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Pubbl. Mar, 19 Apr 2016

Abuso del diritto ed elusione fiscale: unŽunica realtà

Daniela Mendola


Alla luce della riforma fiscale lŽabuso del diritto e lŽelusione fiscale sono stati concettualmente unificati. Il D.L.gs. 156/2015 ha introdotto lŽart. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente che disciplina lŽelusione fiscale. LŽinserimento allŽinterno della l. 212/2000, che recepisce i principi costituzionali, prova che lŽobiettivo è quello di aumentare la tutela da eventuali condotte elusive


Sommario: 1) Abuso del diritto ed elusione fiscale; 2) Interpello antielusivo; 3) Conclusioni. 1) Abuso del diritto ed elusione fiscale Come espressamente previsto dall’art. 10 della l. 212/2000 i rapporti tra fisco e contribuente devono essere improntati alla leale collaborazione ed alla buona fede[1], tale per cui sia l’Amministrazione Finanziaria sia il contribuente devono comportarsi nel rispetto reciproco. L’Amministrazione finanziaria non deve abusare dei suoi poteri e tale obbligo si riverbera sul dovere dell’Ufficio di emettere un avviso di accertamento che sia il più possibile vicino ad un effettivo ed equo recupero erariale. Parimenti, il contribuente ha il dovere di concorrere alle spese dello Stato ed è assoggettato all’imposizione pur potendo avvalersi di vantaggi quali deduzioni, detrazioni ovvero crediti d’imposta. Tali diritti espressamente riconosciuti al contribuente non devono, tuttavia, essere oggetto di abuso[2] da parte di quest’ultimo. Al fine di tutelare l’Ufficio da eventuali abusi da parte del contribuente è stata prevista un’espressa e specifica disciplina della condotta cd. elusiva. L’elusione rappresenta un aggiramento della norma giuridica ovvero una violazione indiretta della norma tributaria. Essa trova cittadinanza all’art. 10 bis della l. 212/2012 rubricato “Abuso del diritto ed elusione fiscale” e si tratta di una vera e propria norma antiabuso[3]. L’art. 10 bis è stato introdotto a seguito della l. 23/2014, legge di delega fiscale, e prevede l’unificazione dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale[4], mentre prima della riforma l’elusione fiscale[5] era allocata all’art. 37 bis del DPR. 600/73 e non si configurava l’ipotesi di abuso del diritto. E’ chiaro che il legislatore nell’introdurre l’elusione fiscale nello Statuto dei diritti del contribuente (che recepisce i principi costituzionali) ha voluto aumentare la soglia di tutela dell’Ufficio. Secondo il predetto dettato normativo “configurano abuso del diritto una o più operazioni economiche prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

Sommario: 1) Abuso del diritto ed elusione fiscale; 2) Interpello antielusivo; 3) Conclusioni.

1) Abuso del diritto ed elusione fiscale

Come espressamente previsto dall’art. 10 della l. 212/2000 i rapporti tra fisco e contribuente devono essere improntati alla leale collaborazione ed alla buona fede[1], tale per cui sia l’Amministrazione Finanziaria sia il contribuente devono comportarsi nel rispetto reciproco. L’Amministrazione finanziaria non deve abusare dei suoi poteri e tale obbligo si riverbera sul dovere dell’Ufficio di emettere un avviso di accertamento che sia il più possibile vicino ad un effettivo ed equo recupero erariale. Parimenti, il contribuente ha il dovere di concorrere alle spese dello Stato ed è assoggettato all’imposizione pur potendo avvalersi di vantaggi quali deduzioni, detrazioni ovvero crediti d’imposta. Tali diritti espressamente riconosciuti al contribuente non devono, tuttavia, essere oggetto di abuso[2] da parte di quest’ultimo. Al fine di tutelare l’Ufficio da eventuali abusi da parte del contribuente è stata prevista un’espressa e specifica disciplina della condotta cd. elusiva. L’elusione rappresenta un aggiramento della norma giuridica ovvero una violazione indiretta della norma tributaria. Essa trova cittadinanza all’art. 10 bis della l. 212/2012 rubricato “Abuso del diritto ed elusione fiscale” e si tratta di una vera e propria norma antiabuso[3]. L’art. 10 bis è stato introdotto a seguito della l. 23/2014, legge di delega fiscale, e prevede l’unificazione dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale[4], mentre prima della riforma l’elusione fiscale[5] era allocata all’art. 37 bis del DPR. 600/73 e non si configurava l’ipotesi di abuso del diritto. E’ chiaro che il legislatore nell’introdurre l’elusione fiscale nello Statuto dei diritti del contribuente (che recepisce i principi costituzionali) ha voluto aumentare la soglia di tutela dell’Ufficio. Secondo il predetto dettato normativo “configurano abuso del diritto una o più operazioni economiche prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

