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Pubbl. Sab, 15 Set 2018

Capitale umano e performance nella Pubblica Amministrazione

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Loredana Giustini


L’innovativa visione delle risorse umane aziendali quali capitale umano (Human Capital) e non più quali semplici unità addette all’esecuzione di specifiche mansioni assegnate, ha avuto come conseguenza diretta l’aumento dell’importanza del sistema di misurazione valutazione della performance e la necessità di un costante miglioramento della performance aziendale realizzando al contempo un miglior livello di benessere organizzativo.


L’innovativa e alquanto recente visione delle risorse umane aziendali quali capitale umano (Human Capital) e non più quali semplici unità addette all’esecuzione di specifiche mansioni assegnate, ha avuto come conseguenza diretta  l’aumento dell’importanza del sistema di misurazione valutazione della performance e la necessità di un costante miglioramento dello stesso.

L’obiettivo cui questa moderna visione del capitale umano mira è quello del miglioramento della performance individuale e di gruppo al fine di addivenire al miglioramento della performance aziendale realizzando al contempo un miglior livello di benessere organizzativo.

Da questa nuova concezione delle risorse ha il via l’esigenza di valutazione della performance avente come fine ultimo quello di attivare un significativo e duraturo percorso di crescita e valorizzazione della risorsa-persona.    

Nella disamina dell’evoluzione dei fattori che hanno suscitato l’interesse della pubblica amministrazione nei confronti dei sistemi in argomento,  una  svolta radicale si ha con l’introduzione del Decreto Legislativo 150 del 27 ottobre 2009, Riforma Brunetta.

Con la riforma si comincia a parlare concretamente di trasparenza e di risultati anche al fine di far cessare o comunque mutare la percezione comune e diffusa che identifica l’impiegato pubblico con la figura del fannullone. L’introduzione della misurazione della performance ad opera della riforma Brunetta, purtroppo (e questo è stato il suo limite principale) è stata percepita per lo più come un semplice ulteriore adempimento per le amministrazioni e nulla più, divenendo quindi di fatto quasi una occasione mancata, ma recentemente il dipartimento funzione pubblica ha intrapreso un aggiornamento delle procedure e dei sistemi che rimette in discussione procedure ed esiti, al fine di aggiustare il correggere le distorsioni.

In questa ottica, nel 2016, è stato istituito l’Elenco Nazionale Organismi Indipendenti di Valutazione, tale elenco viene gestito attraverso la piattaforma digitale del portale della performance e ad oggi vanta quasi 4.000 iscritti suddivisi in tre fasce a seconda del requisito degli anni di esperienza pregressa.

Sono previsti dei rigidi requisiti per l’iscrizione all’elenco tre cui competenze su ambiti specifici, ma la vera innovazione è rappresentata dall’obbligo del rinnovo periodico di iscrizione e dalla formazione continua attraverso il sistema dei crediti formativi, solo i soggetti iscritti possono far parte, attraverso apposite procedure selettive, degli Organismi Indipendenti di Valutazione.

 Ultimo intervento normativo, in ordine di tempo, è il D.lgs 74/2017 (modifiche alla riforma Brunetta) che introduce importanti innovazioni quali:

  • la differenza tra obiettivi generali e obiettivi specifici;
  • la nascita della performance organizzativa;
  • la valutazione esterna;
  • il rafforzamento del ruolo degli Organismi Indipendenti di Valutazione.

Tutta la citata normativa è ispirata da un’attività di indirizzo comune che può essere riassunta nell’esigenza che le regole siano poche, chiare, mirate e flessibili, al fine di assicurare margini di personalizzazione nell’ottica del miglioramento della gestione del ciclo di performance, quest’ultimo deve essere percepito come un’utilità e non una serie di adempimenti. [1]

Secondo un approccio più recente e innovativo il ciclo della performance deve essere di supporto ai processi decisionali, deve motivare il personale verso una direzione comune e deve mirare all’accountability (trasparenza)dell’amministrazione e per far questo deve integrarsi con i controlli interni e tenere conto dei percorsi afferibili al risk management.

Nell’ambito del ciclo di performance la  “valutazione” è uno dei temi più complessi, essa è da considerare come un’attività fisiologica e non casuale per le organizzazioni pubbliche e private e comporta  notevoli responsabilità etiche, sociali, e professionali per i soggetti chiamati a svolgerla, anche perchè svolge di fatto un ruolo determinante nella allocazione delle risorse. 

I manager, troppo spesso, operano nella certezza di possedere competenze, conoscenze e capacità sufficienti per espletare al meglio l’attività valutativa, ma ciò non corrisponde alla realtà poiché la valutazione è da considerarsi come un’attività dinamica, in costante divenire.

L’obiettivo principale dei più recenti studi condotti in materia, è quello di agire sulla educazione alla valutazione  cioè diffondere il principio che la valutazione è conditio sine qua non della valorizzazione.

Ogni attività umana è oggetto di osservazione, misurazione e valutazione da parte di altri soggetti, questo fa si che in una azienda, qualora non vi fosse un sistema formale di valutazione delle performance, vi sarebbe  un sistema informale, non dichiarato, non palesato riferibile al rilascio di giudizi circa il lavoro svolto dalle risorse umane.

