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Pubbl. Gio, 16 Feb 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

Il procedimento europeo per le controversie di modesta entità

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Riccardo Bertini


Luci ed ombre sul procedimento europeo per la tutela delle cd. small claims. Obiettivo raggiunto o traguardo mancato?


Sommario: 1. Premessa; 1. Ambito di applicazione; 3. Procedimento; 4. Riconoscimento ed esecuzione delle sentenze; 5. Conclusioni.

1. Premessa

Il Regolamento (CE) n. 861/2007 (1) introduce un procedimento uniforme il cui scopo è tutelare quelle situazioni giuridiche che rischierebbero di rimanere prive di tutela considerata la loro modesta entità. Affinché tali situazioni trovino riconoscimento e protezione all’interno di una dimensione transfrontaliera, il legislatore europeo ha fornito uno strumento processuale, caratterizzato da semplicità, proporzionalità e rapidità (2) nonché rispettoso del contraddittorio e della trasparenza (3). Si tratta di un procedimento a cognizione piena ed esauriente, alternativo rispetto ai procedimenti cd. ordinari e che consente di far ottenere all'attore una pronuncia di mero accertamento oppure condannatoria.
Il Regolamento si inserisce nell’ambito della cooperazione giudiziaria in ambito europeo e si affianca al Reg. (CE) n. 805/2004 sul titolo esecutivo europeo e al Reg. (CE) n. 1896/2000 sul procedimento europeo di ingiunzione di pagamento, completando così il sistema di tutele previsto per le cd. small claims. Anche per il Regolamento in questione, il legislatore europeo prevede l’utilizzo di norme uniformi solamente per disciplinare l’ossatura del procedimento ma, per tutti gli aspetti non disciplinati, si rinvia alle norme dell’ordinamento dove si instaura il procedimento (cd. lex fori), con la conseguenza che il procedimento potrebbe subire innesti normativi diversi in ragione della differente disciplina degli Stati membri (4). Va segnalato infine che il legislatore è recentemente intervenuto, a parziale modifica, con il Reg. (UE) n. 2421/2015 (che entrerà in vigore il 14/07/2017) il quale ha previsto, fra le altre cose, l’innalzamento della soglia di valore oltre la quale le controversie non si possono considerare di modesta entità.

2. Ambito di applicazione

Il Regolamento si applica a tutti gli Stati membri della Comunità (oggi Unione) europea, ad eccezione della Danimarca, ed ha ad oggetto le sole controversie transfrontaliere, ovvero quelle controversie in cui almeno una delle parti ha il domicilio o la residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello dell’organo giurisdizionale adito (art. 3.1).
Il Regolamento trova applicazione in materia civile e commerciale nelle controversie il cui valore, esclusi gli interessi, i diritti e le spese, non ecceda €. 2.000 (con il Reg. 2421/2015 tale limite viene innalzato a €. 5.000); il valore della domanda rileva alla data in cui l’organo giurisdizionale competente riceve il modulo standard allegato. In merito alla competenza per valore, un problema applicativo potrebbe essere quello del frazionamento del credito nell'ipotesi in cui l'attore limiti la pretesa creditoria dentro la soglia prevista dal Regolamento, riservandosi di agire contro il medesimo convenuto successivamente per la restante parte. Laddove ciò accada nel nostro ordinamento, all'interrogativo se ciò sia o meno possibile, si dovrebbe dare risposta negativa in quanto la Cassazione ha ritenuto che il frazionamento del credito è prassi contraria alla regola di correttezza e buona fede in quanto configura abuso del processo (5). A tale orientamento occorre a maggior ragione aderire all'interno di un procedimento caratterizzato da rapidità e snellezza e che quindi potrebbe mal tollerare un'eccessiva ripartizione del credito in più e diverse procedure connesse. In merito alla competenza per materia, si può invece notare come la giurisprudenza adotti un concetto piuttosto ampio di “materia civile e commerciale” ed in tal senso sono state considerate tali le controversie riguardanti le lesioni da reato (purché l’autore non fosse una pubblica autorità), la tutela inibitoria contro clausole commerciali abusive ed il pagamento di un’ammenda per far rispettare una decisione in materia civile e commerciale (6). In ogni caso, il Regolamento prevede esplicitamente che siano escluse dall’ambito in questione la materia fiscale, doganale o amministrativa o la responsabilità dello Stato per atti e omissioni nell’esercizio dei pubblici poteri (art. 2.1). Vengono inoltre escluse dal campo di applicazione del presente Regolamento le controversie riguardanti: a) lo Stato o la capacità giuridica delle persone fisiche; b) il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le successioni e obbligazioni alimentari; c) i fallimenti, procedimenti relativi alla liquidazione di imprese o di altre persone giuridiche insolventi, accordi giudiziari, concordati e procedure affini; d) la sicurezza sociale; e) l’arbitrato; f) il diritto del lavoro; g) l’affitto di immobili, escluse le controversie aventi ad oggetto somme di denaro; h) la violazione della vita privata e dei diritti della personalità, inclusa la diffamazione (7). 