Il comma 2, definisce in modo dettagliato quali sono le operazioni[6] prive di valide ragioni economiche, in particolare “i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”. Si considerano vantaggi fiscali indebiti “i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”. La Cassazione civile sez. trib. 15 luglio 2015 n. 14761 ha affermato che “L´abuso del diritto si configura solo per l´aggiramento «patologico» di norme tributarie. Tale istituto opera solo se l´operazione posta in essere si spiega soltanto con l´intento di ottenere il risparmio fiscale. Occorre escludere l´elusione fiscale a carico della società che prima riduce il capitale sociale con distribuzione ai soci e poi emette un prestito obbligazionario sottoscritto dai soci a favore della compagine; spetta soltanto all´impresa, infatti, decidere se finanziarsi con risorse proprie o di terzi”.

L’inopponibilità deve essere intesa nel senso che gli atti privi di valide ragioni economiche[7] risultano essere inesistenti ab origine ovvero come se il contribuente non li avesse mai posti in essere. Ancora la Suprema Corte sez. VI  22 giugno 2015 n. 12844 ha precisato che “il  divieto di abuso del diritto preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l´uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere agevolazioni o risparmi d´imposta, in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tra le operazioni che posso dar luogo ad una violazione del divieto in oggetto rientrano le manovre sui prezzi di trasferimento nei rapporti interni (cd. transfer pricing domestico). Nella valutazione del comportamento delle società coinvolte si deve fare riferimento al principio, avente valore generale, stabilito dall´art. 9 d.P.R. n. 917 del 1986. Il giudice di merito deve procedere ad una nuova valutazione delle circostanze, valutando se dall´operazione compiuta siano derivati vantaggi fiscali per il contribuente”. A differenza dell’evasione[8] che configura un’ipotesi di violazione diretta della norma tributaria, l’elusione[9] rappresenta una violazione indiretta[10] dal momento che il contribuente è titolare di un diritto di cui però non fa buon uso.

2) Interpello antielusivo

In ossequio al principio di leale collaborazione, di cui sopra, è riconosciuto al contribuente il diritto di “interpellare” l’Amministrazione Finanziaria per ottenere chiarimenti circa l’interpretazione di una norma giuridica[11] il cui significato prima facie appare oscuro oppure per capire se una data condotta sia fiscalmente rilevante. Al fine di evitare di assumere una condotta che integri gli estremi della condotta elusiva il contribuente ha il diritto di rivolgersi all’Amministrazione Finanziaria mediante il cd. interpello antielusivo. In particolare il contribuente può esercitare il proprio diritto di interpello (art. 11 l. 212/2000), prospettando all’Ufficio la sua condotta e chiedendo se trattasi di una condotta elusiva. L’istanza di interpello deve contenere l’indicazione puntuale della condotta posta in essere dal contribuente, l’esposizione in modo chiaro della richiesta, l’indicazione del domicilio ove deve essere comunicata la risposta ed, infine, la sottoscrizione del richiedente. Essa va presentata in via preventiva, a pena di inammissibilità. Come la Suprema Corte ha affermato “Il contribuente è tenuto a proporre interpello ex art. 11, della legge 27 luglio 2000 n.212, prima di porre in essere, nell´esercizio della propria attività economica, la condotta oggetto della richiesta di informazioni all´ amministrazione finanziaria, atteso che, diversamente, non si giustificherebbe l´efficacia vincolante, per entrambe le parti del rapporto tributario, dell´interpretazione fornita dall´ amministrazione medesima delle norme applicabili alla specifica fattispecie concreta. Rigetta, Comm. Trib. Reg. Marche, 25/05/2007” (Cassazione civile sez. trib. 17 luglio 2014 n. 16331).

A seguito della l. 23/2014 di delega fiscale l'art. 11 della l. 212/2000 ha subito una modifica nella rubrica mutando da "interpello del contribuente" a "diritto di interpello". Ciò a dimostrazione del passaggio da una situazione giuridica di facoltà riconosciuta al contribuente ad un vero e proprio diritto di chiedere un confronto con l'Amministrazione Finanziaria, ampiamente tutelato. L’Ufficio, in caso di interpello antielusivo, ha a disposizione 120 giorni per fornire una risposta al quesito formulato dal contribuente e la risposta è vincolante e il contribuente non può discostarsi.