Per aversi valutazione devono coesistere almeno due soggetti: il valutatore, ovvero colui che pone in essere l’azione del valutare, ed il valutato, cioè colui che subisce la suddetta azione.

Gli elementi oggetto di valutazione delle prestazioni sono rappresentati da fatti, eventi, comportamenti, e risultati osservabili e misurabili oggettivamente, ai quali sia possibile assegnare un peso ed un valore dall’esterno, per fare questo bisogna ridurre al minimo i fattori soggettivi impliciti nell’azione del valutare, dato che essa è posta in essere da un individuo il quale, pur sforzandosi affinché avvenga il contrario, non riuscirà ad escludere del tutto giudizi personali.

Dunque è necessario limitare il più possibile l’arbitrarietà e l’inaffidabilità della valutazione.

Secondo una teoria del 1990, formulata da Edwin A. Locke e Gary P. Latham,  che prende il nome di Teoria del goal setting, ciò che ispira la performance è proprio il goal, l’obiettivo da raggiungere, il quale, al fine di attivare l’azione della risorsa, dovrà essere quanto più preciso, chiaro, stimolante e sfidante. 

L’oggetto della performance è la prestazione lavorativa dell’individuo in relazione al preciso task assegnatogli. I goal sono i risultati che l’organizzazione si attende nei confronti del valutato riferiti ad uno specifico e predeterminato arco di tempo, essi influenzano la prestazione e vengono considerati come punto di riferimento per intraprendere e dirigere l’azione, ma anche  come elementi che inducono la risorsa all’autocritica, cioè alla valutazione dell’efficacia della propria azione e se necessario al miglioramento ed alla correzione degli scostamenti.

Gli obiettivi dovranno essere specifici e misurabili e riferibili ad un arco di tempo predeterminato, rilevanti, pertinenti e coerenti rispetto alle necessità collettive, alla missione istituzionale, alle strategie dell’amministrazione, alle priorità politiche, correlati alla quantità e qualità delle risorse, tali da indurre ad un significativo ed evidente miglioramento della qualità degli interventi effettuati e dei servizi erogati.

La teoria del goal setting può essere sintetizzata per punti come segue:

  • L’obiettivo determina l’azione e, se accettato, diviene agente motivatore per la stessa;
  • Gli obiettivi specifici conducono a prestazioni più elevate rispetto ad obiettivi non definiti;
  • Gli obiettivi difficili conducono a prestazioni più soddisfacenti di quelli facili;
  • Il tempo è una variabile importante poiché regola l’azione:  sono maggiormente utili obiettivi tra loro ravvicinati piuttosto che distanti;

    Il sistema di misurazione e valutazione performance è un insieme di tecniche, risorse e processi che assicurano il corretto svolgimento delle funzioni di programmazione, misurazione e rendicontazione della performance, ossia del ciclo della performance.

    Per misurazione si intende l’attività di quantificazione del livello di raggiungimento dei risultati (sia individuali che organizzativi) e degli impatti da questi prodotti su utenti e stakeholder, attraverso il ricorso a indicatori. Per valutazione si intende l’attività di analisi e interpretazione dei valori misurati, che tiene conto dei fattori di contesto che possono aver determinato l’allineamento o lo scostamento  rispetto ad un valore di riferimento.

    Misurazione e valutazione della performance sono attività distinte ma complementari, in quanto fasi del più ampio ciclo della performance.

La fase di valutazione si conclude con la formulazione di un giudizio o con l’assegnazione di un punteggio, che potranno essere utilizzati per diverse finalità, fra le quali si ricordano, a titolo di esempio non esaustivo:

  • Il miglioramento organizzativo;
  • La ridefinizione degli obiettivi dell’amministrazione;
  • La valorizzazione delle risorse umane, anche attraverso gli strumenti di riconoscimento del merito e i metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa previsti dalla normativa vigente.

Per la valutazione delle prestazioni delle risorse umane all’interno delle organizzazioni, possono essere adottate metodologie ed utilizzati strumenti significativamente diversi fra di loro, coerenti con la cultura organizzativa del contesto. In tutti i modelli elaborati e sviluppati dagli studi condotti in materia e dalla pratica manageriale, è emerso che è necessario partire da fatti osservabili e misurabili per poi giungere al giudizio finale anziché avviare il processo inverso, che potrebbe inficiare l’efficacia strategica dell’attività valutativa. [2]

La selezione del metodo di valutazione dipenderà dalla cultura organizzativa, dalle finalità del sistema di valutazione, dal settore in cui l’organizzazione opera, dalle attese, dalla presenza e configurazione dei sistemi incentivanti ei dall’oggetto del processo di valutazione: ogni metodo di valutazione possiede specifiche che non universalmente adattabili. Dalla scelta della metodologia dipendono i risultati dell’intero processo di valutazione.

