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Pubbl. Ven, 8 Mag 2015

La caccia abusiva può integrare il maltrattamento di animali: l´interpretazione della Cassazione

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Roberto Saglimbeni


La Prima sezione della Corte di Cassazione ha confermato a carico di due cacciatori di frodo il reato di cui all´art. 544 ter, estendendone l´ambito di applicabilità anche al caso in cui il danno derivi dall´installazione di trappole illegali per attività venatorie non autorizzate e non sia direttamente finalizzato al maltrattamento causato.


La crescente attenzione prestata dal diritto al mondo degli animali e alla loro tutela trova piena espressione in una recente sentenza della Corte di Cassazione, tenuta a pronunciarsi sul ricorso di due cacciatori abusivi che, mendiante l'utilizzo di un rudimentale sistema di trappole predisposto per la cattura di un cinghiale, avevano causato il ferimento del cane del vicino. Nello specifico i due, in violazione delle norme sulla caccia, avevano fabbricato un'arma artigianale ("tubo-fucile") il cui innesco era attivato da una trappola predisposta a pochi centimetri da terra: quando il proprietario del cane si era accorto del ferimento del suo animale aveva subito contattato la Forestale che, nel corso di un appostamento, aveva individuato e fermato uno dei due cacciatori, mentre l'altro si era dato alla fuga una volta visto il compagno in mano alle forze dell'ordine. In seguito ad accertamenti domiciliari venivano ritrovati materiali compatibili con l'arma e con la trappola e, quindi, sia in primo che in secondo grado venivano contestati ai due imputati i seguenti reati:

  • Fabbricazione di arma clandestina
  • Detenzione e porto d'arma clandestina
  • Maltrattamento di animali (art. 544 ter)
     

L'art. 544 ter e la tutela dei diritti animali

Il nostro codice stabilisce che "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con multa da 5000 a 30000 euro" . Tale disposizione, che si affianca all'art. 544 bis sull'uccisione di animali, è stata introdotta nell'ordinamento con la L. 189/2004 ed ampliata dalla ratifica, operata con L. 201/2010, della Convezione Europea per la protezione degli animali da compagnia, in vigore fin dal 1992. La Convenzione ha segnato un punto di svolta per gli ordinamenti europei, fino ad allora poco sensibili ai c.d. "diritti animali" che pur hanno animato il dibattito di grandi pensatori (Montaigne, Hume e altri) nel corso dei secoli: sulla scorta di quanto fatto dal legislatore europeo i singoli Stati si sono progressivamente allineati ed anche in Italia si è giunti a una normativa (per quanto basilare) che copre alcune disfunzioni del rapporto uomo-animale con pene sia detentive che pecuniarie.

I presupposti per l'applicabilità dell'art. 544 ter sono la crudeltà del comportamento e la sua gratuità, ovvero la sua non necessità, mentre i casi tipizzati sono il verificarsi di una lesione, il sottoponimento a sevizie e l'imposizione di comportamenti e fatiche non compatibili con la natura dell'animale. Il legislatore compie dunque un salto di qualità, considerando rilevanti ai fini della punibilità le imposizioni e le costrizioni che l'uomo opera in violazione delle "caratteristiche etologiche", termine che include non solo valutazioni sullo stato fisico ma anche sul benessere e sulla qualità della vita dell'animale. Sul piano punitivo l'ampio spettro di comportamenti inclusi nell'art. 544 ter giustifica lo spazio rimesso alla valutazione edittale sia nel determinare l'eventuale reclusione (raramente applicata) sia nella quantificazione della sanzione pecuniaria.
 

La sentenza di Cassazione

I due cacciatori di frodo, condannati in primo e secondo grado, proponevano dunque ricorso in Cassazione, contestando ciascun capo di imputazione. Se riguardo ai primi due la Corte non fa altro che confermare l'interpretazione della Corte d'Appello, dato che le richieste dei ricorrenti andavano oltre il giudizio di legittimità possibile in terzo grado ("[...] in sede di legittimità non può essere presa in considerazione la diversa interpretazione [...] data alle prove dalle parti [...]"), sul terzo e più interessante argomento la Prima sezione argomenta in modo convincente le motivazioni che giustificano l'applicazione dell'art. 544 ter al caso concreto.  Richiamando sentenze precedenti (tra le quali spicca la  n° 44822 del 24/10/2007) la Corte precisa che "[...]la fattispecie di maltrattamento di animali configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale è tenuta per crudeltà mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta senza necessità [...]". Non è quindi rilevante il fatto che i due cacciatori avessero predisposto la trappola e l'arma al fine di catturare un cinghiale, dato che era ampiamente prevedibile e ricadeva nei loro poteri di signoria e controllo il verificarsi dell'evento lesivo a carico di un altro animale, del cui danno sono dunque da ritenersi responsabili in virtù dei principi generali dell'ordinamento penale. 

Risulta poi evidente che il ferimento dell'animale integri il reato di maltrattamento e non possa essere assorbito dalla violazione delle norme sulla caccia, poichè "[...] la regolamentazione di tempi e modi dell'esercizio della caccia è dettata ad altri fini (ecologici, protezione di alcune specie, controllo di animali nocivi), mentre i menzionati delitti sono stati introdotti a protezione del sentimento per gli animali". Se da un lato, infatti, i due imputati hanno esercitato l'attività venatoria in modo illegale, dall'altro è evidente che la lesione provocata all'animale ha in sé un quid in più pienamente coperto dall'art. 544 ter e non riconducibile alla mera violazione di norme sulla caccia o alla mancanza di una concessione; così come non può essere richiamato l'art. 638 c.p. ("Uccisione o danneggiamento di animali altrui"), la cui disposizione include un elemento soggettivo (coscienza dell'altrui proprietà dell'animale) non presente nel caso in esame, neanche a livello di prevedibilità. 

La sentenza della Prima sezione consolida un orientamento dottrinale che mira ad una crescente tutela dei diritti animali, applicando in modo puntuale e coerente i principi introdotti dal legislatore dal 2004 in poi. Al di là del caso concreto, la cui macroscopicità rende sterile qualunque opinione contraria, è comunque da rilevare come l'attuale normativa sia ben lontana dl riconoscere un'ampia soggettività agli animali, "limitandosi" a punire certi comportamenti di stampo violento sul piano fisico: molto più in là si è spinto il legislatore tedesco che, nel 2002, ha inserito in Costituzione una clausola sulla dignità animale, e così anche l'ordinamento comunitario all'art. 13 del Trattato di Lisbona ("Nella formulazione e nell'attuazione delle politiche dell'Unione [...] l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti [...]).


Bibliografia

  1. Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia
  2. Legge 189/2004 e Legge 201/2010 
  3. Sentenza 17012 dell'8/4/2015, liberamente consultabile al link http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/17012_04_2015.pdf