La risposta fornita dall’Ufficio risulta essere vincolante limitatamente alla questione sottoposta all’attenzione e limitatamente al contribuente che ha presentato istanza. L’Ufficio può rispondere o mediante circolare, ogniqualvolta la domanda è presentata da un solo contribuente oppure mediante risoluzione quando la richiesta è presentata da una pluralità di contribuenti e per ragioni di economicità. Qualora l’Amministrazione Finanziaria ometta di rispondere si configura l’ipotesi del cd. silenzio assenso. Prima di emettere un avviso di accertamento per condotta elusiva del contribuente l’Amministrazione Finanziaria sarà tenuta a convocare lo stesso per il contraddittorio. Sebbene, nell’ordinamento tributario il contraddittorio[12] non rappresenta un obbligo generale, vi sono delle ipotesi tassative per le quali esso va obbligatoriamente esperito. Tra queste vi rientra l’ipotesi dell’accertamento antielusivo atteso che il contribuente deve essere chiamato preventivamente al fine di fornire giustificazioni alla propria condotta ed evitare, se del caso, l’atto impositivo. Ciò evidentemente proprio in ragione del fatto che la condotta elusiva rappresenta una violazione indiretta di una norma giuridica e deve essere riconosciuto al contribuente il diritto di spiegare le ragioni[13] della sua condotta prima ancora di subire le conseguenze negative di un avviso di accertamento. Il contribuente, infatti, è titolare di un diritto di cui però secondo l'Amministrazione Finanziaria ne fa abuso. Occorre, dunque, che l'Amministrazione Finanziaria consenta al contribuente di giustificare la propria condotta che si presume essere una condotta elusiva. 

