ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 22 Mag 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

L´idea di Costituzione partecipata nell´ordinamento giuridico e nella società

Modifica pagina

Andrea Nisticò


La Costituzione contiene la tavola di valori che rivela il contenuto del Patto che è posto alla base della nascita della Repubblica. E´ utile chiedersi com´ è interpretata oggi la dimensione teleologica e sociale disegnata dalla Carta. In particolare, quale siano gli spazi comuni che si possono recuperare per dare attuazione alle norme fondamentali


Sommario: 1. Introduzione; 2. La struttura della Carta: distinzione tra norme e principi; 3. Il concetto di partecipazione nelle norme costituzionali; 4. Conclusione


1. Introduzione

La Costituzione italiana del 1948 rappresenta l'insieme delle disposizioni fondamentali che regolano l'ordinamento giuridico del nostro paese. La Carta non è solo il pilastro fondamentale sul quale si giustifica l'intero complesso del diritto vigente, ma è anche una tavola di valori che rivela il contenuto del Patto che è posto alla base della nascita della Repubblica[1].

Il profilo regolativo ed il profilo teleologico coesistono nelle disposizioni costituzionali con lo scopo di modellare la democrazia e orientarla al conseguimento del benessere spirituale e materiale, al quale deve tendere tanto la comunità quanto l'individuo.

La dottrina ha, in passato[2], posto la questione della portata giuridicamente vincolante solo di alcune norme della Costituzione. Tale assunto si baserebbe su una supposta distinzione tra norme precettive e norme programmatiche, per cui quest'ultime servirebbero a tracciare dei programmi  la cui realizzazione è demandata al potere legislativo. 

Questa tesi è stata rifiutata con forza dalla Corte Costituzionale. Già con la risalente sentenza n.1 del 5 giugno 1956[3], la Consulta ha ribadito che tutte le norme costituzionali sono precettive, anche quando la loro forza vincolante è potenziale o indiretta e, comunque, tutte le norme possono fissare dei principi fondamentali tali da condizionare l'ordinamento giuridico.   

L'evoluzione sociale, economica, politica non ha posto in discussione il complesso disegno costituzionale, soprattutto della prima parte della Carta, ma ha permesso di cogliere il rapporto dinamico tra norme e cittadinanza, registratosi con l'affermazione di una società sempre più complessa e strutturata.

Tuttavia, l'attualità ha posto in evidenza una crescente disaffezione verso le Istituzioni e una progressiva erosione degli spazi di partecipazione collettiva, indispensabili per concorrere alla determinazione della politica nazionale e locale. La quotidianità fotografa costantemente una frattura tra la dimensione collettiva e individuale, che invece dovrebbe trovare sintesi proprio nelle norme della Costituzione[4].     

Posta l'indiscutibile "forza" normativa della Carta, risulta, quindi, utile chiedersi com' è interpretata oggi la dimensione teleologica e sociale disegnata dalla Costituzione. In particolare, quale siano gli spazi comuni che si possono recuperare per dare attuazione al disegno collettivo insito nelle norme fondamentali. Scopo del presente lavoro è quello di svolgere una breve riflessione intorno a questa tematica, partendo dalla differenza tra norme e principi.   

2. La struttura della Carta: distinzione tra norme e principi

La  Costituzione contiene al suo interno delle norme eterogenee, le quali rispondono a finalità diverse. La dottrina[5] ha schematizzato le disposizioni in tre categorie: 1) norme istitutive e regolative degli organi costituzionali e dell'ordinamento statale; 2) norme precettive che attribuiscono al cittadino diritti e doveri; 3) norme programmatiche che determinano i fini che deve perseguire lo Stato per attuare il disegno costituzionale.          

Come già anticipato, il valore giuridico delle diverse norme costituzionali è la loro precettività. La catalogazione proposta può consentire di cogliere gli immediati destinatari delle diverse disposizioni. Le norme dette programmatiche si rivolgono al potere esecutivo e/o legislativo impegnandoli a darne concreta attuazione. Al contempo, il cittadino può invocarne il rispetto e azionare la relativa tutela, anche in via mediata dinanzi alla Corte Costituzionale.

