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Pubbl. Sab, 22 Dic 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Diritto di accesso e riservatezza dei dati dei candidati nelle procedure concorsuali

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Francesco Orabona


L’Amministrazione ha l’onere di operare il bilanciamento tra le esigenze difensive rappresentate dall'istante e quelle connesse alla riservatezza di soggetti terzi ossia dei candidati che si sono collocati in posizione migliore rispetto al candidato che ha proposto l’impugnativa avverso la graduatoria.


Sommario: 1) L’accesso ai documenti amministrativi e diritto alla riservatezza: inquadramento normativo; 2) Il rapporto tra diritto di accesso e riservatezza; 3) Accesso, riservatezza e diritto di difesa; 4) Accesso e riservatezza nelle selezioni pubbliche.

1. L’accesso ai documenti amministrativi e diritto alla riservatezza: inquadramento normativo

Nel nostro ordinamento il diritto d’accesso ha trovato la sua prima organica strutturazione nella l. 241/1990 rivista da una serie di interventi legislativi (legge n. 15/2005 e novella n. 69/2009) che nel contribuire al superamento della vexata questio[1] circa la natura giuridica della situazione soggettiva giustificativa della visione dei documenti amministrativi, hanno oramai sistematicamente inquadrato tale posizione giuridica nel novero dei diritti soggettivi.

La condizione imprescindibilmente richiesta dalla legge per poter accedere ad un documento amministrativo è la titolarità di un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente alla sussistenza di una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (art. 22 l. n. 241/90). Tale diritto si estende a tutti i documenti formati o detenuti dalle amministrazioni pubbliche, fatta eccezione per quelli espressamente esclusi a norma dell'art. 24 della stessa legge.

In particolare, il comma 7 dell’art. 24 sancisce i limiti di accesso a documenti contenenti dati sensibili e giudiziari e nei termini previsti dall'articolo 60 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Il diritto alla riservatezza (o all'intimità della sfera privata dell'individuo), appare, ben più di altri aspetti di tutela della personalità, strettamente collegato alle profonde trasformazioni operate dalla società industriale e post-industriale: accresciuto contatto e ad un tempo maggiore estraneità tra gli individui; più ampio dinamismo e circolazione dei soggetti; incessante progresso tecnologico; perfezionamento (e la pericolosità) dei mezzi di comunicazione di massa e degli strumenti di raccolta di dati e notizie.

Per molti anni è mancato nel nostro ordinamento un riscontro normativo specifico alla tutela di tale diritto, anche se la giurisprudenza e la dottrina man mano ne riconoscevano la protezione, magari ancorandolo all'art. 10 c.c., relativo all'immagine, ovvero agli artt. 2 e 3 Cost., e alle garanzie di sviluppo della personalità di ogni soggetto. Solo in tempi relativamente recenti si è pervenuti ad una disciplina organica della materia, con la l. 675/1996 e con il d.lgs. 196/2003 modificato recentemente dal d.lgs. 101/2018 (c.d. Codice in materia di protezione dei dati personali).

2. Il rapporto tra diritto di accesso e riservatezza

Il delicato rapporto tra il diritto di accesso e tutela della riservatezza da sempre pone aspetti di significativa problematicità che afferiscono a limiti legalmente imposti alla conoscibilità di certe notizie ovvero di alcune informazioni inerenti la sfera squisitamente personale.

