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Pubbl. Sab, 28 Set 2019

Cambiamento del cognome e potere valutativo dell´autorità prefettizia

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Antonello Fiori


Nel nostro ordinamento giuridico sussiste un ampio riconoscimento della facoltà di cambiare il proprio cognome, a fronte del quale la sfera di discrezionalità riservata all’Autorità prefettizia deve intendersi circoscritta alla individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell’interesse privato del soggetto al cambiamento del cognome, ritenuto anch’esso meritevole di tutela


Sommario: 1. Premesse introduttive e inquadramento normativo – 2. Il poter valutativo dell’Autorità prefettizia sulla richiesta di cambiamento o modificazione del cognome alla luce degli orientamenti giurisprudenziali – 3. La recente sentenza del TAR Lombardia (Brescia) 10 luglio 2019, n. 670 – 4. Considerazioni conclusive.      

1. Premesse introduttive e inquadramento normativo 

Il diritto al nome, nel binomio comprensivo del prenome e del cognome, è un diritto fondamentale ed assoluto della persona. Esso rappresenta uno strumento identificativo dell’individuo e, in quanto tale, costituisce parte essenziale e irrinunciabile della personalità, quale primario e più immediato elemento dell’identità personale [1].

Tale insopprimibile diritto della persona è tutelato dalla nostra Carta Costituzionale, agli artt. 2 e 22, così come dall'art. 8 della Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo (C.E.D.U.) e dall'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali U.E., ove è ricondotto, sulla base delle interpretazioni rese nel tempo dalla Corte di Strasburgo, nell’ambito applicativo del diritto al rispetto della vita privata [2].

Com’è noto, il nostro ordinamento giuridico attribuisce le regole secondo cui ogni individuo sin dalla nascita, oltre ad acquisire la capacità giuridica, insita nell’art. 1 c.c., ha diritto ad un nome [3] (art. 6 c.c.) che consente di distinguersi, rispettivamente, all’interno della famiglia di appartenenza e nel più ampio ambito sociale, quale conseguenza del possesso di uno status familiae [4].

Al riguardo, è necessario evidenziare che il diritto del singolo alla propria, unica e personale identità deve fronteggiarsi con l’esigenza pubblicistica alla stabilità degli estremi anagrafici identificativi della persona, anche in relazione al concorrente interesse pubblico alla certezza degli atti e dei rapporti giuridici [5].

L’art. 6, comma 3, c.c. dispone infatti che non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome (ovvero al cognome) “se non nei casi e con le formalità dalle legge indicati”.

Da un punto di vista sostanziale, le disposizioni normative in materia sono abbastanza scarne e, in prevalenza, limitate ad aspetti meramente procedimentali [6].

In particolare, sotto quest’ultimo profilo, viene in rilievo l’art. 89, comma 1, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, recante il “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127”, come da ultimo modificato dal D.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, il quale prevede che: “chiunque vuole (…) cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al Prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce (...)”[7].

Qualora la richiesta appaia meritevole di essere presa in considerazione, il richiedente è quindi autorizzato a fare a affiggere all’albo pretorio del Comune di nascita e del Comune di residenza un apposito avviso contenente un sunto della domanda, per la durata di 30 giorni consecutivi, al fine di consentire a chiunque ne abbia interesse di poter proporre, entro il suddetto termine, opposizione alla richiesta. Una volta accertata la regolarità delle affissioni e vagliate le eventuali opposizioni, il Prefetto provvede sulla domanda con proprio decreto [8].

Nell’ambito del suddetto procedimento, assume pertanto precipuo rilievo l’indicazione delle ragioni effettuata dall’istante, al fine di valutare la meritevolezza della richiesta stessa e l’eventuale conflitto con situazioni giuridiche facenti capo a terzi ovvero per verificare che non vi siano esigenze di pubblico interesse che comportano il respingimento della domanda. Ciò in quanto, è opportuno rilevare, l’interessato non vanta un diritto soggettivo al cambiamento del nome e/o cognome, trattandosi invece sempre di un provvedimento “autorizzatorio” che soggiace al giudizio di ponderazione di competenza dell'Autorità prefettizia [9].

2. Il poter valutativo dell’Autorità prefettizia sulla richiesta di cambiamento o modificazione del cognome alla luce degli orientamenti giurisprudenziali

Dalla lettura dell’art. 89 del D.P.R. n.396/2000 si evince che il Legislatore non ha limitato la possibilità di richiedere il cambio (o la modifica) del cognome a circostanze specifiche e tassative, citando a titolo meramente esemplificativo le ipotesi del nome/cognome "ridicolo o vergognoso" o capace di "rivelare l'origine naturale" dell'interessato [10].

Ne consegue che la relativa istanza può essere sostenuta anche da intenti soggettivi ed atipici (ad esempio, di ordine meramente affettivo, morale, familiare, sociale, economico) purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale.