E' utile considerare che la Costituzione è posta al vertice della gerarchia delle fonti del diritto e in essa trovano giustificazione tutte le fonti subordinate. Tuttavia, la Carta rappresenta un fenomeno normativo complesso, un atto non solo giuridico ma anche politico[6]. Non è superfluo, ricordare che essa nasce dopo la seconda guerra mondiale con la necessità di affermare un nuovo modello politico ed etico fondato sulla libertà individuale e sul principio democratico.           

Ciò consente di cogliere la struttura più intima delle norme fondamentali, l'intelaiatura giuridica che sostiene il complesso disegno posto a base dell'ordinamento giuridico.

Spostando l'attenzione esclusivamente sul piano formale, si può affermare che la Carta è un insieme di disposizioni giuridiche le quali contengono una pluralità di norme. I due termini, disposizione e norma, spesso vengono usati in modo promiscuo, ma possiedono un'accezione distinta[7].  

La disposizione è qualificabile come la formulazione linguistica scritta, connotata da certezza e da stabilità. La norma costituisce un' entità distinta ed è frutto dell'opera dell'interprete che la enuclea dalla statuizione legislativa, in armonia con i principi generali dell'ordinamento e della Costituzione. Tale opera ermeneutica presuppone l'interpretazione delle disposizioni e, quindi, l'applicazione delle norme tratte dalle formulazioni scritte.

Questa distinzione risulta utile non solo in chiave formale, ma anche per comprendere, ad esempio, il meccanismo decisionale della Corte Costituzionale nelle pronunce interpretative di accoglimento e di rigetto[8]. Nel primo tipo di sentenze la Consulta dichiara l'illegittimità di una disposizione se da questa si ricava una norma ritenuta incostituzionale, facendo salve le interpretazioni conformi alla Carta. Nel secondo tipo di sentenze la Corte opera una vera e propria reinterpretazione della disposizione e da essa ricava una norma rispetto alla quale non sussistono vizi di legittimità costituzionale[9].       

Nel corso del tempo sono state operate numerose classificazioni circa le norme giuridiche[10] tra cui sono ricomprese quelle generali, singolari, astratte, impersonali, concrete. Tutte le classificazioni sono accomunate dall'idea che la norma è identificabile come un comando, come un dovere di condotta o di competenza che realizza la sfera del "dover essere" a cui i consociati si devono conformare[11]. La norma ha valore giuridico ed è, quindi, vincolante se soddisfa le condizioni prescritte dell'ordinamento giuridico per la usa vigenza. Questi presupposti ontologici sono individuati nella validità, nell'applicabilità, nell'efficacia, nella giustizia[12] delle singole disposizioni.

L'argomento pone diverse questioni. L'idea di giustizia non si può risolvere solo dal punto di vista procedurale, ritenendo aprioristicamente giuste le norme che promanano dall'organo legalmente deputate a produrle. La giustizia è un concetto di carattere sostanziale che presuppone una valutazione etico-politica tale da rendere le disposizioni tollerabili dalla comunità dei consociati[13]. Ciò pone al centro del dibattito un argomento interessante e complesso, il rapporto tra diritto e morale[14], che in questa sede non è possibile approfondire in modo compiuto.          

La valutazione di giustizia deve essere fatta alla luce dei principi fondamentali dell'ordinamento, cioè dei valori codificati che giustificano l'esistenza dell'ordinamento stesso. Le norme, tratte dalle disposizioni, devono essere interpretate alla luce dei principi.      

Nel nostro ordinamento una fonte di principi è senza dubbio la Costituzione, la quale fornisce all'interprete le coordinate ermeneutiche per interpretare il diritto e indirizza in senso teleologico il legislatore nella produzione giuridica. La forza dei principi e la loro precettività sono assicurate dalla rigidità della Carta e da un sistema di giustizia costituzionale.

Operando una semplificazione, si può affermare che il diritto giusto è quello conforme alla Costituzione, tanto in senso procedurale quanto in senso sostanziale. E' chiaro che la giustizia di cui si parla non può avere carattere assoluto poiché i principi della Carta potrebbero essere sottoposti a revisione, purché vengano sempre rispettati e garantiti i diritti dell'uomo universalmente riconosciuti. 

