Pubbl. Sab, 13 Apr 2019
L´unità della potestà e la distinzione delle funzioni
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Luciano Labanca
Comparazione tra l’´ordinamento canonico e l´ordinamento dello Stato della Città del Vaticano.
Sommario: 1. Premessa; 2. Ordinamento canonico e ordinamento dello SCV: uno sguardo generico; 3. L’unità della potestà nei due ordinamenti; 4. La distinzione delle funzioni nei due ordinamenti; 5. Conclusioni.
1. Premessa
In questo breve contributo ci si propone di realizzare un semplice esercizio di comparazione fra l’ordinamento canonico e quello dello Stato della Città del Vaticano (SCV), in riferimento al tema dell’unità della potestà e la distinzione delle funzioni, legislativa, esecutiva e giudiziaria.
Il quesito iniziale che ci si è posti è se la divisione dei poteri, tipica dello Stato di diritto, per evitare l’arbitrio dell’autorità e permetterne un controllo, sia applicabile all’ordinamento canonico e a quello dello SCV.
Il testo è diviso in tre piccole sezioni: un primo sguardo generico sui due ordinamenti di riferimento, un altro sull’unità della potestà e un terzo sulla distinzione dei poteri. Al termine si evidenziano delle brevi conclusioni emerse dalla comparazione giuridica.
2. Ordinamento canonico e ordinamento dello SCV: uno sguardo generico
L’ordinamento canonico, che si presenta come l’ordinamento giuridico della Chiesa nelle sue dimensioni costitutive di Chiesa universale e Chiesa particolare, si basa sull’interazione fra il Codice di Diritto Canonico (CIC-83), il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO) e la Costituzione apostolica Pastor Bonus (PB) sulla Curia Romana e il diritto particolare, che non deve mai essere in contrasto con quanto stabilito dal diritto universale.
Lo SCV, come soggetto statuale, nasce con la soluzione della "questione romana" e la stipulazione del Trattato Lateranense tra Santa Sede e Italia. La Santa Sede[1] esercita una sovranità territoriale piena ed esclusiva sullo SCV, una porzione di territorio di 0,44 km2, creato a garanzia dell’indipendenza della Stessa. Lo SCV coopera al raggiungimento delle finalità proprie della Chiesa Cattolica e della Santa Sede, tanto da rientrare nelle stesse strutture comprese come Santa Sede in senso ampio. L’ordinamento giuridico proprio dello SCV, dunque, si basa su una Legge fondamentale riformata nel 2000 ed è autonomo da quello canonico, sebbene – come è affermato nella Legge sulle fonti del diritto (LFD) del 2008 - esso rappresenti la sua fonte principale[2].
3. L’unità della potestà nei due ordinamenti
Il principio della separazione dei poteri elaborato da Locke (1632-1704) e Montesquieu (1689-1755), come fondamento dello Stato liberale di diritto, è strettamente legato al principio di legalità. Entrambi sono finalizzati a garantire i diritti individuali nei confronti dell’autorità statale, presentandosi come superamento dell’assolutismo moderno in cui il potere era concentrato nelle mani del sovrano assoluto e dei suoi apparati amministrativi[3].
Il principio della separazione dei poteri, tuttavia, ha un’applicazione solo secondaria negli ordinamenti canonico e vaticano. Per quanto concerne l’ambito canonico, la potestà di giurisdizione[4], per cui nella Chiesa si intende il potere giuridico di cui sono titolari alcuni fedeli, consiste nella capacità di vincolare altri fedeli, attraverso i propri comandi, a beneficio degli interessi generali. Tale potestà riveste un carattere personale e pieno, in quanto appartiene in modo “proprio” agli organi ecclesiastici capitali, ossia al Romano Pontefice (can. 331) e al Vescovo diocesano (can. 381), nei rispettivi ambiti[5], ossia quello universale e quello particolare.
La ragione di tale unità della potestà nella Chiesa non è solo di carattere giuridico, ma anche teologico, in quanto c’è un’unica fonte, la persona di Cristo, che riceve tutto dal Padre[6] e trasmette in maniera indivisa la potestà a Pietro e agli altri Apostoli, il cui ministero continua nel collegio dei Vescovi, a capo dei quali c’è il Romano Pontefice. Questi uffici ecclesiastici di capitalità, come depositari della pienezza della potestà di governo, si pongono a servizio dell’unità della Chiesa nella comunione, garantendo anche un’efficiente cura pastorale verso il popolo loro affidato[7]. L’obiezione relativa alla concentrazione del potere in una sola persona nelle società statali, come ragione per prevedere una distinzione dei poteri, non sussiste nella Chiesa in quanto non c’è un rapporto di rivendicazione dei diritti soggettivi nei confronti dello Stato, ma in Essa dallo statuto battesimale del fedele sorge una comunanza di fini con la stessa compagine ecclesiale[8].
