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Pubbl. Lun, 18 Dic 2017

Il nuovo Codice Antimafia

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Ilaria Valentino
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Napoli Federico II


Disamina dei principali punti di riforma che la legge n. 161-2017 ha apportato nel D. Lgs. n. 159-2011.


Prima dell’emanazione di una vera e propria raccolta, la legislazione antimafia, nel nostro ordinamento, era molto frammentaria e disorganica e, nel corso degli anni, proprio perché talvolta lacunosa e non efficace, è stata caratterizzata da numerose modifiche e da vari interventi normativi, relativi soprattutto alle misure di prevenzione (le leggi fondamentali sulle misure di prevenzione personali[1] e patrimoniali[2] sono assai risalenti nel tempo), tanto da assumere, allo stato attuale, un assetto molto diverso da quello originario.

Una di queste leggi, che oltre ad essere la più conosciuta e ad essere la più efficace ha contribuito in maniera pregnante ad arginare ed indebolire le mafie, è la n. 646 del settembre 1982, conosciuta come “Rognoni - La Torre.

Essa consente la confisca preventiva dei patrimoni dei mafiosi, mediante la restituzione di quei beni allo Stato e alla società, così da poter essere riutilizzati nell'interesse pubblico. Inoltre, e questo è l’aspetto più interessante della 646/1982, ha introdotto nel Codice penale l’art. 416 bis, ossia il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso ed ha contribuito all’istituzione di una commissione parlamentare permanente sul fenomeno mafia.

Con essa si è dato inizio alla svolta storica nella lotta contro la mafia, infatti, con il successivo decreto legge n. 230 del 14 giugno1989 e con la legge 55/1990 sono state stabilite le procedure di gestione, di amministrazione, di destinazione e cessione (anche a titolo gratuito a enti pubblici o ad associazioni) dei beni confiscati ed è stato stabilito che le misure patrimoniali preventive non decadono per sopravvenuta cessazione della pericolosità del soggetto e possono essere applicate anche nel caso in cui l’indagato sia assente.

Nel corso degli anni, tuttavia, si è avvertita sempre di più la necessità di creare un corpus unico destinato a disciplinare armonicamente tutte le sfaccettature della normativa in materia di criminalità organizzata di tipo “mafioso”. Questa idea ha trovato attuazione nella legge n. 136 del 13 agosto 2010, rubricata «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia» e rappresenta il punto di approdo di una sostanziale unità di intenti del legislatore.

Ed infatti, con il decreto legislativo n. 159, il 6 settembre 2011 il Governo ha emanato il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, che consiste in una completa ricognizione, armonizzazione e coordinamento delle norme di natura penale, processuale e amministrativa, riguardanti il contrasto del fenomeno della mafia in Italia.

Tal decreto ha previsto che il codice sia suddiviso in quattro diversi libri:

  • Libro I: Le misure di prevenzione;
  • Libro II: La documentazione antimafia;
  • Libro III: Le attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
  • Libro IV: Modifiche al codice penale e alla legislazione penale complementare. Abrogazioni. Disposizioni transitorie e di coordinamento.

In realtà, però, esso non costituisce un vero e proprio codice, per almeno due ragioni, così come sosteneva Fiandaca: “ci troviamo di fronte a un testo normativo, per un verso, tutt’altro che completo e, per altro verso, privo di quel rigore e di quella coerenza interna tradizionalmente impliciti nel modello ideale tipico di codice […] il testo rappresenta nel complesso non molto di più di una sorta di testo unico, frutto di una consolidazione normativa incentrata in grande prevalenza sulle misure di prevenzione (personali e patrimoniali), sulla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché sulla documentazione antimafia[3].

Ebbene - così come lo stesso Fiandaca auspicava, scrivendo “vi sono alcuni aspetti meno soddisfacenti del Codice antimafia sui quali sarebbe necessario riaprire il più presto possibile la discussione per preparare una riforma volta ad ammodernare l’impianto complessivo del sistema della prevenzione[4]”- anche il Codice del 2011, seppur all’apparenza unitario, ha subìto numerose integrazioni ed emendamenti.

