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Pubbl. Mer, 6 Set 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

Il consenso informato tra responsabilità medica e diritto alla salute

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Giusy Tuzza


“Presupposto indefettibile di ogni trattamento sanitario è la scelta, libera e consapevole – salvo i casi di necessità e di incapacità di manifestare il proprio volere – della persona che a quel trattamento si sottopone”.


Sommario: 1. Definizione e brevi cenni storici; 2. Fondamento giuridico e diritto alla salute; 3. Alcuni casi specifici;  4. Giurisprudenza.; 5. Conclusioni.

1. Definizione e brevi cenni storici.

Nel contesto del rapporto medico-paziente, il consenso informato è un presupposto indefettibile, dal momento che l’informazione è l’unico strumento capace di permettere al malato di decidere liberamente e responsabilmente se accettare, o rifiutare, il percorso diagnostico e terapeutico proposto (1). Per questo motivo comunicare con il paziente è un dovere etico-deontologico del medico e incide profondamente sul rapporto fiduciario tra i due soggetti. Cosa si intende, pertanto, per informazione?
Il termine deve essere interpretato sotto vari profili. Se sul piano tecnico riguarda la comprensibilità da parte del paziente e/o la possibilità di ridurre ad un livello comprensibile questioni tecnicamente complesse, sul piano giuridico è volto a definire i limiti di responsabilità, tanto civili quanto penali, attribuibili eventualmente al medico negligente. Peraltro l’informazione è innegabilmente un diritto fondamentale della persona umana, affinché possa esercitare appieno volontà e autodeterminazione. È, dunque, evidente come il consenso informato abbia rivoluzionato fondamentalmente il modo di lavorare del professionista, riattribuendo, alla persona destinataria dell’intervento professionale, autonomia e determinazione nelle scelte che riguardano il suo stato di salute e la gestione della stessa (2).

A questo punto, per meglio comprendere i limiti della questione, è opportuno attenzionare la definizione di Consenso informato.  Secondo il Comitato Nazionale per la Bioetica, esso consiste nella “legittimazione e fondamento dell’atto medico e, allo stesso tempo, nello strumento per realizzare quella ricerca di alleanza terapeutica – nell’ambito delle leggi e dei codici deontologici – e di piena umanizzazione dei rapporti fra medico e paziente cui aspira la società attuale (3)”. Dunque è una particolare modalità di rapporto professionale tra un professionista e il destinatario dell’intervento professionale, per cui una serie di procedure di intervento relative alla diagnosi, terapia, prognosi o alla ricerca, possono essere poste in essere solo previa autorizzazione (consenso) da parte della persona interessata.

Nel corso delle diverse epoche storiche si è assistito al passaggio dal puro affidamento del paziente al medico (paternalismo medico) (4), ad una posizione critica e spesso conflittuale nei confronti del professionista (autonomia dell’individuo). Tuttavia l’importanza del Consenso informato risale alla fine del ‘700 negli Usa quando per la prima volta si affrontò l’importanza giuridica della differenziazione tra un contenzioso promosso in relazione ad un consenso comunque difettoso (vizio di consenso) e quello basato su un’ incompleta o errata informazione (vizio d’informazione). Si fa riferimento, in particolare, a due casi.
Innanzitutto al “caso Slater” del 1767, laddove il paziente si lamentò del comportamento dei medici che rimossero le fasciature dalla sua gamba fratturata accorgendosi che la frattura si era ricomposta solo parzialmente. Perciò decisero senza il consenso del paziente di rifratturare l’arto per tentare una definitiva riduzione, e lo bloccarono con una nuova imbracatura. I medici furono condannati avendo agito con negligenza ed imperizia, ma anche perché la soluzione di fratturare nuovamente la gamba del paziente era stata eseguita senza il consenso del malato.
L’altro caso determinante è il caso Carpenter, relativamente al quale un medico curò la slogatura di un gomito con tecniche che egli riteneva innovative. I giudici, invece, gli addebitarono l’insuccesso dell’intervento avendo tenuto una condotta negligente e non avendo informato il paziente sulle precauzioni da adottare e da osservare durante la convalescenza. In più, il consenso era fortemente viziato dalle ingannevoli assicurazioni sull’esito positivo della malattia.

