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Pubbl. Mer, 4 Dic 2019

Pec inviata a indirizzo non presente in pubblici elenchi: errore scusabile?

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Luca Collura


Con la sentenza n. 7170 del 22 ottobre 2019, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, considerata l´ondivaga giurisprudenza in materia, sia meritevole di remissione in termini chi abbia effettuato una notifica ex L. 53/1994 ad un indirizzo di P.E.C. non contenuto in un elenco diverso dal ReGIndE.


Sommario: 1. I termini della questione e il dibattito giurisprudenziale – 2. Il casus decisus – 3. La decisione del Consiglio di Stato – 4. Il commento.

 

1. I termini della questione e il dibattito giurisprudenziale

Agli inizi del 2019, è prepotentemente balzata all’attenzione degli interpreti del diritto una questione probabilmente destinata ad essere oggetto discussione ancora per tutti: la validità della notifica effettuata in proprio a mezzo P.E.C. ad un indirizzo diverso da quello reperibile sul ReGIndE (acronimo di “Registro Generale degli Indirizzi Elettronici”) ma presente su un elenco diverso.

Tutto è nato da un’ormai “famigerata” sentenza della Corte di Cassazione[1], con la quale il giudice della nomofilachia ha stabilito che l’unico indirizzo P.E.C. che può considerarsi valido ai fini processuali è quello rinvenibile dal ReGIndE mentre è radicalmente nulla la notifica effettuata ad un indirizzo diverso, nello specifico quello rinvenibile sull’INI-PEC (acronimo di “Indice Nazionale degli Indirizzi PEC”)[2].

Le potenziali conseguenze di un simile orientamento non tardarono a suscitare accese polemiche[3], atteso che è oggigiorno cosa assai comune per gli Avvocati effettuare notifiche in proprio a mezzo P.E.C., che il numero di processi in corso nei quali le notifiche erano state effettuate in proprio è enorme e che una pronuncia della Corte di Cassazione è fortemente idonea, per quanto non condivisibile, ad influenzare le decisioni di qualunque giudice di merito. Oltretutto, si è fatto notare[4] che la sentenza conteneva un errore materiale nella parte in cui, in contrasto con le risultanze degli elementi acquisiti al fascicolo, riteneva nulla la notifica effettuata ad un indirizzo estratto dall’INI-PEC[5] anziché dall’I.P.A.[6] (acronimo di “Indice delle Pubbliche Amministrazioni”).

La questione, poi, si poneva in aperto contrasto con la normativa attualmente vigente, considerato il fatto che, mentre l’INI-PEC è un pubblico elenco che la legge prevede come deputato a raccogliere i domicili digitali delle imprese e dei professionisti, l’I.P.A., a seguito delle modifiche intervenute nel 2014 alle disposizioni vigenti, non può più essere fatto rientrare tra detti pubblici elenchi.

A seguito delle accese discussioni sorte in conseguenza della pronuncia in parola, la Corte di Cassazione, con due successive decisioni[7], ha mostrato però di aver “cambiato opinione” sul caso portato alla sua attenzione, ritenendo valide le notifiche a mezzo P.E.C. ad indirizzi estratti dall’INI-PEC[8].

Ad esito degli arresti menzionati, quindi, è stato correttamente ristabilito che sono valide le notifiche effettuate ad indirizzi P.E.C. estratti dal ReGIndE o dall’INI-PEC, essendo entrambi “pubblici elenchi” a norma di legge, mentre è da ritenersi nulla quella effettuata ad un indirizzo estratto dall’I.P.A., non rientrando più lo stesso tra i pubblici elenchi previsti dalla legge.

Tuttavia, come vedremo nel prosieguo, la questione rispetto alla validità di una notifica effettuata ad un indirizzo P.E.C. estratto dall’I.P.A. non è stata del tutto sopita[9].

2. Il casus decisus

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato viene chiamato a decidere su un ricorso avvero una sentenza del T.A.R. Liguria concernente la legittimità di un provvedimento di revoca di misure d’accoglienza temporanea emesso dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Genova ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. a), d.lgs. 142/2015.

In primo grado, il T.A.R. dichiarava l’inammissibilità del ricorso perché la notifica dello stesso a mezzo P.E.C. ai sensi della l. 53/1994 era avvenuta ad un indirizzo diverso da quello dedicata dall’Amministrazione al ricevimento degli atti giudiziari, oltretutto estratto dall’I.P.A.

Al contempo, il T.A.R. ligure riteneva che non si potesse accordare al ricorrente il beneficio della rimessione in termini ai sensi dell’art. 37 d.lgs. 104/2010 (c.d. “codice del processo amministrativo” o “c.p.a.”), in quanto l’errore fosse senz’altro da imputarsi a negligenza del ricorrente.

