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Pubbl. Sab, 27 Ott 2018

Il ricorso straordinario al Capo dello Stato

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Simone Petrone


Analisi sulla natura giuridica del ricorso, con particolare riferimento ai contrasti dottrinali e giurisprudenziali più recenti e alle normative sovranazionali rapportate.


Sommario: 1. Premessa; 2. Natura giuridica; 3. Opposizione al decreto; 4. Profili sovranazionali; 5. Conclusioni.

1. Premessa

Il ricorso straordinario al Capo di Stato è un rimedio di natura formalmente amministrativa, che culmina con un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, previo parere del Consiglio di Stato.

Formalmente è un rimedio di tipo amministrativo, ma si avvale dell’intervento del Consiglio di Stato e successivamente del Ministro compente, che provvede all’assunzione della decisione finale.

Proprio perchè in esso si coinvolgono organi di natura differente - il ministro proponente (che è organo amministrativo) e il Consiglio di Stato (organo giurisdizionale) - si pone il problema di stabilire se il rimedio è nella sostanza amministrativo o giurisdizionale.

In merito a quanto affermato il quadro normativo prevede la possibilità di sospendere l’atto impugnato con il ricorso straordinario.

La sospensione dell’atto impugnato è uno strumento di tipo cautelare tipico del processo amministrativo. Quindi, nell’ambito del ricorso straordinario, il legislatore prevede uno strumento di natura cautelare che è tipico del processo amministrativo.

  1. Il Consiglio di Stato - nel rendere il parere -  può sollevare la questione di legittimità costituzionale, ma nell’ambito di un processo (processo che ha natura giurisdizionale);
  2. Il Consiglio di Stato - nel rendere il parere - può sollevare la questione di interpretazione innanzi alla Corte di Giustizia, che tipicamente può essere sollevata in un procedimento di natura giurisdizionale;
  3. La  proposta del Ministro competente, e quindi la decisione del Presidente della repubblica, dopo la L. 69/2009, deve essere necessariamente conforme al parere reso dal Consiglio di Stato. Quindi il parere è vincolante ed il Ministro competente non può in alcun caso discostarsi da esso. Il decreto del Presidente della Repubblica riprodurrà il contento del parere;
  4. Il ricorso straordinario è ammissibile solo per le controversie che sono devolute alla giurisdizione del G.A. (art. 7 comma 8 c.p.a);
  5. Il ricorso straordinario è un rimedio alternativo al ricorso ordinario dinanzi al G.A..

Le parti nei cui confronti è proposto il ricorso straordinario possono opporsi riportando il procedimento nei binari del giudizio ordinario innanzi al G.A e, proprio sulla base di questo quadro normativo, un autotevole indirizzo della giurisprudenza ha sostenuto che il ricorso straordinario non può essere considerato un procedimento giurisdizionale, perché difetta in primis del rispetto del principio del contradditorio; in secundis manca un’istruzione probatoria completa e, infine, difetta del principio del doppio grado di giudizio, dato che esso è un unico grado.

Di conseguenza il decreto con cui si conclude il ricorso straordinario è un provvedimento amministrativo e proprio alla luce di ciò si evince chiaramente come il ricorso non sia un rimedio giurisdizionale ma un rimedio amministrativo.

2. Natura giuridica

Il ricorso straordinario ha una natura sostanzialmente giurisdizionale. La decisione finale è una decisione a sostanza giurisdizionale. Occorre, pertanto, domandarsi quali siano le ragioni ritraibili dal quadro normativo che inducono la giurisprudenza ha qualificare il rimedio in esame come formalmente amministrativo, ma sostanzialmente giurisdizionale.

Il contenuto della decisione è determinato dal parere del Consiglio di Stato:

- Il parere del consiglio di stato è previsto come vincolante, quindi il decreto del presidente riproduce il contenuto reso dal consiglio;
- Il provvedimento che conclude il ricorso è formalmente amministrativo ma sostanzialmente imputabile al Consiglio di Stato;
- L’organo giurisdizionale con il proprio atto determina il contenuto della decisione finale, la quale, formalmente amministrativa, è ricognitiva della decisione della volontà dell’esercizio del potere giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato espressa con il parere;
- La decisione finale è caratterizzata dalla definitività e dalla intangibilità che è tipica del giudicato amministrativo, quindi, il decreto è definitivo e intangibile, suscettibile di passare in giudicato così come è suscettibile di passare in giudicato la sentenza del G.A..In sostanza ha lo stesso carattere di una sentenza.