Per quanto riguarda lo SCV, in base all’art. 1 della LF, esso si presenta come una monarchia elettiva assoluta di carattere patrimoniale[9], in cui la pienezza dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) spetta al Romano Pontefice, che ne è il sovrano. In esso non sussiste alcuna distinzione di piani operativi, come avviene nell’ambito canonico-ecclesiale. Tale configurazione dello SCV, inoltre, non si fonda sui medesimi presupposti teologici ed ecclesiologici menzionati in riferimento all’ordinamento canonico, ma si pone in continuità storica con la configurazione del potere sovrano esercitato dal Pontefice sugli Stati Pontifici prima della debellatio del 1870.
Un elemento singolare che riguarda la figura del Romano Pontefice è che Egli, pur nell’unicità della sua persona, riveste due funzioni totalmente distinte: nell’ordinamento canonico Egli è Vescovo della Chiesa di Roma, Capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale (cfr. can. 331), nell’ordinamento vaticano, invece, è il Sovrano dello Stato della Città del Vaticano (cfr. LF, art. 1).
4. La distinzione delle funzioni nei due ordinamenti
Nonostante l’ordinamento canonico, come si è detto, non preveda una separazione di poteri, il CIC al can. 135, stabilisce una distinzione dell’unica potestà nelle tre funzioni: legislativa, esecutiva e giudiziale (§1). Tale precisazione nella configurazione delle tre funzioni, non presente nella precedente legislazione canonica, è frutto della proposta di revisione del Codice del 1917, avanzata nel Sinodo dei Vescovi del 1967, particolarmente nel VI principio: «dovranno essere chiaramente distinte le diverse funzioni della potestà ecclesiastica, cioè quella legislativa, amministrativa e giudiziaria ed essere idoneamente stabilito da quali organi le singole funzioni vengono esercitate»[10].
La funzione legislativa, ossia il porre in essere leggi, decreti generali e privilegi, è esercitata, modo iure praescripto[11] , in modo proprio non vicario dal legislatore supremo (Romano Pontefice) e viene esclusa al legislatore inferiore (vescovo diocesano) la possibilità di delegarla (can. 135 §2).
La funzione giudiziaria, ossia quella relativa al «dichiarare il diritto nelle situazioni controverse, applicando il diritto stesso»[12], tramite sentenze o decreti decisori, può essere esercitata dal Romano Pontefice, sia personalmente in modo proprio, sia in modo vicario ordinario per mezzo dei Tribunali apostolici[13]. Nell’ambito particolare, analogicamente, la funzione giudiziaria può essere esercitata in modo proprio dal Vescovo diocesano e in modo ordinario vicario dal tribunale territoriale. L’ordinamento canonico, inoltre, vieta che tale funzione venga delegata, se non per eseguire gli atti preparatori di qualsiasi decreto o sentenza (can. 135 §2).
La funzione esecutiva, ossia quella relativa all’applicazione della legge ponendo in essere decreti generali esecutivi, istruzioni, atti amministrativi singolari, nonché su concessione dell’autorità legislativa, decreti generali e privilegi[14], è esercitata in modo proprio, ordinario, vicario o delegato, secondo le prescrizioni della legge (cfr. cann. 136-144). Dal punto di vista della Chiesa universale, in nome del Romano Pontefice, gli organi che esercitano la potestà esecutiva in maniera vicaria e ordinaria, sono i dicasteri della Curia Romana. Nella chiesa particolare, invece, tale funzione è svolta dai vicari generali ed episcopali, ratione materiae o ratione loci.
In relazione all’ordinamento vaticano, come si accennava in precedenza, il Romano Pontefice avendo la pienezza dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), può esercitarli in maniera personale. Ordinariamente, tuttavia, essi sono delegati in forza della legge a speciali organi.