Avverso la decisione, come anzidetto, veniva proposto ricorso in appello avanti al Consiglio di Stato con il quale, oltre alla riproposizione di tutte le eccezioni di merito sollevate in primo grado, l’appellante si doleva del fatto che la decisione del giudice di prime cure fosse da ritenersi erronea in quanto l’indirizzo P.E.C. cui lo stesso aveva notificato il ricorso, malgrado non fosse quello deputato al ricevimento di atti giudiziari da parte dell’Amministrazione interessata, era comunque contenuto nell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni, pertanto di certo utilizzabile per effettuare notifiche alla Pubblica Amministrazione. L’appellante, inoltre, riteneva che, atteso l’orientamento ondivago dimostrato in materia dalla giurisprudenza, il giudice avrebbe dovuto concedere il beneficio della rimessione in termini, essendo le “oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto” espressamente previste dall’art. 37 c.p.a. come presupposto per la sua applicazione.

3. La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, passa dapprima in rassegna tutta la storia dell’evoluzione normativa di fonte primaria e secondaria in materia di notifiche a mezzo P.E.C. in ambito P.A.T. (“Processo Amministrativo Telematico”), addivenendo a fissare i seguenti punti fermi:

- entro il 30.11.2014, le Pubbliche Amministrazioni dovevano comunicare al Ministero della Giustizia l’indirizzo P.E.C. valido ai fini della notifica telematica nei loro confronti, perché potesse essere inserito in apposito elenco (nella specie quello di cui all’art. 16, c. 12, d.l. 179/2012, convertito in l. 221/2012, denominato ReGIndE);

- dal 15.12.2013, per le notificazioni e comunicazioni di atti in materia civile, penale, amministrative, contabile e stragiudiziale, ai sensi dell’art. 16-ter, cc. 1 e 1-bis, d.l. 179/2012, si intende per “pubblico elenco”, tra gli altri, quello di cui all’art. 16, c. 12, d.l. 179/2012;

- l’indirizzo P.E.C. da utilizzare per la notificazione del ricorso alla P.A. deve essere quello contenuto nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia di cui all’art. 16, c. 12, d.l. 179/2012;

- la scelta del legislatore è chiara nel senso di ritenere ritualmente effettuata solo la notifica avvenuta agli indirizzi P.E.C. reperiti in pubblici elenchi tassativamente individuati[10];

- l’indirizzo P.E.C. reperito sull’I.P.A., essendo stato tale elenco espunto da quelli tassativamente indicati dalla legge, non è valido ai fini della notifica di atti alla P.A.

Premesso questo, il Consiglio di Stato chiarisce come sia da ritenere senz’altro nulla la notifica effettuata dall’appellante all’Amministrazione presso l’indirizzo reperito presso I.P.A.

Ciononostante, il Collegio ammette che la disciplina di cui ai pubblici elenchi in parola abbia avuto, nel tempo, esiti esegetici non sempre univoci in giurisprudenza, atteso che è possibile rinvenire pronunce[11] che hanno ritenuto valida la notifica effettuata ad indirizzi P.E.C. tratti dall’I.P.A., nel caso in cui l’Amministrazione destinataria fosse rimasta inadempiente all’obbligo di comunicare al Ministero della Giustizia il proprio indirizzo deputato a tali fini (che, come sopra ricordato, doveva essere adempiuto entro il 30.11.2014).

Questa eccesiva oscillazione nelle decisioni giurisprudenziali è, a parere del Consiglio di Stato, motivo idoneo a fondare l’applicazione dell’art. 37 c.p.a. e la conseguente rimessione in termini di chi ha effettuato la notifica, «registrandosi in definitiva […] ragioni di incertezza sulla questione di diritto suesposta»[12] ed avendo dovuto il giudice di prime cure qualificare come “scusabile” l’errore del ricorrente.

4. Il commento

A parere di chi scrive la decisione del Consiglio di Stato è condivisibile nella parte in cui, in linea di principio, ritiene applicabile l’art. 37 c.p.a. a fronte dell’esistenza di oggettive ragioni di incertezza sulla questione di diritto sottoposta alla sua decisione[13], ma presta il fianco ad obiezioni, palesando profili di intrinseca contraddittorietà.

In particolare, malgrado il richiamo fatto dal giudice amministrativo alla non univoca interpretazione che la giurisprudenza si è trovata a dare della disciplina in materia di indirizzi P.E.C. cui effettuare la notifica di atti destinati ad una Pubblica Amministrazione, laddove si fossero correttamente intese le pronunce giurisprudenziali richiamate dallo stesso organo giudicante e comunque adeguatamente valutato il caso concreto, sarebbe stato evidente che, nell’ipotesi in commento, non ricorrevano i presupposti per la rimessione in termini dell’appellante, essendo il suo errore dovuto a negligenza più che ad un effettivo stato di incertezza circa l’indirizzo P.E.C. da utilizzare ed il registro da cui estrapolarlo.