Si tratta di una questione che, da un lato, ha sollecitato le riflessioni di dottrina e giurisprudenza arroccate, di volta in volta, su posizioni ricostruttive divergenti; dall'altro, ha visto il susseguirsi di continui interventi normativi, volti a dettare una disciplina esaustiva della materia. Il tutto muove dal dettato normativo dell'art. 24 l. n. 241/90, il quale individua i casi di esclusione, recuperando la nozione di segreto di Stato, di cui all'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché prendendo in considerazione le altre ipotesi di divieto di divulgazione previste dall'ordinamento. In realtà, le varie esigenze cui è preordinata l'inaccessibilità ai documenti ex art. 24 non costituiscono astratta giustificazione del diniego di accesso, essendo necessario ravvisare in concreto l'effettiva connessione dell'atto, del quale sia richiesta la conoscenza, con l'interesse pubblico da tutelare attraverso la riservatezza. Senza dubbio, la prevalenza di certi interessi rispetto al diritto di accesso è imposta dalla loro inscindibile inerenza a materie di rilevanza costituzionale, quali la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l'ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità, già oggetto di segretazione nell'interesse politico e militare in virtù dell'art. 12 della legge 1977, n. 801. Le stesse nozioni di segreto di Stato e di segreto d'ufficio hanno risentito, inevitabilmente, dei vari interventi normativi, tesi a delimitarne l'ambito operativo nonché a circoscriverne la portata in una prospettiva rigorosamente oggettiva e mediante la specificazione categoriale degli interessi sottostanti e attraverso il richiamo puntuale a specifiche previsioni di legge.

Il punto dolente del dibattito s'incentra sulla esatta delimitazione contenutistica di quello che l'art. 24 pone come ulteriore limite all'accesso amministrativo e che s'identifica con la nozione di riservatezza.

Senza dubbio, l'evoluzione dei costumi sociali nonché l'imperare di variegate tipologie di interessi giuridicamente apprezzabili hanno determinato una profonda rivisitazione di tale concetto, non più rigorosamente circoscritto ad una dimensione passiva della persona e, dunque, a quella condizione di mera intolleranza a ingerenze esterne nella propria sfera individuale, bensì colorato di profili squisitamente dinamici.

Con l'entrata in vigore del citato d.lgs. 196 del 2003, modificato dal recente d.lgs. n. 101/2018 e con la contestuale consacrazione del diritto costituzionalmente rilevante all'autodeterminazione informativa, è venuta in rilievo una più innovativa concezione del concetto di riservatezza che esprime la facultas agendi, in capo al giuridico titolare, al fine di preservare e proteggere i propri dati personali da indebite captazioni esterne. In realtà, tutti questi dubbi interpretativi hanno trovato una loro composizione proprio nel summenzionato intervento normativo, il quale, tra l'altro, ha regolamentato, in modo esaustivo, la delicata interazione tra accesso e riservatezza. Viene, in sostanza, introdotta una sorta di graduazione nella tutela della sfera personale, più attenuata per i dati comuni, maggiore per i dati sensibili, alquanto elevata per i dati super sensibili.

Per la prima tipologia di dati, l'accesso prevale quando la conoscenza degli atti è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici.

Nel caso di dati sensibili, idonei, cioè, a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose e filosofiche, le opinioni politiche, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente necessario. Viceversa, per i dati sensibilissimi, afferenti alla salute ed alla vita sessuale dell'individuo, il trattamento è consentito nel solo caso in cui la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti dell'interessato ovvero consista in un diritto della personalità oppure in altro diritto costituzionalmente rilevante. In questo caso, è necessario, pertanto, un giudizio di comparazione tra la situazione soggettiva sottesa all'istanza di visione ed il diritto alla riservatezza che va effettuato in concreto.

La norma di cui all’art. 60 del d.lgs. n. 101/2018 ha sostituito il precedente testo legislativo il quale appare modificato nella prima e seconda parte restando sostanzialmente identica per la parte relativa alla tutela della situazione giuridica oggetto di richiesta di accesso agli atti.

Infatti, dall’analisi del testo normativo emerge lo specifico riferimento ai “dati genetici” concernenti la salute, la vita sessuale o l'orientamento sessuale della persona rispetto alla previgente previsione in cui con la locuzione “dati idonei” si indicava qualsiasi dato personale.

