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Pubbl. Ven, 13 Apr 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

La mancata ultimazione del procedimento espropriativo: conseguenze ed azioni esperibili alla luce del diritto vivente

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Daniele Scaramuzzino


I dubbi della giurisprudenza (e del giurista) dopo il “tramonto” della occupazione acquisitiva.


Sommario: 1. La mancata emissione del decreto di esproprio nei tempi previsti. Illegittimità della procedura ablatoria e suo superamento tramite l’istituto dell’occupazione acquisitiva; 2. I dubbi della giurisprudenza e la tesi della ormai definitiva espunzione dell’istituto della occupazione acquisitiva; 3. L’alternativa tra azione di restituzione del bene e risarcimento per equivalente: una questione ancora attuale; 4. Natura giuridica dell’occupazione illegittima. Illecito istantaneo ad effetti permanenti o illecito permanente?; 5. Risarcimento per illegittima occupazione del fondo. Determinazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione; 6. Le azioni esperibili alla luce del diritto vivente.

1. La mancata emissione del decreto di esproprio nei tempi previsti. Illegittimità della procedura ablatoria e suo superamento tramite l’istituto dell’occupazione acquisitiva.      

La normazione in tema di procedure espropriative ha origini assai risalenti nel tempo e, nonostante gli indubbi sforzi del legislatore finalizzati alla definizione di una rigida procedimentalizzazione delle fasi in cui la stessa si esplica, si registra un significativo contenzioso nelle sedi giudiziarie afferente alle conseguenze della mancata ultimazione di procedure ablative attivate da enti territoriali nei confronti di privati.

Alla presente disamina fa da sfondo l’evoluzione giurisprudenziale connessa a quello che pare possa definirsi il definitivo “tramonto” dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, il quale, sostanziato da una pletora di arresti della Corte EDU, ha dato origine ad orientamenti non sempre univoci in seno alla giurisprudenza italiana in merito alle conseguenze dallo stesso inferibili.

La rigida procedimentalizzazione cui si faceva cenno, appare con evidenza dal testo del D.P.R. 8-6-2001 n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità) i cui artt. 8 e ss. scandiscono con precisione le fasi della procedura ablativa. Esse consistono, come noto, nella previsione dell’opera all’interno del piano urbanistico generale od in atto ad esso equipollente, con inserimento del relativo vincolo preordinato all’esproprio, nella dichiarazione di pubblica utilità, nella determinazione in via provvisoria dell’indennità e, da ultimo, nell’emissione del decreto di esproprio.

Può subito osservarsi come ognuna delle predette fasi - eccettuata la determinazione in via provvisoria dell’indennità, che apre un sub-procedimento in grado di determinare una anticipata conclusione della procedura, tramite cessione volontaria del cespite -  rappresenti il presupposto di validità di quella successiva e sia sottoposta al rispetto di rigorosi limiti di efficacia temporale. Segnatamente, il vincolo preordinato all’esproprio (che potrà scaturire dall’approvazione di un piano urbanistico generale, da una sua variante o da atti con effetto equivalente) costituisce condizione di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e decade dopo 5 anni, ex art. 9 co. 2 D.P.R. 327/2001.

Analogamente, la dichiarazione di pubblica utilità, la quale apre una distinta fase del procedimento espropriativo preordinata alla successiva emanazione del decreto di esproprio, potrà contenere, ex art. 13, co. 3 D.P.R. 327/2001, l’indicazione del termine entro il quale il decreto di esproprio dovrà essere emanato. In assenza di tale indicazione, soccorrerà il termine suppletivo quinquennale di cui al successivo comma 4, decorrente dalla data di acquisizione di efficacia dell'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera.

Fatti tali essenziali richiami di diritto positivo, può procedersi all’analisi delle conseguenze scaturenti dall’occupazione di un fondo appartenente ad un privato da parte dell’ente espropriante, con radicale immutazione dello stesso in virtù della realizzazione della programmata opera pubblica, ma senza il rituale completamento della procedura ablatoria. La presente analisi farà particolare riferimento alle ipotesi di mancata o tardiva emissione del decreto di esproprio, con conseguente omessa erogazione degli emolumenti dovuti al privato a cagione dell’occupazione subìta ed alle relative azioni giudiziali esperibili.