3. Procedimento

L’attore introduce il procedimento in questione compilando ed inviando all’organo giurisdizionale competente la propria domanda, la quale viene predisposta dal Regolamento in moduli standard (il cui contenuto si trova nell’Allegato I del medesimo). La giurisdizione non viene disciplinata direttamente dal Regolamento in questione ma lo stesso rinvia al Regolamento Bruxelles I mentre la competenza verticale del giudice nazionale è rimessa alla lex fori, con la conseguenza che nel nostro ordinamento sarà competente il Giudice di Pace (ad eccezione di quelle controversie rimesse ex lege alla competenza del Tribunale, come ad esempio le controversie in materia di contratti agrari o in materia di diritto della navigazione). L'attore può proporre la domanda personalmente poiché il Regolamento non impone l'obbligo della difesa tecnica; ciò anche a prescindere da quello che prevede la normativa interna. Vi è da chiedersi tuttavia cosa possa accadere qualora la domanda, presentata personalmente dall'attore senza l'assistenza del difensore, venga proposta per una fattispecie per la quale al contrario il nostro ordinamento richiede la difesa tecnica. In tale ipotesi, potrebbe accogliersi quella soluzione che consente al giudice di assegnare alla parte un termine per la sanatoria del vizio (sanatoria che, in base alla legge 18 giugno 2009 n. 69, avrà valenza retroattiva).
La domanda deve poi indicare una descrizione delle prove a sostegno dei fatti allegati e deve essere accompagnata da ogni documento giustificativo pertinente, solamente “ove opportuno” (art. 4.1).
L’organo giurisdizionale verifica prima di tutto e preliminarmente che la domanda rientri nell’ambito di applicazione del Regolamento. Successivamente, il Giudice valuta se le informazioni fornite dall’attore siano pertinenti, siano sufficientemente chiare e qualora il modulo di domanda non sia stato completato correttamente, a meno che la pretesa non sia manifestamente infondata o la domanda sia irricevibile, invita l’attore ad un integrazione della stessa. Si tratterebbe in sostanza di un controllo solo parzialmente limitato ai presupposti di rito, poiché il Giudice ha comunque l'onere di valutare la manifesta fondatezza della pretesa attorea; tale ultimo controllo, onde evitare un'eccessiva dilatazione dei tempi processuali, dovrebbe comunque limitarsi ad una cognizione sommaria in quanto parziale della pretesa.
Il convenuto può esercitare il proprio diritto di replica entro trenta giorni dalla notifica della domanda, compilando un modulo standard (anch’esso allegato al Regolamento); lo stesso deve essere corredato, “ove opportuno”, dei documenti giustificativi pertinenti. Entro quattordici giorni dalla ricezione della replica del convenuto, l’organo giurisdizionale ne invia una copia all’attore ma qualora nella sua replica il convenuto abbia eccepito che il valore della controversia supera il limite stabilito, l’organo giurisdizionale deve decidere entro trenta giorni se la controversia rientra o meno nel campo d’applicazione del Regolamento. Eventuali domande riconvenzionali sono inviate anch’esse mediante moduli standard e l’attore ha trenta giorni per poter rispondere; qualora il valore della domanda principale e della rinconvenzionale superi quello prescritto, anche in tal caso non si applica il procedimento in questione. Inoltre, sul punto occorre segnalare quella dottrina secondo cui la domanda riconvenzionale dovrebbe derivare dal medesimo fatto o contratto della domanda principale; difatti, qualora la domanda sia proposta nel nostro ordinamento, non esistendo una norma che preveda il rigetto della domanda perché proposta con il rito errato, il giudice sarà comunque costretto a separare il cumulo oggettivo in quanto solo la domanda dell'attore sarà trattata secondo il Regolamento mentre la riconvenzionale sarà trattata secondo la lex fori purché sussista la giurisdizione italiana (8).

