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Pubbl. Lun, 30 Mag 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

La natura dinamica e in continua evoluzione del diritto tributario. La riforma della giustizia tributaria.

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Daniela Mendola
Avvocato


Il diritto tributario vive i mutamenti del mondo esterno e si adegua alle esigenze di una società in continua evoluzione. La proposta di legge finalizzata ad una riforma dell'assetto giurisdizionale si pone in linea con la natura mutevole del diritto tributario.


1. La giurisdizione tributaria, oggi.

La giurisdizione tributaria, oggi, risulta affidata alle Commissioni Tributarie le quali si divono in provinciali e regionali. Le prime sono competenti a conoscere le cause in primo grado; le seconde, invece, sono chiamate a pronunciarsi sulle controversie in sede di merito. La disciplina relativa alla giurisdizione tributaria trova cittadinanza al D.Lgs. 546/92 che, in modo chiaro ed analitico, indica gli organi competenti a conoscere le controversie di natura tributaria e i rimedi che il contribuente può esperire per difendersi da un atto impositivo. Le Commissioni Tributarie[1], attualmente, pronunciano con sentenza ogniqualvolta occorra definire il giudizio ovvero con ordinanza quando, ad esempio, sono chiamate a decidere in ordine ad una richiesta di sospensione dell’atto impugnato. L'atto impugnato, infatti, può essere sospeso su richiesta del contribuente ogniqualvolta sussistano i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Il primo, inteso come verosimile fondatezza della pretesa azionata ed il secondo inteso come pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile, connesso al decorso del tempo necessario ad ottenere tutela in via ordinaria (Tribunale Avellino sez. lav.  21 aprile 2016 n. 7638).

Le Commissioni Tributarie sono allocate all’interno della struttura abilitata ad emettere l’atto impositivo ovvero l’Agenzia delle Entrate. Al processo tributario si applicano le regole previste per il processo civile, in quanto compatibili. Dunque se la materia è disciplinata dal diritto tributario, tale disciplina prevale sulla disposizione civilistica. In mancanza di disciplina, si applicheranno le norme civilistiche, in quanto compatibili. Si tratta di un rapporto di prevalenza-compensazione che si instaura tra le due discipline. La disciplina tributaria prevale. Ma, laddove, la disciplina tributaria sia carente giungerà in soccorso la disciplina civilistica, se ed in quanto compatibile. 

Sono parti del processo innanzi alle Commissioni Tributarie oltre al ricorrente, l'ente che ha emesso l'atto impositivo e Il contribuente ha diritto di impugnare l'atto impositivo entro il termine di sessanta giorni.

Le udienze si svolgono in forma pubblica, qualora il contribuente abbia presentato espressa richiesta all’interno dell’atto introduttivo[2] del giudizio. La pubblica udienza gioca un ruolo fondamentale per la difesa del contribuente, atteso che, quest’ultimo può trasferire emozioni, stati d’animo che difficilmente traspaiono dalle carte. Ecco che, allora, la Commissione tributaria, complice il confronto con il contribuente potrà addivenire ad una decisione il più possibile giusta. Altrimenti la Commissione Tributaria deciderà in camera di consiglio. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione[3], fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio (art. 2, comma 3, D. Lgs. 546/92).

Al processo tributario si applicano le disposizioni del processo civile, in quanto compatibili. Femo restando il principio di specialità che governa l'intero ordinamento e a tenore del quale "lex specialis derogat legi generali". Al principio di specialità ha fatto riferimento la Suprema Corte, sez. tributaria, con sentenza  n. 18907/2011 "in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546 — in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima — non trova applicazione la preclusione di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla l. 18 giugno 2009 n. 69), essendo la materia regolata dall'art. 58, comma 2, del citato d.lg., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado".