Preliminarmente va rilevato come le fattispecie di cui trattasi – occupazione di un fondo di proprietà privata seguita dalla radicale trasformazione dello stesso senza (o con tardiva) emissione del decreto di esproprio – siano alla base della creazione dell’istituto, di matrice pretoria, dell’occupazione acquisitiva o appropriativa[1]. Esso consiste nella teorizzazione di un meccanismo che, mutuato, seppur con evidenti aporie concettuali, dall’istituto civilistico dell’accessione invertita ed informato alla ricerca di un punto di equilibrio tra la tutela dell'azione amministrativa e quella della proprietà privata, consente alla P.A. espropriante di acquistare a titolo originario il diritto dominicale sul fondo dell’espropriando, tramite una fattispecie complessa, consistente nell’avvio di una procedura d’esproprio non esitata nell’emissione di rituale decreto, accompagnata tuttavia dalla occupazione del fondo altrui e dalla irreversibile trasformazione dello stesso.

Quindi, in forza della previsione dell’istituto coniato dalla giurisprudenza di legittimità, la mancata o tradiva emissione del decreto di esproprio, seppur idonea a determinare la sopravvenuta illegittimità dell’occupazione del bene (risultato che, come sopra ribadito, rimane fermo anche alla luce dell’attuale dato di diritto positivo e della giurisprudenza più recente), avrebbe potuto essere superata, nella logica del teorizzato acquisto a titolo originario in capo alla P.A., dalla integrazione di quella fattispecie complessa denominata occupazione acquisitiva, con conseguente perdita in capo all’ablato del suo diritto di proprietà sulla res e contestuale acquisto di quello al risarcimento del danno patito. Nello specifico, l’operato della P.A., in siffatte ipotesi, venne qualificato in termini illecito istantaneo ad effetti permanenti, con decorrenza del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento da perdita del diritto dominicale dal momento della definitiva ed irreversibile immutazione della res occupata.       

2. I dubbi della giurisprudenza e la tesi della ormai definitiva espunzione dell’istituto della occupazione acquisitiva.

Le tesi dell’acquisto a titolo originario in capo al soggetto espropriante del diritto di proprietà su di un bene privato in conseguenza della commissione di un proprio comportamento illecito, venne presto ritenuta in stridente contrasto con la guarentigia del diritto dominicale approntata dall'art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione EDU. Nella giurisprudenza della Corte EDU[2] tali condotte vennero lapidariamente qualificate come illecito permanente perpetrato nei confronti di un diritto fondamentale dell'uomo e pertanto insuscettibili di rappresentare una forma di legittimo acquisto della proprietà sulla res occupata, indipendentemente dalla circostanza della definitiva modifica del bene e del tipo di illegittimità, originaria o sopravvenuta, della procedura ablativa.

L’atteggiamento di chiusura della Corte Edu si tradusse inoltre nella raccomandazione, rivolta nei confronti del legislatore italiano, di rimuovere gli ostacoli giuridici alla restituzione del bene al privato[3]. Tuttavia, nonostante la chiara presa di posizione della Corte Europea avverso ogni ipotesi tendente a legittimare forme di espropriazione indiretta, la giurisprudenza di legittimità non si mostrò subito incline all’abbandono dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, aderendo, in misura consistente, ad un’opzione ermeneutica fondata sulla rilettura dello stesso in chiave convenzionalmente orientata. In tale corrente di pensiero si collocano quelle decisioni della Suprema Corte tese ad enfatizzare la circostanza che l'istituto era stato comunque oggetto di espressa previsione in svariate disposizioni normative, risultando pertanto ormai dotato di basi di diritto positivo sufficientemente accessibili, precise e prevedibili[4].

Per converso, la più recente (ed ormai maggioritaria) giurisprudenza di legittimità[5] sostiene come, in adesione agli orientamenti espressi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a far data dalle storiche sentenze Carbonara e Ventura c. Italia e Belvedere alberghiera c. Italia del 30 maggio 2000, sussiste un insanabile contrasto tra la Convenzione e l’istituto dell'espropriazione indiretta, rispetto al quale risulta del tutto ininfluente che tale fattispecie sia stata ammessa da parte della giurisprudenza, ovvero sia stata fatta oggetto di precipue disposizioni legislative.