L’entrata nella pratica medico-sanitaria del consenso informato risale, però, al Processo di Norimberga, nel quale emersero le atrocità inflitte dai medici nazisti ai deportati nei campi di concentramento. Da allora  ci fu un susseguo di pronunciamenti: il codice di Norimberga, che proclamava il diritto della persona a decidere liberamente se partecipare a una sperimentazione clinica e il dovere del medico di spiegare al malato la sua situazione clinica; la Dichiarazione di Helsinki del 1964; la Dichiarazione della Conferenza Internazionale dell’Ordine dei Medici del 1987, dove si precisò che salvo il caso d’urgenza, il medico deve illustrare al malato gli effetti e le conseguenze prevedibili della malattia o della sperimentazione clinica; la Convenzione di Oviedo del 1997 ai sensi del quale art. 5 un intervento non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato il consenso libero ed informato.
In Italia si dovrà attendere il Codice di deontologia medica del 1978: “le cure sono subordinate al consenso dell’interessato che deve essere,se possibile espresso per iscritto, liberamente e consapevolmente, previa informazione sugli obiettivi, sui metodi, sui benefici previsti nonché sui rischi e disturbi potenziali”, mentre maggiore attenzione e dettagli verranno individuata nel Codice di Deontologia Medica del 15 giugno 2009.
Per mera completezza è bene dire che la tematica è stata trattata anche L. 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, dove si prevede che  gli accertamenti – trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative volte ad assicurare il consenso del paziente. Con l’evolvesi della questione giuridica inerente il consenso informato anche il Codice Penale ha riservato uno spazio alla materia, giustificando all’art.50 c.p. l’intervento sanitario anche nel caso rechi un danno alla persona, purché  ci sia il suo consenso; e all’art. 52 c.p. l’intervento del medico in condizioni gravi del paziente.

A detta del Comitato Nazionale di Bioetica il principio del consenso si colloca al centro dell’attività medico chirurgica ed esprime una scelta di valore nel concepire il rapporto tra medico e paziente, essendo detto rapporto fondato prima sui diritti del paziente, poi sui doveri del medico. Sicché, sono da ritenere illegittimi i trattamenti sanitari extraconsensuali, non sussistendo un dovere di curarsi.

2. Fondamento giuridico e diritto alla salute. 

L’importanza del consenso informato è in ambito prettamente giuridico regolamentata dall’art. 13 della Costituzione in cui è postulato il principio dell’inviolabilità della libertà umana e quindi della libertà generale per ogni persona di autodeterminarsi rispetto al proprio corpo, sempre nel rispetto della propria integrità fisica (cfr. art. 5c.c.). ma anche regolamentato dall’art. 32 Cost. in cui è dettato disposto che la salute è un diritto dell’individuo, quindi in quanto tale la persona può tutelarla secondo i propri personali canoni di vita. Ne consegue nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. La libertà personale non solo è un diritto inviolabile, ma è un diritto completo, personale e assoluto.

In questo contesto l’obbligo giuridico del medico non è quello di impedire la morte o il pregiudizio alla salute, ma di assistere e offrire le cure e terapie disponibili ad una persona in condizioni di bisogno, sempre nel rispetto della sua volontà (5). Se il medico crede che la vita debba essere sempre e comunque vissuta, farà certamente del suo meglio per salvarla.
Il paziente, tuttavia, può decidere per sé stesso i limiti entro i quali la sua vita è veramente degna di essere tale e quindi essere vissuta autonomamente e dignitosamente. Più volte i giudici di merito si sono pronunciati in questo senso. Tra le tante pronunce se ne segnala una dove si legge che “Non rispettare la volontà del paziente come sovrana e necessaria è commettere un reato doloso, come l’omicidio preterintenzionale. La libertà del paziente diviene la regola fondamentale nel rapporto con il medico, il quale non può e non deve sostituire i suoi valori e il suo concetto di bene a quelli del paziente” (6). Ed ancora “se il trattamento non consentito ha uno scopo terapeutico e l’esito sia favorevole, il reato di lesioni sussiste, non potendosi ignorare il diritto di ognuno di privilegiare il proprio stato di salute (art. 32, 2 Cost.) e che, a fortiori, il reato sussiste ove l’esito sia sfavorevole” (7).

Corollario di quanto detto è che nella prospettiva giuridica, il consenso del paziente all’atto medico è obbligatorio per la liceità di ogni pratica diagnostica, terapeutica e sperimentale.
Tuttavia vi sono eccezioni che permettono l’operato del medico anche in assenza di consenso.
Queste eccezioni riguardano:
a) i rischi inerenti conseguenze atipiche, eccezionali e imprevedibili, che causerebbero al paziente ingiustificate ansie e timori (8);
b) le situazioni nelle quali il paziente ha espresso esplicitamente la volontà di non essere informato;
c) le condizioni di gravità o d’immediato pericolo per la vita che richiedono un intervento urgente senza  esserci la possibilità di spiegare l’approccio diagnostico e terapeutico al paziente o ai famigliari;
d) i “Trattamenti Sanitari Obbligatori” previsti dagli articoli 33,34,35 della L. 833/78, subordinati alla necessità di tutela della salute pubblica o per la salvaguardia dell’incolumità del paziente.