A tali conclusioni è pervenuta da tempo la giurisprudenza amministrativa che, con un orientamento pressoché consolidato, è costante nell’affermare che sussiste un ampio riconoscimento della facoltà di cambiare il proprio cognome, a fronte del quale la sfera di discrezionalità riservata alla Pubblica Amministrazione deve intendersi circoscritta alla individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell’interesse privato del soggetto al cambiamento del proprio cognome, ritenuto anch’esso meritevole di tutela dall'ordinamento [11].

Sul punto si contrappongono differenti orientamenti in ordine alla natura della discrezionalità esercitata dall’Autorità prefettizia con il provvedimento che conclude l’iter procedimentale avviato con l’istanza di cambio del cognome.

Per una prima e minoritaria impostazione, la Pubblica Amministrazione non eserciterebbe una discrezionalità amministrativa “classica”, il cui esercizio debba quindi concludersi con la ponderazione dell'interesse privato con quello pubblico, essendo il Prefetto titolare semmai di una discrezionalità “limitata” o semplicemente valutativa, in cui rileva soltanto l'esigenza di una verifica della serietà del fatto e dei connessi motivi di rilievo, anche morali, dedotti dall’interesso [12].

L’Autorità prefettizia sarebbe pertanto chiamato esclusivamente a verificare che il cognome richiesto non rientri tra quelli di cui è fatto espresso divieto dall’art. 89, comma 3, del D.P.R. n. 396/2000 [13]; che la fattispecie rappresentata ed i “connessi motivi di rilievo anche morale dell’istanza” siano seri, ponderati ovvero che non siano state fatte dall’istante “valutazioni manifestamente illogiche e/o contraddittorie”.

Secondo la tesi prevalente, invece, la determinazione conclusiva del procedimento di richiesta del mutamento del cognome costituisce provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell’interesse pubblico alla tendenziale stabilità dello stesso, connesso ai profili pubblicistici della sicura identificazione delle persone nella comunità sociale, può essere contemperata con gli interessi di coloro che intendano mutare o modificare i propri estremi anagrafici nonché di coloro che a tale mutamento intendano opporsi [14].

In ogni caso, a prescindere dall'adesione all'una o all'altra opzione interpretativa, giova evidenziare, ovviamente, che il giudizio finale, espressione di discrezionalità, deve essere sorretto da una motivazione adeguata, che dia conto dei diversi valori in gioco nel caso concreto e dei criteri utilizzati per bilanciarli adeguatamente [15], con la precisazione che la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo non può spingersi a vagliare, nel merito, le personali ragioni o apprezzamenti soggettivi dell’istante, non avendo questi ultimi carattere di tassatività [16].

Dalla natura discrezionale del provvedimento prefettizio de quo discende, quale logico corollario, che il sindacato giurisdizionale potrà essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento di potere, sotto il profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative ovvero del difetto di motivazione [17].

3.  La recente sentenza del TAR Lombardia (Brescia) 10 luglio 2019, n. 670

Il presente approfondimento trae spunto dalla recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia (sez. prima) del 10 luglio 2019, n. 670, che ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento con il quale il Prefetto di Brescia ha rigettato un’istanza concernente l’attribuzione del cognome materno in luogo di quello paterno.

Al fine di poter illustrare, compiutamente, il percorso argomentativo seguito dai Giudici amministrativi nella sentenza in commento, è necessario riportare, brevemente, i fatti oggetto della specifica vicenda processuale.

Il ricorrente, fin dalla nascita, ha vissuto esclusivamente con la madre e non ha mai avuto, nel corso della sua infanzia e giovinezza, alcun rapporto con il padre, che ebbe unicamente a riconoscerlo al momento della nascita, salvo poi disinteressarsi completamente della sua crescita, avendo in precedenza dismesso qualsiasi rapporto anche con la madre. Giunto al compimento della maggiore età, il ricorrente esprimeva il desiderio di assumere il cognome materno, in luogo di quello paterno, con ciò manifestando la propria appartenenza al nucleo familiare di riferimento nel quale è cresciuto. A tal fine, presentava al Prefetto di Brescia un’apposita istanza di cambiamento del cognome.

Con il decreto adottato a gennaio 2019, successivo alla notifica del preavviso di cui all’art. 10-bis della Legge n. 241/1990, la Prefettura di Brescia ha rigettato la domanda di cambiamento del cognome, sostenendo che, alla luce del vigente quadro normativo e della prassi ministeriale, non sia possibile sostituire il cognome materno a quello paterno (né anteporre il primo al secondo), salvo il caso di perdita della potestà genitoriale da parte del padre (evenienza comunque non rilevante nel caso di specie).