In termini anche la giurisprudenza della Consulta, la quale, nella nota sentenza 8 ottobre 2010, n. 293, con la quale venne dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 D.P.R. 327/2001, ribadì che la Corte di Strasburgo "sia pure incidentalmente, ha precisato che l'espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perchè non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all'amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da azioni illegali, e ciò sia allorchè essa costituisca conseguenza di un'interpretazione giurisprudenziale, sia allorchè derivi da una legge - con espresso riferimento all'art. 43 del t.u. qui censurato - in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un'alternativa ad un'espropriazione adottata secondo buona e debita forma (causa Sciarrotta ed altri c. Italia - Terza Sezione - sentenza 12 gennaio 2006 - ricorso n. 14793/02)”.

La diretta conseguenza del rilevato contrasto e, soprattutto, della sua insolubilità a mezzo di una rilettura dell’istituto convenzionalmente orientata, dovrebbe comportare quale corollario, ove l’occupazione acquisitiva fosse stata introdotta e disciplinata in via generale da una disposizione normativa statale, la proposizione di un incidente di costituzionalità nei confronti di quest’ultima, al fine di farne valere l’illegittimità in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU, da intendersi quale parametro costituzionale interposto ex art. 117, co. 1 Cost.[6].

Tale soluzione non appare tuttavia praticabile in relazione all’occupazione acquisitiva, in funzione della peculiare genesi dell’istituto, il quale, come esposto, ebbe dapprima un riconoscimento esclusivamente in ambito giurisprudenziale e, solo successivamente, venne fatto oggetto di esplicite previsioni normative[7]. Ne deriva che, traendo origine da un’esegesi degli artt. 936 e ss. Cod. Civ. non conforme al dettato della CEDU, l’espropriazione indiretta non può semplicemente che considerarsi, allo stato, come istituto espunto dal nostro ordinamento, con la conseguenza – secondo un’interpretazione ortodossa della giurisprudenza della Corte EDU – che in ogni ipotesi di occupazione di un fondo privato da parte della P.A. sine titulo o alla stregua di un procedimento espropriativo divenuto illegittimo per mancata o tardiva emissione di provvedimento di esproprio, ovvero per il suo successivo annullamento, non sarà mai teorizzabile una vicenda integrante un effetto acquisitivo della proprietà sulla res in capo all’espropriante, ma solo ed esclusivamente la commissione, da parte di quest’ultima, di un illecito permanente che imporrà l’applicazione dei rimedi di cui agli artt. 2043 e 2058 Cod. Civ.

La predetta opzione ermeneutica viene confermata dalla oramai unanime giurisprudenza sia della Suprema Corte di Cassazione[8] che del G.A[9].

3. L’alternativa tra azione di restituzione del bene e risarcimento per equivalente. Una questione ancora attuale.

Il precipitato di quanto appena esposto dovrebbe essere rappresentato, sotto un profilo squisitamente processuale, dalla inammissibilità della domanda giudiziale finalizzata alla corresponsione di un risarcimento del danno quale compensazione per l’avvenuta perdita del diritto dominicale sul fondo oggetto di illegittima procedura espropriativa[10]. Stante infatti  l’inoperatività del meccanismo di acquisto a titolo originario tipizzato con l’occupazione espropriativa, l’accoglimento di tale pretesa risarcitoria darebbe luogo ad un’indebita locupletazione in capo al privato[11].

Per contro, il privato che abbia subìto l’occupazione del proprio appezzamento, anche se lo stesso risultasse irreversibilmente trasformato, potrebbe legittimamente avanzare nei confronti della controparte pubblica una richiesta di restituzione del bene (in realtà mai uscito dalla propria sfera giuridico-patrimoniale), previo ripristino dello status quo ante. Questa soluzione, sebbene in linea con i dettami della giurisprudenza della CEDU, potrebbe integrare un evidente nocumento per il pubblico interesse e, più in generale, apparire del tutto antieconomica.

Al fine di scongiurare un tale soluzione, si prospettano in giurisprudenza delle soluzioni alternative, tra le quali, accanto alla possibilità di acquisto da parte della P.A. della piena titolarità del bene per usucapione[12] o dell’emissione di un provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. 327/2001, particolare rilievo riveste l’ipotesi di rinunzia abdicativa del diritto dominicale da parte del proprietario, implicita nella richiesta di risarcimento del danno per un valore equivalente a quello del cespite, a fronte della sua irreversibile trasformazione.