Il procedimento si svolge per lo più in forma scritta, secondo quanto stabilito dalle norme del Regolamento; laddove le stesse non siano sufficienti, il legislatore prevede l’integrazione eteronoma in base alla lex fori.
Il Regolamento prevede che l’organo giurisdizionale è tenuto a fissare un’udienza solamente laddove la ritenga necessaria oppure sia richiesta da una delle parti; la richiesta può essere rigettata per iscritto laddove sia manifestamente superflua ed il rigetto non può essere autonomamente impugnato (9). Del resto, la ratio del Regolamento è quella di fornire all'attore una sentenza immediatamente esecutiva in tempi brevi. In ogni caso, si tratterebbe comunque di un potere del Giudice solo apparentemente discrezionale, in quanto è comunque concesso alle parti farne richiesta. Risulta inoltre dubbia l'ipotesi in cui l'organo giurisdizionale decida di non fissare l'udienza laddove vi sia stata la richiesta scritta di una delle parti (anche alla luce del fatto che ciò non costituisce autonomo motivo di impugnazione): in tal caso si dovrebbe quanto meno privilegiare una soluzione che nega un siffatto potere al Giudice in quanto l'esigenza di celerità del rito dovrebbe comunque tener conto del principio del contraddittorio e quindi il Giudice, laddove le parti lo richiedano, dovrebbe mettere le parti in grado di esplicare le loro difese. Per ciò che attiene la fase istruttoria del procedimento, il Giudice determina i mezzi di assunzione delle prove indispensabili ai fini della decisione, secondo le norme applicabili in materia di ammissibilità previste dalla lex fori, ma il Regolamento gli permette di ammettere l’assunzione di prove tramite dichiarazioni scritte di testimoni, esperti o parti (anche tramite videoconferenza o altri mezzi tecnologici di comunicazione, se disponibili). Il Giudice può invece disporre perizie o l’audizione di testimoni soltanto “se ciò è necessario ai fini della sentenza”. In tema di poteri istruttori dell'organo giurisdizionale, il Regolamento non attribuisce al giudice poteri diversi da quelli previsti dal diritto interno con la conseguenza che nel nostro ordinamento il Giudice non potrebbe comunque invocare poteri ex officio attribuiti sulla base del Regolamento.
In ogni caso, il Regolamento prevede che, entro trenta giorni dalla replica del convenuto o dall’eventuale riconvenzionale, il procedimento debba assumere uno dei diversi esiti previsti, in modo da evitare che lo stesso procedimento rimanga in una fase di stallo troppo a lungo. Il Giudice deve quindi emanare sentenza oppure: a) richiedere alle parti ulteriori dettagli in merito alla controversia entro e non oltre trenta giorni; b) assumere le ulteriori prove; c) ordinare la comparizione delle parti fissando un’udienza ad hoc da tenersi entro e non oltre trenta giorni.

