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Pubbl. Mer, 17 Ott 2018

Cos´è e a cosa serve il rapporto deficit/PIL

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


L´Unione europea ha criticato le misure approvate ieri dal Governo italiano, misure che alzeranno il rapporto deficit/PIL nel 2019 al 2,4%. Ma cosa sono queste cifre e perché il nostro Governo è tanto criticato?


Continuano le discussioni circa la tenuta dei conti pubblici, in particolare in seguito alle intenzioni del governo di varare un vasto piano di distribuzione di liquidità, diretta ed indiretta, nei confronti di ampie categorie sociali. Questo piano, per essere contabilmente possibile, deve avere coperture finanziarie che garantiscano, nel medio e lungo termine la tenuta economica del sistema Paese. Ed è proprio sulla incertezza inerente le coperture che sono state espresse riserve da più parti, compresa la Presidenza della Repubblica, che ha sottolineato non solo che l’equilibrio di bilancio è una situazione costituzionalmente tutelata, ma che una eccessiva esposizione debitoria sarebbe dannosa per i risparmiatori italiani.   

Per questo oggi approfondiamo un dato che ci indica la solidità dei nostri conti pubblici: cioè il rapporto tra il deficit ed il prodotto interno lordo.

L’Italia, nel 1997 ha aderito al patto europeo di stabilità e crescita. Si tratta di un accordo vincolante rivolto a tutti i Paesi del Sistema Monetario Europeo, finalizzato a mantenere la salute dei conti pubblici, che dà all’euro l’elevato peso internazionale che tutti le riconoscono.

Sostanzialmente due sono i requisiti da rispettare, i cosiddetti parametri di Maastricht:

  • Un rapporto debito/PIL inferiore al 60%;
  • Un rapporto deficit/PIL inferiore al 3%.

Proprio quest’ultimo parametro è oggetto di discussione nel nostro Paese, ove la crescita del PIL, secondo Standard & Poor’s, nel 2018 si attesta ad un +1,1% con un outlook di -0,1% nel 2019.

Cos’è il PIL? Si tratta di un concetto macroeconomico complesso, ma possiamo dire che il PIL è la produzione ottenuta con l’attività economica svolta all’interno di un Paese dai residenti e dai non residenti; si tratta, quindi, del valore del flusso di beni e servizi finali prodotti da una collettività.

Il deficit (detto anche disavanzo) pubblico, invece, è la posizione contabile di uno Stato in cui la spesa pubblica supera le entrate pubbliche.

Il rapporto deficit/PIL è, allora, uno strumento che consente di valutare la coerenza delle scelte di bilancio di un Paese, mettendo in relazione il deficit con la capacità di produrre ricchezza e ripagare il debito accumulato. Limitarlo al 3% significa dire che, se per esempio, un Paese produce ricchezza per 100 miliardi, non deve spenderne più di 103.

Cosa succede in caso di sforamento? Il trattato prevede una procedura di tre fasi:

  • la prima è l’avvertimento: se un Paese si avvicina allo sforamento, la Commissione Europea e l’Ecofin (cioè il consiglio di tutti i ministri delle finanze europei) approvano un avvertimento preventivo;
  • la seconda fase è l’emissione di un documento che contiene delle raccomandazioni di rientro;
  • a questo punto possono succedere due cose:
    • se il Paese non adotta misure correttive è sanzionato, cioè deve versare una somma di denaro variabile (comunque minore dello 0.5% del PIL) che rimane come deposito infruttifero per due anni e poi si converte in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo;
    • se il Paese adotta misure correttive, la procedura è sospesa anche se vi è un temporaneo sforamento. Tuttavia se le misure sono inadeguate la procedura è ripresa e viene irrogata la sanzione.

Allo stato attuale, dunque considerando le spese per il reddito di cittadinanza ed il percorso introduttivo della flat tax, la previsione triennale del Governo porterebbe il rapporto deficit/PIL al 2.4%, quindi in netto aumento rispetto al preventivato 1,6 o 1.9%. Si tratta di una svolta in senso espansivo delle posizioni debitorie del nostro Paese che, ad oggi, non sarà più in grado di raggiungere il pareggio di bilancio, prima previsto per il 2020. 

Non si tratta, tuttavia, di una condizione che deve allarmare, perché l’Italia è in grado di sostenere un rapporto deficit/PIL al 2.4%; tuttavia, avvicinarsi al limite del 3% è certamente un campanello di allarme. Perché caricare ulteriormente e pesantemente il bilancio con una riforma che diminuisca l’età pensionabile, in mancanza di uno strumento che incentivi le assunzioni, e, soprattutto, in mancanza di una copertura, significa collocare una nuova spesa a debito. Spesa che peserebbe come un macigno sul debito pubblico italiano, che oggi è il 132 % del PIL contro il 68% della Germania e inevitabilmente porterebbe all’operatività delle clausole di salvaguardia, come l’aumento dell’IVA. 

Questo, in conclusione, non significa che l’unico modo per risanare i conti sia il varo di un doloroso piano di rientro, anzi. Una politica espansiva in termini di liquidità è la risposta corretta, tuttavia una allocazione delle risorse che privilegi la flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro sembra preferibile ad una distribuzione indiscriminata di liquidità che sul breve periodo può favorire i consumi, ma che proprio per questo, potrebbe portare ad un aumento delle imposte proprio sui consumi.