, oltre che dalle fonti europee.
Ancorché inserita nel capo II della legge n. 241 la disposizione non concerne solo l’attività del responsabile del procedimento ma ha un ambito applicativo generale.
Infatti, si applica anche ai titolari degli uffici competenti a adottare:
- pareri;
- valutazioni tecniche;
- atti endoprocedimentali;
- il provvedimento finale.
Le fattispecie tipizzate a cui la norma si applica non coincidono con i casi in cui sussiste un potere discrezionale. Infatti, in base al dato letterale il dovere di astensione sussiste anche qualora il provvedimento da emanare, ad esempio, sia vincolato. La norma non fa alcuna distinzione in base alla natura del potere esercitato. Pareri e valutazioni tecniche sono per natura espressione di discrezionalità tecnica. Atti endoprocedimentali e provvedimenti sono invece categorie generali di atti, che possono essere emanati sia sulla base di un potere discrezionale che di uno vincolato. Qualora il legislatore avesse voluto limitare l’ambito applicativo della fattispecie lo avrebbe specificato. Così sia i provvedimenti che gli atti endoprocedimentali possono postulare l’esercizio di un potere non discrezionale (si pensi alle certificazioni, che sono espressione di un mero potere vincolato di accertamento) senza che venga meno l’applicabilità dell’art. 6-bis.
Questo profilo non è sempre colto dalla giurisprudenza che talvolta afferma che l’ambito applicativo della norma va ricondotto alle sole determinazioni del contenuto discrezionale dell’atto[21]. Come dimostrato, tale tesi contrasta con la lettera della norma.
La fattispecie anticipa la soglia di tutela sociale rispetto a gravi fenomeni corruttivi e impone due obblighi in capo al portatore di un conflitto di interessi, anche potenziale: un obbligo di segnalazione e uno di astensione.
La giurisprudenza talvolta arretra ulteriormente la soglia applicativa della norma in una fase addirittura anteriore alla esistenza di un conflitto di interessi potenziale.
Questa interpretazione si fonda sul criterio teleologico che consente di ravvisare la ratio della norma nella tutela dell’imparzialità della pubblica amministrazione, che ha sicuro aggancio costituzionale.
Lo scopo di tutela rafforzata e preventiva di beni di rango costituzionale consente di affermare che sussiste l’obbligo di astensione anche qualora manchi il conflitto di interessi ma la posizione del funzionario possa ingenerare sfiducia nell’indipendenza e imparzialità dell’amministrazione[22] .
Siamo in un ambito, cioè, in cui l’apparenza prevale sulla realtà e consente di applicare la fattispecie anche qualora in concreto ne manchino i presupposti.
L’applicazione della norma è problematica, infine, nei casi di organi collegiali. Ci si è chiesti se l’atto adottato in violazione dell’obbligo di astensione sia illegittimo per la mera presenza del portatore di un conflitto di interessi o solo qualora il voto di quest’ultimo sia stato decisivo. La giurisprudenza sembra assestarsi sulla posizione più prudente, sottolineando che anche la mera presenza di un soggetto alla seduta collegiale può influenzare la decisione degli altri componenti[23]
3.3. L’art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001
L’art. 54, come modificato dalla legge anticorruzione, prevede che il Governo predisponga un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Lo scopo del codice è quello di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico.
Si tratta di norme applicabili a tutti i dipendenti della p.a., anche a quelli in regime di diritto pubblico[24].
La violazione del codice di comportamento rileva direttamente sul piano della responsabilità disciplinare, civile, amministrativa, contabile e può finanche implicare il licenziamento[25].
In attuazione di questa disposizione è stato emanato il D.P.R. n. 62 del 2013.
4 . Le fonti regolamentari: il D.P.R. n. 62 del 2013
L’art. 6 del regolamento al comma 2 prevede che “il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici”.
Anche il successivo art. 7 con una norma teleologicamente affine prevede che “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.
Le norme citate prevedono una disciplina in parte simile a quella prevista dal Codice civile in tema di astensione del giudice.