4. Riconoscimento ed esecuzione delle sentenze

Il Giudice emette sentenza entro trenta giorni dalle eventuali udienze o dalla ricezione di tutte le informazioni necessarie ai fini della pronuncia.
La sentenza è immediatamente esecutiva (art. 15.1) nonostante sia prevista una limitata possibilità di riesame della stessa da parte del convenuto (ed una limitata possibilità di richiedere la sospensione dell’esecutività). Il convenuto infatti è legittimato a richiedere un riesame della sentenza, dinanzi all’organo giurisdizionale competente dello Stato membro in cui è stata emessa. La ratio è quella di fornire al convenuto un secondo grado di giudizio anche laddove la legge dello Stato membro, in cui è stato promosso il procedimento, nulla preveda. La disciplina di tale procedimento viene tuttavia rimessa ancora una volta alla lex fori, con evidente frustrazione delle ragioni di uniformità delle diverse normative nazionali. Nel caso in cui il procedimento sia stato introdotto in Italia, vi è da ritenere che la pronuncia del Giudice delle prime cure sia sempre impugnabile e ricorribile in Cassazione. I motivi di gravame previsti dal Regolamento coincidono in ogni caso con le seguenti ipotesi: a) il modulo di domanda o la citazione a comparire sono stati notificati con un metodo che non fornisce la prova che gli atti sono stati ricevuti da lui personalmente e la notificazione e/o comunicazione non è stata effettuata in tempo utile a consentirgli di presentare la propria replica, per ragioni a lui non imputabili; b) il convenuto non ha avuto la possibilità di contestare la domanda a causa di situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali, per ragioni a lui non imputabili. Si tratta quindi di ipotesi legate alla contumacia del convenuto che nel nostro ordinamento trovano comunque tutela all'interno degli artt. 327 e 375 c.p.c. Per entrambi i motivi di gravame, è tuttavia necessario che il convenuto agisca tempestivamente e qualora l’organo giurisdizionale respinga la domanda di riesame in base al fatto che nessuno dei motivi è applicabile, la sentenza rimane esecutiva. Se al contrario l’organo giurisdizionale decide che il riesame è fondato, la sentenza emessa nell’ambito del procedimento in questione è nulla.

Per ciò che attiene il riconoscimento delle sentenze, la sentenza emessa in uno Stato membro nell’ambito del procedimento “è riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento” (art. 20.1). Viene quindi ribadito il principio europeo del mutuo riconoscimento delle sentenze all'interno degli Stati membri dell'Unione. Gli aspetti che invece rimangono disciplinati dalle norme interne sono il momento in cui la pronuncia diventa idonea ad un accertamento extraprocessuale e i limiti oggettivi, soggetti e temporali di efficacia dell'accertamento. Inoltre, nonostante il riconoscimento venga dettato con una norma uniforme, al contrario il procedimento di esecuzione della sentenza viene disciplinato facendo riferimento alla lex fori. La parte che richiede l’esecuzione della sentenza è tenuta a fornire una copia della sentenza ed il certificato di esecutorietà e tale controllo -che il nostro ordinamento attribuisce al cancellerie- viene attribuito dal Regolamento al Giudice. Il legislatore prevede infine una norma uniforme secondo cui, in ogni caso, l’unico motivo legittimo per il quale uno Stato membro può rifiutarsi di eseguire una sentenza è quello in cui la medesima sia in conflitto con una precedente sentenza passata in giudicato, riconosciuta ed eseguita e contro la quale l’esecutato non abbia avuto facoltà di far valere il contrasto. La ratio della norma è evidentemente quella di evitare che vi siano più pronunce in contrasto tra loro. Si deve trattare tuttavia di pronunce aventi identità di oggetto e soggetti perché il giudice disponga il veto all'exequatur. Peraltro vi è da ritenere che tale motivo di legittimo rifiuto dell'esecuzione possa ampliare il novero delle eccezioni che la parte può esperire nel procedimento di opposizione all'esecuzione previsto dal nostro ordinamento a gli artt. 615 ss c.p.c. 