Lo stretto rapporto tra norme e principi consente di cogliere la differenza tra la diversa struttura delle due produzioni giuridiche[15].

Le norme sono qualificabili come regole che ammettono o vietano una determinata condotta. Esse si presentano a struttura rigida, inserita in una gerarchia delle fonti. L'antinomia tra norme si risolve attraverso il criterio gerarchico o attraverso il criterio di specialità, ciò determina che nel conflitto tra norme solo una sarà reputata valida e applicabile al caso concreto.   

I principi, mutuando il pensiero di Singer[16], hanno un contenuto più generico rispetto a quello delle regole, non intrattengono tra loro relazioni di natura conflittuale o contraddittoria, svolgono la funzione di fondare e giustificare le regole. I principi non prescrivono condotte ma richiedono l'attuazione di alcuni valori giuridici fondamentali.  

Un eventuale conflitto tra principi, come chiarito da Alexy[17], comporta il ricorso alla tecnica del bilanciamento e della ponderazione. Tale procedura consente di comprimere ed espandere i principi, stabilendo tra essi relazioni di priorità nelle circostanze del singolo caso considerato, senza creare un rapporto di soccombenza o di validità/invalidità.  

La Costituzione contiene al suo interno sia delle norme, intese come regole, sia principi. Tuttavia le prime non si possono che interpretare in funzione delle seconde[18].

3. Il concetto di partecipazione nelle norme costituzionali

Dopo aver brevemente chiarito la portata vincolante dei principi contenuti nella Carta, è utile soffermarsi sul rapporto tra Stato e persona per cogliere l'aspetto teleologico in essi contenuto.

La Carta non disegna un archetipo di cittadino modello a cui doversi conformare, ma fissa nel principio di libertà e in quello democratico le prime condizioni per garantire alla persona di potersi autodeterminare[19].

Il concetto di libertà, formale e sostanziale, è stato focalizzato con grande attenzione dal Costituente, poiché dopo la dittatura fascista era indispensabile ripristinare degli spazi democratici effettivi che consentissero la ricostruzione pacifica del paese e dell'ordinamento giuridico[20].

La dottrina ricostruisce il concetto di libertà da due punti di vista[21].

Il primo punto è quello delle libertà negative o libertà dallo Stato. Con questo termine s'intende il riconoscimento giuridico di una sfera d'intangibilità individuale da indebite intromissione del potere pubblico. Lo Stato deve, quindi, astenersi dall'esercitare il suo potere in spregio di tali libertà ed, al contempo, adoperarsi per garantire l'effettività concreta di tali spazi individuali. Tra le libertà negative si possono annoverare: 1) la libertà personale (art. 13 Cost.); 2) la libertà di domicilio (art. 14 Cost.); 3) la liberta e segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.); 4) la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.); 5) la libertà di riunione (art. 17 Cost.); 6) la libertà di associazione (art. 18 Cost.); 7) la liberta di religione (art. 19 Cost.); 8) la libertà di manifestazione del pensiero (art. 20 Cost.); 9) la libertà dell'arte, della scienza e dell'insegnamento (art. 33 Cost.).                     

Il secondo punto è quello delle libertà positive o libertà nello Stato. Le vicende storiche hanno dimostrato che il riconoscimento formale dei diritti non è garanzia sufficiente per la loro effettiva concretezza. Il Costituente ha incaricato la Repubblica, attraverso l'art. 3 Cost., di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Le libertà positive sono rivolte alla rimozione delle disparità sociali e strumentali a far conseguire un pieno ed effettivo godimento delle libertà civili e politiche. Rientrano tra le libertà positive: 1) il diritto al lavoro (art.4 Cost.); 2) il diritto alla salute (art. 32 Cost.); 3) il diritto allo studio (art. 34 Cost.); 4) i diritti del lavoratore (art. 36 Cost.), del lavoratore minore e delle lavoratici (art. 37 Cost.); 5) il diritto all'assistenza sociale (art. 38 Cost.); 6) le libertà economiche (artt. 42,43,44, 47 Cost.).