L’art. 7 ha sicuramente un ambito applicativo più esteso di quello dell’articolo precedente. In particolare, la locuzione “si astiene dal partecipare” all’adozione di decisioni sembra sicuramente includere anche l’ipotesi di partecipazione ad un organo collegiale.
Inoltre, il catalogo di ipotesi che generano conflitto di interessi è assistito da una clausola aperta che rende la norma applicabile “in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza”.
Quest’ultima clausola amplia significativamente la portata applicativa della norma, ma crea problemi interpretativi sul piano applicativo. Inoltre, anche le nozioni di “conflitto potenziale” e quella di “interesse finanziario, economico o altro interesse personale” sono così ampie da risultare ambigue.
Infatti, il Consiglio di Stato ha recentemente auspicato un intervento chiarificatore dell’ANAC, attraverso delle linee guida, per esplicitare il contenuto di questi concetti da cui discende la corretta interpretazione del perimetro applicativo della norma[26].
4.1. I Codici di Comportamento delle singole amministrazioni
La disciplina prevista in generale dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici può essere completata dalle norme integrative adottate dalle singole amministrazioni.
Infatti, l’art. 1 comma 2 del DPR n. 62 del 2013 citato dispone che “le previsioni del presente Codice sono integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell’articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001”.
Anche le violazioni di norme previste dai codici integrativi possono essere fonte di responsabilità disciplinare, civile, amministrativa e contabile[27].
I codici di settore sono adottati con procedura aperta e previa partecipazione dell’OIV (art. 54 comma 5 d.lgs. n. 165 del 2001). Viene dato così particolare risalto alla partecipazione procedimentale sia dei destinatari delle norme che degli organi di controllo. La ratio è quella di acquisire contributi utili a creare un sistema di norme comportamentali adatto alle peculiarità della singola amministrazione. In questo senso, l’acquisizione dal basso di osservazioni e suggerimenti è particolarmente utile al fine di evitare che i singoli codici di settore siano una mera duplicazione del codice nazionale.
L’ANAC inoltre ha fornito un importante supporto orientando l’operato delle amministrazioni con apposite linee guida, uniformando la prassi applicativa ed evitando interventi “a macchia di leopardo”[28].
Per prassi la fase partecipativa consiste nella pubblicazione della bozza di codice di comportamento da adottare sul sito dell’amministrazione, con l’invito a far pervenire proposte e osservazioni[29]. Si prevede inoltre una specifica comunicazione alle rappresentanze sindacali dei destinatari delle norme[30].
Ad oggi numerose pubbliche amministrazioni hanno emanato i propri codici di comportamento. È impossibile qui fare un elenco di tutti i codici emanati, per cui occorrerà caso per caso verificare se l’amministrazione interessata ha emanato un codice di comportamento che prevede norme più specifiche e stringenti rispetto a quelle generali.
Può essere comunque utile segnalare l’esistenza di specifiche norme sul conflitto di interessi nei codici di comportamento emanati dalle amministrazioni centrali più importanti, che talvolta prevedono obblighi di comunicazione e astensione più stringenti di quelli previsti a livello generale.
In particolare, a titolo esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività si tratta, tra l’altro: dell’art. 6 del “codice di comportamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale”[31]; degli artt. 10 e 11 del “codice di comportamento del Ministero dell’Interno”[32]; degli artt. 6 e 7 del “codice di comportamento dei dipendenti del Ministero della Giustizia”[33]; degli artt. 5 e 6 del “codice di comportamento dei dipendenti del Ministero della Difesa"[34].
5. Casistica
Scendiamo sul piano delle concretezze. La giurisprudenza amministrativa è abbastanza restrittiva nell’interpretazione della disciplina del conflitto di interessi, al fine di non paralizzare l’attività della pubblica amministrazione a causa dell’incompatibilità dei funzionari competenti ad agire.
