La Riforma ”Madia” sul pubblico impiego: i nuovi scenari in materia di performance, dirigenti e concorsi pubblici.
Modifica paginaCon i due decreti 74 e 75 del 2017, si è data attuazione alla travagliata riforma del pubblico impiego, che prende il via dalla Legge delega 7 agosto n. 124 del 2015, per mezzo della quale si è provveduto ad introdurre correttivi sia in materia di valutazione della performance amministrativa che della dirigenza pubblica e dei concorsi pubblici.
Sommario: 1. Premessa 2. La contrattazione collettiva 3. L’accesso ai pubblici uffici tramite concorso e l’organizzazione del personale 4. La responsabilità disciplinare dell'impiegato pubblico 5. La dirigenza pubblica e la valutazione della performance 6. Conclusioni.
1. Premessa
Da sempre, il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per cui una persona fisica svolge volontariamente e dietro corrispettivo la propria attività lavorativa per un’amministrazione pubblica, è stato oggetto di continui interventi normativi, a partire dagli anni Novanta con le varie fasi della cd. privatizzazione del pubblico impiego[1].
Attualmente, la disciplina è contenuta nel D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, cd. Testo Unico sul pubblico impiego, i cui obiettivi principali sono la crescita dell’efficienza delle amministrazioni rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, la razionalizzazione del costo del lavoro pubblico entro i vincoli della finanza pubblica e la migliore utilizzazione delle risorse umane.
Prima della Riforma Madia, oggetto della presente trattazione, però, già la cd. Riforma Brunetta[2] aveva profondamente inciso nella materia in esame, facendo perno sui fondamentali principi di trasparenza e valutazione della performance lavorativa. La trasparenza è il perno attorno al quale ruota questa innovazione. Essa è intesa quale totale accessibilità alle informazioni sull’attività ed organizzazione delle pubbliche amministrazioni. Massima attenzione, poi, è data alla valorizzazione del merito e all’attribuzione di incentivi economici e di carriera, nonchè premi per i dipendenti capaci e meritevoli, al fine di migliorare la produttività e la qualità della prestazione lavorativa. Viene riorganizzata la materia della dirigenza e della contrattazione collettiva, qualificando espressamente il dirigente come datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. In ultimo, viene completamente rinnovata la disciplina delle sanzioni disciplinari e il sistema della responsabilità dei dipendenti pubblici, con particolare riguardo alla lotta contro l’assenteismo e lo scarso rendimento.
Infine, a partire dal D. L. 90/2014, convertito in L. 114/2014, si colloca la Riforma Madia (dal nome del Ministro proponente), che cerca di conciliare le esigenze di riduzione dei costi e quelle di semplificazione e contrasto ai fenomeni di corruzione nei pubblici uffici, fino ad arrivare alla Legge delega n. 124/2015, in attuazione della quale il Consiglio dei Ministri, in data 19 maggio 2017, dopo un iter travagliato[3], ha approvato in via definitiva i due decreti legislativi 74 e 75 del 2017.
In particolare, il D. Lgs. 74/2017 viene ad incidere sul D. Lgs. Brunetta 150/2009, mentre il D. Lgs. 75/2017 concerne il T.U. sul pubblico impiego n. 165/2001.
Per quanto riguarda il D. Lgs. 74/2017, le principali novità introdotte concernono la valutazione della performance, che deve essere effettuata da ogni singola amministrazione, sia con riferimento all’amministrazione nell’insieme, sia alle singole unità organizzative e ai singoli dipendenti o team; l’ampliamento dei poteri attribuiti all’OIV (Organismo Indipendente di Valutazione) rinnovato anche nella durata (tre anni) e nella struttura, tra cui quello di verificare l’andamento delle performance rispetto agli obiettivi programmati e di segnalare eventuali interventi correttivi; la valutazione della performance, sia positiva al fine dell’erogazione di premi e del riconoscimento di progressioni economiche, sia negativa, per la responsabilità dirigenziale e le eventuali sanzioni disciplinari; l’istituzione di un polo unico in capo all’Inps per le visite fiscali, operativo da settembre 2017, sia per il lavoro pubblico che privato.
Con riferimento, per converso, al D. Lgs. 75/2017, si segnala il superamento del concetto di “dotazione organica” sostituito dal cd. Piano Triennale dei fabbisogni, che ha lo scopo di programmare le assunzioni nelle pp.aa. in base all’effettiva necessità; l’accelerazione e semplificazione dell’azione disciplinare, nonché la previsione di nuove sanzioni disciplinari che comportano il licenziamento; la valorizzazione dell’esperienza professionale acquisita e la conoscenza delle lingue straniere, oltre all’inglese, come requisito per accedere ai concorsi o, in ogni caso, come titolo di merito valutabile; la maggiore attenzione per l’integrazione dei soggetti disabili nel mondo del lavoro; l’inserimento di un correttivo alla tutela reale prevista dall’art. 18 della Legge n. 300 del 1970[4].