Anche il processo tributario soggiace alla disciplina di cui all'art. 111 Cost. che sancisce il giusto processo come garanzia riconosciuta o, da riconoscersi, a qualsiasi cittadino. Un processo giusto è un processo svolto in contraddittorio tra le parti, a parità di condizioni (parità di armi) e davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Terzo rispetto agli interessi in gioco ed imparziale rispetto alle parti in causa. Nel caso in cui i suddetti principi risultino pregiudicati dalle circostanze in corso trovano attuazione gli istituti dell'astensione e della ricusazione. Dell'astensione che prevede che il giudice che abbia delle ragioni di compromissione con l'oggetto o con le parti della causa, mediante un atto volontario si astenga dal decidere la controversia. La ricusazione, di converso, non è un atto proveniente direttamente dal soggetto interessato, ma è un atto indotto da altri che ravvisando delle ragioni compromissorie ricusano il giudice dalla decisione finale. Sulla ricusazione deciderà il collegio al quale appartiene il componente della commissione tributaria ricusato, senza la sua partecipazione e con l'integrazione di altro membro della stessa commissione designato dal suo presidente, come indicato all'art. 6, D.Lgs. 546/92. Secondo la Suprema Corte "in tema di ricusazione del giudice, la "inimicizia" del ricusato, ai sensi dell'art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c.., non può essere desunta dal contenuto di provvedimenti da lui emessi in altri processi concernenti il ricusante, tranne che le "anomalie" denunciate siano tali da non consentire neppure di identificare l'atto come provvedimento giurisdizionale; tuttavia, qualora ricorra tale ipotesi, il giudice della ricusazione deve anche accertare se quelle anomalie, in ipotesi ascrivibili ad altre cause, siano state determinate proprio da grave inimicizia nei confronti del ricusante, su cui incombe il correlato onere di allegare fatti e circostanze rivelatrici dell'esistenza di ragioni di avversione o di rancore estranei alla realtà processuale  (Rigetta, Corte Cass. 13/12/2012)" (Cassazione civile sez. VI  24 settembre 2015 n. 18976).

Infine, ritornando ai principi di cui all'art. 111 della Carta Costituzionale, un processo è giusto quando si conclude in un tempo ragionevole. A dimostrazione dell'attualità del principio della ragionevole durata del processo la Corte Costituzionale ha così statuito "va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, secondo cui è ragionevole la durata di tre anni per i processi di primo grado, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla medesima legge n. 89 del 2001, atteso che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha previsto un limite biennale di durata complessiva" (Corte Costituzionale  19 febbraio 2016 n. 36).

2. Attualità del principio dispositivo.

Il processo tributario è governato dal cd. principio dispositivo a tenore del quale le Commissioni Tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, richiesta dati etc….Appare chiaro, allora, che le Commissioni Tributarie non possono spingersi al di là di quanto espressamente indicato dalle parti. Vero è che alle Commissioni Tributarie, seppur nei limiti di quanto indicato dalle parti, sono riconosciuti poteri molto ampi. Ad esempio il comma 2 dell'art. 7 del D.Lgs. 546/92 dispone che "quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica.....". Si tratterebbe, allora, di un seppur limitato potere inquisitorio che si esercita entro i limiti dei fatti dedotti dalle parti. Per la Suprema Corte "in tema di contenzioso tributario, l'art. 7 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, che prevede la possibile acquisizione d'ufficio di mezzi di prova, è norma eccezionale, la quale preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che sia le deposizioni testimoniali che le indagini peritali svolte nel processo penale a carico del contribuente per gli stessi fatti potevano essere valutate come elementi di mero valore indiziario dalla C.T.R.)" (Cassazione civile sez. trib.  22 giugno 2010 n. 14960).

Come ha precisato la Suprema Corte "poiché l'art. 7 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, che prevede la possibile acquisizione d'ufficio di mezzi di prova, è norma eccezionale rispetto all'art. 115 c.p.c., è precluso al giudice l'esercizio di tali poteri istruttori per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo" (Cassazione civile sez. trib.  13 gennaio 2016 n. 404). In tal senso anche la Cassazione civile sez. trib.  20 gennaio 2016 n. 955 "l'art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi. (In applicazione di detto principio, la S.C. ha ritenuto che il giudice tributario non potesse esercitare il potere di acquisizione d'ufficio di un processo verbale di constatazione richiamato nell'avviso di rettifica). (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Sicilia, sez. dist. di Messina, 10/04/2009)".

Nel principio dispositivo la volontà delle parti assume centralità e diviene punto di partenza e di arrivo dell'intera attività istruttoria del giudice tributario. E' la volontà che rileva, dunque, come ha sostenuto anche la Spurema Corte chiamata a pronunciarsi su una questione civilistica, il cui principio di diritto può ben applicarsi anche alla materia tributaria in virtù della compatibilità di cui si è parlato in precedenza "la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l'abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa. (In applicazione del principio di cui alla massima, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, avendo il ricorrente espressamente indicato, con le conclusioni, solo il credito portato in domanda con riserva ai sensi dell'art. 88 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, aveva ritenuta abbandonata la domanda di ammissione al passivo degli ulteriori crediti per i quali non pendeva ricorso innanzi al giudice tributario)" (Rigetta App. Caltanissetta 14/12/2007, Cassazione civile sez. trib.  05 luglio 2013 n. 16840). 