Un interessante settore di approfondimento casistico, tra l’altro, può essere quello delle procedure concorsuali in cui si segnala una copiosa giurisprudenza.
Tendenzialmente la giurisprudenza sembra riconoscere l’esistenza del conflitto di interessi quando tra commissario d’esame ed esaminando esiste una comunanza di interessi economici d'intensità tale da far ingenerare il sospetto che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il componente la commissione ed idonea a far insorgere un sospetto consistente di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento[35].
In ogni caso, non si può giungere ad una conclusione generale sullo stato dell’arte in quanto la casistica è molto varia e gli orientamenti sono oscillanti.
Tuttavia, può essere utile ripercorrere brevemente la casistica per comprendere come iene in concreto applicata la disciplina.
Sul punto l’ANAC ha fatto un ottimo lavoro di ricognizione con la delibera n. 209 del 2017.
5.1 La delibera ANAC n. 209 del 2017
Per concludere si segnala la delibera epigrafata, che fa un ottimo lavoro di ricognizione dei recenti approdi ermeneutici del giudice amministrativo in relazione alla disciplina del conflitto di interesse nel settore dei concorsi pubblici. La diversità degli esiti dei giudizi analizzati dall’Autorità rende evidente la complessità della disciplina della materia del conflitto di interessi sul piano applicativo e la natura di istituti “di confine” del diritto amministrativo. La giurisprudenza, peraltro, è in continua evoluzione.
Sono ipotesi di applicazione concreta della disciplina sul conflitto di interessi alle commissioni di concorso anche in relazione a selezioni in ambito universitario:
- l’appartenenza allo stesso ufficio del candidato e il legame di subordinazione o di collaborazione tra i componenti della commissione e il candidato stesso non rientrano nelle ipotesi di astensione di cui all’art. 51 c.p.c.[36];
- i rapporti personali di colleganza o di collaborazione tra alcuni componenti della commissione e determinati candidati non sono sufficienti a configurare un vizio della composizione della commissione stessa, non potendo le cause di incompatibilità previste dall’art. 51 (tra le quali non rientra l’appartenenza allo stesso ufficio e il rapporto di colleganza) essere oggetto di estensione analogica, in assenza di ulteriori e specifici indicatori di una situazione di particolare intensità e sistematicità, tale da dar luogo ad un vero e proprio sodalizio professionale [37];
- la conoscenza personale e/o l’instaurazione di rapporti lavorativi ed accademici non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali non siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali[38];
- i rapporti personali diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro ed allievo o tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio, essendo rilevante e decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni docente/allievo, si sia concretato in un autentico sodalizio professionale, in quanto tale “connotato dai caratteri della stabilità e della reciprocità d’interessi di carattere economico” in “un rapporto personale di tale intensità da fare sorgere il sospetto che il giudizio non sia stato improntato al rispetto del principio di imparzialità” [39];
- “sussiste una causa di incompatibilità - con conseguente obbligo di astensione - per il componente di una commissione giudicatrice di concorso universitario ove risulti dimostrato che fra lo stesso e un candidato esista un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico ed una indubbia connotazione fiduciaria”[40];
- quello in cui in sede di pubblico concorso l’incompatibilità tra esaminatore e concorrente si può realmente ravvisare non già in ogni forma di rapporto professionale o di collaborazione scientifica, ma soltanto in quei casi in cui tra i due sussista un concreto sodalizio di interessi economici, di lavoro o professionali talmente intensi da ingenerare il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva e genuina, ma condizionata da tale cointeressenza[41];