Il potere legislativo è delegato alla Pontificia Commissione per lo SCV, composta da 7 membri cardinali, nominati dal Romano Pontefice, di cui uno è Presidente. La Commissione, in base agli artt. 3-4 della LF, dura in carica 5 anni ed esercita il suo potere entro i limiti della Legge sulle fonti del diritto e secondo il proprio Regolamento. Essa elabora progetti di Legge, avvalendosi della collaborazione dei Consiglieri di Stato, di altri esperti nonché degli altri organismi della Santa Sede e dello Stato che possono esserne interessati. Il Consigliere generale e i Consiglieri dello Stato, nominati dal Romano Pontefice per un quinquennio, prestano la loro assistenza nell’elaborazione delle Leggi e in altre materie di particolare importanza e possono essere consultati sia singolarmente che collegialmente. Il Consigliere Generale presiede le riunioni dei Consiglieri, esercita altresì funzioni di coordinamento e di rappresentanza dello Stato, secondo le indicazioni del Presidente della Commissione. Prima di essere promulgate sugli Acta Apostolicae Sedis i progetti di Legge, inoltre, sono previamente sottoposti alla considerazione del Sommo Pontefice, per il tramite della Segreteria di Stato, organo della Curia Romana con il quale per giunta si interfaccia per le decisioni più importanti, essendo preposto alla supervisione sul governo dello Stato nel suo complesso[15].
In base all’art. 5 della LF, il Cardinale Presidente della Commissione per lo SCV ricopre anche l’ufficio di Presidente del Governatorato per lo SCV, un complesso di Organismi attraverso i quali egli, coadiuvato dal Segretario Generale e dal Vice Segretario Generale, esercita il potere esecutivo. Nelle materie di maggior importanza procede di concerto con la Segreteria di Stato. Il Presidente della Commissione può emanare Ordinanze, in attuazione di norme legislative e regolamentari. In casi di urgente necessità egli può emanare disposizioni aventi forza di legge, le quali tuttavia perdono efficacia se non sono confermate dalla Commissione entro novanta giorni. Per la predisposizione e l’esame dei bilanci e per altri affari di ordine generale riguardanti il personale e l’attività dello Stato, il Presidente della Commissione è assistito dal Consiglio dei Direttori, da lui periodicamente convocato e presieduto. Ad esso prendono parte anche il Segretario generale e il vice segretario generale. I bilanci preventivo e consuntivo dello Stato, dopo l’approvazione da parte della Commissione, sono sottoposti al sommo Pontefice per il tramite della Segreteria di Stato. Il Governatorato si articola in Direzioni e Uffici Centrali[16], che fanno capo al Presidente della Commissione.
Secondo gli artt. 15-18 della LF, poi, il potere giudiziario è esercitato dal Romano Pontefice mediante un Giudice unico, competente per le cause civili di minore entità e per le contravvenzioni in materia penale, il Tribunale collegiale di I istanza, anch’esso con competenze in materia civile e penale, la Corte d’Appello e la Corte di Cassazione[17]. Nonostante la delega del potere giudiziario, tuttavia, il Romano Pontefice, per qualsiasi causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della stessa, può intervenire personalmente o deferirne l’istruttoria o la decisione ad una particolare istanza, anche con facoltà di pronunciarsi secondo equità e con esclusione di qualunque gravame[18]. Nell’articolo 19 della LF, inoltre, si riafferma che «la facoltà di concedere amnistie, indulti, condoni e grazie è riservata al Sommo Pontefice».
5. Conclusioni
In conclusione, possiamo sinteticamente affermare che nell’ambito canonico, la potestà è fortemente legata all’ufficio ecclesiastico (cfr. can. 145). L’esercizio della stessa accade privilegiando soprattutto la via ordinaria sia propria, sia vicaria. È evidente, inoltre, come in molti casi previsti dal legislatore, il conferimento stesso dell’ufficio è fonte unica della potestas.
L’ordinamento vaticano, invece, sulla base della LF, è retto dalla pienezza dei poteri del Romano Pontefice, il cui esercizio si fonda sulla delega operata secondo un libero conferimento tramite “nomine” a determinati incarichi di natura monocratica, come nel caso della delega del potere giudiziario al giudice unico, oppure di natura collegiale, come nel caso della delega del potere legislativo alla Pontificia Commissione per lo SCV o di quello esecutivo al Governatorato dello SCV. Tali incarichi, inoltre, sono generalmente conferiti per un tempo stabilito dalla Legge stessa ad quinquennium.
In entrambi gli ordinamenti si coglie una forte presenza del principio di legalità. Sebbene nell’ordinamento canonico non ci sia un rapporto di controllo in senso stretto tra le tre funzioni, dal momento che il titolare dell’unica potestas è sempre lo stesso soggetto, tuttavia la distinzione derivante dall’esercizio vicario delle singole funzioni, favorisce il rispetto del diritto da parte dei fedeli e della stessa autorità. Tra le funzioni, dunque, sussiste un rapporto di moderazione, basato su un principio di legalità che nella Chiesa è finalizzato ad escludere l’arbitrarietà[19]. In senso analogo, anche l’ordinamento vaticano non ha un meccanismo di controllo in senso stretto, ma la delega dei poteri del Romano Pontefice prevista dalla LF.