Sulla base dell’art. 7 comma 8 c.p.a., il ricorso straordinario presuppone la giurisdizione del G.A. come la presuppone il ricorso ordinario dinnanzi al G.O. Il legislatore quindi, richiedendo la sussistenza della giurisdizione del G.A. per proporre il ricorso straordinario, è come se avesse voluto attrarre il ricorso straordinario nel sistema della giustizia amministrativa.

Si tratta, perciò, di un rimedio alternativo rispetto al ricorso ordinario. È alternativo perché le parti hanno la facoltà di opporsi alla proposizione del ricorso straordinario riportando il procedimento nei binari del ricorso ordinario. Quindi c’è l’interscambiabilità tra ricorso ordinario e ricorso straordinario: se le parti si oppongono il ricorso segue il rito ordinario, invece, se le parti non si oppongono rimarrà straordinario.

La facoltà di opporsi al ricorso straordinario riconosciuta alle parti (P.A., contro-interessati e co-interessati) garantisce il pieno rispetto del contraddittorio ed alla luce di ciò ne deriva che se le parti non si oppongono accettano il ricorso straordinario, mentre se le parti oppongono  il ricorso prosegue nel rito ordinario con tutte le garanzie che ne derivano.

3. Opposizione al decreto

La facoltà di opporsi al ricorso straordinario garantisce il rispetto del doppio grado di giurisdizione e il principio di un’istruttoria completa. Se le parti non si oppongono, vuol dire che accettano quel procedimento caratterizzato da una semplificazione e accettano quel procedimento in un unico grado. Sostanzialmente, le parti rinunciano alla completezza dell’istruttoria e al doppio grado di giurisdizione garantite dal processo ordinario al quale avrebbero potuto accedere se si fossero opposte al ricorso straordinario.

La parte che propone il ricorso straordinario rinuncia preventivamente a dette garanzie; le parti nei cui confronti è proposto il ricorso possono accettare, rinunciando anch’esse a dette garanzie, ovvero possono opporvisi, riportando il procedimento sui binari del ricorso ordinario. Se le parti si oppongono, riportando il procedimento sui binari del ricorso ordinario, il T.A.R., dinanzi al quale la causa è rimessa, può dichiarare inammissibile l’opposizione, restituendo il fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria.

Sarebbe ipotizzabile la traslatio iudicii che è una ipotesi speciale di continuazione del giudizio innanzi al G.A., infatti, se il ricorso straordinario è una prosecuzione del giudizio innanzi al G.A. inevitabilmente deve ritenersi che il giudice sta considerando detto ricorso come giurisdizionale.

Le conseguenze che ne deriveranno sono:

  • il decreto, con cui si conclude questo ricorso, è una decisione di giustizia, cioè è provvedimento sostanzialmente giurisdizionale;
  • il ricorso straordinario è un rimedio giustiziale, con caratteristiche strutturali e funzionali assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo, attratto all’orbita della giurisdizione amministrativa, pur senza possedere tutte le caratteristiche del processo che si svolge dinanzi al G.A.

Uno dei corollari della natura sostanzialmente giurisdizionale della decisione con cui si conclude il  ricorso straordinario è l’ammissibilità del rimedio dell’ottemperanza, se l’amministrazione non esegue quanto disposto dal decreto presidenziale la parte può ricorrere in ottemperanza ai sensi dell’art. 112 c.p.a. È un rimedio quindi suscettibile di ottemperanza. In questo caso il problema è la competenza, perché anche qualificando il ricorso straordinario come un rimedio formalmente e sostanzialmente amministrativo la giurisprudenza minoritaria ammette la possibilità di dare esecuzione al decreto con ottemperanza ai sensi dell’art. 113 c.p.a.

Il rimedio è quindi ammesso da entrambe le teorie, solo che la differenza risiede  in punto  di individuazione del giudice competente. La teoria prevalente è un rimedio sostanzialmente giurisdizionale, cioè, è una decisione di giustizia imputabile al Consiglio di Stato à il ricorso per ottemperanza va esperito davanti al giudice competente ai sensi dell’art. 113 lett.b) c.p.a.

In sostanza, l’art. 113 c.p.a. individua diversi giudici competenti sul ricorso per ottemperanza. La norma distingue tra: l’ipotesi in cui si dà ottemperanza ad una sentenza o ad un provvedimento del G.A. che è competente per l’ottemperanza ed il G.A. che ha emanato la sentenza o il provvedimento da ottemperare.(es. sentenza o provvedimento emanato dal TAR in cui la competenza per l’ottemperanza è del TAR). È un criterio logico ; il giudice della sentenza o del provvedimento è il giudice più competente a dare ottemperanza. L’ipotesi differente invece, in cui si dà ottemperanza ad una sentenza passata in giudicato o ad un altro provvedimento equiparato alla sentenza passata in giudicato si realizza quando un giudice diverso dal G.A. è competente per l’ottemperanza il TAR territorialmente competente.