- “nelle procedure di concorso, costituiscono quindi cause di incompatibilità dei componenti la Commissione esaminatrice, oltre ai rapporti di coniugio e di parentela e affinità fino al quarto grado, le relazioni personali fra esaminatore ed esaminando che siano tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia stato giudicato non in base al risultato delle prove, ma in virtù delle conoscenze personali o, comunque, di circostanze non ricollegabili all'esigenza di un giudizio neutro, o un interesse diretto o indiretto, e comunque tale da ingenerare il fondato dubbio di un giudizio non imparziale, ovvero stretti rapporti di amicizia personale (v. T.a.r. Friuli Venezia Giulia-Trieste 30 novembre 2001, n. 716). (...) Pertanto, se è pur vero che, di regola, la sussistenza di singoli e occasionali rapporti di collaborazione tra uno dei candidati ed un membro della Commissione esaminatrice, non comporta sensibili alterazioni della par condicio tra i concorrenti, è altrettanto vero che l’esistenza di un rapporto di collaborazione costante (per non dire assoluta) determina necessariamente un particolare vincolo di amicizia tra i detti soggetti, che è idonea a determinare una situazione di incompatibilità dalla quale sorge l’obbligo di astensione del commissario, pena, in mancanza, il viziare in toto le operazioni concorsuali”[42];
- quanto ai c.d. coautoraggi, è stato affermato che in materia di concorsi universitari non comporta l’obbligo di astensione di un componente la commissione giudicatrice di concorso a posti di professore universitario la circostanza che il commissario e uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere; tenuto conto che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica che risponde alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca; non costituisce, quindi, ragione di incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, mentre l’obbligo di astensione sorge nella sola ipotesi di comunanza d’interessi economici di intensità tale da far ingenerare il ragionevole dubbio che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il commissario [43].
6. Conclusioni
Per concludere si può affermare che è stata introdotta in ambito procedimentale una disciplina sul conflitto di interessi simile a quelle già da tempo conosciute in ambito processuale.
Sicuramente, si tratta di un passo avanti significativo nel prevenire l’esistenza dei presupposti della corruzione e, in generale, della maladministration.
La disciplina sembra ancora generica e poco incisiva, anche alla luce della interpretazione giurisprudenziale, ma il dado è tratto: un principio di regolamentazione dei conflitti di interessi è entrato nel sistema.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Cfr. G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, 2017; F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2012; E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 2016.
[2] http://www.treccani.it/enciclopedia/conflitto-di-interessi/
[3] Aristotele, Metafisica, Libro Gamma, cap. 3, 1005 b 19-20.
[4] V. relazione al codice civile, sub art. 1394 c.c.: “636. – Quando il rappresentante agisce anche nell’interesse proprio, la sua volontà non sempre si forma ispirandosi, come dovrebbe fare, esclusivamente agli interessi del rappresentato; se ciò accade si sanziona l’annullamento dell’atto posto in essere dal rappresentante. L’ipotesi configura conflitto od opposizione di interessi, una situazione cioè che, a differenza dell’eccesso obiettivo di potere (art. 1398), dà luogo ad una anormalità non apparente; conseguenza deve essere che la sanzione dell’annullamento opera in confronto dei terzi soltanto se si provi che questi conoscevano o dovevano conoscere l’esistenza del conflitto (art. 1394). L’atto che lede solo un interesse del rappresentato è annullabile e non nullo, in armonia con le disposizioni degli articoli 322, 323, secondo comma, e 378, terzo comma. Se l’atto compiuto in situazione di conflitto offende invece, anche soltanto virtualmente, un interesse pubblico, allora la sanzione è quella della nullità (art. 1471, n. 1 e 2).”
[5] La corte di cassazione ha chiarito che “non costituiscono pertanto cause di annullamento del contratto per conflitto di interessi né la mera convergenza di interessi … né l’uso malaccorto o non proficuo che il rappresentante faccia di tali poteri … “ (Cass., 3 luglio 2000 n. 8879)
[6] La giurisprudenza sul piano probatorio ritiene sufficienti “… indizi che consentono al giudice di merito di ritenere (provato il conflitto di interessi) secondo l’id quod plerumque accidit …” (Cass. civ. n. 6755 del 2003)
[7] Art. 1395 c.c.
[8] v. nota n. 3.
[9] Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748: "Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti ... Perché non si possa abusare del potere occorre che ... il potere arresti il potere"
[10] Si veda F.Donati, l’impegno civile dei magistrati, in Federalismi.it n. 21/2019
[11] La disposizione prevede: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.”