Con la nuova formulazione pare che il legislatore del 2018 abbia inteso restringere il significato concettuale dei dati da trattare limitandolo al solo caso dei dati genetici che, secondo la più ampia e comune accezione, comprenderebbero la costituzione genotipica di un individuo ovvero i caratteri genetici trasmissibili nell’ambito di un gruppo di individui legati da vincoli di parentela.

Appare poi esplicito il riferimento all’orientamento sessuale della persona, locuzione evidentemente inserita in considerazione dell’evoluzione sociale, che sembrerebbe rivolgersi alla considerazione di tutelare anche quelle situazioni personali tendenti all’attrazione dello stesso sesso.

Sembra, poi, ancor più rafforzato il passaggio relativo all’ultimo periodo della norma in cui pur essendo previsto il riferimento al diritto della personalità e ad altri diritti o libertà fondamentale della persona non compare più il concetto di inviolabilità dei diritti della persona stessa.

La disposizione di cui al suddetto art. 60, riguarda, com'è noto, il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza dei dati c.d. sensibilissimi - confermato peraltro dalla novella del 2018 - e chiarisce in modo inequivoco che, in questi casi, il diritto di accesso può essere esercitato soltanto se, a seguito ad una delicata operazione di bilanciamento di interessi, la situazione giuridica rilevante sottesa al diritto di accesso venga considerata di rango almeno pari al diritto alla riservatezza riferito alla sfera della salute dell'interessato. Tale comparazione va effettuata in concreto, sulla base dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza Soccorre in questa direzione la norma di cui all'art. 24[2], comma 7, della l. n. 241 del 1990 - complementare rispetto al citato art. 60 del Codice della privacy - secondo cui l'accesso è in tutti questi casi consentito qualora ciò risulti strettamente necessario e indispensabile per la difesa dei propri interessi giuridici.[3].

E’, comunque, demandato alla P.A. individuare le categorie di documenti da essa formati o detenuti sottratti all' accesso in attuazione di quanto previsto dalla legge. Tale operazione di bilanciamento è sottratto alla potestà regolamentare e alla discrezionalità delle singole Amministrazioni in quanto è regolato compiutamente dalla legge che, nel prevedere la tutela della riservatezza del terzo, ha fatto d’altra parte salvo il diritto degli interessati alla visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa dei propri interessi[4].

Secondo il significato della norma di cui al comma 7 del citato art. 24, risulta chiaro che la tutela del diritto di difesa è da ritenersi, quindi, prevalente rispetto a qualsiasi altro interesse eventualmente configgente. Anche in questo caso, peraltro, se i documenti richiesti concernono dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito, a norma del citato art. 24, "nei limiti in cui sia strettamente indispensabile". Ove poi si tratti di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l' accesso è ammesso solo "nei termini previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196", vale a dire quando la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi sia di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.

Dal momento che il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa sono diritti di pari rango, in quanto entrambi costituzionalmente tutelati, i problemi di bilanciamento sarebbero in questo caso di tutta evidenza[5].

L'art. 24, comma 6, della l. n. 241/1990, rinvia ad un apposito regolamento governativo l'individuazione dei casi di esclusione dell'accesso, motivati da esigenze di tutela di una serie di interessi ritenuti di particolare rilevanza, fra i quali la vita privata o la riservatezza  di persone fisiche e giuridiche.

Si può, dunque, ritenere che particolare tutela deve essere assicurata ai dati c.d. sensibili: al riguardo, viene, tra l'altro, in considerazione, accanto alla protezione della riservatezza, la tutela della salute, ad essa strettamente collegata (un riscontro ulteriore della circolarità stretta, nei contenuti, dei diritti della personalità). E infatti se la tutela più circoscritta dell'integrità fisica di cui all'art. 5 c.c., richiama gli aspetti esteriori della condizione del soggetto ed è valore eminentemente statico, la salute si configura, al contrario, come nozione relativa e dinamica, coinvolgendo soprattutto gli aspetti interiori, come avvertiti e vissuti in concreto dal soggetto, valore non solo da garantire ma da promuovere ed accrescere, secondo gli artt. 2, 3 e 32 Cost.