3) Conclusioni

L’elusione è oggetto da tempo di riforme ed interventi legislativi. Il fine di tali modifiche è di introdurre una doppia tutela: dell’Amministrazione Finanziaria contro le condotte elusive dei contribuenti e, dall’altra parte del contribuente stesso qualora abbia posto in essere condotte solo apparentemente elusive di cui può fornire giustificazione. L’interpello antielusivo rappresenta una forma ampia di tutela del contribuente atteso che quest’ultimo ove venga reso edotto che la sua condotta integra gli estremi della condotta cd. elusiva può mutare il suo comportamento per evitare di essere sanzionato. In più al contribuente è riconosciuto il diritto di essere chiamato a fornire giustificazioni della propria condotta per non subire un atto impositivo.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Tribunale Bari sez. III  13 marzo 2014 n. 1327  in www.dejure.it Il principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta delle parti, deve accompagnare il contratto in tutte le sue fasi, da quella della formazione a quelle della interpretazione e della esecuzione, comportando, quale ineludibile corollario, il divieto, per ciascun contraente, di esercitare verso l´altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati, nonché, il dovere di agire, anche nella fase della patologia del rapporto, in modo da preservare, per quanto possibile, gli interessi della controparte, e quindi, primo tra tutti, l´interesse alla conservazione del vincolo. Al riguardo, una giurisprudenza attenta alle posizioni soggettive in sofferenza si spinge al punto da prefigurare, in ambito contrattuale, in nome del dovere inderogabile di solidarietà di cui all´ art. 2 cost., un sindacato - anche in senso modificativo o integrativo - dello statuto negoziale, nonché un controllo di ragionevolezza di singole clausole, in funzione di contemperamento degli opposti interessi dei paciscenti”.
[2] Cassazione civile sez. trib.  24 luglio 2015 n. 15642 in www.dejure.itIn tema di determinazione del reddito d´impresa, la disciplina di cui all´art. 76 (ora 110), comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986, finalizzata alla repressione del cd. ´transfer pricing´, costituisce una clausola antielusiva diretta ad evitare che all´interno del gruppo vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l´applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti, onde sottrarli alla tassazione in Italia a favore di tassazioni estere inferiori, per cui grava sull´Amministrazione l´onere di provare i presupposti dell´elusione fiscale e, dunque, la superiorità della fiscalità in Italia all´epoca dell´operazione rispetto a quella in vigore nel territorio dello Stato dell´impresa non residente. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lombardia, 29/02/2008)”.
[3] Cassazione civile sez. trib. 18 settembre 2015 n. 18392 in www.dejure.it“In tema di determinazione del reddito d´impresa, la normativa di cui all´art. 76, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 (ora 110, comma 7), non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del ´transfer pricing´ (spostamento d´imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato, sicché la prova gravante sull´Amministrazione finanziaria non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l´esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, incombendo, invece, sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c. ed in materia di deduzioni fiscali, l´onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall´art. 9, comma 3, del menzionato decreto. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lombardia, 07/05/2010)”.
[4] Cassazione civile sez. trib.  16 dicembre 2015 n. 25281 in www.dejure.it“In tema d´imposte dei redditi, l´art. 167 (già 127 bis) del d.P.R. n. 917 del 1986, che prevede l´imputazione dei redditi della controllata, residente in uno Stato a fiscalità privilegiata, alla controllante residente in Italia, salva la prova che la ´controlled foreign company´ svolga un´effettiva attività nello Stato d´insediamento o, in alternativa, che alla partecipazione non consegua l´effetto di localizzare i redditi in territori soggetti a regimi fiscali privilegiati, non contrasta con la convenzione Italia-Cipro per evitare le doppie imposizione e prevenire l´elusione fiscale, atteso che nell´ordinamento fiscale internazionale vige la clausola generale del beneficiario effettivo, in virtù della quale può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell´altro Stato contraente, che abbia l´effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. del Lazio, 09/09/2008)”.
[5]Cassazione penale sez. II  11 giugno 2015 n. 41353  in www.dejure.it“In tema di confisca di prevenzione, la buona fede del terzo creditore, il quale sia titolare di un diritto di garanzia sul bene oggetto del provvedimento ablatorio, non può essere riconosciuta qualora, trattandosi di ipoteca iscritta a garanzia di un mutuo concesso da una banca per l´acquisto del medesimo bene, risulti che l´istituto di credito abbia agito nella consapevolezza di consentire la realizzazione di una elusione fiscale (correlata alla indicazione, nell´atto di acquisto, di un prezzo inferiore a quello effettivo) come pure della non coincidenza tra l´apparente mutuatario, del tutto privo di adeguate risorse economiche, e l´effettivo beneficiario dell´erogazione, la cui offerta di garanzia, inoltre, era consistita nel trasferimento del portafoglio titoli presso l´istituto mutuante, in contrasto con la direttiva europea in materia di antiriciclaggio”.
[6] Cassazione civile sez. trib.  30 dicembre 2015 n. 26057 in www.dejure.it “In tema di imposte sui redditi, ricorre il cd. ´dividend washing´ in caso di acquisto di titoli presso un fondo comune d´investimento e successiva rivendita dei medesimi dopo la percezione dei dividendi, essendo tale nozione integrata ogniqualvolta, a prescindere dalla natura civilistica del negozio posto in essere, siano utilizzati strumenti giuridici al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale ed in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l´operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel vantaggio, quindi senza concreto scambio di prestazioni contrattuali, la cui effettività deve essere dimostrata dal contribuente, in adempimento dell´onere di provare le componenti passive del reddito; in caso di mancato assolvimento del menzionato onere probatorio, tale negozio resta inopponibile all´Amministrazione finanziaria, anche nel regime anteriore all´entrata in vigore dell´art. 7 bis della l. n. 429 del 1992, in virtù del principio antielusivo accolto dall´art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, che non permette la divergenza fra il possessore reale del reddito e quello apparente, ancorché essa derivi dall´interposizione di un terzo, quale espressione di una regola generale, desumibile dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria e sotteso all´art. 53 Cost., laddove menziona la capacità contributiva e la progressività dell´imposizione. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Emilia Romana, 26/01/2009)”.