[12] Artt. 36 ss. c.p.p. e art. 51 c.p.c.
[13] V. legge n. 241 del 1990 prima della modifica operata dalla l. n. 190 del 2012.
[14] D.P.R. n 487 del 1984. L’art. 11 prevede disciplina gli adempimenti della commissione esaminatrice del concorso e dispone che “I componenti, presa visione dell'elenco dei partecipanti,
sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità
tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice di procedura
civile”.
[15] V. Legge 3 agosto 2009, n. 116 concernente la “Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, nonché norme di adeguamento interno e modifiche al codice penale e al codice di procedura penale”.
[16] Sull’approccio preventivo della Convenzione v. M. Arnone, S. Borlini, Corruption Economic Analysis and International Law, Cheltenham, UK, E. Elgar, 2014, 314 ss.
[17] Cfr. R. Cantone e E. Carloni, La prevenzione della corruzione e la sua Autorità, in Dir. pubb., 2017
[18] R. Theobald, Corruption, Development and Underdevelopment, 1990, Durham; nonché a S. Rose Ackerman, Corruption and Government, Causes, Consequences and Reform 2, New York, Cambridge Un. Press, 2016.
[19] Art. 97 cost.
[20] Art. 1 l. n. 241 del 1990.
[21] T.A.R. Salerno, II, n. 580 del 2014.
[22] Cons. di St. n. 3956 del 2014.
[23] T.A.R. Lazio II n. 3597 del 2013.
[24] Il comma 59 della l. n. 190 del 2012 infatti prevede che “Le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui ai commi da 1 a 57 del presente articolo, di diretta attuazione del principio di imparzialità di cui all’articolo 97 della Costituzione, sono applicate in tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.
[25] V. comma 3 dell’art. 54 cit.
[26] Consiglio di Stato atti normativi n. 667 del 2019.
[27] Infatti l’art. 54 comma 5 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che “ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente comma si applicano le disposizioni del comma 3. A tali fini, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) definisce criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione”.
[28] V. linee guida ANAC n. 75 del 2013 “Linee guida in materia di codici di comportamento delle singole amministrazioni”.
[29] V. decimo punto denominato “TENUTO CONTO” della premessa del “Codice di comportamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale”
[30] V. undicesimo punto denominato “TENUTO CONTO” della premessa del “Codice di comportamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale”
[31] Disponibile sul sito istituzionale del Ministero degli Esteri www.esteri.it
[32]Disponibile sul sdel Ministero dell’Interno www.interno.gov.it
[33] Disponibile sul sito istituzionale del Ministero della Giustizia www.giustizia.it
[34] Disponibile sul sito istituzionale del Ministero della Difesa www.difesa.it
[35] Ex multis Cons. di St. V n. 3443 del 2015
[36] Consiglio di Stato, sez. III, 28.4.2016, n. 1628, Consiglio di Stato, sez. V, 17.11.2014 n. 5618; sez. VI, 27.11. 2012, n. 4858.
[37] Consiglio di Stato, sez. VI, 23.09.2014 n. 4789.
[38] Consiglio di Stato, VI, 26.1.2015, n. 327 e da ultimo Consiglio di Stato, sez. III, 28.4.2016, n. 1628.
[39] Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2119)» (Consiglio di Stato, sez. III, 28.4.2016, n. 1628
[40] Cons. Stato Sez. VI, 31.5.2013, n. 3006, TAR Lazio, Roma, 21.2.2014 n. 2173.
[41] TAR Lazio, Roma, 21.2.2014 n. 2173, T.A.R. Lazio, Roma Sez. III bis, 11.7.2013, n. 6945
[42] TAR Sicilia, II, 18.10.2016, n. 2397.
[43] Cons. Stato, Sez. V, 16.8.2011, n. 4782; Consiglio Stato, sez. VI, 18.8.2010, n. 5885.