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Pubbl. Mer, 2 Mar 2016

Verso una prima definizione di «matrimonio paritario»

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Beniamino Piciullo


Discutere di omosessualità in Italia è risultato fin da sempre assai complesso. Sebbene infatti ormai da tempo sia «consentito» a persone dello stesso sesso di intessere una relazione affettivo-sentimentale, resta ferma la concezione dominante secondo cui l´omosessualità sia una condizione di «a-normalità». Da ciò il dibattito politico, tutt´ora irrisolto, inerente il riconoscimento o meno di diritti in capo alle coppie omoaffettive; come se poi fosse ancora ammissibile, in una democrazia costituzionale, la discrezione politica al «riconoscimento» di un qualunque diritto fondamentale.


SOMMARIO: 1. Direttive forti dalla Corte Costituzionale - 2. Sul fondamento costituzionale del matrimonio paritario.

1. Direttive forti dalla Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale è già intervenuta nel merito della questione [1], escludendo però un superamento del paradigma eterosessuale del matrimonio. Tuttavia le motivazioni addotte dai giudici delle leggi nel 2010 sembrano aprire nuove strade alla “legalizzazione” dei c.d. “matrimoni omoaffettivi”, o, più esattamente, “matrimoni paritari”. Le parole della Corte risultano assai favorevoli ad un riconoscimento costituzionale dell'unione omosessuale [2]. È pur vero che la Consulta ammette che "spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni [omosessuali] suddette", ma si riserva la "possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni". "Può accadere, infatti – si legge nella sentenza – che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che [la] Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.".

Nella sentenza citata la Corte discute approfonditamente circa l'interpretazione dell'articolo 29 della Costituzione, fondando su tre argomenti principali la conclusione secondo cui il paradigma eterosessuale del matrimonio costituzionalmente sanzionato "non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.". In particolare:
1. la definizione della famiglia come “società naturale” (di cui all'art. 29 Cost.);
2. la rigidità del codice del '42 nell'interpretazione eterosessuale del matrimonio;
3. lo stretto collegamento tra gli articoli 29 e seguenti della Costituzione.

Una lettura più sistematica, tuttavia, sembra far intendere che la Corte utilizzi detti parametri con il solo obiettivo di giungere all'intenzione originaria del costituente o – più precisamente – al riferimento che il costituente fa nel momento in cui concepisce ed approva quello stesso articolo 29.  È infatti indubitabile che la Costituente del '46 abbia pensato ad altro istituto differente da quello all'epoca in vigore nelle disposizioni codicistiche – la Consulta sottolinea – tutt'ora vigenti. La Corte infatti, nell'introdurre i suoi argomenti, al contempo li confuta. I giudici ammettono "che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere «cristallizzati» […] e, quindi, vanno interpretati tenendo conto […] anche dell’evoluzione della società e dei costumi"; e che i costituenti non presero in considerazione le unioni omosessuali nel corso delle loro discussioni poiché l'unico istituto all'epoca rilevante dal punto di vista giuridico era quello del matrimonio così come istituzionalizzato nel codice. Per quanto attiene al terzo motivo, la Corte ricorre, seppur brevemente, al disposto dell'articolo 30 della Costituzione [3], affermando che la "(potenziale) finalità procreativa del matrimonio [...] vale a differenziarlo dall’unione omosessuale.".

Tuttavia, tenendo in considerazione anche la peculiarissima situazione di cui alla sentenza n. 170 del 2014 – stando a quanto descritto dalla Corte – l'unico discrimine che può sussistere tra un matrimonio eterosessuale ed un'unione civile è l'istituto matrimoniale in sé, così come definito dal codice civile tutt'oggi in vigore. È evidente, infatti, che la Consulta ponga l'accento fin da subito sulle conseguenze catastrofiche che una pronuncia di incostituzionalità potrebbe determinare [4].