L’assenza di un valido consenso del paziente, tranne che nei casi sopra citati, espone il medico in “sede penale” alle imputazioni di lesione personale (cfr. art. 582 C.p.), delitto di violenza privata (cfr. art. 610 C.p), omicidio colposo o  preterintenzionale (cfr. artt.589 e 584 C.p.) e in “sede civile” al risarcimento del danno (cfr. ex art. 2043 c.c.).

Il problema del consenso, da un punto di vista giuridico, non si pone prima dei 6-7 anni, anche se questo non elimina i problema di cosa dire al bambino piccolo e come.
Secondo la Convenzione internazionale di New York sui diritti dell’infanzia deve essere protetto il diritto del bambino al miglior stato di salute possibile e garantita la possibilità di beneficiare di servizi medici e riabilitazione (art. 24).
Certamente tenendo conto del livello di sviluppo del minore, sarà comunque opportuno presentare al bambino lo stato dei fatti e gli scenari possibili e alternativi, con un linguaggio chiaro e semplice da facilitare in lui la comprensione del problema (9). Il bambino deve essere sempre aiutato a capire le sue condizioni di salute o di malattia soprattutto nel momento in cui si devono prendere delle decisioni che riguardano non solo la sua persona, ma anche lo stile di vita con cui il bambino stesso dovrà imparare a convivere, nel rispetto del diritto all’ascolto ex art. 12 Convenzione ONU.

3. Alcuni casi specifici (10).

Vi sono casi specifici in cui il dibattito sul consenso informato diviene più complesso alla luce delle delicate situazioni in cui si instaura. Nel dettaglio, seppur brevemente, valga quanto segue.
Innanzitutto si prendano in considerazione i minori.
Dal combinato disposto degli artt. 30 Cost. e 2 c.c., il consenso informato deve essere firmato da chi esercita la patri potestà; tuttavia, come esposto nel paragrafo precedente, si valorizza sempre più l’autodeterminazione del minore, motivo per cui si instaura un triangolo comunicativo tra medico, minore e genitori.
Una problematica aperta è quella riguardante l’età, in particolare per i minori che vanno dai 14 ai 18 anni, per i quali il parere non sempre coincide con il parere dei genitori, che pure devono firmare il consenso. Per dare un’idea si pensi al fatto che una minore può ottenere l’interruzione della gravidanza pur in contrasto con i genitori, ma necessita del consenso di questi nel diverso caso di sottoposizione a terapia dell’AIDS.
Altro caso peculiare riguarda gli incapaci e la loro tutela in tema di consenso informato, attraverso la figura dell’amministratore di sostegno, come previsto dalla disciplina del codice civile.
A livello internazionale, poi, si concorda su quattro parametri per individuare i limiti di capacità di esprimere il proprio consenso : la capacità di manifestare una scelta, di comprendere le informazioni relative al consenso, di offrire un giusto peso alla situazione e alle conseguenze, di utilizzare razionalmente le informazioni.
Un problema ulteriore si pone per le donne in età fertile, soprattutto quando nelle schede informative relative a certi trattamenti terapeutici viene intimato di usare metodi contraccettivi. Ciò vale anche se è l’uomo a usufruire del trattamento, motivo per cui per la permanenza del farmaco nel liquido seminale si “obbliga” la donna a far ricordo agli anticoncezionali. Questa ingiunzione, oltre che porre problematiche etiche e deontologiche, ordinando alla persona un atto non terapeutico, evidenzia la poca fiducia nella responsabilità della donna.
Nel bilanciamento dei valori, dunque, si è ritenuto più appropriato mettere in luce i rischi di un’eventuale gravidanza, non imponendo gli anticoncezionali, ma indirizzando le coppie soggette a trattamenti specifici verso i cd. Metodi Naturali della Fertilità.
Infine ci si chiede come conciliare il consenso con le situazioni di emergenza, in tutti quei casi cioè in cui è impossibile reperire il consenso, a causa della condizione d’incoscienza del paziente o per la tempestività di decisione. Per quanto riguarda l’atto terapeutico ci si riferisce al principio della tutela della salute, come diritto fondamentale della persona, e allo “stato di  necessità, giungendo a conferire al medico la possibilità di usufruire del consenso presunto del paziente" (11), ossia del consenso previsto alle seguenti condizioni: che non siano presenti o contattabili parenti del paziente, che il paziente non sia in grado di dare il proprio consenso, che il paziente sia a rischio di morte o d’invalidità permanente, che non esistono trattamenti che possano offrire un’uguale o maggiore possibilità di salvare la vita del paziente o di ridurne l’invalidità.

