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Pubbl. Mer, 15 Nov 2017

In house providing e fallimento delle società a partecipazione pubblica

Angela Cuofano


Con la sentenza n. 3196 del 2017, la Suprema Corte ha dichiarato l´applicabilità della disciplina fallimentare alle società in house. Vediamo nello specifico come.


Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha preso posizione riguardo uno dei temi più infuocati non solo del diritto pubblico dell'economia, ma anche del diritto societario, amministrativo e costituzionale: la possibilità o meno per le società pubbliche di essere assoggettate al fallimento e/o altre procedure concursuali.

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha preso posizione riguardo uno dei temi più infuocati non solo del diritto pubblico dell'economia, ma anche del diritto societario, amministrativo e costituzionale: la possibilità o meno per le società pubbliche di essere assoggettate al fallimento e/o altre procedure concursuali.

Anche prima del recente intervento normativo del 2016, era possibile rilevare, sul punto, una serie di posizioni dottrinali e giurisprudenziali contrapposte che, di volta in volta, ammettevano oppure negavano questa possibilità.

Nello specifico, un primo orientamento, partendo dal presupposto che, anche nel caso di partecipazioni azionarie dello Stato e degli altri enti pubblici, la struttura societaria conservasse natura privatistica, sosteneva che il mancato assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concursuali avrebbe minato l'affidamento dei creditori, i quali non si sarebbero potuti avvalere delle procedure concorsuali nel caso di insolvenza. Si ritevano, altresì, pregiudicate anche le dinamiche concorrenziali del mercato perchè si sarebbe finiti con il riconoscere un trattamento ingiustamente differenziato alla società pubblica rispetto a quella privata. In questo senso, i giudici confermavano la possibilità di avvelersi di questi specifici iter.

Di contro, una posizione contrapposta considerava le società pubbliche non assoggettabili a fallimento.

A sostegno di tale assunto, si richiamava il cd. principio di neutralità della forma societaria, secondo cui le strutture societarie partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici assumevano, solo per questo, natura pubblicistica, venendo così attratte nella clausola di esenzione ex art.1, comma 1 L. Fallimentare, ai sensi della quale "sono soggetti alle disposioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici".

La giurisprudenza di legittimità ha dimostrato, fin dalle prime pronunce, una spiccata preferenza per il primo dei due orientamenti, precisando altresì che una società per azioni, seppur partecipata dallo Stato, non perde la propria qualifica di soggetto privato, e quindi, sussistendone i presupposti, di imprenditore commerciale, suscettibile di essere sottoposto ad amministrazione controllata. (1)  

La questione può dirsi ormai superata.

Il legislatore nazionale, chiamato a rispondere all'esigenza di dare una disciplina unica, organica ed uniforme alle società pubbliche, le cui norme erano prima dislocate in varie testi normativi, ha recentemente adottato il D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (cd. Testo Unico delle società pubbliche) che stabilisce in maniera a dir poco cristallina che queste società rispondono alle disposizioni circa il fallimento, il concordato preventivo e a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi.

Ciò posto, è opportuno riflettere sul tema della fallibilità delle società in house, problema dai contorni ancor più incerti e problematici. 

Per società in house o in house providing si intendono strutture organizzative in forma societaria sulle quali una o più pubbliche amministrazioni esercitano un controllo talmente incisivo da poter essere equiparato a quello che esercitano sugli uffici interni. Esse si configurano, dunque, come una vera e propria longa manus dell'ente stesso, verso cui sono in un rapporto di delegazione interorganica. (2)

Anche in questo caso, si sono registrate difformità di opinioni.

Ad un primo orientamento, che riteneva le società in house non fallibili - dato che si identificavano con l'ente pubblico controllante e finivano per essere attratte nella clausola di esenzione prevista per gli enti pubblici - si contrapponeva una differente visione interpretativa che riconosceva all'in house una sottile linea di differenziazione soggettiva rispetto all'ente controllante che non permetterebbe di usufruire dell'esenzione.

La querelle è stata risolta proprio dalla sentenza in commento, che, tra l'altro, si è pronunciuta circa una fattispecie a cui non poteva essere applicato l'art. 14 D.Lgs. n.175/2016.

Nell'arresto, innazitutto, si ribadisce il principio secondo cui il legislatore, nel permettere il perseguimento dell'interesse pubblico attraverso lo strumento privato, stabilisce che le società assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto. Tra l'altro, vanno rispettate le regole della concorrenza che impongono parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.

Per questa tipologia di società non si prevede alcuna compressione della responsabilità. Si determina solo una responsabilità aggiuntiva contabile rispetto a quella comune, ma senza il prospettato effetto di perdere l'applicazione dello statuto dell'imprenditore.

La connotazione pubblicistica che la società in house mutua dalla partecipazione pubblica non vale a rendere la stessa un soggetto sovraqualificato rispetto al tipo societario assunto.

In base a ciò, il passaggio motivazionale più importante della sentenza è quello in cui si evidenzia la concreta utilità dell'assoggettamento al fallimento, precisando che tale scelta permette alla società di gestire in maniera più puntuale i rischi derivati dalla insolvenza.

L'annullamento di ogni effetto della soggettività della società procurerebbe il risultato che tutti i creditori della stessa diventerebbero creditori dell'ente pubblico, di fatto realizzando la situazione opposta a quella voluta dallo stesso ente, che, con la creazione delle società in house, intende sottrarsi dalle responsabilità per le obbligazioni assunte dalla società partecipata.

 

Note e riferimenti bibliografici

(1) in questo senso, Cass, sez.I, 10 gennaio 1979, n.158;
(2) Cons. Stato Ad. Pl., 3 marzo 2008 n.1.

- Elio Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2016;
- Maurizio Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, terza edizione, Giappichelli, 2017;
- Carmine Volpe, Le nuove direttive sui contratti p ubblici e l'in house providing: problemi vecchi e nuovi in Giustamm. 2015;