5. Conclusioni

Il legislatore europeo introduce un procedimento uniforme per le cd. small claims, dotato di un discreto potenziale ma che ha trovato tuttavia scarsa applicazione nella prassi giudiziaria del nostro paese (11). Le ragioni sono varie ma in ogni caso potrebbero essere ricondotte alla struttura del Regolamento stesso, dal momento che sia le lacune previste nel dispositivo che il rinvio alle norme dell’ordinamento in cui si intende promuovere il procedimento, impongono all’attore (anche direttamente, considerato che non è necessaria la difesa tecnica) la conoscenza almeno parziale delle norme processuali di quell’ordinamento. Aspetto di non secondaria importanza anche alla luce del fatto che taluni ordinamenti, come il nostro ad esempio, prevedono spesso la difesa tecnica; ciò risulta evidente nel caso in cui il convenuto contumace decida di proporre il riesame della sentenza. Considerato che il Regolamento rimette la disciplina del gravame all'ordinamento dove è stato proposto il procedimento, non si può che ritenere operativo l'obbligo della difesa tecnica laddove tale ordinamento sia quello italiano. Del resto tale divario normativo, tra il Regolamento e il nostro ordinamento, è percepibile anche considerando che vi è una discreta differenza tra l’oggetto della domanda così come previsto dal Regolamento e l’oggetto così come previsto da gli artt. 163 e 414 c.p.c., in quanto solamente il primo presenta alcuni elementi del secondo. Infatti, l’art. 163 c.p.c. (ma si potrebbe fare riferimento anche allo stesso art. 318 c.p.c. per le controversie dinanzi al Giudice di Pace) prescrive - a pena di nullità - oltre al cd. petitum anche la cd. causa petendi mentre il Regolamento sembra fare riferimento solamente al primo dei requisiti. Inoltre, nonostante in dottrina (12) sia stato sostenuto che il gap tra le norme uniformi e quelle nazionali sia minore nel giudizio di primo grado rispetto al secondo, a parere di chi scrive ciò risulta parzialmente vero. Infatti, come sopra evidenziato, numerose volte il Regolamento rinvia alla disciplina nazionale. Anche se tale evidenza è comunque giustificabile, poiché gli Stati membri sono spesso restii ad abbondare una prospettiva territoriale, tuttavia il dato rimane e ciò comporta un notevole sforzo non solo per l'interprete ma anche per chi poi concretamente si trova ad applicare il Regolamento in questione.  In ciò probabilmente si cela la diffidenza verso un procedimento, già di per sé poco conosciuto, che rimette le parti ad un continuo sforzo di adattamento tra le regole europee e quelle dell'ordinamento nazionale. In questo senso il legislatore europeo avrebbe forse potuto fare di più ma forzare troppo la mano spesso significa rischiare di romperla e possiamo quindi concludere -per rispondere alla domanda iniziale- che il traguardo è stato almeno parzialmente raggiunto.

Note bibliografiche e bibliografia
1) Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 luglio 2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità;
2) Considerando n. 8 Reg. (CE) n. 861/2007;
3) Considerando n. 9 Reg. (CE) n. 861/2007;
4) M. Mellone, A. Pancaldi, Il nuovo regolamento comunitario sulle controversie di modesta entità, in Diritto dell’Unione europea, 2008, pag. 281 ss;
5) Cassazione, Sez. unite, 15 novembre 2007, n. 23726, in Riv. Diritto Civile, 2008, pag. 335;
6) Sonntang c. Waidamm (C - 172/91, Raccolta 1993, pag. I- 1963); Verein für Konsumenteninformation c. Karl Heinz Henkel (C - 167/00, pag. I- 8111); Realchemie Nederland BV c. Bayer CropScience AG (C- 406/09);
7) Si tratta peraltro di materie per le quali il legislatore europeo detta una regolamentazione a se stante, come nel caso delle procedure fallimentari dove trova applicazione il Reg. (CE) n. 1346/2000 (oggi sostituito dal Reg. UE n. 848/2015);
8) E. D'Alessandro, Regolamento 11 luglio 2007 n. 8612 istitutivo di un procedimento europeo per le controversie di modesta entità, Judicium;
9) Il Reg. (UE) n. 2421/2015 prevede che il Giudice possa rigettare la richiesta laddove la stessa sia “tenuto conto delle circostanze del caso, superflua per l’equa trattazione del procedimento”;
10) Considerando n. 30 Reg. (CE) n. 861/2007;
11) Di recente Trib. Milano, sentenza 26 maggio 2016;
12) E. D'Alessandro, op. cit.