Sulla base di questo criterio il decreto presidenziale, che riproduce il contenuto del parere del Consiglio di Stato, è  sostanzialmente giurisdizionale (imputabile al Consiglio di Stato), quindi, la competenza per l’ottemperanza spetta al Consiglio di Stato (art. 113 lett. b c.p.a.).

Occorre esporre anche quanto sotenuto da una teoria minoritaria, secondo cui è un rimedio formalmente e sostanzialmente amministrativo, perciò la competenza, non può spettare al Consiglio di Stato ex art. 113 lett.b) c.p.a., perché l’atto è un provvedimento amministrativo.

È allora ovvio che, pur ammettendosi l’esperibilità del rimedio dell’ottemperanza contro il decreto presidenziale che è provvedimento amministrativo, la competenza per l’ottemperanza spetta al T.A.R. territorialmente competente (art. 113 lett.d c.p.a.), cioè rientra tra i provvedimenti equiparabili alle sentenze passate in giudicato per le quali non è previsto il rimedio dell’ottemperanza.

Questa tesi non è però sostenibile sulla base dello stesso art. 113 c.p.a. dato che se è vero che il decreto presidenziale è un provvedimento amministrativo, anche vero che  il provvedimento amministrativo non è contemplato nell’ambito dell’art. 113 lett.d c.p.a., perché detta norma prevede l’ottemperanza nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti di un giudice diverso da G.A., ma sempre di un giudice.

Allora se il presupposto è che il decreto del presidente è un provvedimento amministrativo, e non del giudice,  tale tipo di provvedimento non è contemplato dall’art. 113 lett.d c.p.a. e quindi non può comunque esserci la competenza del T.A.R., sulla base dell’art. 113 c.p.a. riconoscendo al ricorso e al decreto natura amministrativa, perché il 113 c.p.a. non riguarda i provvedimento amministrativi ma i provvedimenti del giudice. Quindi c’è un argomento letterale (art. 113 c.p.a.)  che impedisce di ricondurre l’ottemperanza al decreto presidenziale nell’ambito dell’art. 113 lett.d) c.p.a. ed un argomento sistematico secondo cui si giungerebbe ad un paradosso attribuendo la competenza per l’ottemperanza al T.A.R. sui decreti presidenziali perché: il giudizio, nell’ambito del quale si forma il decreto è un giudizio che le parti hanno voluto in un unico grado ma attribuendo la competenza per l’ottemperanza al T.A.R. si prevede in sede esecutiva il doppio grado di giurisdizione (prima il T.A.R. e poi il Consiglio di Stato in sede di ottemperanza).

Quindi le parti del giudizio che optano per un unico giudizio accelerato attribuirebbero poi la competenza per l’ottemperanza al Tar con il doppio grado di giurisdizione per cui T.A.R. e poi Consiglio di Stato. Tale tesi produce un assoluto paradosso, perché attribuendo la competenza per l’ottemperanza al Tar si prevede in sede esecutiva il doppio grado di giurisdizione, prima al Tar e poi al Consiglio di Stato, quindi, si arriva ad una tesi paradossale dal punto di vista sistematico, perché se è in unico grado il ricorso su cui si forma la decisione da ottemperare, allo stesso modo deve essere di unico grado il giudizio di ottemperanza. Non v’è dubbio, quindi che la competenza per il giudizio di ottemperanza spetta al Consiglio di Stato ex art. 113 lett. d) c.p.a.

Nella prospettiva della decisione del Presidente della Repubblica come decisione di giustizia, quindi con natura giurisdizionale, il decreto presidenziale è ricorribile in Cassazione per motivi di giurisdizione. Confermando la tesi per cui il decreto è un provvedimento di giustizia, così come lo è la sentenza del Consiglio di Stato, allo stesso modo della sentenza del Consiglio di Stato (ricorribile in Cassazione per motivi di giurisdizione ex art. 111 comma 8 Cost e 362 cpc), il decreto del Presidente della Repubblica che è imputabile al Consiglio di Stato, perché è una decisione del Consiglio di Stato, che presuppone ex art. 7 co. 8 la sussistenza della giurisdizione, allora anche il Decreto presidenziale è ricorribile in Cassazione per motivi di giurisdizione, salvo che non si sia formato il giudicato implicito.