L’alternativa tra domanda risarcitoria per equivalente, con funzione implicitamente abdicativa del diritto dominicale e domanda restitutoria appare quindi possibile alla luce della più recente giurisprudenza[13], la quale si attesta su posizioni eterodosse rispetto all’insegnamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nell’evidente tentativo di contemperare il principio di intangibilità del diritto di proprietà privata con esigenze legate all’interesse pubblico all’utilizzo del bene occupato ed a valutazioni di natura economica.

La soluzione prospettata dalla giurisprudenza appena menzionata appare del resto in linea con la ratio ispiratrice della novella al T.U. espropri operata dall’art. 34, comma 1, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, con introduzione dell’art. 42 bis.

4. Natura giuridica dell’occupazione illegittima. Illecito istantaneo ad effetti permanenti o illecito permanente?

Una delle immediate conseguenze dell’orientamento giurisprudenziale emerso a livello comunitario circa l’illegittimità dell’occupazione acquisitiva è stata quella della qualificazione delle relative fattispecie in termini di illecito aquiliano. Tuttavia, a cagione dell’atteggiamento conservativo assunto da una parte della giurisprudenza cui si è fatto cenno in precedenza, si registrò un contrasto tra la tesi secondo la quale avrebbe potuto continuare ad applicarsi l'istituto dell'occupazione espropriativa, configurata come illecito istantaneo con effetti permanenti e connotata dalla possibilità di attribuire al proprietario l'intero controvalore del bene espropriato, e quella secondo cui la parte privata, restando comunque titolare del bene occupato nonostante le trasformazioni dallo stesso subìte, potrà chiedere il risarcimento dei danni da illegittima occupazione del cespite, da qualificarsi in termini di illecito extracontrattuale permanente, perdendo quello per la perdita (mai inveratasi) del diritto dominicale.

Tale contrasto diede luogo alla rimessione della questione alle SSUU[14], le quali, aderendo al secondo indirizzo, confermarono l’impossibilità di persistere nella ricostruzione teorica che vedeva nelle forme di espropriazione indiretta (integranti, nella sostanza, un illecito della P.A.) dei modi di acquisto del diritto di proprietà a titolo originario, con conseguente necessità di considerare tale atteggiamento semplicemente come illecito permanente. Si riporta, per la rilevanza che ricopre, il passaggio motivazionale della pronuncia in questione: “In particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell'occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell'illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. A tale ultimo riguardo, dissipando i dubbi espressi dall'ordinanza di rimessione, si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell'immobile rimasto nella sua titolarità. Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l'opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato (cfr. ex plurimis, in tema di occupazione c.d. usurpativa, Cass. 28 marzo 2001, n. 4451 e Cass. 12 dicembre 2001, n. 15710); tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l'acquisto della proprietà del fondo da parte dell'Amministrazione (Cass. 3 maggio 2005, n. 9173; Cass. 18 febbraio 2000 n. 1814).”. Tale esegesi appare allo stato ius receptum  nella giurisprudenza italiana[15].

5. Risarcimento per illegittima occupazione del fondo. Determinazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione.

Le osservazioni appena rassegnate consentono di trattare anche delle problematiche afferenti alle conseguenze risarcitorie scaturite dalla differente qualificazione dell’agere amministrativo come insuscettibile ad inverare, in capo alla P.A., l’acquisto della res occupata a titolo originario. In sostanza, l’accoglimento dello schema della occupazione acquisitiva mostrava l’indubbio vantaggio della produzione un “effetto tranciante” dell’intera vicenda creatasi tra espropriante e privato, con possibilità in capo a quest’ultimo di agire per l’integrale risarcimento del danno da perdita di proprietà del cespite, entro cinque anni dalla avvenuta irreversibile immutazione dello stesso. L’avvento della giurisprudenza comunitaria, con la conseguente declaratoria di inammissibilità di qualsiesi forma di espropriazione indiretta, per converso, ha aperto la via ad una serie di dubbi ermeneutici.

Di significativo rilievo quello afferente alla determinazione del dies a quo di decorrenza del diritto al risarcimento dei danni da illegittima occupazione del bene, ora che quest’ultimo si considera come mai entrato nella sfera patrimoniale della P.A. espropriante.