Una grande differenza tra diritto canonico e diritto vaticano, poi, emerge dalla stessa costituzione gerarchica della Chiesa. L’ordinamento canonico, infatti, basato sulla distinzione tra piano particolare e universale, prevede un certo controllo dell’esercizio delle tre funzioni in senso gerarchico, a cui sono evidentemente sottratti gli atti posti personalmente dal Romano Pontefice o di quelli della Curia Romana da lui approvati in maniera specifica[20]. Tra gli istituti “di controllo” previsti dall’ordinamento canonico, per la funzione legislativa possiamo richiamare quelli della recognitio e dell’approbatio da parte della Sede Apostolica su atti delle autorità inferiori. Analogamente, sebbene non sussista una distinzione costitutiva fra specifici ambiti, nell’ordinamento vaticano esiste l’istituto della somministrazione al Sommo Pontefice dei progetti di legge elaborati dalla Pontificia Commissione per lo SCV, prima che essi vengano promulgati. Per la funzione giudiziale, poi, l’ordinamento canonico, come meccanismo “di controllo”, prevede la possibilità dell’appello ai tribunali superiori, sia territoriali, sia apostolici. Il medesimo meccanismo è riscontrabile anche nell’ordinamento vaticano, dove sono previsti tre gradi di giudizio[21]. Infine, anche per la funzione esecutiva è prevista la possibilità di ricorsi gerarchici contro gli atti amministrativi singolari (cann. 1732-1739), con i limiti previsti dalla legge. Nello stesso ordinamento vaticano è prevista la possibilità di ricorso gerarchico, agli art. 17-18 della LF.
Note bibliografiche
[1] Per comprendere in profondità la fisionomia dello Stato della Città del Vaticano, è necessario fare un brevissimo accenno alla soggettività della Chiesa cattolica, che si configura nel CIC come persona morale (can. 113), in quanto è una società peculiare dotata dell’autonomia dei suoi fini e della funzione autoritativa rispetto ai poteri ad essa esterni (sovranità) e possiede una strutturazione interna in base a regole giuridiche prodotte al suo interno (originarietà). Analizzando i profili giuridici e istituzionali, si coglie come il rapporto tra Chiesa cattolica e Comunità internazionale si manifesti in modo diretto mediante l’attività della Santa Sede, per cui in base al can. 361 del CIC, si intende: «non solo il Romano Pontefice, ma anche se non risulta diversamente dalla natura della questione o dal contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana». La Santa Sede si considera come l’organo centrale di governo della Chiesa Cattolica e alla quale, in senso stretto, ossia intesa come Romano Pontefice, spetta la soggettività giuridica internazionale. Lo SCV coopera al raggiungimento delle finalità proprie della Chiesa Cattolica e della Santa Sede, tanto da rientrare nelle stesse strutture comprese come Santa Sede in senso ampio. Cfr. B. ESPOSITO, Il rapporto del Codice di Diritto Canonico latino con il Diritto internazionale. Commento sistematico-esegetico al can. 3 del CIC/83, in Angelicum, 83 (2006), pp. 415-416.
[2] Cfr. BENEDICTUS XVI, Legge 1° ottobre 2008, n. LXXI, art. 1, c. 1, in AAS Suppl., LXXIX (2008), p. 65.
[3] Cfr. T. GROPPI - A. SIMONCINI, Introduzione allo studio del diritto pubblico e delle sue fonti, Torino, 2015, p. 29.
[4] La potestà di governo (potestas regendi), detta anche di giurisdizione (can. 129), deve essere tenuta distinta dal munus regendi, per cui si deve intendere qualcosa di più ampio che non riguarda soltanto atti o decisioni giuridicamente vincolanti, ma anche determinazioni non imperative in senso giuridico, ma che promuovono l’iniziativa e la libera adesione dei destinatari, come raccomandazioni, proposte, esortazioni, che non sono atti di governo in senso stretto. Si deve anche precisare che la potestas regendi in quanto parte del munus regendi, si colloca all’interno della più ampia sacra potestas, identificata con la funzione pastorale, che spetta ai ministri sacri e più concretamente alla gerarchia (cfr. A. VIANA, “Titulus VIII De potestate regiminis”, in INSTITUTO MARTIN DE AZPILCUETA FACULTAD DE DERECHO CANONICO UNIVERSIDAD DE NAVARRA, Comentario exegetico al Codigo de Derecho canonico, Pamplona, 1997, vol. I, p. 839).