2. La contrattazione collettiva
Fatte queste brevi premesse e passando ad un’analisi più dettagliata dei singoli aspetti principalmente toccati dalla Riforma Madia, si può iniziare sottolineando l’innovazione in tema di fonti regolatrici del rapporto di lavoro pubblico. Come accennato in precedenza, quest’ultimo è ormai un rapporto di lavoro privatizzato, laddove assume primaria importanza il ruolo, in passato marginale[5], del contratto collettivo come fonte regolatrice.
Nel nostro ordinamento, la contrattazione collettiva si colloca su due piani: nazionale e integrativa.
La contrattazione collettiva nazionale (art. 40 D. Lgs. 165/2001) concerne i comparti[6]; essa disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali ed è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni, mentre è esclusa nelle materie relative all’organizzazione degli uffici, del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali.
Spetta, poi, alle singole amministrazioni attivare livelli di contrattazione collettiva integrativa, nelle materie e coi limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, anche con riferimento ai soggetti ed alle procedure da seguire.
Orbene, con precipuo riferimento alla contrattazione collettiva nazionale, il D. Lgs. 75/2017, modificando il co. 2 dell’art. 2 D. Lgs. 165/2001, afferma la possibilità per i contratti o accordi collettivi nazionali di derogare alle norme di legge, regolamento o statuto che introducano o abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici. La deroga in parola è possibile a patto che si tratti di contratti collettivi nazionali e pur sempre nel rispetto dei principi fissati dal T.U. pubblico impiego.
3. L’accesso ai pubblici uffici tramite concorso e l’organizzazione del personale
È noto, poi, che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si acceda tramite concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge (art. 97, co. 4, Cost.). Il concorso è la forma ordinaria di accesso ai pubblici uffici, mentre le eccezioni a tale regola sono possibili solo se strettamente funzionali al buon andamento della p.a. e se ricorrono straordinarie esigenze di interesse pubblico[7].
In attuazione del succitato art. 97 Cost., infatti, l’art. 35 T.U. pubblico impiego afferma che l’assunzione nelle pp.aa. avviene tramite procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, in generale per i profili che richiedono il solo requisito della scuola dell’obbligo, fatte salve le assunzioni obbligatorie delle categorie protette, ossia i disabili ex L. 68/1999.
Il D. Lgs. 75/2017 ha novellato anche tale disciplina, prevedendo la possibilità di concorsi pubblici svolti in maniera centralizzata ed aggregata, l’accertamento della conoscenza di altre lingue straniere, oltre all’inglese, sia come requisito di partecipazione al concorso che come titolo di merito valutabile (art. 37 D. Lgs. 165/2001), la valorizzazione del titolo di dottorato di ricerca ed una maggiore sensibilizzazione verso l’integrazione di soggetti disabili nel mondo del lavoro.
I criteri da seguire per la selezione e la progressione del personale sono improntati ad un’adeguata pubblicità della selezione e delle modalità di svolgimento, per garantirne l’imparzialità, celerità ed economicità, ricorrendo, ove opportuno, a procedure automatizzate di preselezione; al rispetto delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici; ad una composizione delle commissioni giudicatrici con soggetti che non ricoprano cariche politiche; alla facoltà per ciascuna p.a. di limitare il numero degli eventuali idonei in misura non superiore al 20% dei posti messi a concorso.
Le determinazioni relative all’avvio delle procedure di reclutamento del personale sono adottate sulla base del Piano Triennale dei fabbisogni di cui all’art. 6 D. Lgs. 165/2001, così come prevede il novellato art. 35, co. 4, T.U. pubblico impiego.
Di solito, le pubbliche amministrazioni assumono con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Tuttavia, ai sensi dell’art. 36 D. lgs. 165/2001, come modificato dal D. Lgs. 75/2017, per esigenze temporanee ed eccezionali, le stesse possono stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro, contratti di somministrazione a tempo determinato, ricorrere alle forme flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, al part-time, al telelavoro e all’apprendistato[8], nei limiti in cui ciò sia consentito alle pp.aa. Inoltre, ciascuna p.a., per far fronte a specifiche esigenze non fronteggiabili con il personale in servizio, può ricorrere all’affidamento di incarichi individuali esterni a persone con particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria (art. 7, co. 6, D. Lgs. 165/2001 novellato), laddove si trovi nell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane interne e con predeterminazione della durata, dell’oggetto e del compenso della collaborazione.