Giunti a questo punto della discussione occorre chiedersi cosa preveda l’art. 9 c.p.a. La questione di giurisdizione è rilevabile d’ufficio in primo grado, ma non è rilevabile d’ufficio in secondo grado (rito ordinario). Se le parti non hanno sollevato in primo grado il difetto di giurisdizione, e se il giudice non l’ha rilevata d’ufficio decidendo nel merito, il giudice di secondo grado non può conoscere la questione di giurisdizione d’ufficio, ma la deve conoscere se la questione è a lui devoluta dalle parti. In assenza non può conoscerla, perché si è formato, su quella questione, il giudicato implicito della decisione di primo grado!

Ad esempio, se in primo grado il giudice non ha rilevato il difetto di giurisdizione e ha deciso nel merito, se le parti non impugnano la sentenza facendo valere il difetto di giurisdizione si forma il giudicato implicito: il giudice di secondo grado non può rilevare d’ufficio, quindi, il difetto di giurisdizione.

Questa norma non è applicabile sic et simpliciter al procedimento con Decreto del Presidente della Repubblica, perché è un giudizio in unico grado.

Allora, il decreto che lo conclude è ricorribile per Cassazione, l’art. 9 c.p.a. non è applicabile, ma il principio del giudicato implicito si può comunque applicare anche al decreto presidenziale, nel senso che la parte ha proposto ricorso straordinario di fronte al Presidente della Repubblica, presupponendo la presenza della giurisdizione, le altre parti non si sono opposte. Il Consiglio di Stato, nel rendere il parere non ha rilevato d’ufficio il difetto di giurisdizione né ha deciso nel merito, quindi ha ritenuto implicitamente sussistente la giurisdizione: il decreto presidenziale quindi postula la sussistenza della giurisdizione. In questo caso secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, le parti non possono ricorrere per Cassazione per motivi di giurisdizione, perché si è formata nell’ambito del procedimento di fronte al Presidente della Repubblica una preclusione sulla questione di giurisdizione analoga al giudicato implicito. Quindi non è esperibile il ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione se le parti non hanno fatto valere il difetto di giurisdizione o il Consiglio di Stato, nel formulare il parere, non l’ha rilevato d’ufficio, si tratta di una preclusione sulla questione di giurisdizione che preclude l’esperibilità del rimedio ex art. 111 comma 8 Cost. e 362 c.p.c. Data la sua natura di decisione di giustizia secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, può una legge a carattere retroattivo o una legge provvedimento travolgere gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica prevedendo un assetto di interessi diverso da quello sancito dal decreto del P.d.R.

4. Profili sovranazionali

Il decreto, ad esempio, riconosce o nega la sussistenza di una posizione giuridica; una legge, che sia legge retroattiva o una legge provvedimento, può disporre in maniera diversa da come ha disposto il P.d.R.?

Trattandosi di una decisione di giustizia che risolve in maniera definitiva e intangibile una controversia, il decreto è analogo al giudicato amministrativo. Come la legge retroattiva non può disporre in maniera diversa, vanificando l’effetto del giudicato, allo stesso modo secondo l’Adunanza Plenaria n. 7/2015, la legge provvedimento non può disporre in maniera diversa da come disposto dal decreto del P.d.R. che ha concluso il ricorso straordinario, essendo quel decreto assimilabile al giudicato amministrativo, sostanzialmente giurisdizionale, caratterizzato dalla definitività del giudicato amministrativo.

Occorre chiedersi se l’intangibilità del decreto presidenziale  valga anche nella prospettiva in cui si qualifichi il decreto come provvedimento amministrativo. Accedendo alla tesi che riconosce natura provvedimentale amministrativa al decreto Presidenziale, può una legge retroattiva travolgere gli effetti del decreto Presidenziale?

L’Adunanza Plenaria 7/2015 tira in ballo, per risolvere la controversia, gli artt. 6 e 13 della CEDU, articoli che tutelano il principio della certezza del diritto e il principio del legittimo affidamento nei confronti di una decisione giurisdizionale, la quale - secondo la Corte di Strasburgo - non può essere travolta da una legge perché verrebbe leso il principio della certezza del diritto e il principio del legittimo affidamento, riconosciuti dagli artt. 6 e 13 della CEDU, per cui sarebbe incostituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost. La legge che viola la CEDU, viola di riflesso l’art. 117 Cost. e quindi è incostituzionale.

Ma se si accedesse alla tesi per la quale il decreto del P.d.R. (oppure se si facesse riferimento ai decreti emessi prima della legge del 2009) è un provvedimento amministrativo, gioverebbe richiamare in causa gli artt. 6 e 13 della CEDU perché la Corte EDU interpreta in maniera elastica il concetto di “provvedimento giurisdizionale”.