Il disegno della Costituzione si completa con ulteriore passaggio. Infatti, lo sviluppo della persona umana e la garanzia di una sua libera autodeterminazione vengono assicurate anche nelle formazioni sociali[22]. Quest'ultime devono promuovere i valori costituzionali e garantire al loro interno libertà ed uguaglianza. Il favore verso l'associazionismo[23], inteso in senso ampio, mira a promuovere un concetto di democrazia sostanziale che permetta una forma di esercizio della sovranità popolare anche dal basso. Il cittadino è chiamato a partecipare alla vita democratica non solo con l'esercizio del voto e della rappresentanza politica, ma concorrendo esso stesso a dare concretezza ai principi costituzionali[24].          

Il quadro teleologico della Carta presuppone a carico della persona doveri precisi. L'art. 54 Cost. prescrive che "tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi" e l'art. 2 Cost.  richiede "l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale".[25]  E' utile soffermarsi su tali disposizioni. Esse si presentano quali fattispecie aperte destinate ad essere arricchite dalla contestuale interpretazione di altre norme collegate. Tale scelta è frutto di una visione aperta alle evoluzioni normative e sociali che possono intervenire nel corso del tempo.

Emerge con chiarezza il ruolo assegnato al cittadino, il quale deve attivarsi per dare concreta attuazione al disegno costituzionale, rispettando le norme giuridiche, ma anche adoperandosi per contribuire a perseguire il disegno egalitario che trova nell'art. 3 Cost. una perfetta rappresentazione. Volendo coniare una formula, è possibile affermare che la Carta introduce un concetto di Costituzione partecipata in cui coesistono tanto rapporti verticali, tra governanti e governati, quanto rapporti orizzontali, tra consociati.[26] La partecipazione al disegno costituzionale non è facoltativa, ma doverosa e utile per raggiungere il benessere spirituale e materiale necessario per tracciare un rapporto comune di pacifica convivenza e di comune identità nazionale.

Nel solco di questa idea trova giustificazione la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 118 Cost.[27] il quale prevede che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà"[28]. La promozione dell'iniziativa privata è un ulteriore mezzo per veicolare la partecipazione democratica e contribuire, così, all'accrescimento del benessere collettivo. Se provassimo ad immaginare una Carta priva di questi principi e priva del ruolo attivo del cittadino ci troveremmo dinanzi a delle norme meramente procedurali, frutto solo di una legalità formale e prive dell'aspirazione alla trasformazione della realtà esistente.

La portata della partecipazione alle norme della Costituzione ha carattere generale ed avvolge la persona in tutte le sue manifestazioni, giuridiche e materiali, pubbliche e private. Pensiamo, ad esempio, alla tutela del contraente debole nell'ambito dell'autonomia contrattuale, una funzione riequilibratrice di solidarietà economica a tutela di coloro che sono in una posizione di svantaggio contrattuale[29].       

Volgendo lo sguardo alla realtà odierna ed ai mutamenti storici, sociali e tecnologici intervenuti dalla promulgazione della Carta ad oggi, è lecito chiedersi come venga vissuto oggi il disegno partecipativo inserito nella Costituzione[30].

Non vi è dubbio che la società si è polarizzata sempre di più verso forme di individualismo che tendono a sacrificare lo spazio di comunità e la condivisione collettiva. Nel nostro paese è cresciuta una notevole sfiducia verso il sistema politico e verso le istituzioni democratiche, spesso poco incisivi verso la complessità delle problematiche economiche e sociali. Al contempo, la dottrina[31]  segnala che è in atto anche una crisi del rappresentato dovuta alla perdita delle identità collettive e, addirittura, individuali, allo smarrimento del senso del legame sociale, alla volatilità dei ruoli sociali. Il patto tra Stato e cittadini, quel rapporto di comune adesione alla visione teleologica della Carta, pare essere logoro.

I partiti, corpi intermedi a cui la Costituzione affida un ruolo centrale nel processo democratico, sono gli indiziati principali di questa decadenza[32]. La cosiddetta liquidità sociale è il prodotto dei nostri tempi, dove non vi è più un’aspirazione migliorativa, una tensione alla conquista di libertà o ai diritti come è accaduto nel novecento, ma vi è un appiattimento e una rassegnazione diffusa, che la politica non ha saputo canalizzare in una forma democratica.