Da ultimo, il disegno legge n. 2134-S[5] - caratterizzato da numerosi interventi normativi succedutisi nel tempo e approvato in via definitiva alla Camera il 27 settembre 2017 - ha riguardato e determinato l’attuale riforma del Codice antimafia ed ha inciso in maniera significativa, oltre che sulle misure di prevenzione, anche su altri e collegati ambiti dell’ordinamento penale. Ed infatti, il novellato Codice, improntato alla razionalizzazione, alla semplificazione e al coordinamento della normativa vigente, tenta di rendere più veloce la confisca dei beni, di migliorare il controllo sulle infiltrazioni mafiose nelle aziende e di rendere più trasparente la selezione degli amministratori giudiziari dei beni confiscati.

Innanzitutto, l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, prevista dall’articolo 2 (che modifica ed integra gli articoli da 5 a 8) è stata resa “più veloce e tempestiva”, prevedendo una “trattazione prioritaria”, così come prevede anche l’articolo 12: per esaminare in via esclusiva tali procedimenti, e nei tempi stabiliti (con una trattazione prioritaria), nei tribunali dei capoluoghi sede di corte d’Appello, dovranno essere istituite sezioni e collegi speciali e specializzati. L’articolo 2, poi, detta, alcune modifiche alla disciplina del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione e, con riguardo al giudizio di primo grado, introduce nuovi commi che recano un’articolata regolamentazione delle questioni concernenti la competenza territoriale. Inoltre, in applicazione della specifica delega derivata dalla recente giurisprudenza della CEDU[6], che ha dichiarato la normativa nazionale non conforme a quanto previsto dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, è stata prevista l’introduzione della facoltà di richiedere che il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione sia celebrato, in primo come in secondo grado, in udienza pubblica. Modificando l'articolo 4 del Codice, è stata notevolmente e nettamente ampliata la platea dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali. Infatti, principalmente, il Codice tende ad equiparare i reati contro l’amministrazione pubblica (come corruzione e concussione), a quelli di associazione mafiosa. In pratica, potranno essere sequestrati i beni anche di chi è solo sospettato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione propria e impropria, alla corruzione in atti giudiziari, al peculato ed alla concussione e induzione indebita, così come anche gli indiziati del reato di terrorismo, di stalking e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Per i reati contro la pubblica amministrazione, affinché sia disposta la confisca dei beni, l’indiziato deve essere giudicato “socialmente pericoloso” (così come per i reati mafiosi), e deve essere riscontrata una disponibilità di beni non compatibile con il suo reddito (non è, però, necessario che la persona a cui vengono sequestrati i beni sia stata condannata). È, prevista, poi, la cosiddetta “confisca allargata”, al nuovo articolo 20 del Codice, assimilata alla disciplina della confisca di prevenzione antimafia, che diventa obbligatoria per alcuni ecoreati e per l’autoriciclaggio e che si applica anche in caso di amnistia, prescrizione o morte di chi l’ha subìta. Quando, invece, non è possibile applicare la confisca, si può adottare l'amministrazione giudiziaria e/o il controllo giudiziario: l’articolo 11 della proposta di legge, introduce con il nuovo articolo 34-bis del Codice, proprio l'istituto del "controllo giudiziario", destinato a trovare applicazione nei casi in cui via sia il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare l'attività di impresa. Tale istituto è stato, quindi, introdotto al fine di impedire l’infiltrazione mafiosa nelle aziende. L’articolo 13 della proposta di legge interviene sulle norme del Codice antimafia che definiscono i criteri per la scelta degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e regolano gli adempimenti connessi alla cessazione del loro incarico. Ancora, sono introdotte nell’articolo 35 del Codice un insieme di disposizioni che mirano a superare le difficoltà per gli amministratori giudiziari. In primis, si va a modificare il procedimento di nomina e revoca dell’amministratore giudiziario di beni confiscati: l’incarico non può essere conferito né a parenti né a “conviventi e commensali abituali” del magistrato che lo conferisce[7]; in secundis, vengono previste nuove norme per garantire la trasparenza nella scelta degli amministratori giudiziari: è prevista la rotazione negli incarichi e la delega al Governo per disciplinare le incompatibilità dello stesso amministratore e del curatore nelle procedure concorsuali. Ancor più nello specifico, al Governo è conferita una delega per la disciplina delle aziende sequestrate e confiscate sottoposte ad amministrazione giudiziaria, al fine di favorire l’emersione del lavoro irregolare, per contrastare l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, e per consentire l’accesso all’integrazione salariale e agli ammortizzatori sociali.