Sul punto può evidenziarsi l’esistenza di un costante orientamento giurisprudenziale che, postulando la qualificazione del comportamento della P.A. alla stregua di illecito aquiliano permanente, secondo quanto esposto al paragrafo precedente, ne trae, quale impreteribile conseguenza, la decorrenza del termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente[16].

Per quanto afferisce al momento di decorrenza del danno da occupazione illegittima, va anche rammentato che quest’ultimo andrà variamente determinato a seconda delle concrete modalità di svolgimento della procedura e, quindi, dalle scelte della P.A., quali, ad esempio, quella di emanare un provvedimento di occupazione d’urgenza del fondo ex art. 22 bis D.P.R. n. 327/2001, di indicare o meno nella dichiarazione di pubblica utilità il termine di emissione del decreto ablatorio, di iniziare l’occupazione senza l’emissione di dichiarazione di pubblica utilità, etc.

6. Le azioni esperibili alla luce del diritto vivente.

La disamina della tematica in oggetto non può che concludersi con l’individuazione della azioni giudiziali esperibili in conseguenza di un’occupazione del bene espropriando non esitata nel rituale completamento della procedura descritta dagli artt. 8 e ss. D.P.R. 327/2001. Eliminata qualsiesi possibilità di considerare integrato un acquisto del diritto dominicale in capo alla P.A. per effetto dell’ormai superato istituto della occupazione acquisitiva, al privato, vittima del comportamento (originariamente o successivamente) illegittimo della controparte pubblica, non resterà che agire giudizialmente dinanzi al G.A. al fine di ottenere: (i) la restituzione del fondo, previo ripristino dello status quo ante: soluzione maggiormente coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e sempre praticabile, salvi gli effetti dell’usucapione del diritto di proprietà sullo stesso in capo alla P.A nei ristretti margini ammessi dalla giurisprudenza[17];  (ii) in alternativa alla prima richiesta o in subordine alla stessa, il risarcimento del danno per equivalente monetario, con contestuale rinunzia abdicativa da parte del proprietario, implicita nella predetta richiesta di risarcimento: soluzione che appare suffragata dai massimi consessi in seno alla giurisprudenza sia amministrativa che ordinaria[18]; (iii) il risarcimento del danno per mancato godimento del bene, stante la qualificazione del comportamento della P.A. alla stregua di illecito aquiliano permanente, con decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalle singole annualità.

Esulerà dalla giurisdizione del G.A., per essere attribuita a quella del G.O. ex art. 53 D.P.R. 327/2001, l’eventuale richiesta di corresponsione, ove non avvenuta, dell’indennità per legittima occupazione del bene[19].   