Esiste in tal senso il rischio che nelle pieghe del malessere sociale si insinui, ancora una volta, il rischio di un depotenziamento della democrazia che possa portare a comprimere gli spazi di libertà individuale.

 4. Conclusione

La breve riflessione sin qui condotta, senza alcuna pretesa di esaustività, ha consentito di porre in evidenza che il disegno partecipativo previsto nella Costituzione vive oggi un momento di criticità[33].

La crisi economica ha fatto emergere contraddizioni che già erano presenti nella nostra società e che hanno trovato la manifestazione più acuta nell’aumento delle povertà e della disoccupazione.

La complessità della società moderna, di cui si è parlato prima, rende sicuramente più difficile l'impiego di soluzioni tradizionali e impone la ricerca di modelli nuovi in grado di rispondere alle esigenze attuali. Questo ragionamento deve tenere in debito conto la rivoluzione digitale che ha investito il mondo intero e che inciderà sempre di più anche nel modo di fare politica, di amministrare la cosa pubblica e nei meccanismi partecipativi. Tuttavia, la negazione delle formalità democratiche, a fronte di una sorta di democrazia diretta e digitale, non sembra favorire l’elaborazione di discussioni proficue e pacifiche.

La considerazione della rivoluzione digitale da parte della sfera pubblica è indispensabile per sintonizzarsi correttamente sulle frequenze della contemporaneità; l’innovazione tecnologica può mutare la forma ma non l’essenza della democrazia[34].

Se provassimo a immaginare una democrazia esclusivamente digitale, senza Parlamento e con istituzioni deboli, probabilmente assisteremmo alla presa del potere da parte del gruppo più abile nel manipolare i meccanismi decisionali.

Risulta quindi indispensabile una promozione dei valori costituzionali e una loro maggiore pratica sociale dovrebbe essere incoraggiata anche attraverso opportuni incentivi. Il recupero di una identità collettiva non può prescindere dal recupero di una dimensione valoriale che dia senso alle azioni delle Istituzioni e dei cittadini. L'affermazione di logiche esclusivamente mercantili rischia di rovesciare il disegno costituzionale, che pone sempre al centro la persona umana e la sua dignità[35].

La riappropriazione dei principi della Carta e la loro centralità nel dibattito pubblico dovrebbe essere rivendicata con forza dai cittadini. La riduzione della tavola dei valori contenuta nella Costituzione a mere norme programmatiche rischia di affievolirne la portata straordinaria e di cancellare, di fatto, quella previsione di partecipazione necessaria per concorrere a raggiungere un continuo benessere, spirituale e materiale, individuale e collettivo.       

Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul punto I. Nicotra, Diritto Pubblico e Costituzionale, Torino, Giappichelli, 2013, p. 49 e ss. ed anche M. Jori e A. Pintore, Introduzione alla Filosofia del Diritto, Torino, Giappichelli, 2014, p. 76 e ss.  

[2] Per una compiuta disamina si rimanda a G. Azzariti, Problemi attuali di diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 1951, passim.

[3] La Consulta chiarisce che: "la nota distinzione fra norme precettive e norme programmatiche può essere bensì determinante per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilità con norme che si dicono programmatiche, tanto più che in questa categoria sogliono essere comprese norme costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a tracciare programmi generici di futura ed incerta attuazione, perché subordinata al verificarsi di situazioni che la consentano, a norme dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che non può non vincolare immediatamente il legislatore, ripercuotersi sulla interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante efficacia di alcune parti di questa; vi sono pure norme le quali fissano principi fondamentali, che anche essi si riverberano sull'intera legislazione." Corte Cost. Sent. 1/1956.

[4] Sul punto è utile richiamare M. Mauro, V. Onida, G. Quagliariello, L. Violante, Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali, istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano;  I "Saggi del Presidente" posero l’accento proprio sul “bisogno di riforme in grado di ravvivare la partecipazione democratica, di assicurare efficienza e stabilità al sistema politico e di rafforzare l’etica pubblica: principi e valori che costituiscono il tessuto connettivo di ogni democrazia moderna e ingredienti del suo successo nella competizione globale".