3. Accesso, riservatezza e diritto di difesa.

L'art. 59 del d.lgs. n. 196/2003 conferma che "i presupposti, le modalità, i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso ". Sono fatti salvi i c.d. dati supersensibili inerenti la salute e la vita sessuale, per i quali vale la più rigida disciplina prevista dal già ricordato art. 60.

Il diritto di accesso rimane, pertanto, disciplinato in via esclusiva dalla l. n. 241/1990 e dai relativi regolamenti attuativi, anche per i profili concernenti il rapporto con il diritto alla riservatezza.

Da questo punto di vista, si evidenzia come l'art. 24 della l. n. 241/1990 consideri il diritto alla riservatezza recessivo rispetto a quello di difesa. Tale principio è stato rafforzato dalla novella del 2005 che ha eliminato la distinzione derivante dall'originaria formulazione dell'art. 24, comma 2, lett. d), tra semplice visione e possibilità di estrarre copia del documento.

Il testo originario dell'art. 24 limitava, infatti, l'accesso, in caso di conflitto con il diritto alla riservatezza di terzi, alla sola visione del documento, senza possibilità per il richiedente di estrarre copia dello stesso[6]. Tale limitazione è ormai superata, posto che, in base alla nuova disciplina, devono ritenersi compresi nel diritto di accesso, in tutti i casi, sia la visione sia il rilascio di copia degli atti richiesti[7].

Si è pacificamente ritenuto che ove occorrono necessità di carattere difensivo, riconducibili alla effettività della tutela di cui all'art. 24 Cost., volte alla tutela di una situazione giuridica soggettiva rilevante per ottenere l’ostensione dei documenti amministrativi detenuti dall'Amministrazione e recanti dati sensibili o sensibilissimi di un terzo, tale tutela deve ritenersi prevalente rispetto all'esigenza di tutela della riservatezza purchè l'applicazione di tale principio venga adeguatamente bilanciata dalla medesima Amministrazione[8].

D'altronde, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, l'interesse all'accesso ai documenti deve essere considerato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale, che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l'accesso, o sulla ammissibilità e la rilevanza dei documenti richiesti rispetto ad un giudizio pendente[9].

4. Accesso e riservatezza nelle selezioni pubbliche

Nell’ambito delle procedure concorsuali di pubblico impiego il diritto di accesso può essere esercitato per richiedere le domande ed i documenti prodotti dai candidati nonchè i verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati, atti per i quali viene esclusa l'esigenza di riservatezza a tutela dei terzi atteso che i candidati, prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza della valutazione. Tali atti, quindi, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti che, peraltro, non assumono neppure la veste di controinteressati in senso tecnico nel giudizio proposto ex art. 25 della l. n. 241 del 1990[10].

In tal caso se gli altri candidati della graduatoria non sono citati in giudizio ai quali si riferiscono gli atti fatti oggetto della richiesta ostensiva, non si verifica a carico di essi alcun significativo pregiudizio non potendo gli stessi, in ragione di quanto detto, opporsi all'ostensione dei documenti richiesti[11].

Con specifico riferimento ai dati personali contenuti nei verbali della Commissione esaminatrice, nei curricula e nelle dichiarazioni rese dai singoli candidati, giova evidenziare che l’Amministrazione alla quale sia stata inoltrata la richiesta di ostensione è tenuta ad indicare quali possano essere i dati sensibili o sensibilissimi a giustificazione di un eventuale diniego dell’istanza fermo restando comunque che incombe in capo alla stessa Amministrazione, in attuazione dei principi giurisprudenziali sopra illustrati, l’onere di operare il bilanciamento tra le esigenze difensive rappresentate dall’istante e quelle connesse alla riservatezza di soggetti terzi ossia i soggetti si sono collocati in posizione migliore rispetto al candidato che, collocatosi in posizione deteriore, ha proposto l’impugnativa alla graduatoria concorsuale[12]. Pertanto, l’Amministrazione deve rilasciare i verbali della Commissione unitamente ai curricula ed alle dichiarazioni dei candidati collocatosi in posizione migliore rispetto al ricorrente che ha impugnato la graduatoria.