Note e riferimenti bibliografici

[1] Il primo riconoscimento dell’istituto è dovuto a Cass. 8 giugno 1979, n. 3243, poi ripreso dalla nota Cass. SSUU, 26 febbraio 1983, n. 1464 e, successivamente, Cass., sez. un., 10 giugno 1988 n. 3940 e 25 novembre 1992 n. 12546.
[2] Cfr., tra le tante, Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004; Acciardi c. Italia, 19 maggio 2005; De Angelis c. Italia, 21 dicembre 2006; Sciarrotta c. Italia, 12 gennaio 2006; Serrao c. Italia, 13 gennaio 2006; Dominici c. Italia, 15 febbraio 2006; Sciselo c. Italia, 20 aprile 2006; Cerro s.a.s. c. Italia, 23 maggio 2006; Pasculli c. Italia, 4 dicembre 2007, Scordino c. Italia n. 3, 6 marzo 2007.
[3] Vedasi Scordino c. Italia n. 3, 6 marzo 2007; Sciarrotta c. Italia, 12 gennaio 2006; Carletta c. Italia, 15 luglio 2005.
[4] Cass. s.u. 14 aprile 2003, n. 5902; Cass. s.u. 6 maggio 2003, n. 6853.
[5]Cfr. Sezioni Unite, ordinanze n. 441 e 442 del 13 gennaio 2014.
[6] Cfr. corte costituzionale, sentenze 348 e 349 del 2007.
[7] Vedasi al riguardo L. n. 413 del 1991, art. 11, commi 5 e 7; D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis; D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55, comma 1.
[8] Cfr. Cassazione Civile  Sez. Unite, Sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015 che enuncia il seguente principio di diritto: “l'illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione ed il privato ha diritto a chiederne la restituzione salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno. Il privato, inoltre, ha diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall'eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno e ciò sino al momento della restituzione ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente".
[9] Vedasi Consiglio di Stato Ad. Plen., (ud. 07-10-2015) 09-02-2016, n. 2 ;Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988 del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014; sez. IV 29 agosto 2012, n. 4650; 27 gennaio 2012, n. 427, 1 giugno 2011, n. 3331, 26 marzo 2010, n. 1762; 19 febbraio 2010, n. 997; 8 giugno 2009, n. 3509; 26 febbraio 2009, n. 1136; 30 dicembre 2008, n. 6636; 16 novembre 2007, n. 5830; 27 giugno 2007, n. 3752; 21 maggio 2007, n. 2582, 30 gennaio 2006, n. 290; Ad. Plen.,29 aprile 2005, n. 2.
[10] T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 15-02-2016, n. 92;
[11] T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., (ud. 21-11-2017) 20-02-2018, n. 1118; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 5.06.2013, n. 901.
[12] Opzione quest’ultima ammessa da Cons. Stato, Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2 solo al ricorrere di una serie di condizioni limitative “allo scopo di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari altrimenti gravanti sull'Amministrazione responsabile), si reintroduca una forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); dunque a condizione che: I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta; II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis; III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003) perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il "....giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
[13] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2; Consiglio di Stato, Sez. IV, 07/11/2016, n. 4636. T.A.R. Puglia Bari Sez. III, Sent., (ud. 17-01-2018) 29-01-2018, n. 121; T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., (ud. 21-11-2017) 20-02-2018, n. 1118. Contra tuttavia Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-01-2014, n. 359 secondo cui: “In assenza di un provvedimento di esproprio ai sensi dell'art. 42 bis, quindi, la proprietà del suolo rimane in capo all'appellante, sicchè nessun danno può profilarsi in relazione alla sua perdita. Piuttosto, il proprietario ha diritto alla restituzione materiale del suolo, ossia ad essere reintegrato anche nel possesso…Non può, in particolare, accedersi alla domanda di congrua liquidazione dell'indennizzo, né di rettifica dei criteri liquidatori indicati dal primo giudice, poiché l'art. 42 bis, a differenza di quanto prevedeva l'art. 43 previgente, non prevede più, né la possibilità per il giudice di "escludere la restituzione senza limiti di tempo" né, conseguentemente, l'obbligo per l'amministrazione di emanare il provvedimento di acquisizione a seguito di un vaglio giurisdizionale di siffatto tenore. Nel nuovo schema dell'art. 42 bis, il provvedimento di acquisizione rimane nell'ambito della piena discrezionalità dell'amministrazione ("valutati gli interessi in conflitto" recita l'incipit della disposizione normativa), conscia che in ipotesi di mancato esercizio del potere dovrà restituire il suolo al legittimo proprietario, nonostante sul medesimo sorga un'opera pubblica.”.
[14] Cassazione Civile  Sez. Unite, Sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015.
[15] Vedasi, tra le tante, T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., (ud. 21-11-2017) 20-02-2018, n. 1118; T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, 27-11-2017, n. 491; Cons. Stato Sez. IV, Sent., (ud. 31-03-2016) 07-11-2016, n. 4636;  T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 15-02-2016, n. 92; T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 02-01-2015, n. 3; Cons. Stato Sez. V, Sent., 24-04-2013, n. 2279; T.A.R. Toscana, Sez, I, 14 gennaio 2013, n. 20.
[16] Vedasi Cons. Stato (Ad. Plen.), Sent., (ud. 07-10-2015) 09-02-2016, n. 2 secondo cui “ In linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull'occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene…”. Cassazione Civile  Sez. Unite, Sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015: “L'occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall'eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente. (Cassa con rinvio, App. Reggio Calabria, 21/02/2007). ”.
[17] Cfr. nota 12.
[18] Cfr. nota 13.
[19] Cfr. T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 15-02-2016, n. 92; T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24 dicembre 2014, n. 1127; T.A.R. Puglia Bari Sez. III, Sent., (ud. 17-01-2018) 29-01-2018, n. 121.