E’ un processo[4], quello tributario, essenzialmente documentale, privo di quell’oralità che poi è requisito indefettibile, ad esempio, dei procedimenti penali. Non sono ammessi, infatti, né il giuramento, né la prova testimoniale. Il contribuente si gioca tutto attraverso i documenti: le giustificazioni addotte devono essere documentali e non è possibile avvalersi della testimonianza di soggetti estranei alla controversia. Dell'oralità resta solo la discussione, quella pubblica, che avviene su espressa richiesta del contribuente. Le udienze, infatti, si svolgono in camera di consiglio, salvo che, il contribuente richieda espressamente la trattazione in pubblica udienza. In tal caso il contribuente ha modo di rivolgersi diettamente ai giudici esponendo le ragioni poste alla base della sua difesa e trasferendo quello che attraverso un atto scritto non potrebbe essere trasferito. Non in termini di fatto o di diritto, quello resta negli atti e nei documenti, ma sotto il profilo strettamente emozionale. Ciò potrebbe se non fondare, almeno corroborare il convincimento dei giudici che possono chiedere chiarimenti. La Commissione Tributaria definisce il giudizio mediante una sentenza. La sentenza[5], infine, come a conclusione di ogni processo, deve essere giusta e, soprattutto, giustificata.Deve essere giusta, perché, il giudice deve applicare la legge per addivenire ad una decisione finale. E deve essere giustificata, cioè motivata e la motivazione deve essere sufficiente e coerente. Essa deve contenere il dispositivo all'interno del quale l'organo giudicante indica la decisione adottatata e la motivazione che rappresenta l'iter logico-giuridico seguito dai giudici per giungere alla determinazione finale.

La Suprema Corte ha precisato "ai fini d'una decisione conforme al disposto dell'art. 132 n. 4 c.p.c., il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne' a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi onde pervenire alle assunte conclusioni, per implicito disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d'una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte perché proprio a norma dell'art. 116 comma 1 c.p.c.. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l'individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all'uopo le prove, il controllarne l'attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti" (Cassazione civile sez. III  24 marzo 2016 n. 5882). Ad abundantiam "la motivazione della sentenza è assente non solo quando sia stata assolutamente omessa o quando il testo di essa, scritto a mano (come nella specie), sia assolutamente indecifrabile, ma anche quando la sua scarsa leggibilità renda necessario un processo interpretativo del testo con esito incerto, tanto da prestarsi ad equivoci o anche a manipolazioni delle parti che possono, in tal modo, attribuire alla sentenza contenuti diversi, dovendo, invece, il "documento motivazione" essere univocamente apprezzabile da tutti i suoi fruitori per garantire che la sua analisi non esuli dal suo campo destinato, che è quello della validità delle argomentazioni giuridiche, in esso contenute, e non quello dell'interpretazione del dato testuale". (Cassa con rinvio, App. Venezia, 06/06/2013 )" (Cassazione civile sez. III  10 marzo 2016 n. 4683).

Dispositivo e motivazione sono elementi costitutivi della sentenza, in mancanza dei quali essa è affetta dalla più grave sanzione della nullità. Se il dispositivo rappresenta la decisione adottata dai giudici, la motivazione costituisce il percorso logico-giuridico seguito dai giudici per addivenire alla stessa. Sono, dunque, in rapporto di coesione e di reciproco completamento "la portata di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle statuizioni finali contenute nella parte dispositiva, ma anche delle enunciazioni riportate nella motivazione, la quale, nelle decisioni di accertamento e di condanna, incide sul momento precettivo della pronuncia tanto da considerarsi integrativa del dispositivo stesso, supplendo, eventualmente, alle lacune di questo in quanto rivelatrice dell'effettiva volontà del giudice. (Nella specie, il giudice di secondo grado non aveva espressamente disposto sulla sorte delle spese del giudizio di primo grado liquidate in favore dei terzi chiamati, precisando, peraltro, che la riforma della decisione impugnata era limitata ai rapporti tra parte attrice e parte convenuta). (Rigetta, Trib. Terni, 02/04/2013 )" (Cassazione civile sez. II  21 gennaio 2016 n. 1079). ​