In tema di procedure ad evidenza pubblica, nel caso in cui oggetto della richiesta di accesso siano le offerte economiche di altre ditte partecipanti e per le situazioni in cui l’accesso venga richiesto per ragioni difensive, si è sostenuto che le esigenze di riservatezza recedono e che, comunque, nessuna tutela può essere apprestata a chi manifesta l’opposizione all’accesso con dichiarazioni generiche e di stile, prive, cioè, di motivazione e comprovazione delle ragioni sottese al mantenimento della segretezza[13].

Peraltro anche in tali procedure si applica il principio della prevalenza del diritto di agli atti della procedura (in particolare dichiarazioni ed informazioni di carattere personale afferenti all'azienda e ai soggetti titolari delle relative cariche) sul diritto alla riservatezza degli altri partecipanti in quanto colui che concorre all'aggiudicazione di un appalto pone - per evidenti ragioni di trasparenza - la propria documentazione a disposizione di tutti gli altri partecipanti, che hanno pieno diritto di conoscerla. In tal modo viene consentito al partecipante il pieno controllo della documentazione prodotta dal concorrente; e ciò per permettere a tutti i partecipanti, in condizione di reciprocità, la verifica degli atti prodotti dalle parti e delle conseguenti determinazioni assunte dall' Amministrazione[14]. Ovviamente Il diritto di accesso non deve essere diretto ad atti coperti da privativa o brevetto.

Pertanto, il concorrente escluso da una gara d'appalto ha il diritto di accedere agli atti di gara relativi all'offerta tecnica prodotta dall'impresa aggiudicataria, al fine di proporre ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione, ciò in quanto va riconosciuto il diritto di accesso all'intera documentazione, nonché alle informazioni fornite dai concorrenti nell'ambito delle offerte, nell'ipotesi in cui l'accesso sia finalizzato all'esercizio del diritto di difesa. Tale conclusione, conforme alla giurisprudenza ormai consolidata, trova ragione nel fatto che la partecipazione ad una gara comporta che l'offerta tecnico progettuale esula dalla sfera di dominio riservata dell'impresa, ponendosi sul piano della valutazione comparativa rispetto all'offerta delle altre concorrenti; ne consegue che la concorrente non aggiudicataria può accedere senza ostacoli alla documentazione relativa alle offerte presentate, in vista della tutela dei propri interessi[15].

Va segnalato che la disposizione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 163/2006, “vecchio” codice dei contratti pubblici, era stata letta come “l’intenzione del legislatore di mantenere ferme le disposizioni generali ex l. n. 241 con introduzione di alcune disposizioni speciali destinate, più che altro, a precisare la normativa applicabile in materia di affidamento dei contratti pubblici”, ovvero come dimostrazione della complementarità tra disposizioni, nel senso che le generali disposizioni contenute nella l. 241 trovano integrale applicazione se non derogate dalla legge sui contratti pubblici ovvero, ancora, che “la disciplina dell’accesso agli atti di gara, contenuta negli artt. 13 e 79, comma 5 quater, d.lgs. n. 163/2006, costituisc[e] un “microsistema normativo”, collegato sì alla peculiarità del settore considerato, ma non alieno alle coordinate generali dell’accesso tracciate di cui all’art. 22 della Legge n. 241/1990”[16].