[7] Tribunale Catania sez. V  27 novembre 2014 in www.dejure.it “La considerazione che non è vietato al contribuente scegliere, tra i comportamenti consentiti dall´ordinamento, quello fiscalmente meno oneroso, così realizzando una lecita “pianificazione fiscale”, impone evidentemente, ogniqualvolta si disquisisca di condotte “elusive” una configurazione rigorosa delle ragioni economiche rappresentate dalla parte; non può dunque ritenersi sufficiente, attesa la necessità di una scelta corretta tra “lecito risparmio di imposta” e “elusione”, l´affermazione negativa (dell´esistenza di apprezzabili ragioni economiche) dell´Agenzia delle Entrate, a fronte delle ragioni economiche addotte dall´interessato, la cui pretestuosità (deve) essere dimostrata, attraverso un´apposita indagine mirata. Pertanto, il tema dell´abuso del diritto e dell´elusione fiscale, a tutt´oggi, postula la necessità di un approfondimento oltre che di un intervento legislativo, in ragione della problematicità dell´individuazione, in via interpretativa, di condotte penalmente rilevanti; individuazione che deve necessariamente tenere conto dei principi di legalità e tassatività dell´illecito penale, a livello tanto nazionale quanto sovranazionale (art. 7 Cedu e 49 Carta di Nizza)”.
[8] Cassazione civile sez. VI  23 dicembre 2015 n. 25951 in www.dejure.it “L´amministrazione finanziaria, nell´attività di contrasto e accertamento dell´evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell´accertamento e nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all´estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria”.
[9] Cassazione civile sez. II  05 giugno 2015 n. 11665 in www.dejure.it“La stipulazione contestuale di atti di concessione di mutui fondiari da parte di banche e di vendite per prezzi inferiori alla somma mutuata può comportare la violazione del dovere di informazione e consiglio gravante sul notaio, sotto il profilo della mancata segnalazione alle parti delle conseguenze dell´elusione fiscale eventualmente ravvisabile nell´operazione. Cassa App. Venezia, ord. 11 maggio 2013.”
[10] Cassazione civile sez. trib.  26 febbraio 2014 n. 4604  in www.dejure.it “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l´uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un´agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l´operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici; ne consegue che il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell´azienda. (Nella specie, in applicazione dell´enunciato principio, la S.C. ha ritenuto inadeguatamente motivata l´esclusione delle valide ragioni economiche dell´acquisto, da parte della contribuente, delle azioni di una società estera, benché rientrante in più ampio progetto di riorganizzazione strutturale e funzionale di un gruppo societario di cui la prima era ´capogruppo´). Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. delle Marche, 08/01/2009”.
[11] T.A.R. Roma (Lazio) sez. I  12 maggio 2015 n. 6855  in www.dejure.itIl principio dell´affidamento è suscettibile di applicazione anche nel diritto pubblico, collegandosi direttamente all´obbligo di buona fede oggettiva quale regola di condotta che, per quanto riconosciuta espressamente nelle sole disposizioni del c.c., conforma l´assiologia dell´ordinamento generale, venendo così a coincidere con l´aspettativa di coerenza dell´Amministrazione con il proprio precedente comportamento, la quale diviene fonte di un vero e proprio obbligo, per quest´ultima, di tenere in adeguata considerazione l´interesse dell´amministrato, la cui protezione non si presenta più come il prodotto, accessorio, della cura dell´interesse pubblico, ma come l´oggetto di una autonoma pretesa, contrapposta all´interesse dell´Amministrazione. Il risultato è che la verifica giurisdizionale dell´osservanza del principio di buona fede non coincide con quella svolta in termini di eccesso di potere (ovvero secondo il paradigma della logicità e ragionevolezza) bensì attiene all´osservanza di una norma (quella di buona fede e correttezza) che si rivolge all´Amministrazione nella relazione con il cittadino. L´impostazione di ricondurre la buona fede tra gli obblighi di comportamento dell´Amministrazione esigibili dal privato, del resto, ben si raccorda con le istituzioni giuridiche dell´ordinamento sovranazionale in cui risulta ormai costituzionalizzato il ´diritto alla buona amministrazione´ tra i diritti connessi alla posizione fondamentale di cittadinanza, il cui pregnante contenuto valoriale riveste una indubbia funzione di integrazione e interpretazione delle norme vigenti, imponendo di pendere in rinnovata considerazione la formulazione delle regole che presiedono all´esercizio del potere”.
[12] Cass. civ., sez. trib.  14 novembre 2014, n. 24316, in www.dejure.it, “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l´art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l´inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l´emanazione dell´avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un´ispezione o una verifica nei locali destinati all´esercizio dell´attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l´illegittimità dell´atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell´atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l´emissione anticipata, bensì nell´effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall´osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all´epoca di tale emissione, deve essere provata dall´ufficio”.
[13] Cass. civ., sez. trib. , 5 febbraio 2014, n. 2592, in www.dejure.it., “in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l´inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni, dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, per l´emissione dell´avviso di accertamento, previsto dall´art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, determina, di per sé, l´illegittimità dell´atto impositivo emesso ´ante tempus´, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, riferite al rapporto tributario controverso, che non possono identificarsi nell´imminente spirare del termine di decadenza di cui all´art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che comporterebbe anche la convalida, in via generalizzata, di tutti gli atti in scadenza, mentre, per contro, è dovere dell´amministrazione attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale. Cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Bologna, 16/01/2006”.Cass. civ., 29 luglio 2013, n. 18184 del 2013, in Foro It., 2013, 10, I, 2778 .