La sentenza dovrà, altresì, essere coerente e conforme alle richieste della parte in applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato che trova cittadinanza all'art. 112 del codice di procedura civile. In caso di violazione del suddetto principio la sentenza sarà affetta da vizio di ultrapetizione ovvero extrapetizione. Come sostenuto dalla Suprema Corte "il vizio di ultrapetizione comporta una nullità relativa della sentenza, che va fatta valere con gli ordinari mezzi d'impugnazione e non può essere rilevata d'ufficio dal giudice del gravame, la cui pronunzia, in caso contrario, incorre nel medesimo vizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, ritenuta viziata da ultrapetizione la sentenza di primo grado, per avere accolto una domanda di risoluzione contrattuale proposta da soggetto ritenuto non legittimato, era tuttavia incorsa nel medesimo vizio, avendo rilevato d'ufficio tale difetto, dal lato attivo, della titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio). (Cassa con rinvio, App. Torino, 21/09/2010 )" (Cassazione civile sez. II  14 gennaio 2016 n. 465).

Ad abundantiam "il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del "petitum" e della "causa petendi", sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di "ultra" o "extra" petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell'azione ("petitum" o "causa petendi"), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ("petitum" immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ("petitum" mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori. (Nella specie, la S.C. ha negato il vizio di ultrapetizione della sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di una domanda risarcitoria per danni da caduta in una doccia di un centro estetico a causa della presenza di materiale viscido su un gradino, ha rilevato la carenza di prova dei fatti, aggiungendo che, se anche dimostrata la caduta nella doccia, il comportamento colposo del danneggiato - consistente nel non aver prestato la dovuta attenzione allo stato dei luoghi - era idoneo a interrompere il nesso causale). (Rigetta, Trib. Catania, 16/05/2011 )" (Cassazione civile sez. III  24 settembre 2015 n. 18868 ).

Tale principio si estende anche al procedimento amministrativo "anche nel processo amministrativo deve trovare rigorosa applicazione il principio sancito dall'art. 112 c.p.c, per il quale nella decisione adottata dal giudice deve sussistere assoluta corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Annulla TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 7701 del 2013" (Consiglio di Stato sez. IV  07 maggio 2015 n. 2325)

3. La giurisdizione tributaria, domani.

Come noto, la materia fiscale, è in continua evoluzione e reagisce agli stimoli esterni, adattandosi alle esigenze sociali. Evidentemente l’attuale composizione della giustizia tributaria non appare più adeguata a questi tempi. Al punto che si è avvertita la necessità di apportare delle riforme “adeguate”. Ecco che è arrivata, rapida e apparentemente indolore, una proposta di legge. O, per meglio dire, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la soppressione delle commissioni tributarie, provinciali e regionali, con conseguente attribuzione al giudice ordinario dei relativi procedimenti.

La suddetta proposta di legge, presentata l’otto aprile 2016, è, dunque, incentrata sulla soppressione delle Commissioni Tributarie, in favore di una riconduzione delle controversie in materia tributaria nell’alveo di competenza della giurisdizione ordinaria. Ciò partendo dall’importanza dei diritti oggetto della giurisdizione tributaria: i diritti patrimoniali. In altre parole si mira alla creazione di sezioni specializzate presso il Tribunale, con conseguente soppressione delle Commissioni Tributarie[6]. Alla soppressione delle Commissioni Tributarie[7] farà seguito la soppressione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. Spetterà, dunque, al Consiglio Superiore della Magistratura svolgere le funzioni già spettanti al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria.

Le sezioni specializzate tributarie opereranno in primo grado in composizione monocratica per la trattazione dei procedimenti di propria competenza. I magistrati che andranno a comporre le suddette sezioni specializzate dovranno essere esclusivamente magistrati ordinari il cui reclutamento avverrà mediante apposite procedure concorsuali. La formazione sarà uno degli aspetti fondamentali della riforma: obbligatoriamente i magistrati assegnati alle sezioni specializzate dovranno seguire dei corsi di formazione e di aggiornamento. Ciò opererà al fine di favorire la specializzazione dei magistrati assegnati rispetto ad un attuale modello che prevede che i magistrati in servizio prestino la propria attività anche presso le Commissioni Tributarie[8]. Ancora la riforma prevede che il personale amministrativo assegnato alle segreterie delle commissioni tributarie transiti nei ruoli del personale amministrativo dell'amministrazione giudiziaria e sia assegnato alla qualifica funzionale corrispondente a quella del personale adibito alle medesime funzioni.