Inoltre, per la maggior tutela dei posti di lavoro nelle aziende sequestrate, con l’articolo 41-bis, sono state introdotte delle misure per incentivare la prosecuzione delle attività con l’istituzione di un fondo da 10 milioni di euro l’anno per la salvaguardia dei posti di lavoro.

In aggiunta, quella che è la novità più interessante, è la possibilità che siano garantiti -in maniera più chiara e lineare- i diritti dei terzi in buona fede che risultano da atti anteriori ai sequestri. Gli articoli 20, 21 e ss., infatti, intervengono, modificando gli articoli da 52 a 56 del vecchio Codice, sulle domande di ammissione al credito, i tempi di accertamento e le eventuali vendite dei beni sottoposti a confisca definitiva per pagare i creditori ammessi, diventano più funzionali e più accessibili, tanto che i creditori potranno essere pagati subito dall'amministratore giudiziario autorizzato. Infine, anche coloro che hanno un diritto di garanzia sul bene sequestrato possono intervenire nel procedimento di prevenzione patrimoniale.
Altra novità rilevante riguarda l’articolo 29, che intervenendo sugli articoli da 110 a 113-bis del Codice ed inserendo una nuova disposizione (art. 113-ter), prevede e rivede l’organizzazione dell’Agenzia[8] che si occupa della gestione dei beni confiscati: è precipuo compito di quest’ultima, infatti, secondo il moderno Codice, sostituire l’amministratore giudiziario nelle procedure di prevenzione patrimoniale e nei procedimenti penali ai quali è possibile applicare la confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992 n. 306, solo dopo l’emanazione del provvedimento di primo grado. Nella fase precedente, essa ha il compito di coadiuvare l’autorità giudiziaria e l’amministratore giudiziario, gestendo e custodendo tutti i beni, incluse le aziende, dalla pronuncia di primo grado fino alla confisca definitiva. Le altre novità previste con la riforma, riguardano le modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, alla legislazione complementare e deleghe al Governo (artt. 30-34). Nello specifico, l’articolo 30 inasprisce la pena della reclusione (attualmente da uno a sei anni) prevista per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’articolo 640-bis c.p. (la reclusione viene portata a due anni nel minimo e a sette anni nel massimo) e viene novellato l'articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p..

Dalla breve e sintetica disamina finora esposta, a parere di chi scrive, questa riforma del Codice Antimafia potrebbe essere una buona legge, atta a creare le condizioni culturali efficaci ed adeguate per affrontare, risolvere ed arginare i numerosi problemi che ancora l’inquinamento mafioso produce, sperando –volendo usare ancora una volta le parole del Fiandaca-: “[…] che si chiuda l’eterna stagione degli interventi frammentati, episodici, realizzati a compartimenti stagni, per una aprire una nuova fase elaborativa che consenta di dare risposte articolate e coordinate a problemi indubbiamente complessi[9].”

 

Note e riferimenti bibliografici
[1] legge 27 dicembre 1956, n. 1423
[2] legge 31 maggio 1965, n. 575
[3] Il “Codice delle leggi antimafia”: risultati, omissioni e prospettive di Giovanni Fiandaca e Costantino Visconti.
[4] Il “Codice delle leggi antimafia”: risultati, omissioni e prospettive di Giovanni Fiandaca e Costantino Visconti.
[5] Disegni di legge Atto Senato n. 2134, XVII Legislatura: Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate.
[6] Corte di Strasburgo, la regola fissata dall'art. 6 par. 1 CEDU che prevede la necessaria facoltà -per gli indagati- di poter sempre scegliere che il procedimento venga svolto in pubblica udienza
[7] È la cosiddetta “norma Saguto”, dal nome dell'ex presidente della sezione “misure di prevenzione” del tribunale di Palermo sospesa e indagata per corruzione. Il governo è delegato a disciplinare un regime di incompatibilità da estendere ai curatori fallimentari: non potrà avere l’incarico chi ha parentela, affinità, convivenza o assidua frequentazione con uno qualunque dei magistrati dell'ufficio giudiziario che conferisce l'incarico.
[8] Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata istituita, sotto la vigilanza del Ministero dell’interno e con sede principale a Reggio Calabria, con decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito nella legge 31 marzo 2010, n. 50.
[9] Il “Codice delle leggi antimafia”: risultati, omissioni e prospettive di Giovanni Fiandaca e Costantino Visconti.