Le ipotesi di esclusione contenute nelle lett. c) e d), del citato art. 13, comma 5, non presentano particolari problemi in ordine a contenuto e ratio. Quanto alla prima, l’esclusione dell’accessibilità ai pareri legali, che non sono atti del procedimento, ma solo occasionati da esso[17], è giustificata dalla necessità di non pregiudicare il diritto alla difesa dell’appaltante[18] e di tutelare la segretezza degli atti dei difensori. Per tale ragione, la giurisprudenza ha fornito un’interpretazione restrittiva del divieto, consentendo l’accesso ai pareri legali resi nel corso della procedura di gara qualora aventi finalità di supporto alla decisione della stazione appaltante e, come tali, richiamati nel provvedimento finale come sua parte essenziale[19].

Il secondo divieto (relazioni riservate ) risponde all’esigenza di tutelare il diritto alla difesa dell’appaltante[20] nonché il suo diritto di determinarsi liberamente in vista della proposta di accordo bonario prevista dall’art. 240 del codice.

Ben più articolato il discorso sul divieto d’accesso finalizzato alla tutela del know how aziendale.

Specifica tutela ricollegata alle libertà d’impresa e di concorrenza che verrebbero irrimediabilmente lese ove il frutto della ricerca, dell’esperienza, della concreta organizzazione imprenditoriale venisse immotivatamente reso accessibile ai diretti concorrenti[21], soprattutto a quelli che partecipano alle gare strumentalmente allo scopo di carpire i segreti tecnici e commerciali dei concorrenti per avvantaggiarsene per l’ordinaria attività d’impresa se non, addirittura, nelle fasi successive della medesima procedura[22]. Segretezza che, stante la sua sensibile rilevanza, è presidiata anche da disposizioni di natura penale.

A essere inibita con la previsione di cui alla lettera a) è ogni forma di divulgazione e, pertanto, anche d’accesso, alle informazioni fornite dagli offerenti in sede di offerta o di giustificazione della stessa là dove tali informazioni concretino segreti tecnici o commerciali.

Escluso ogni impulso investigativo in capo all’Amministrazione, presupposto indefettibile per l’operatività del divieto, è una dichiarazione motivata e comprovata da parte dell’operatore economico  sulla porzione  dell’offerta contenente dati che meriterebbero la  riservatezza . Compito dell’appaltante, che si trova nella scomoda posizione di concedere l’accesso, ed esporsi al rischio di un’incriminazione per violazione di segreto industriale, ovvero di denegarlo, ed esporsi al rischio di un’incriminazione per omissione d’atti d’ufficio, è quello di vagliare l’assunto del concorrente per valutare la reale attitudine della conoscenza a disvelare segreti tecnici o commerciali. Attività da svolgersi con piglio rigoroso per evitare un’ingiustificata compressione del principio di pubblicità delle gare pubbliche. Proprio per ciò è stato escluso che la segretezza possa riferirsi a “qualsiasi elemento di originalità dello schema tecnico del servizio offerto, perché è del tutto fisiologico che ogni imprenditore abbia una specifica organizzazione, propri contatti commerciali, e idee differenti da applicare alle esigenze della clientela”, essendo invece riservata “a elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che trovano applicazione in una serie indeterminata di appalti, e sono in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza”, quand’anche non “si tratti di creazioni intellettuali protette dal diritto d’autore o di invenzioni industriali brevettate”[23].

Il legislatore del 2006 ha, inoltre, ampliato il divieto di divulgazione di informazioni anche a ulteriori aspetti delle offerte che, sebbene non implicanti segreti tecnici o commerciali, possiedono caratteri di  riservatezza, demandando al Regolamento la loro concreta individuazione (comma 5, lett. b).

Nell’ottica del bilanciamento tra interessi, il divieto di divulgazione è escluso se l’accesso è richiesto dal concorrente “in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura d’affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta d’accesso” (comma 6 dell’art. 13). È evidente il punto di compromesso raggiunto tra il diritto alla  riservatezza  e quello alla difesa in giudizio, intollerabilmente pregiudicato da un divieto assoluto d’ostensione[24].