A sostegno dell’impugnativa, il ricorrente deduceva, tra gli altri, un difetto di motivazione  in quanto l’Amministrazione non avrebbe esplicitato, in alcun modo, le ragioni di pubblico interesse legittimanti il sacrificio del proprio interesse privato al cambiamento del cognome.

Il Collegio, come anticipato, ha accolto il ricorso e, conseguentemente, ha annullato il provvedimento prefettizio impugnato sulla base delle seguenti considerazioni.

Innanzitutto, in linea con gli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, i  giudici amministrativi confermano che, sulla base del vigente quadro normativo, la richiesta di cambiamento del cognome ha carattere tutt’altro che eccezionale, potendo infatti essere sostenuta anche da intenti soggettivi ed atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse, i quali devono essere specificati nella relativa istanza e vagliati dalla Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo; secondariamente, ribadiscono il carattere discrezionale del decreto prefettizio di autorizzazione al mutamento degli estremi anagrafici identificativi della persona, cui consegue la sindacabilità del provvedimento sotto i profili dell'incongruenza dell'iter logico e dell’irragionevolezza della motivazione.

Ebbene, proprio sulla scorta di tale ultimo assunto è stato censurato l’operato dell’Autorità amministrativa, il cui decreto di diniego è stato ritenuto viziato da eccesso di potere per difetto di motivazione. Invero, secondo le conclusioni cui è giunto il collegio, a fronte della puntuale rappresentazione delle ragioni personali fatta dall’istante, il Prefetto avrebbe omesso di addurre alcuno specifico e contrastante interesse pubblico, di tale pregnanza da imporre di sacrificare quello della parte richiedente, senza apparentemente neppure considerare, tra l’altro, che il cognome di cui è stato chiesto il cambiamento è quello materno.

4. Considerazioni conclusive

Come visto, il procedimento per il cambiamento del cognome, di cui agli art. 89 e ss. del D.P.R. n. 396/2000, disciplina il delicato equilibrio tra l’esigenza pubblicistica dell’attribuzione dello status e il diritto all’identità personale, di più recente emersione.

Difatti, accanto alla funzione pubblica del cognome, quale elemento che con tendenziale stabilità nel tempo deve poter rispondere alla funzione di identificazione della persona fisica, fa fronte un’esigenza sempre più avvertita di tutela dell’identità personale, che assolve alla funzione di “strumento identificativo” della persona, e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità, meritevole di tutela dall'ordinamento.

Essendo un aspetto fondamentale della personalità, il cognome costituisce pertanto un elemento tendenzialmente modificabile su scelta di ciascun individuo, a meno che non sussistano puntuali ragioni di pubblico interesse che giustifichino il sacrificio dell'interesse privato del soggetto.

In tale contesto, a bilanciare gli opposti interessi, pubblicistico alla tendenziale stabilità del cognome e privatistico in termini di diritto all’identità personale, è di fondamentale importanza il giudizio di ponderazione svolto dal Prefetto. Tale giudizio, anche alla luce dei richiamati indirizzi giurisprudenziali in materia, deve essere accompagnato da una motivazione che dia rigorosamente conto, valutati anche gli interessi di eventuali controinteressati, del processo argomentativo alla base di ciascuna decisione.

Sebbene l’Amministrazione eserciti un potere discrezionale in ordine al rilascio ovvero diniego del decreto di cambiamento del cognome, è necessario sottolineare, infine, che l’Autorità prefettizia non può spingersi a vagliare le personali ragioni o apprezzamenti soggettivi dell’istante, non avendo questi ultimi carattere di tassatività, e che la stessa è comunque tenuta ad adeguarsi ai canoni che conformano l’azione amministrativa, tra i quali rilevano, in particolare, quelli di logicità e ragionevolezza della motivazione finale.

Note e riferimenti bibliografici 

[1] In tal senso, Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297; Corte Cost., 3 febbraio 1994, n. 13; Corte Cost., 23 luglio 1996, n. 297;  Corte Cost., 11 maggio 2001, n. 120.

[2] Zencovich V.Z., Commento all’art. 8, in Bartole S. - Conforti G. - Raimondi G., Commentario alla Convezione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, p. 307 ss. Tra le principali pronunce della Corte di Strasburgo: Corte EDU, 7 gennaio 2014, Cusan Fazzo c. Italia (ric. n. 77/07); Corte EDU, 5 dicembre 2013, Henry Kismoun c. Francia (ric. n. 32265/10); Corte EDU, 6 settembre 2007, Johansson c. Finlandia (ric. n. 10163/02); Corte EDU, 1 luglio 2008, Daróczy c. Ungheria (ric. n. 44378/05); Corte EDU, 16 novembre 2004, Unal Tekeli c. Turchia (ric. n. 29865/96).

[3] Lenti L., Nome e cognome, in Digesto, sez. civ., XII, 1995, 136. 