Nel caso  de quo, l’Amministrazione destinataria del ricorso di primo grado era l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, il cui indirizzo P.E.C. da utilizzare per la comunicazione e la notificazione di atti di qualunque natura è regolarmente presente sul ReGIndE.

Nelle pronunce richiamate dal Consiglio di Stato, con le quali era stata ritenuta valida la notifica effettuata all’indirizzo di posta elettronica certificata presente sull’I.P.A., si era addivenuti ad affermare un tale principio in considerazione della circostanza che l’Amministrazione interessata era rimasta inadempiente dinanzi al proprio obbligo di comunicare al Ministero della Giustizia un indirizzo P.E.C. per la ricezione e la comunicazione di atti, con la conseguenza che, in quelle occasioni, secondo i giudicanti, non essendo materialmente possibile per l’interessato rinvenire un indirizzo sul ReGIndE – e solo ed esclusivamente a causa di tale particolare situazione di fatto –, andasse bene un qualsiasi altro indirizzo di posta elettronica certificata riferibile all’Amministrazione destinataria.

Ciò considerato, è di tutta evidenza che il ricorrente, all’atto di notificare il ricorso, non poteva, se non poter propria colpa, non riuscire a reperire l’indirizzo P.E.C. che l’Avvocatura Distrettuale dello Stato aveva fatto inserire nel ReGIndE, da ciò derivando di necessità che doveva ritenersi radicalmente nulla la notifica da lui effettuata all’indirizzo reperito sull’I.P.A., sia perché diverso che per il fatto di essere contenuto in un elenco che, a norma di legge, non rientra più tra i pubblici elenchi deputati alla raccolta dei domicili digitali della Pubblica Amministrazione.

Il Consiglio di Stato, però, pur ritenendo apertis verbis nulla la notifica effettuata dall’appellante, in aperto contrasto e del tutto incoerentemente con quanto sostenuto poche righe prima, ha deciso che l’errore nella scelta dell’indirizzo P.E.C. non fosse da addebitare a negligenza del notificante ma allo stato di incertezza oggettiva sulla questione di diritto concernente la validità di una notifica effettuata ad un indirizzo diverso, nella specie quello reperito sull’I.P.A.

Concludendo, atteso che, sulla base dell’attuale orientamento della giurisprudenza, lo stato di incertezza cui fa riferimento il Consiglio di Stato può dirsi esistente soltanto rispetto ai casi di mancato inserimento di un indirizzo P.E.C. nel ReGIndE e non anche in caso di assolvimento di tale obbligo da parte dell’Amministrazione, nonostante sia condivisibile la statuizione del giudicante circa l’applicabilità dell’art. 37 c.p.a. alla prima fattispecie, non può sfuggire come, con la sentenza in commento, si sia operata un’applicazione errata[14] del principio di diritto enunciato, non ricorrendone in concreto i presupposti di applicabilità.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., 8 febbraio 2019, n. 3709, secondo la quale «Il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicchè la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)».

[2] Conformi, anche se non avevano destato lo stesso scalpore.

[3] L’associazione “Centro Studi Processo Telematico” è stata la prima ad intervenire con un comunicato del 4 marzo 2019 (pubblicato su internet alla pagina www.cspt.pro), auspicando «un intervento del Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione, che consenta di superare un’interpretazione in aperto contrasto con il d.l. 179 del 2012 e con i principi espressi dal Codice dell’Amministrazione Digitale, che trovano espressa applicazione anche nel processo civile». Lo stesso CNF, con lettera del 05.03.2019, si è rivolto al Primo Presidente della Corte di Cassazione facendo notare anzitutto che «Tale sentenza, anche alla luce delle difese svolte in corso di causa,  pare contenute un errore materiale, laddove si sostiene la nullità delle notifiche effettuate ad un indirizzo estratto da INI-PEC: in realtà la decisione intendeva far riferimento alla nullità di un indirizzo estratto dall’Indice delle Pubbliche Amministrazioni – iPA) come peraltro emerge dall’esame del contesto della parte motiva» e chiedendo «pertanto che Ella possa valutare le modalità di intervento idonee a porre rimedio all’accaduto, confermandoLe la disponibilità del Consiglio Nazionale Forense ad assumere le necessarie iniziative».

[4] Ciò ha fatto il CNF con la lettera del 05.03.2019, sopra riportata in estratto ma anche L. SILENI, PCT – Cassazione Sezioni 9893/2019 – Valida la notificazione via PEC a indirizzo censito nel registro INIPEC, in www.sistemiamolitalia.it , maggio 2019.