Secondo quanto testualmente emerge dalla norma, il soggetto attivo della richiesta può essere solo il concorrente e non gli estranei alla gara[25]. La compressione soggettiva non è frutto d’arbitrio, perché l’unico caso in cui la legittimazione al ricorso è svincolata dalla presenza in gara del ricorrente è quello in cui il petitum consiste nell’annullamento del bando/lettera d’invito allo scopo della riedizione della gara depurata dal vizio lamentato[26], nel qual caso è palesemente irrilevante per il ricorrente aver conoscenza del contenuto delle offerte presentate dai concorrenti.

L’esigenza difensiva legittimante la deroga al divieto di ostensione costituisce un’applicazione pratica del favor all’accesso difensivo già riconosciuto in via generale dall’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, distinguendosene, però, per la sua portata più ristretta, non essendo tutelata la generica esigenza di difendere i propri interessi giuridici, ma solo una qualificata esigenza difensiva in vista di un giudizio. L’impiego della locuzione “in vista del giudizio”, da un lato esclude la necessità di una già intervenuta instaurazione del giudizio, ma, dall’altro, impedisce la dilatazione della deroga fino a farla sconfinare in accesso incondizionato, sicché saranno d’impedimento all’accesso la mancata dimostrazione di una concreta utilità a fini processuali della conoscibilità del documento nonché le eventuali preclusioni processuali in cui sia già incorso il richiedente.

L’accesso, una volta assentito, deve essere integrale[27] e ricomprendere non solo la visione, ma anche l’estrazione di copia della documentazione, anche se non manca chi ritiene che il concreto contemperamento tra le opposte esigenze potrebbe rendere in certi casi giustificato l’accesso nella limitata forma della mera visione[28].

È stato osservato[29] che l’Amministrazione, cui è precluso ogni processo alle intenzioni, non può denegare l’accesso trincerandosi dietro il paravento della normativa a tutela delle opere d’ingegno, posto che l’utilizzazione illecita della documentazione può avvenire solo ad accesso conseguito.

La lunga esposizione degli approdi giurisprudenziali e dottrinali sul “vecchio” e abrogato codice degli appalti non è casuale e, men che mai, inutile. Infatti il d.lgs. 18.4.2016 n. 50, “nuovo” codice degli appalti, racchiude la disciplina dell’accesso agli atti di gara nell’art. 53, con disposizioni in gran parte sovrapponibili a quelle contenute nell’art. 13 del d.lgs. n. 163/2006 o nell’art. 294 del Regolamento e qualche lieve modifica formale. Va da sé che il patrimonio ermeneutico formato sotto il d.lgs. n. 163/2006 mantiene intatta la sua portata.

In una recente pronuncia del TAR Lazio[30] - che trae origine da un diniego all’accesso agli atti frapposto da una stazione appaltante a un concorrente, motivato con l’opposizione all’esibizione formulata dall’aggiudicatario - la stazione appaltante aveva richiesto che i concorrenti, sin dalla fase di presentazione delle domande di partecipazione, rilasciassero un’autorizzazione a permettere l’accesso a tutti i documenti di gara prodotti. Autorizzazione non concessa dall’aggiudicataria in relazione a “tutta” la documentazione, sull’assunto che questa contenesse “informazioni/tecnico commerciali e segreti industriali riguardo il know-how dell’azienda che non possono e non devono essere divulgati a terzi”. Sulla sola scorta di tale diniego, la stazione appaltante, nonostante il richiedente avesse specificato che l’accesso avesse carattere difensivo, ha deliberato il rifiuto.

Il Collegio, aderendo al granitico quadro interpretativo, dopo aver individuato nell’art. 53, d.lgs. n. 50/2016 la normativa di riferimento, ha accolto il ricorso ritenendo il rifiuto della stazione appaltante illegittimo per diverse ragioni. Innanzitutto perché le motivazioni addotte dall’aggiudicataria erano vaghe e compendiate in una “formula generica e stereotipata”. Inoltre, perché la stazione appaltante non aveva tenuto in debita considerazione la natura difensiva della richiesta di accesso, più che sufficientemente dimostrata con l’allegazione della sua strumentalità all’impugnazione dell’atto con cui era stata disposta l’aggiudicazione.