In più sarà previsto un limite massimo di permanenza dei magistrati presso le sezioni specializzate che va dai cinque ai dieci anni. Inoltre il Consiglio superiore della magistratura, al fine della definizione del contenzioso pendente in materia tributaria dinanzi alla Corte di cassazione, potrà nominare giudici ausiliari che saranno scelti tra i magistrati ordinari in quiescenza da non più di due anni che abbiano svolto nella loro carriera almeno cinque anni in effettive funzioni di legittimità. Al giudizio dinanzi alle sezioni specializzate tributarie sia per la fase di cognizione che per quella di esecuzione si applicheranno, in quanto compatibili, le regole del processo attualmente previste per il rito davanti alle Commissioni Tributarie[9]. Nella proposta di legge risulta e, soprattutto, risalta anche la possibilità della difesa personale dinnanzi al tribunale[10] per le cause tributarie di valore non superiore a 3.000 euro. In modo evidente si ceca di riproporre l’organizzazione propria delle sezioni del lavoro, del tribunale dell’impresa, etc…

Non più, dunque, la giustizia tributaria allocata all’interno delle strutture che ospitano l’ente impositore[11] (circostanza che, talvolta, ha fatto sorgere dubbi sull’effettiva imparzialità della stessa), ma una giustizia autonoma ed indipendente trasfusa in sezioni specializzate del Tribunale.

4. Conclusioni.

La riforma prospettata, si pone in linea con la natura della materia tributaria, essenzialmente dinamica ed in continuo cambiamento. Il diritto tributario si adatta e si adegua all’evoluzione della società. Evoluzione che trova scaturigine dal mutamento delle esigenze e dei bisogni dei cittadini, e, dunque della realtà sociale. D’altronde, la materia tributaria tutela diritti di rango elevato, i diritti patrimoniali, e deve necessariamente conformarsi al mutamento del mondo esterno. Al cambiamento non può che adeguarsi il diritto tributario cd. processuale e, dunque, gli organi della giurisdizione tributaria.

Tale riforma si porrebbe in linea con l'obiettivo di migliorare i rapporti tra fisco e contribuente e, a tal fine, non può prescindersi dalla composizione degli organi preposti alla risoluzione delle controversie in materia tributaria.

 

 

 

 


[1]Cassazione civile sez. trib.  30 settembre 2015 n. 19445 in www.dejure.it “in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell'art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 (nella formulazione introdotta dal d.l. n. 44 del 2005, convertito in legge n. 88 del 2005, ed applicabile anche ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore), l'ente locale, nei cui confronti é proposto il ricorso, può stare in giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, anche in grado di appello, mediante il Dirigente l'Ufficio Tributi, da intendersi come il Dirigente responsabile dell'Ufficio dello specifico tributo oggetto di lite. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lazio, 13/05/2009)

 

[2]Cassazione civile sez. VI  19 febbraio 2016 n. 3315 in www.dejure.it “Gli avvisi bonari con cui l'amministrazione chiede il pagamento di un tributo sono impugnabili poiché, pur non rientrando nell'elenco contenuto nell’art. 19 d.lg. n. 546 del 1992, esplicano comunque le ragioni fattuali e giuridiche di una ben determinata pretesa tributaria, ingenerando così nel contribuente l'interesse a chiarire subito la sua posizione con una pronuncia dagli effetti non più modificabili”.

 

 

[3]Cassazione civile sez. VI  21 ottobre 2015 n. 21483 in www.dejure.it “l’'attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto ogni genere di tributo si estende ad ogni questione relativa all'"an" o al "quantum" dello stesso, compresa l'eccezione di prescrizione, quale fatto estintivo dell'obbligazione tributaria”.

 

[4]Cassazione civile sez. trib.  23 marzo 2016 n. 5749 in www.dejure.it “In tema di contenzioso tributario, la regola prevista in via residuale dall'art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, che consente l'effettuazione delle notificazioni e delle comunicazioni presso la segreteria della commissione, si applica non solo nei casi, espressamente menzionati di originaria carenza o inidoneità delle indicazioni fornite dalla parte, ma anche nelle ipotesi in cui, non essendo stato adempiuto l'onere di comunicare le successive variazioni, la sopravvenuta inefficacia delle predette indicazioni renda in concreto impossibile procedere alla notificazione o alla comunicazione. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto valida la comunicazione dell'avviso di trattazione effettuata presso la segreteria della commissione tributaria, non avendo la parte dato notizia dell'avvenuto trasferimento dello studio del difensore, presso cui aveva eletto domicilio). (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Emilia Romagna, 06/07/2009)”.