[5] Per una puntuale trattazione dell'argomento si rinvia a T. Martines, Diritto Costituzione, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 206 e ss.

[6] Una compiuta sintesi sul tema è realizzata da G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Milano, Feltrinelli, 2006, passim.

[7] Su questo tema sempre T. Martines, op. cit., p. 44 e ss. e V. Crisafulli, Disposizione (e norma), in Enc. Dir., XIII, Milano, 1964, p. 195 e ss. ed anche R. Guastini, Interpretare e argomentare, Milano, Giuffrè, 2011, p. 253 e ss.

[8] V. Crisafulli, Le sentenze "interpretative" della Corte Costituzionale, Milano, Giuffrè, 1967, passim.

[9] Il meccanismo interpretativo e decisionale della Consulta è chiarito expressis verbis dalla stessa Corte che ribadisce che essa "giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni" (Sentenza 21 marzo 1996, n. 84).

[10] M. Barberis, Un filosofia del diritto per lo stato costituzionale, Torino, Giappichelli, 2017, p. 91 e ss.

[11] Sulla struttura delle norme giuridiche N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Torino, Giappichelli, 1958, passim ed anche G. Pino, Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, a cura di G. Pino - A. Schiavello - V. Villa, Torino, Giappichelli, 2013, p. 144 e ss.

[12] Per una disamina di questo complesso e polivalente concetto si richiama J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, passim.  

[13] Sul rapporto tra diritto e giustizia e sulle relazioni con i consociati G.U. Rescigno, Alcune riflessioni su diritto e giustizia, in Giustizia e Diritto nella scienza giuridica contemporanea, a cura di A. Cantaro, Torino, Giappichelli, 2011, p. 50 ss.

[14] La questione è affrontata in modo approfondito e con esiti profondamente differenti in ambito giusfilosofico dove la questione si intreccia con il confronto tra giuspositivisti e giusnaturalisti, per una valida sintesi si rimanda a G. Pino, Diritto e Morale, in Che cosa è il diritto, a cura di G. Bongiovanni - G. Pino - C. Roversi, Torino, Giappichelli, 2016, p. 3 ss.     

[15]Al riguardo G. Zagrebelsky, Il Diritto Mite, Torino, Einaudi, 1992, passim.

[16] M. Singer, Moral Rules and Principles, in A. I. Melden, Essays in Moral Philosophy, Seattle, University of Washington Press, 1958, p.160 ss. 

[17] R. Alexy, A Theory of Costitutional Rights, Oxford University Press, 2002, Oxford, pp. 49 ss.

[18] Sul punto G. Sorrenti, L'interpretazione conforme a Costituzione, Milano, Giuffrè, 2006, passim.

[19] Sull'ampiezza e sui limiti del principio di autodeterminazione L. Antonini, Autodeterminazione nel sistema dei diritti costituzionali, in Autodeterminazione.  Un diritto di spessore costituzionale?, a cura di F. D'Agostino, Milano, Giuffrè, 2012, p. 11 ss. ed anche M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell'uomo e libertà del cittadino nella costituzione italiana, Padova, Cedam, 1997, passim. 

[20] Come posto in evidenza da Zagrebelsky, la Costituzione ha eliminato "il fascismo nel suo significato storicamente determinato, ma anche il fascismo perenne che potrebbe sempre manifestarsi in forme nuove" in G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, Torino, 2007, p. 84.

[21] Sulla distinzione tra libertà positive e negative sempre T. Martines, op. cit., p. 519 ss.

[22] Sulle formazioni sociali E. Rossi, Le formazioni sociali nella Costituzione italiana, Padova, Cedam, 1989, passim.

[23] Sul tema V. Sica, Le associazioni della costituzione italiana, Napoli, Jovene, 1957, passim ed anche G. Gemma, Costituzione e associazioni: dalla libertà alla promozione, Milano, Giuffrè, 1993, passim.