Il colloquio di valutazione tra responsabile e collaboratore costituisce un momento denso di significato per entrambi i soggetti coinvolti nel processo valutativo,  dal quale in alcun modo è possibile sottrarsi soprattutto nel caso in cui le reali prestazioni non siano state conformi alle aspettative e che, se preparato con la massima cura e nei minimi dettagli, lascia dietro di sé conseguenze e benefici molto proficui per le organizzazioni.

Nella pratica, sono in uso differenti tipologie di colloqui valutativi.[3]

È indispensabile che non si tratti di una attività unilaterale o unidirezionale, è necessario che il responsabile discuta con la partecipazione attiva del collaboratore.

Ad integrazione del colloquio di valutazione può essere utilizzato un altro  strumento di performance management, ovvero la scheda di valutazione che, se correttamente utilizzata, potrà influire positivamente sul successo dell’intero processo valutativo.

Tre sono gli imperativi che permettono il successo del sistema Performance: 

  1. la pianificazione ex ante che va ad individuare gli obiettivi da perseguire attraverso criteri in grado di assicurarne pertinenza e validità;
  2. il controllo e la misurazione costante del grado di raggiungimento dei suddetti obiettivi;
  3. ed infine la rendicontazione (o in termini anglosassoni il “reporting”) al fine di garantire la massima tracciabilità dell’operato. 

    In base al D.lgs. n. 150/2009 la fase di valutazione, nelle P.A deve avere come output la Relazione Annuale sulla Performance.

    Ad oggi nei sistemi pubblici di valutazione delle prestazioni sono previsti due  documenti fondamentali: il Piano delle Performance e la Relazione sulle Performance.

Il primo viene definito come documento di programmazione ex ante  delle attività e degli obiettivi, ha come sfondo temporale l’arco di tre anni e deve essere adottato entro il 31 gennaio di ciascun triennio; esso mira ad individuare gli obiettivi, tanto a livello di strategia quanto a livello operativo, e  delinea gli indicatori necessari per una corretta valutazione della prestazione della pubblica amministrazione.

Il secondo documento rappresenta invece un documento a consuntivo, ex post, da adottarsi entro il 30 giugno di ciascun anno solare e che rende palesi i risultati organizzativi ed individuali  raggiunti nel precedente anno, confrontandoli con obiettivi e risorse definiti a monte e successivamente rilevando eventuali scostamenti tra quanto programmato e quanto effettivamente realizzato.

Fin qui abbiamo parlato di buoni propositi ed operatività, ma a distanza di quasi dieci anni dalla riforma e nonostante gli sforzi, possiamo concludere che tale Riforma, progettata con lo scopo di trasferire, per quanto possibile ed in maniera graduale, il modus aestimandi delle imprese private agli enti pubblici, non è riuscita ad imprimere una accelerazione a questo processo.

Uno dei punti critici dell’impianto normativo è costituito dall’obbligo di procedere alla valutazione individuale del pubblico impiego con un sistema rigido e vincolante, che impone di determinare, quanti dipendenti siano meritevoli e quanti improduttivi, riservando un premio economico differenziato su fasce.

Una valutazione individuale così rigorosa e predeterminata non è utile né tantomeno vantaggiosa E’ necessario riservare ai manager pubblici una maggiore autonomia nell’espletamento del compito della valutazione, poiché, in caso contrario, si introducono inefficienze e distorsioni all’interno del sistema. La tematica appena affrontata, aggancia direttamente un'altra contraddizione strutturale della legge e cioè la mancata responsabilizzazione del management pubblico: il manager non è stato investito delle responsabilità necessarie per effettuare una valutazione credibile e congrua, pur essendo il soggetto che, meglio di chiunque altro, può valutare le performance dei propri sottoposti in quanto è colui che da più vicino ne osserva l’operato.

Altro problema rilevante è quello che riguarda la  notevole resistenza al cambiamento, da sempre presente nelle pubbliche amministrazioni ed ancor più accentuata dalla errata presentazione della riforma, propagandata come arma finale contro i c.d. fannulloni presenti nella pubblica amministrazione.

Non sono mancati i pregi, uno su tutti quello immettere nelle pubbliche amministrazioni un nuovo approccio diretto alla valutazione, più moderno, innovativo, lungimirante. Partendo da queste premesse e dalle criticità che ne hanno impedito il successo,  è necessario ripensare la riforma con  la riformulazione di un sistema di valutazione delle performance che disponga di strumenti più incisivi, principalmente dal punto di vista incentivante e che sia diretto indistintamente a tutta la popolazione del pubblico impiego.

Questo significa anche impostare il sistema di valutazione delle prestazioni come strumento di valorizzazione delle risorse più capaci e competenti e non come strumento di punizione o repressione. La sfida è ambiziosa perché riguarda non solo un cambiamento organizzativo e strutturale, ma una radicale trasformazione culturale.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Giovanni Urbani, IlSole24ore, Enti Locali, 19/08/2017, www.ilsole24ore.it.

[2] Gabrielli Gabriele, “People Management. Teorie e pratiche per una gestione sostenibile delle persone”. Milano: FrancoAngeli, 2010.

[3] Castiello D’Antonio, Andrea, “Il colloquio di valutazione delle prestazioni”. Milano: Francoangeli, 2005.