In ogni caso, in virtù del nuovo co. 5 bis art. 7 T.U. cit., introdotto dal D. Lgs. 75/2017, è fatto divieto di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Oltre che sulle modalità di accesso ai pubblici uffici, la Riforma Madia ha inciso significativamente anche sulla disciplina dell’organizzazione del personale, col passaggio dal concetto di “dotazione organica” a quello di fabbisogno del personale. È noto, infatti, che ogni amministrazione ha un proprio ruolo organico con il numero di posti suddiviso, a sua volta, in posizioni funzionali (mansioni) e retributive (stipendio). La dotazione organica, che corrisponde al vecchio concetto di pianta organica dell’ente, non è altro che l’insieme dei posti assegnati a ciascun ruolo, ossia il numero complessivo di posti di cui l’ente di riferimento dispone.
Oggi, con la nuova formulazione dell’art. 6 del T.U., si prevede che le pubbliche amministrazioni definiscono l’organizzazione degli uffici in conformità al Piano Triennale dei fabbisogni, e non più in riferimento alla dotazione organica. Ciascuna p.a. adotta il suddetto Piano in coerenza con la pianificazione pluriennale delle attività e della performance, nonché con le linee di indirizzo per la pianificazione delle medesime adottate con D.P.C.M. ai sensi dell’art. 6 ter T.U., introdotto dal D. Lgs. 75/2017. Nell’ambito del Piano, le pp.aa. sono tenute a procedere all’ottimale distribuzione delle risorse umane, attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e reclutamento del personale.
4. La responsabilità disciplinare dell'impiegato pubblico
La materia della responsabilità disciplinare e delle relative sanzioni rappresenta uno dei principali punti di intervento della Riforma Madia sul pubblico impiego.
La responsabilità disciplinare del pubblico dipendente attiene alla violazione dei doveri inerenti al rapporto d’impiego ed è disciplinata dagli artt. 55 – 55 octies del D. Lgs. 165/2001. Le infrazioni e le sanzioni sono definite dai contratti collettivi, salvo quanto previsto dalle norme del T.U. citato.
La violazione dolosa o colposa delle summenzionate norme di carattere imperativo, alla luce della riforma del 2017, costituisce illecito disciplinare anche in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione.
Per quanto attiene al procedimento disciplinare di cui all’art. 55 bis D. lgs. 165/2001, esso si distingue a seconda della gravità delle violazioni commesse dal pubblico dipendente.
Per le infrazioni di minore gravità, punite con la sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente. Viceversa, per le infrazioni punite con una sanzione superiore al rimprovero verbale, ciascuna amministrazione deve individuare l’ufficio per i procedimenti disciplinari (UPD).
Il procedimento si deve concludere entro centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito al dipendente.
Novità di rilievo della Riforma Madia è l’allargamento delle ipotesi per le quali è prevista la sanzione del licenziamento disciplinare di cui all’art. 55 quater D. Lgs. 165/2001, già novellato dalla Riforma Brunetta[9].
Le ipotesi di licenziamento disciplinare sono: 1) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; 2) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o a sette nell’arco degli ultimi dieci anni; 3) ingiustificato rifiuto del trasferimento per motivate esigenze di servizio; 4) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro; 5) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose; 6) condanna penale definitiva per la quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione del rapporto di lavoro; 7) gravi e reiterate violazioni dei codici di comportamento; 8) insufficiente rendimento dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da leggi, regolamenti, contratti collettivi o individuali, atti e provvedimenti dell’amministrazione, come rilevato dalla valutazione negativa della performance del dipendente nell’ultimo triennio.
Oltre alla previsione di siffatte ipotesi, il legislatore del 2017 ha dato una significativa accelerazione ai tempi del procedimento disciplinare, nell’ottica di una maggiore concentrazione e prevenzione dell’assenteismo sul luogo di lavoro, proseguendo la scia della Riforma Brunetta sulla lotta ai cd. furbetti del cartellino.