La Corte di Strasburgo, infatti, ritiene che si sia in presenza di una decisione giurisdizionale quando: sia adottata da un organo permanente che esercita una funzione giustiziale, esercita cioè una funzione di risoluzione delle controversie in modo imparziale e indipendente, l’organo permanente risolve in modo imparziale e indipendente le controversie all’interno di una procedura a carattere contenzioso, procedimento che culmina con una decisione definitiva.

Quindi si è in presenza di una decisione giurisdizionale (quando l’organo che lo adotta è permanente), si esercita una funzione giustiziale, cioè di risoluzione delle controversie con una procedura a carattere contenzioso che culmina con una decisione definitiva.

Anche nella prospettiva che riconosce il decreto P.d.R. una natura amministrativa – ante 2009 o post 2009 secondo la tesi amministrativa – il ricorso straordinario rappresenta una decisione giurisdizionale nell’accezione del termine “giurisdizionale” così come riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Anche accedendo alla teoria amministrativa il decreto presidenziale è un decreto giurisdizionale ai sensi degli artt. 6 e 13 della CEDU secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo. La legge retroattiva o la legge provvedimento che va a travolgere il decreto Presidenziale (amministrativo) va a travolgere di conseguenza un provvedimento giurisdizionale secondo come interpretato dalla Corte di Strasburgo alla luce della CEDU. Pertanto, la legge che travolge tale decreto è incostituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost.

Ma si può anche verificare che è il decreto Presidenziale che conclude il ricorso a porsi in contrasto con la CEDU: Adunanza Plenaria 2/2015.

Qui si pone un problema specifico, perché è il provvedimento giurisdizionale a violare la CEDU e la violazione è accertata con una sentenza della Corte di Strasburgo. La Corte di Strasburgo accerta che la sentenza passata in giudicato viola la CEDU (contrasto tra giudicato e CEDU). In questo caso,l’art. 46 della CEDU obbliga lo Stato a conformarsi alla sentenza della CEDU, quindi lo Stato ha l’obbligo di adottare tutte quelle misure che consentono di rimuovere la violazione. Se la fonte della violazione è la CEDU è il giudicato, lo Stato ha l’obbligo di rimuovere il giudicato. E allora, dall’obbligo dello Stato di conformarsi alla sentenza della CEDU e rimuovere la violazione deriva l’obbligo di rimuovere il giudicato.

E’ da qui che deriva la sentenza della Corte Costituzionale additiva, la n.113/11 che ha arricchito l’art. 630 del codice di procedura penale, cioè la riapertura del processo penale quando il giudicato penale si pone in contrasto con la CEDU. Quindi, in campo penale, il contrasto tra giudicato e CEDU è risolto dall’art. 630 cpp con la riapertura del processo.

5. Conclusioni

Ma il contrasto con la CEDU può riguardare anche il giudicato amministrativo o civile. Per il giudicato amministrativo non è prevista la revocazione della sentenza, cioè tra i casi in cui l’ordinamento prevede la revocazione della sentenza passata in giudicato non è previsto il contrasto tra giudicato e  CEDU, per cui non essendoci uno strumento che consente di rimuovere il giudicato con l’apertura del processo. La revocazione è uno strumento tipico e non è previsto il caso del contrasto con la CEDU; per cui il giudicato amministrativo che viola la CEDU non può essere rimosso e non può essere data esecuzione all’art. 46 CEDU. Di qui la questione di legittimità costituzionale che prevede la revocazione perché tra i casi di revocazione non prevede la riapertura del processo nel caso in cui il giudicato contrasti con la CEDU.

Di qui il contrasto con l’art. 117 della Costituzione perché la norma sulla revocazione non consente di dare attuazione all’art. 46; la norma che prevede la revocazione non prevede la revocazione per contrasto con la CEDU, quindi la norma interna che prevede la revocazione non prevede l’ipotesi di revocazione per contrasto con la CEDU si pone in contrasto con l’art. 46 CEDU e quindi 117 Cost. Perciò è sospetta di costituzionalità.

Problema analogo si pone con il decreto presidenziale, se il decreto presidenziale è una decisione di giustizia, sostanzialmente giurisdizionale, suscettibile di giudicato, anche il decreto è suscettibile di revocazione se contrasta con la CEDU, ma tra le ipotesi di revocazione non è previsto il contrasto con la CEDU, e quindi lo stesso problema relativo all’ipotesi del giudicato amministrativo si può porre in riferimento al decreto del P.d.R.

Bibliografia

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