4. Giurisprudenza.  

La necessità dell'acquisizione di una decisione consapevole del paziente trova precisi riferimenti nella Costituzione, agli articoli 2, 13 e 32, nonché nelle Carte internazionali e sovranazionali e nel Codice di deontologia medica, come abbiamo visto nei precedenti paragrafi.
Fondamentale pertanto è il contributo della Corte Costituzionale, con le tre sentenze chiave n. 471/1990, n. 282/2002 e n. 438/2008.
In ambito risarcitorio le questioni riguardano, poi, la mancata acquisizione del consenso informato; l'avere il medico agito nonostante il dissenso o in mancanza di consenso informato; la validità di direttive anticipate; il nesso di causalità e il danno risarcibile; l'onere della prova circa l'assolvimento dell'obbligo informativo.
Si pone, infine, la questione su quale sia il danno risarcibile in caso di intervento in violazione del rifiuto, ma salvavita, e nel caso di intervento senza consenso, ma con esito negativo.
A questo proposito si veda la pronuncia della Suprema Corte, sentenza n. 2847/2010, secondo cui è il paziente a dover dimostrare, anche attraverso presunzioni che, se avesse conosciuto il rischio, non avrebbe deciso di effettuare l'intervento. Dal punto di vista penale, cruciale è, infine, la sentenza 21 gennaio 2009 delle Sezioni Unite penali della Cassazione, secondo cui “ove il medico sottoponga il paziente a un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall'intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale”, sia sotto il profilo della fattispecie ex art. 582 del c.p. sia sotto quello del reato di violenza privata ex art. 610 c.p.

Questo breve excursus giurisprudenziale denota i punti cardine di una evoluzione che, in materia di responsabilità medica, si compone, e continua ad alimentarsi, di una costellazione di pronunce che mettono i evidenza l’importanza dell’informazione al cospetto del suo operato nei confronti del paziente.
Di recente la Suprema Corte penale ha riaffrontato la questione (12), aderendo a un concetto “funzionale” di malattia, necessario per la sussistenza del reato di cui all’art. 582 cod. pen., siccome evento naturalistico di detto reato, intesa come “processo patologico evolutivo necessariamente accompagnato da una più o meno rilevante compromissione dell’assetto emoderivati”.
Essendo ormai superata la visione del medico come depositario e detentore di una potestà di curare, si deve invece inquadrare il rapporto medico-paziente in termini di alleanza terapeutica, che veda entrambi i protagonisti impegnati a collaborare per l’attuazione del diritto alla salute.
Quindi, a detta del recente orientamento, peraltro condiviso appieno anche da giurisprudenza e dottrina, il presupposto indefettibile di ogni trattamento sanitario risiede nella scelta, libera e consapevole , salvo i casi di necessità e di incapacità di manifestare il proprio volere, della persona che a quel trattamento si sottopone.
Tanto perché la normativa mostra di considerare la “persona” non più destinataria di prestazioni eterodeterminate, ma soggetto attivo e partecipe dei processi decisionali che lo riguardano.
Su questo principio si conformano anche altre sentenze che sono arrivate a definire i seguenti postulati. Il medico viene meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura cui dovrà sottoporsi, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ritenga di sottoporre al paziente, perché lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, dal quale non sia possibile desumere con certezza che il paziente abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni.
E’ del pari vero che è esente da colpa il sanitario che, dopo avere informato la paziente delle complicanze di un intervento, omette di monitorarne il decorso clinico per cause imputabili alla paziente stessa che non si reca ai controlli e non segue il piano terapeutico. La posizione di garanzia assunta dal sanitario, infatti, non può estendersi fino al punto di dover ripetere insistentemente, nel decorso post operatorio, nei confronti di una paziente adulta, ormai dimessa dalla clinica, le prescrizioni e le raccomandazioni meticolosamente fornite (13).