 

[5]Comm. trib. reg. Bari (Puglia) sez. VII  06 ottobre 2015 n. 2078 in www.dejure.it “l’'art. 64, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, che prevede la revocazione ordinaria contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto irrevocabili, si riferisce all'inoppugnabilità derivante dalle preclusioni relative all'oggetto del giudizio, ovvero, sentenze di secondo grado, all'impossibilità di contestare l'accertamento in fatto in sede di legittimità”.

 

[6]Cassazione civile sez. un.  21 luglio 2015 n. 15201 in www.dejure.it “la controversia avente ad oggetto il classamento delle unità immobiliari e l'attribuzione della rendita catastale appartiene alla giurisdizione delle commissioni tributarie, ex art. 2, comma 2, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, anche quando la rendita o l'atto di classamento siano impugnate dall'amministrazione comunale e non (o non solo) dal contribuente, dovendosi escludere, alla stregua di un'interpretazione letterale, logica e sistematica, oltre che costituzionalmente orientata, che l'inciso "promosse dai singoli possessori", contenuto nella norma, sia idoneo a condizionare, sotto il profilo soggettivo di chi adisca il giudice, i limiti della giurisdizione delle suddette commissioni. (Regola giurisdizione)”.

 

[7]Cassazione civile sez. trib.  14 ottobre 2015 n. 20639 in www.dejure.it “in tema di contenzioso tributario, contro le sentenze pronunciate in sede di ottemperanza dalle commissioni tributarie provinciali (così come per quelle regionali), è ammesso quale mezzo d'impugnazione, ai sensi dell'art. 70, comma 10, del d.lgs. n. 546 del 1992, soltanto il ricorso per cassazione, anche quando tali decisioni non siano di accoglimento ma di rigetto o d'inammissibilità, atteso che, non essendo l'appello compatibile con le pronunce della commissione tributaria regionale, una diversa interpretazione creerebbe un sistema processuale disarmonico. (Cassa senza rinvio, Comm. Trib. Reg. Napoli - sez. distacc. Salerno, 19/02/2009)”.

 

[8]Cassazione civile sez. trib. 02 dicembre 2015 n. 24511 in www.dejure.it“nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado, disciplinato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il giudice di merito non ha il potere di statuire sulle spese di giudizio, che sono compensate "ope legis", sicché, in tale sistema processuale, non trova applicazione il principio per cui il giudice del giudizio di rinvio deve provvedere, anche di ufficio, alla regolamentazione delle spese relative a tutte le fasi del giudizio di merito secondo il principio della soccombenza. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Catania, 23/11/2009)”.

 

[9]Cassazione civile sez. un.  03 maggio 2016 n. 8770 in www.dejure.it “I contributi spettanti ai consorzi di bonifica ed imposti ai proprietari per le spese relative all'attività per la quale sono obbligatoriamente costituiti rientrano nella categoria generale dei tributi e le relative controversie, insorte dopo il primo gennaio 2002, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, in applicazione dell'art. 2 del d.lg. n. 546 del 1992, nel testo modificato dall'art. 12 della legge 448 del 2001, il quale ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie”.

 

[10]Tribunale Taranto sez. II  17 marzo 2016 n. 931 in www.dejure.it “La giurisdizione, infatti, si ripartisce tra g.o. e giudice tributario a seconda della natura del credito azionato, con la conseguenza che le controversie in tema di iscrizione ipotecaria rientrano nella giurisdizione delle commissioni Tributarie nel caso in cui siano state effettuate per ottenere il pagamento di imposte e tasse”.

 

[11]Cassazione civile sez. trib.  23 ottobre 2015 n. 21593 in www.dejure.it “in tema di contenzioso tributario, è ammissibile il ricorso del contribuente avverso il silenzio rifiuto, sebbene notificato ad un ufficio dell'Agenzia delle entrate diverso da quello territorialmente competente a provvedere sull'istanza, atteso il carattere unitario dell'Agenzia delle entrate e la natura impugnatoria del processo, in cui è attribuita la qualità di parte all'ente organo che ha emesso o avrebbe dovuto emettere, in caso di diniego, l'atto, e non alle sue singole articolazioni. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Puglia, 28/04/2009)”.