L’art. 55 quater, commi 3 bis – 3 quinquies, D. Lgs. 165/2001, infatti, prevede un iter particolarmente accelerato nel caso di falsa attestazione della presenza in servizio. Se quest’ultima viene accertata in fragranza o mediante strumenti di sorveglianza o registrazione, comporta l’immediata sospensione cautelare del dipendente, senza stipendio e senza obbligo di essere ascoltato preventivamente, con provvedimento motivato del responsabile della struttura di appartenenza o, nel caso ne venga a conoscenza per primo, dell’ufficio per i procedimenti disciplinari. Con il medesimo provvedimento, si contesta per iscritto l’addebito e si convoca il dipendente dinanzi all’ufficio per i procedimenti disciplinari, il quale deve concludere il procedimento entro trenta giorni dal ricevimento, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito.
Una peculiarità della Riforma Madia è poi la lotta contro i cd. furbetti del weekend. Prevede, infatti, il nuovo comma 3 bis dell’art. 55 quinquies D. Lgs. 165/2001, introdotto dal D. Lgs. 75/2017, che la contrattazione collettiva deve fissare le condotte e le relative sanzioni in caso di ripetute e ingiustificate assenze dal servizio in continuità con le giornate festive e di riposo settimanale, nonché in caso di ingiustificate assenze collettive in periodi nei quali è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza.
5. La dirigenza pubblica e la valutazione della performance
È noto che nell’ambito di ciascuna amministrazione vige una netta distinzione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione, la prima affidata agli organi di governo, la seconda ai dirigenti. L’indirizzo politico consiste nell’individuazione dei programmi che poi verranno attuati mediante gli atti e i provvedimenti amministrativi posti in essere dai dirigenti. Ai dirigenti compete l’emanazione degli atti che impegnano la p.a. verso l’esterno e la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, essendo gli unici responsabili sia della gestione che dei relativi risultati.
I dirigenti si occupano, inoltre, della valutazione del personale assegnato ai loro uffici. Essa consiste nella procedura diretta ad assicurare che su ogni dipendente si svolga periodicamente un giudizio che serva a valutarne il rendimento.
La valutazione della performance rappresenta uno dei nodi focali del D. lgs. 74/2017, che ha modificato il Decreto Brunetta, D. Lgs. 150/2009.
Per siffatta valutazione è previsto un ciclo di gestione che mira alla valorizzazione del merito e alla predisposizione di premi per il raggiungimento dei risultati stabiliti.
Le amministrazioni valutano la performance attraverso un Sistema di misurazione, contente un Piano della Performance, da emanare entro il 31 gennaio, che consiste in un documento programmatico triennale che individua gli indirizzi e gli obiettivi e definisce gli indicatori per la misurazione della performance, nonchè una Relazione sulla performance da adottare entro il 30 giugno, che evidenzia a consuntivo, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi ed individuali raggiunti rispetto agli obiettivi programmati.
Ruolo importante nel ciclo di gestione della performance è affidato all’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV), organo necessario di ogni amministrazione che si occupa del monitoraggio sul funzionamento complessivo del sistema di valutazione e della garanzia di correttezza dei processi di valutazione dei pubblici dipendenti.
Ma il vero centro di questo sistema, dopo la Riforma del 2017, è senza alcun dubbio il cittadino, utente finale dei servizi erogati dai pubblici uffici. Trattasi di una delle principali novità della riforma che qui si esamina. Infatti, ai sensi del nuovo art. 19 bis D. Lgs. 150/2009, introdotto dal D. lgs. 74/2017, i cittadini, anche in forma associata, partecipano al processo di misurazione delle performance organizzative, anche comunicando direttamente all’OIV il proprio grado di soddisfazione per i servizi erogati. Ogni amministrazione, a tal fine, deve adottare sistemi di rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti in relazione ai servizi erogati, favorendo la più ampia partecipazione degli stessi.
Il D. Lgs. 74/2017 ha, inoltre, introdotto un nuovo sistema di distribuzione delle risorse economiche destinate a remunerare la performance dei lavoratori pubblici[10]. Il novellato art. 19 D. Lgs. 150/2009 prevede che spetta alla contrattazione collettiva nazionale, nell’ambito delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance, stabilire la quota delle risorse destinate a remunerare la performance, al fine di garantire che a diversi gradi di rendimento corrispondano differenti trattamenti economici.
La valutazione positiva della performance rileva per l’erogazione di premi, il riconoscimento delle progressioni economiche, l’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale ed il conferimento degli incarichi dirigenziali. La valutazione negativa delle performance rileva, per converso, ai fini dell’accertamento della responsabilità dirigenziale, oltre che a fini disciplinari.