[5] Valga in proposito ricordare che, a norma del combinato disposto degli artt. 6-bis d.lgs. 82/2005 e 16-ter, c. 1, d.l. 179/2012,INI-PEC è un “pubblico elenco” atto a raccogliere gli indirizzi P.E.C. validi come domicilio digitale.

[6] L’I.P.A. – a seguito della modifica intervenuta con l’entrata in vigore della l. 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014, che ha espunto dall’elenco contenuto nell’art. 16-ter, c. 1, d.l. 179/2012, il rinvio operato all’art. 16, c. 8, d.l. 185/2008, che prevedeva l’istituzione dell’elenco in parola – è da ritenersi non più rientrante tra i “pubblici elenchi”.

[7] Cass., 9 aprile 2019, nn. 9893 e 9897.

[8] Cfr. N. FABIANO, Nulla la notifica ad un indirizzo PEC diverso da quello presente nel RegInDE, in www.diritto24.ilsole24ore.com , febbraio 2019.

[9] Pare opportuno ivi richiamare Cass., SS.UU., 28 settembre 2018, n. 23620, secondo le quali la notifica effettuata ad un indirizzo P.E.C. diverso da quello contenuto in pubblici elenchi è comunque valida se raggiunge lo scopo di portare il destinatario a conoscenza dell’atto.

La pronuncia, tuttavia, pare non condivisibile e forse anche contra legem, atteso che l’art. 3-bis, c. 1, l. 53/1994 espressamente prevede che la notificazione con modalità telematica «può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi». Nello stesso senso M. REALE, Notifica Pec nulla? Sezioni Unite: è valida se raggiunge lo scopo, in www.altalex.com novembre 2018.

[10] Cons. di Stato, 20 gennaio 2016, n. 197, per il quale «Ne segue che la notifica […], quand’anche abbia messo l’Avvocatura Generale nelle condizioni di conoscere, de facto, la sentenza, non è valida a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, poiché detta notifica doveva essere ritualmente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica dell’Avvocatura predisposto a fini processuali e, cioè, quello risultante al REGINDE, previsto dall’art. 7 del D.M. 44/2011 e menzionato come registro valido ai fini delle notifiche PEC dall’art. 16-ter del D.L. 179/2012»; Cons. di Stato, 29 dicembre 2017, n. 6178; Cons. giust. amm. Sicilia,12 aprile 2018, n. 217; Cass., 25 maggio 2018, n. 13224; Cass., 27 giungo 2019, n. 17346.

[11] Cons. di Stato, 12 dicembre 2018, n. 7026, secondo la quale «Al riguardo si deve rilevare in linea generale che dall'entrata in vigore (19 agosto 2014) dell'art. 16-sexies del D.L. n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, […] si impone certamente nell'ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall'art. 366 cod. proc. civ., per il giudizio di cassazione) alle parti la notificazione dei propri atti presso l'indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui all'art. 6-bis del d.lgs. n. 82-2005 (Codice dell'amministrazione digitale) ovvero presso il ReGIndE, di cui al D.M. n. 44-2011, gestito dal Ministero della Giustizia, escludendosi che la notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo PEC, per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione e, in tal senso, la prescrizione dell'art. 16-sexies prescinde dalla stessa indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell'indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l'indirizzo PEC del difensore, stante l'obbligo in capo a quest'ultimo di comunicarlo al proprio ordine e dell'ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel ReGIndE; Cons. di Stato, 27 febbraio 2019, n. 1379, per il quale «Nel caso di specie, inoltre, nei provvedimenti impugnati era stato espressamente indicato che il ricorso avrebbe dovuto essere presentato all'INPS "esclusivamente attraverso il canale telematico..." sicché ragionevolmente la società ricorrente - dovendo ricorrere necessariamente alla notifica telematica - ha utilizzato l'indirizzo estratto dal pubblico registro IPA non avendone l'INPS indicato uno nell'elenco Reginde, […]».

[12] Così Cons. di Stato, 22 ottobre 2019, n. 7170, in commento.

[13] In caso di mancato inserimento dell’indirizzo P.E.C. nel ReGInde e sua reperibilità soltanto sull’I.P.A., poi, alle “oggettive ragioni di incertezza” cui fa riferimento il Consiglio di Stato, a parere di chi scrive va aggiunta, e forse risulta anche più pregnante nel caso concreto, la necessità di permettere comunque all’interessato di effettuare la notifica: in tal caso, essendo possibile effettuarla addirittura presso la cancelleria dell’Ufficio Giudiziario (cfr. Cons. di Stato, n. 7026/2018, sub nota 11), non vi sarebbe motivo per escludere la possibilità di eseguirla ad un indirizzo P.E.C. comunque riferibile all’Amministrazione destinataria.

[14] E finanche contra legem, per le motivazione già esplicitate sub nota 9.