[24] Per una interessante trattazione della questione M. Della Morte, Rappresentazione vs. partecipazione. L'equilibrio costituzionale e la sua crisi, Milano, Franco Angeli, 2012, passim.

[25] Una lettura sinottica dei nominati principi si rinviene in D. Florenzano, D. Borgonovo Re, F. Cortese, Diritti inviolabili, Doveri di solidarietà e principio di uguaglianza. Un'introduzione, Torino, Giappichelli, 2015, passim.   

[26] Per una trattazione più ampia V. Tondi della Mura, Le ragioni della sussidiarietà orizzontale, in Temi di Diritto Costituzionale, a cura di  M. Esposito - A. Loiodice - I. Loiodice - V. Tondi Della Mura, Torino, Giappichelli, 2013, p .219 ss.

[27] Per un'esegesi dell'art. 118 Cost. si rimanda a Q. Camerlengo, Commento all'art. 118, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, vol. III Torino, Utet, 2006, p. 2521-2567. 

[28] Sul principio di sussidiarietà vi è una produzione scientifica molto vasta, per esigenze di sintesi si segnalano le riflessioni di A. Rinella, Il principio di sussidiarietà: definizioni, comparazioni e modello d’analisi, p. 8 ss. in A. Rinella - L. Coen - R. Scarciglia, Sussidiarietà e ordinamenti costituzionali, Padova, Cedam, 1999 e P. Caretti, Il principio di sussidiarietà e i suoi riflessi sul piano dell'ordinamento comunitario e dell'ordinamento nazionale, in Quaderni Costituzionali n. 1/1993, p. 7 ss. e S. Papa, La sussidiarietà alla prova: i poteri sostitutivi nel nuovo ordinamento costituzionale, Milano, Giuffrè, 2008, p. 123 ss. ed anche N. Occhiocupo, Costituzione e Corte costituzionale. Percorsi di un rapporto "genetico" dinamico e indissolubile, Milano, Giuffrè, 2010, p. 16 ss. 

[29] Questa idea è puntualmente sviluppata da P. Perlingeri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, ESI, 2006, passim.

[30] Sullo stato di attuazione della Carta nella società italiana AA.VV., Dalla Costituzione "inattuata" alla Costituzione "inattuale", a cura di G. Brunelli e G. Cazzetta, Milano, Giuffrè, 2013, passim.

[31] M. Luciani, Il paradigma della rappresentanza di fronte alla crisi del rappresentato, in Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, a cura di N. Zanon e F. Biondi, Milano, Giuffrè, 2001, passim.

[32] Su questo tema Azariti scrive: “attualmente i partiti si mostrano incapaci di confrontarsi con la complessità sociale, non più in grado di rappresentarne gli interessi politici entro le istituzioni rappresentative; se essi si rivelano incapaci di tradurre la frammentazione sociale in specifici indirizzi politici, non più in grado di guidare e riunificare la divisione pluralistica della società entro un orizzonte comune, ne consegue un doppio risultato negativo. Da un lato, la volontà del popolo sovrano rimane divisa e dunque impotente; dall’altro, parallelamente, anche i partiti vengono a smarrire la propria capacità di strumenti in grado di far concorrere tutti i cittadini a determinare la politica nazionale, che è poi la specifica missione che la Costituzione assegna loro” in G. Azzariti, La crisi dei partiti come crisi della loro capacità rappresentativa in Crisi della democrazia e crisi dei partiti in Italia e nel mondo, a cura di F. Marcelli e G. Incorvati, Ariccia, Aracne Editrice, 2010, p.101 ss.  

[33] Per una riflessione più ampia M. Luciani, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della costituzione repubblicana, in AA.VV., Dalla Costituzione "inattuata" alla Costituzione "inattuale", a cura di G. Brunelli e G. Cazzetta, Milano, Giuffrè, 2013, p. 31 ss.

[34] Su questo argomento ed in generale sulla e-democracy  E. De Blasio, Democrazia Digitale, Roma, Luiss University Press, 2014, passim.

[35] G. Rolla, Il sistema costituzionale italiano, Milano, Giuffrè, p. 172 ss.