6. Conclusioni.
Alla luce di quanto detto, la Riforma Madia si pone l’obiettivo di non demordere nella lotta contro l’assenteismo sui luoghi di lavoro, accentuando le responsabilità e le sanzioni in capo ad ogni singolo dipendente pubblico. Resta, però, la lacuna in tema di dirigenza pubblica. Infatti, l’intero capo III della delega Madia n. 124/2015 riguardava il personale e, soprattutto, la riforma della dirigenza pubblica volta a istituire un ruolo unico dei dirigenti, senza distinzione di fasce, per favorire una maggiore flessibilità nell’attribuzione degli incarichi. Ma tale riforma non è stata riproposta, stante i tanti malumori suscitati. Difficile prevedere se questi decreti riusciranno a ridurre il lassismo degli ultimi anni, che già la Riforma Brunetta aveva tentato di arginare, ma la strada intrapresa è sicuramente meritevole di considerazione.
Note e riferimenti bibliografici
CHINE’- FRATTINI- ZOPPINI, Manuale di diritto amministrativo, Terza edizione, Nel Diritto Editore
[1] A partire dal D. Lgs. 29/1993, trasfuso poi nel D. Lgs. 165/2001, e passando per la cd. seconda privatizzazione ad opera del D. Lgs. 80/1998 di attuazione della L. Bassanini 59/1997, il rapporto di pubblico impiego è, oggi, privatizzato, salvo eccezioni contenute nello stesso decreto 165/2001, ossia la relativa disciplina è stata trasferita dall’area pubblicistica a quella privatistica, essendo regolamentato dalle disposizioni del Capo I, Titolo II, Libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. In passato, invece, non era riconosciuto alcuno spazio alla fonte contrattuale, ma tutto era disciplinato unilateralmente da leggi o regolamenti. Tale processo, oltre all’avvento dello strumento del contratto collettivo, ha comportato il passaggio dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla giurisdizione ordinaria per le controversie in esame, fatta eccezione per le categorie non privatizzate e per la fase antecedente all’assunzione del dipendente pubblico, relativa alle procedure concorsuali di assunzione, che restano di competenza del giudice amministrativo fino alla formazione della graduatoria definitiva.
[2] L. 4 marzo 2009, n. 15, attuata con D. Lgs. 27 ottobre 2010, n. 150.
[3] A tal proposito, infatti, la Corte Costituzionale, con sentenza del 25 novembre 2016, n. 251, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme della Legge delega 7 agosto 2015 n. 124, per violazione della competenza regionale in siffatte materie, nella parte in cui affermavano che i decreti attuativi dovevano essere emanati previo mero parere delle Regioni, anziché d’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. La pronuncia in parola, tuttavia, riguarda solo l’illegittimità costituzionale delle specifiche disposizioni impugnate dalla Regione Veneto che ha sollevato la questione, e non anche dei decreti attuativi.
[4] Quando il licenziamento viene accertato come illegittimo, l’indennizzo contestuale al reintegro nel posto di lavoro non potrà oltrepassare le 18 mensilità. Se il giudice ordinario ritiene la sanzione irrogata dall’ente come viziata da difetto di proporzionalità, avrà il potere di modificarla prendendo a parametro la gravità del comportamento del lavoratore pubblico e lo specifico interesse pubblico violato (art. 63, co. 2 bis D. Lgs. 165/2001).
[5] La Riforma Brunetta, infatti, aveva al contrario proceduto ad una rilegificazione del rapporto di pubblico impiego, stabilendo il primato della legge sul contratto collettivo.
[6] I comparti sono l’unità fondamentale della contrattazione collettiva nazionale e sono: Ministeri, Enti pubblici non economici, Regioni e autonomie locali, Scuola, Università, Servizio Sanitario Nazionale, Agenzie fiscali, Presidenza del Consiglio, Istituti di alta formazione, Istituti ed enti di ricerca. I dirigenti erano ripartiti in otto aree, corrispondenti ad analoghi comparti. La Riforma Brunetta ha previsto la riduzione dei comparti a quattro aree: Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca, Sanità.
[7] Corte Cost. 19 maggio 2017, n. 113; Corte Cost. 1 luglio 2013, n. 167.
[8] In virtù della previsione di cui al D. Lgs. 167/2011 e poi del Jobs Act ex D. Lgs. 81/2015.
[9] Nonché dai decreti legislativi nn. 116/2016 sui cd. furbetti del cartellino.
[10] La previgente disciplina prevedeva la suddivisione dei dipendenti di ciascuna p.a. in tre fasce di merito (alta, media, bassa), a ciascuna delle quali corrispondeva un determinato trattamento economico accessorio, mentre nel caso di fascia bassa non era previsto nessun trattamento. Ma tale disciplina, stante il blocco dei contratti collettivi nazionali, è rimasta inattuata.