L'excursus storico che recupera l'intenzione e la concezione del costituente, in effetti, ha il pratico risvolto di far intendere la non sovrapponibilità del vecchio istituto matrimoniale con la nuova disciplina delle unioni civili, senza che ciò snaturi la disciplina vigente. La Corte probabilmente ha legato la sua interpretazione alle norme codicistiche ed ha sottolineato il dovere essenziale del legislatore nel porre in essere la nuova disciplina, per suggerire una «riscrittura ex novo» dell'intero istituto matrimoniale, che possa consentire così una più concreta integrazione con quelli che sono gli istituti ad esso strettamente collegati (come ad esempio, caso critico, l'adozione). La Corte si mostra infatti favorevole ad un riconoscimento di sostanziale “non-differenza” tra i diritti ed i doveri derivanti dal matrimonio e quelli che deriverebbero dalla nuova disciplina, anche fosse quello dell'unione civile [5]. Per la Consulta, quindi, un nuovo e differente istituto, si configurerebbe sostanzialmente come un “matrimonio paritario”, pur restando formalmente qualcos'altro.

D'altro canto la Corte è assai accorda nello specificare che, seppur – come già detto – i concetti di famiglia e di matrimonio andrebbero interpretati tenendo conto anche dell’evoluzione della società e dei costumi, una tale interpretazione evolutiva "non [potrà] spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata." [6]. Il giudice delle leggi è ben consapevole che la mera identificazione del rapporto di coppia omosessuale sotto l'etichetta di «matrimonio», così come vigente nel nostro ordinamento, comporterebbe il trasferimento in capo alle coppie omosessuali di ogni diritto spettante esclusivamente fino ad allora alle sole coppie eterosessuali coniugate. Ciò detto, ben si comprende, che senza un'attenta e preventiva revisione dell'intera disciplina matrimoniale – tenendo conto anche della legislazione di contorno – includere le unioni omosessuali nel matrimonio potrebbe dar vita a situazioni imprevedibili e tendenzialmente rischiose, socialmente e politicamente. Meglio si apprezza così l'estenuante analisi di ciò che il costituente avrebbe potuto prevedere, non tanto per negare in assoluto un'interpretazione evolutiva dell'articolo 29, quanto per evitare che dal diritto al matrimonio (allargato anche alle coppie omosessuali), possa derivare un (pericoloso)  diritto – costituzionalmente garantito – ad ottenere altri diritti.

2. Sul fondamento costituzionale del matrimonio paritario

Quello inerente la determinazione dell'orientamento sessuale è un processo che ormai da tempo interessa lo studio di numerosi dottori e professori in tutto il mondo ed è fondamentale ben intenderlo per meglio comprendere i risvolti che dovranno aversi in ambito costituzionale.

In genere detta caratteristica peculiare dell'individuo – ormai abbandonate (anche se non integralmente) le concezioni secondo cui possa derivare da una scelta o essere un disturbo – emerge tra la media infanzia e la prima adolescenza, ma non sempre l'orientamento emergente viene accettato, spesso infatti – a causa di pregiudizi di ordine morale, sociale o religioso – lo si nega [7]. Se quindi la maggior parte di noi è eterosessuale ciò con molta probabilità deriva dall'abitudine, dall'educazione tradizionale, da quel senso di «pudore» che viene opposto “da noi a noi stessi” nel momento in cui pensiamo a qualcosa di discostante dalla «comune» concezione di “normalità”.

Nella mente di un italiano medio, già anche ed inevitabilmente influenzata da una tradizione cristiana secolarizzata, vige la costante di ritenere «impuri» e «da nascondere» tutti quei comportamenti romantico-passionali che divergono dalla «naturale» eterosessualità. Nel corso della sua adolescenza, quindi, l'individuo, anche scoprendo una certa attrattiva in persone dello stesso sesso, cercherà di allontanarsi dalle sue pulsioni per rientrare nella «norma» determinata dalla sua concezione morale tradizionale, cristiana ed eterosessuale.