Il ragionamento seguito dai giudici capitolini è, alla luce degli approdi giurisprudenziali e dottrinali sul tema, ineccepibile. Si può solo soggiungere che la genericità dei motivi posti a fondamento del divieto all’ostensione, formulato in sede di partecipazione alla gara, era ulteriormente appalesata dal fatto che la pretesa segretezza era rivolta non già a specifiche parti dell’offerta, ma ad essa tout court, rendendo ancor più palese che il diniego del concorrente non era conseguito ad alcuna analisi volta a reperire ciò che abbisognava di segretezza. Liquidare una seria questione in maniera stereotipata comporta l’inevitabile risultato che se tutto è dichiarato segreto, alla fine nulla deve essere considerato tale.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cons. Stato 2 gennaio 1998, n. 1725, in Foro it., 1999, III, 433; Cons. Stato 27 agosto 1998, n. 1137, in Foro it., 1998, III, 609; Caianello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1997, 160; R. Giovagnoli - M. Fratini, Il diritto d’accesso. Questioni processuali, Milano 2008, 21.
[2] Il comma 7 dell’art. 24 prevede "che deve comunque essere garantito ai richiedenti l' accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici".
[3] Cons. Stato Sez. III, Sent., 21-12-2017, n. 6011; Cons Stato, Sez. III, 30.10.2017, n. 5004.
[4] T.A.R. Marche Ancona Sez. I Sent., 06-02-2015, n. 116.
[5] Daga, Disposizioni relative a specifiche situazioni di trattamento: l’attività di archiviazione e di ricerca, il segreto professionale e le associazioni religiose, in Finocchiaro (a cura di), Il nuovo Regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, Bologna, 2017, 689.
[6] cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2004, n. 14.
[7] T.A.R. Puglia 24 gennaio 2007, n. 337.
[8] T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 12-12-2016, n. 12317; Cons. Stato Sez. III, 11-01-2018, n. 139; Cons. Stato Sez. III, Sent.,21-12-2017, n. 6011; T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II Sent., 18-02-2013, n. 144.
[9] Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 marzo 2014 n. 1134.
[10] T.A.R. -Campania Napoli Sez. VI, 26-04-2018, n. 2770; T.a.r. Lazio, Sez. III, 08 luglio 2008 n. 6450.
[11] cfr. T.A.R. Napoli, VI Sezione, 12 ottobre 2017 n. 4766.
[12] Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III Quater, 15.11.2018, n. 11026.
[13] T.A.R. Lazio, Sez. I, 19.5.2018, n. 5583.
[14] T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I Sent., 08-05-2013, n. 362; Cons. Stato, Sez. VI, 20-02-2008, n. 590.
[15] T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 27-05-2010, n. 2066.
[16] Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2018, n. 2382; M. Lipari, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. Sandulli - R. De Nictolis - R. Garofoli, Milano, 2008, II, 988.
[17] L. R. Perfetti, op. cit., 193.
[18] T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 12 maggio 2016, n. 1274.
[19] Cons. Stato, Sez. V, 23 giugno 2011, n. 3812.
[20] T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 29 ottobre 2015, n. 284.
[21] Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011, n. 6136.
[22] Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011, n. 6136.
[23] L.R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, Milano, 2017, 540.
[24] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 3 settembre 2010, n. 17286.
[25] M. Lipari, op. cit., 1011, L.R. Perfetti, op. cit., 195, R. Garofoli - G. Ferrari, op. cit., 366.
[26] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, 16 giugno 2018, n. 6738.
[27] Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3431.
[28] M. Lipari, op. cit., 1014.
[29] R. De Nictolis, Manuale degli appalti pubblici, Roma, 2008, 287.
[30] T.A.R. Lazio, Sez. I, con la sentenza 19 maggio 2018, n. 5583.