In un’altra pronuncia si legge (14) che  la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute.
Tuttavia, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, non preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, è configurabile a carico del medico una responsabilità risarcitoria , anche in assenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all’informazione, tutte le volte in cui il paziente subisca conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in se stesso considerato. L’obbligo di informazione si estende anche alla struttura sanitaria, la quale è tenuta a fornire ai parenti del paziente ricoverato, su consenso espresso da quest’ultimo, notizie sulle sue condizioni di salute, in particolare sulle sue potenzialità di infettare terzi (15).
Dal punto di vista prettamente giuridico, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica è onere dell’attore (16), paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento danni, onere che va assolto dimostrando con qualsiasi mezzo di prova che la condotta del sanitario è stata secondo il criterio più probabile la causa del danno.
Tuttavia quando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto sociale”), la distribuzione inter partes del carico probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità e’ invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed e’ dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo: sul danneggiato grava dunque solo l’onere di allegare qualificate inadempienze, astrattamente idonee a porsi come causa o concausa del danno, nella prestazione del medico inserita nella sequenza eziologica da cui e’ scaturito il lamentato pregiudizio (17).

5. Conclusioni.

A fronte della delicatezza degli interessi coinvolti, portatori di valori inerenti le sfere più personali e socialmente avvertite come essenziali dalla collettività, la questione della responsabilità medica si lega sempre più al tema del consenso informato. Ciò anche a causa delle sempre più affinate scoperte scientifiche, della percezione diversa che ogni generazione ha della malattia e al contempo della salute, della specializzazione del professionista e dell’affidamento che, nei limiti della propria libertà di autodeterminazione, ogni soggetto avverte. Proprio per tali motivi le questioni inerenti il consenso informato non si arresteranno e coinvolgeranno ancora i tanti giudici che, sulla scia di principi costituzionalmente tutelati, dovranno pronunciarsi alla luce dell’evoluzione sociale.

 

Bibliografia

  1.   AA.VV., Consenso informato e diritto alla salute, E.S.I., Napoli 2001.
  2.  L. C. ANAVACCI, “I confini del consenso. Un’indagine sui limiti e l’efficacia del consenso informato” Edizioni Medico-Scientifiche, Torino 1999.
  3.  CNB, Informazione e consenso dell’atto medico, Roma 1999, p. 12.
  4.  A contribuire alla creazione di un clima di obbedienza si collocava la morale cattolica  che stabiliva a carico del paziente “un obbligo di curarsi e farsi curare”, diventando il medico il braccio secolare della chiesa cattolica. I codici deontologici italiani fino al 1995, almeno per quanto riguarda il consenso informato, avevano una connotazione essenzialmente unilaterale e funzionale all’atto medico. Il medico era perfino legittimato a nascondere le reali condizioni di salute del paziente in caso di prognosi infausta e grave (art. 30 Codice deontologico medico 1978).
  5. Art. 40 c.p. secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
  6. Corte d’Assise di Firenze n. 13 del 18 Ottobre 1990, Il Foro Italiano, 1991, II, p. 236.
  7. Cass. Penale n. 699 del 1992, Il Foro Italiano, 1993, II, p. 189.
  8.  Codice di Deontologia Medica, art. 29, commi 3 e 4.
  9.  Convenzione di Oviedo, Ch. II Consent, ART. 6.
  10. CNB, Informazione e consenso dell’atto medico, op. cit.
  11. OFFICE OF THE SECRETARY, DHHS, FDA, Protection of human subjects: Informed Consent and waiver, of informed consent requirements in certain emergency circumstances: final rule, Fed. Reg., Oct 2 1996.
  12. Cass. Penale Sent. n.16678/2016, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com.
  13. Cass. Civile  sent. n. 24791/2011; Cass. Pen. Sent. n. 19556/2013,  www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com.
  14. Cass. Civile sent. n. 11950/2013, Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24.
  15. Cass. Civ. Sent. n. 11994/2017: nel regime della L. n. 675 del 1996, l’ultimo inciso dell’articolo 23 (…) in situazione in cui il sanitario e la struttura sanitaria, nell’ambito del rapporto curativo, avesse acquisito dati personali sullo stato di salute dell’interessato il cui trattamento risultava indispensabile per la tutela dell’incolumità e della salute dei terzi, in presenza di un’originaria autorizzazione dell’interessato ad informare circa la vicenda curativa i suoi familiari e, quindi, al trattamento, si doveva non solo ritenere autorizzato a rivelare i dati ad essi,  ma obbligato a farlo, con la conseguenza che un comportamento omissivo, dal quale fosse conseguita, in ragione della mancata conoscenza dei dati stessi, una lesione dell’integrità o della salute dei terzi o della collettività, risultava idoneo a cagionare danno ingiusto agli effetti dell’articolo 2043 c.c.”.
  16. Cass. Civ. sent. 6471/2017, www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com.
  17. Cass. Civ. Sent. 8664/2017, sito cit.