L'intervento della razionalità che governa le pulsioni, di quel Super-Io freudiano che cerca di tenere a freno le passioni dell'Es, non consente all'individuo di conseguire liberamente la sua personalità. L'omosessualità è infatti vista come un divieto sociale, motivo di discriminazione ed emarginazione, un limite alla «relazionalità» della persona, eppure la Repubblica dovrebbe (meglio, deve) garantire all'uomo (rectius alla persona concreta) di potersi liberamente realizzare, sia come singolo, che nelle formazioni sociali. Ecco quindi trovato il fondamento – in verità già confermato dalla giurisprudenza della Consult [8] – del diritto alla determinazione dell'orientamento sessuale.

Ciò assunto veniamo adesso al carattere più innovativo che vien legandosi al nostro discorso, che fin ora è sussumibile ad una mera ricognizione, sebbene non esaustiva, delle teorie alla base dell'omosessualità (ma non solo) e relative alla sua tutela costituzionale.

Assodato quindi che oltre un diritto inviolabile (individuale) alla libera determinazione dell'orientamento sessuale, esiste anche un diritto del medesimo calibro, ma “relazionale”, che è quello alla libera formazione di una coppia omosessuale, ben si potrà comprendere, alla luce di quanto già detto, che un'«unione civile», per quanto possa essere ben congegnata, non potrà mai sostituire il concetto stesso di “matrimonio paritario”.

Per come la si sta pensando ed intendendo, l'unione civile è e resterà un istituto compensativo, affiancandosi all'«istituto della normalità tradizionale», che è quello matrimoniale. Ciò non sarebbe altro che una sfacciata ammissione istituzionalizzata di «a-normalità» del rapporto omosessuale, la quale probabilmente renderebbe ancora più difficile lo sfondamento del muro della tradizione, non consentendo così il pieno sviluppo della persona umana nell'ambito delle relazioni «diversamente eterosessuali». A questo punto le soluzioni sembrano essere solo due: la prima è quella di abbattere il secolare istituto matrimoniale e fondare, per tutti, quello delle «unioni civili», relegando il matrimonium al mero ambito religioso, data l'estrema sacralità che gli uomini di fede riescono a scorgere all'interno di un sostantivo la cui derivazione è eminentemente laica; altra soluzione sarebbe invece quella, molto più sensata, di «aggiornare» il nostro codice civile e sostituire al «matrimonio eterosessuale» il «matrimonio paritario». In tal maniera, provvedendo anche ad adeguare tutti gli istituti collegati, la sensatezza dell'articolo 29 sarà salva, le sentenze della Corte Costituzionale non disattese e lo Stato avrà fatto quanto in suo potere in nome del bene supremo ed inviolabile del libero e concreto sviluppo della persona umana.

Note e riferimenti bibliografici
1. Nel 2010 la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla questione che faceva dubitare della costituzionalità dell'istituto matrimoniale contenuto nel codice civile del '42 "nella parte in cui [non consente] che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso" (cfr. Corte Cost., 14/04/2010, n. 138). Si veda anche Corte Cost., 11/06/2014, n. 170.
2. Da rinvenire, secondo i giudici, non già nell'art. 29, ma nell'art. 2 Cost.
3. Corte Cost., 14/04/2010, n. 138: "Non è casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale."
4. Ibidem: "La questione, sollevata dalle due ordinanze di rimessione, in riferimento all’art. 2 Cost., deve essere dichiarata inammissibile, perché diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata". In questi termini la Corte, giustamente, si rifiuta di «riscrivere ex novo» l'istituto matrimoniale.
5. Ibidem: "Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni […]. Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.".
6. Ibidem.
7. Istituto A.T. Beck, informazioni da “www.istitutobeck.com/omosessualita.html”
8. Si faccia riferimento alle sentenze della Corte Cost. già citate.