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Pubbl. Mer, 16 Ott 2019

L´alienazione simulata per eludere l´esecuzione del Fisco configura il reato di frode sottrattiva

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Raffaele Di Gioia


Il reato scatta al compimento di atti da parte del debitore, per loro natura simulatoria o fraudolenta, finalizzati ad occultare i propri o altrui beni, ostacolando così l’azione di recupero del Fisco


Sommario: 1. Premessa; 2. Quadro normativo; 3. Configurabilità del reato: tra “alienazione simulata” ed “atti fraudolenti”; 4. Le conseguenze: sequestro preventivo e confisca obbligatoria; 5. Il giudizio de quo.

1. Premessa

Secondo la Suprema Corte di Cassazione - sentenza n. 36955 del 9 aprile 2019 - in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione del Fisco.

2. Quadro normativo

Al riguardo, occorre premettere che l'art. 11 del d. Igs. 74/2000 ("sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte"), anche nota come frode sottrattiva, sanziona, nell'ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l'ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.

La norma incriminatrice, la cui portata applicativa è stata ampliata, anche con l'introduzione al secondo comma di una nuova fattispecie, dal D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha un suo precedente storico nell'art. 97 del D.P.R. 602/1973, che, nella versione introdotta dalla Legge n. 413/1991, puniva, con la reclusione fino a tre anni, il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene pecuniarie dovuti, aveva compiuto, dopo che erano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o erano stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi di imposta, ovvero erano stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che avevano reso in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale. La disposizione non si applicava se l'ammontare delle somme non corrisposte non era superiore a 10 milioni di lire.

Nel confrontare la previsione attuale con quella precedente, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 17071 del 4 aprile 2006) ha osservato come nella previsione di cui all'art. 11 del D.Lgs. 74/2000 sia scomparso ogni riferimento alla necessità dell'effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, essendo ora sufficiente che l'azione sia idonea a rendere inefficace l'esecuzione esattoriale, configurandosi dunque la fattispecie in termini di reato di pericolo concreto (sul punto cfr. Cass. n. 13233 del 24 febbraio 2006).

3. Configurabilità del reato: tra “alienazione simulata” ed “atti fraudolenti”

Altra novità significativa della previsione normativa attualmente vigente è l'inserimento, accanto agli atti fraudolenti, del concetto di “alienazione simulata”. Al riguardo è stato affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 3011 del 5 luglio 2016, con ampi richiami all'evoluzione storica e interpretativa della fattispecie) che l'alienazione può definirsi “simulata”, ossia finalizzata a creare una situazione giuridica apparentemente diversa da quella reale, allorquando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) all'effettiva volontà dei contraenti, con la conseguenza che, ove invece il trasferimento del bene sia effettivo, la relativa condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato, ma deve essere valutata esclusivamente quale possibile “atto fraudolento”.

Quanto alla nozione di “atti fraudolenti”, deve evidenziarsi che, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico (cfr. Cass. n. 25677 del 16 maggio 2012), devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand'anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l'esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione.

Deve quindi rimarcarsi che, ai fini della configurabilità del reato, non è sufficiente la semplice idoneità dell'atto a ostacolare l'azione di recupero del bene da parte dell'Erario, essendo invece necessario il compimento di atti che, nell'essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta.

La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell'agente è stata di recente sottolineata anche dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12213 del 21 dicembre 2017 che, nell'ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all'art. 388 cod. pen., norma il cui schema risulta richiamato dall'art. 11 del D.Lgs. 74/2000, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito, per cui in quest'ottica può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma, non potendosi in definitiva far coincidere la natura simulata dell'alienazione o il carattere fraudolento degli atti con il fine di vulnerare le legittime aspettative dell'Erario.

4. Le conseguenze: sequestro preventivo e confisca obbligatoria

In definitiva, il profitto del reato, confiscabile anche nelle forme per equivalente, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il Fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita (non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato); dunque, non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, bensì nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere e lo stesso consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma.

Cosicché, in tale contesto giuridico, i beni immobili appartenenti al soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca - obbligatoria - ai sensi dell’art. 12 bis del D.Lgs. n. 74 del 2000.

 5. Il giudizio de quo

Nel caso di specie, il ricorrente, insieme al figlio, in qualità di soci di due associazioni, compivano atto fraudolenti sui propri beni, diretti a sottrarre la garanzia patrimoniale all’Amministrazione finanziaria: in particolare, affinché i beni rimanessero nella materiale disponibilità dei medesimi, con atto di donazione cedevano - attraverso un correlato contratto di comodato d’uso a titolo gratuito - quali rappresentanti della prima associazione, in favore della seconda associazione, di cui erano pure unici soci, un appartamento e un corpo di fabbrica di quattro piani.

Il Tribunale di Crotone, in assenza di qualsivoglia documentata ragione giustificativa del trasferimento, qualificava la suddetta donazione come atto fraudolento sottrattivo, poiché verificatosi pochi mesi dopo la notifica di un verbale di contestazione di violazioni fiscali nei confronti della prima associazione, precisando che - posto che il reato previsto dall’art. 11 citato, ove integrato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, richiede l’idoneità dei medesimi, con giudizio ex ante, a rendere in tutto o in parte inefficace l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria - non osta a tale ricostruzione l’esperibilità di ulteriori strumenti di tutela, quali l’esercizio dell’azione revocatoria, la cui ipotizzata necessaria ricorribilità a fronte degli ostacoli frapposti alla ordinaria procedura di riscossione conferma, piuttosto, il predetto requisito costitutivo del delitto.