[4] Nuzzo M., Nome (diritto vivente), in Enciclopedia del Diritto, Treccani, XXV, Milano, 1978, 304 ss.; Coviello N., Il nome della persona, in II diritto di famiglia e delle persone, 1986, fasc. 1, 278 ss.

[5] Al riguardo, il Giudice delle leggi ha posto in rilievo il valore della identità della persona e, al contempo, la consapevolezza della valenza, pubblicistica e privatistica, del diritto al nome, quale punto di emersione dell’appartenenza del singolo al contesto familiare e sociale (cfr. Corte Cost., 8 novembre 2016, n. 286).

[6] Rilevano, nello specifico: il R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento di stato civile) artt. 153 e ss., ricompresi nel Titolo VIII “Dei cambiamenti e delle aggiunte di nomi e cognomi”; il D.P.R. n. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’Ordinamento di stato civile, così come modificato dal D.P.R 13 marzo 2012, n. 54) artt. 84 e ss., Titolo X “Dei cambiamenti e delle modificazioni del nome e del cognome”.

[7] Con le modifiche apportate nel 2012 sono stati unificati i procedimenti di cambiamento di nome e cognome, individuando nel Prefetto l'unica autorità decisionale in materia. In particolare, tale innovazione, in coerenza con principi in materia di semplificazione amministrativa, ha snellito l'iter procedimentale relativo alle domande di cambiamento di cognome che, in precedenza, prevedeva un’istruttoria a carico delle Prefetture-Uffici Territoriali del Governo ed una successiva competenza decisionale in capo al Ministero dell'Interno, riducendo di conseguenza le tempistiche del procedimento e assicurando, al contempo, una maggiore prossimità dei servizi pubblici da rendere al cittadino (Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: AA.VV., Lo stato civile e l’anagrafe (a cura Sempreviva di M.T.), Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell'Interno, Dike, 2017, 738 ss.).

[8] Il decreto prefettizio, per avere efficacia, deve essere annotato, su richiesta degli interessati, nell’atto di nascita e negli altri atti di stato civile.

[9] V. circolare n. 14/2012, Circolare della Direzione Centrale dei Servizi Demografici del Ministero dell’Interno 21 maggio 2012, n. 14.

[10] Un peculiare procedimento di cambio del cognome è stato introdotto dalla Legge 11 gennaio 2018, n. 4, a favore dei figli orfani a causa di crimini domestici. Come purtroppo testimoniano sempre più spesso i fatti di cronaca, il fenomeno rappresenta un’emergenza sociale nel nostro Paese che, anche in considerazione dell’aumento in termini statistici dei femminicidi, necessitava da tempo, in mancanza di una disciplina generale, di nuovi strumenti giuridici di tutela, sia in sede civile che penale, per questa categoria di “soggetti deboli” e che, finalmente, il suddetto intervento legislativo ha inteso colmare. In particolare, per quanto di interesse, l'art. 13 del suddetto provvedimento legislativo statuisce che i figli della vittima del reato di cui all'art. 575 (omicidio) aggravato ai sensi dell'art. 577, primo comma, numero 1), e secondo comma, del codice penale possono chiedere la modifica del proprio cognome, ove coincidente con quello del genitore condannato in via definitiva per femminicidio (sugli aspetti operativi del nuovo procedimento v. Circolare della Direzione Centrale dei Servizi Demografici del Ministero dell’Interno del 16 febbraio 2018, n. 4).

[11] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; TAR Lazio (Roma), sez. I-ter, 24 aprile 2018 n. 4439; TAR Umbria, 3 Gennaio 2018, n. 16; TAR Lazio (Roma), sez. I-ter, 29 aprile 2015, n. 6186; TAR Lombardia (Milano), sez. I, 13 marzo 2013, n. 676; TAR Liguria, 13 gennaio 2012, n. 57.

[12] Cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, 30 giugno 2017, n. 233; TAR Puglia (Lecce), sez. 1, 22 giugno 2017, n. 1046; TAR Sardegna, sez. I, 20 maggio 2016, n. 44.

[13] In particolare, ai sensi dell’art. 89, comma 3, del D.P.R. n. 396/200, in nessun caso può essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza.

[14] Sulla natura discrezionale del provvedimento: Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2572.

[15] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; TAR Lazio (Roma), sez. I, 29 aprile 2015, n. 6186; TAR Veneto, sez. I, 21 febbraio 2011, n. 283.

[16] Cfr. ex multis Cons. St., sez. I, sent. 17 marzo 2004 n. 515; Cons. Stato, sez. IV, sent. 27 aprile 2004 n. 2572; Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno 2002, n. 3533.

[17] In tal senso, Cons. Stato, sez. I, 17 ottobre 2007, n. 2573; Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4766; Cons. Stato, sez. IV, 26 giugno 2002, n. 3533.