[5] Cfr. M.J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, ed. 6, Roma, 2012, p. 92.
[6] «Gesù si avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).
[7] Cfr. P. VALDRINI, Comunità, persone, governo: lezioni sui libri I e II del CIC 1983, Città del Vaticano, 2013, p. 254.
[8] Cfr. P. GHERRI, Introduzione al diritto amministrativo canonico: fondamenti, Città, 2015, pp. 126-127.
[9] Circa il concetto di “Stato patrimoniale”, cfr. W. HILGEMAN, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano: origine ed evoluzione, Città del Vaticano 2012, p. 62.
[10] PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Synthesis generalis laboris Pontificiae Commissionis Codici Iuris Canonici Recognoscendo, in Communicationes, I (1969), p.83.
[11] Con questa formula, presente per giunta anche nelle norme relative alle altre funzioni, si intende che l’esercizio delle stesse deve sempre trovare fondamento nelle norme giuridiche stabilite. Si tratta di quello che negli ordinamenti giuridici viene definito “principio di legalità”.
[12] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, cit., p. 93.
[13] Per Tribunali apostolici si intende: il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, la Rota Romana, la Penitenzieria Apostolica e il Supremo Tribunale per i delitti riservati della Congregazione per la Dottrina della Fede.
[14] Cfr. P. VALDRINI, Comunità, persone, governo, cit., p. 253.
[15] Cfr. W. HILGEMAN, L’ordinamento giuridico, cit., pp. 168-174.
[16] Il 6 dicembre 2018, con un motu proprio papa Francesco ha promulgato e approvato la nuova Legge N. CCLXXIV sul Governo dello Stato della Città del Vaticano, stabilendo l’entrata in vigore per il 7 giugno 2019. Tra le novità rilevanti della nuova Legge, c’è la riforma dell’impianto del Governatorato secondo i principi di razionalizzazione, economicità, semplificazione e seguendo i criteri di funzionalità, trasparenza, coerenza normativa e flessibilità organizzativa, come stabilito già nel Chirografo pontificio del 22 febbraio 2017, dove delegava al Cardinale Giuseppe Bertello, Presidente del Governatorato dello SCV; la potestà e ogni necessaria facoltà per redigere una nuova Legge sul Governo dello Stato della Città del Vaticano ed i connessi Regolamenti occorrenti al funzionamento dell’apparato amministrativo. Tra le novità della nuova Legge si rileva la riduzione degli Uffici centrali da sette (Giuridico, del personale, dello Stato civile, Anagrafe e Notariato, Filatelico e numismatico, dei sistemi informativi, Archivio di Stato, Pellegrini e Turisti, Servizio per la sicurezza e la salute del lavoratori) a due (Ufficio del Personale e Ufficio Giuridico) e le Direzioni da nove (Ragioneria dello Stato, dei Servizi Generali, dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile, di Sanità ed Igiene, dei Musei, dei Servizi Tecnici, delle telecomunicazioni, dei Servizi Economici e delle Ville Pontificie) a sette (Direzione delle Infrastrutture e Servizi; Direzione delle Telecomunicazioni e dei Sistemi; Direzione dell’Economia; Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile; Direzione di Sanità ed Igiene; Direzione dei Musei e dei Beni Culturali; Direzione delle Ville Pontificie), oltre alla Specola Vaticana, che per il suo carattere peculiare di organismo di ricerca scientifica mantiene una sua autonomia.
[17] Cfr. B. ESPOSITO, Il rapporto del Codice, cit., p. 416. Per approfondire, cfr. W. HILGEMAN, L’ordinamento giuridico, cit., pp. 133-146.
[18] IOANNES PAULUS PP. II, Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, 26 novembre 2000, art. 16, in AAS Suppl., LXXI (2000), p. 81.
[19] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, cit., p. 93.
[20] Cfr. P. VALDRINI, Comunità, persone, governo, cit., p. 254-255.
[21] Un rilievo interessante, inoltre, è relativo al fatto che il Presidente della Corte di Cassazione dello SCV è il Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Quindi si verifica un caso analogo a quello del Romano Pontefice che, pur nell’unicità della persona concreta, riveste una doppia funzione relativa all’ordinamento canonico e all’ordinamento vaticano.