La responsabilità del committente per fatto dell’appaltatore: tra autonomia e potere di ingerenza
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Francesco Vincelli

L’articolo esamina la responsabilità del committente per i danni causati dall’appaltatore, alla luce dell’art. 2049 c.c. e del principio dell’occasionalità necessaria. Si indagano i limiti dell’imputazione del danno in relazione all’autonomia dell’appaltatore e all’ingerenza del committente. La giurisprudenza esclude una responsabilità automatica, ammettendola solo in caso di ingerenza tale da ridurre l’appaltatore a nudus minister. L’analisi approfondisce i presupposti della responsabilità, il ruolo della vigilanza, della colpa in eligendo e in vigilando, nonché l’incidenza del direttore dei lavori sulla ripartizione delle responsabilità.

Principal´s liability for contractor's acts: between autonomy and power of interference
The article examines the liability of the client for damages caused by the contractor, in light of Article 2049 of the Italian Civil Code and the principle of necessary occasionality. It explores the limits of liability attribution in relation to the contractor’s autonomy and the client’s interference. Case law excludes automatic liability, recognizing it only when the interference is so significant that the contractor is reduced to a mere instrument (nudus minister). The analysis delves into the prerequisites for such liability, the role of supervision, fault in selection (culpa in eligendo) and in oversight (culpa in vigilando), as well as the impact of the site manager on the allocation of liability.Sommario: 1. Introduzione generale alla responsabilità indiretta; 1.1 Nozione e inquadramento sistematico; 1.2. Le due grandi categorie di responsabilità per fatto altrui; 2. La responsabilità per fatto altrui con colpa altrui (art. 2049 c.c.); 3. Il vincolo di occasionalità necessaria nella responsabilità ex art. 2049 c.c.; 3.1 L’incombenza alla quale il soggetto è commesso come base dell’occasionalità necessaria; 3.2 Il fatto che il commesso abbia agito per finalità personali non esclude, di per sé, la responsabilità del committente; 4. La responsabilità del committente per danni a terzi derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto; 4.1 Inquadramento del contratto di appalto; 4.2 L’autonomia dell’appaltatore come regola: la responsabilità “diretta” dell’appaltatore; 5. Fattispecie eccezionali di responsabilità del committente ex art. 2049 c.c.; 5.1 Data l’autonomia dell’appaltatore, la responsabilità o corresponsabilità del committente deriva da un’eccezione: l’“elisione” dell’autonomia; 5.2 La nozione di “nudus minister”: erosione dell’autonomia dell’appaltatore; 5.3 Il ruolo del direttore dei lavori e del mandatario; 6. Conclusioni.
1. Introduzione generale alla responsabilità indiretta
1.1 Nozione e inquadramento sistematico
La tematica della responsabilità indiretta (o responsabilità per fatto altrui) costituisce uno snodo centrale nell’ambito della responsabilità civile, in quanto incarna la tensione tra il principio di personalità della responsabilità e la necessità di imputare le conseguenze dannose del fatto illecito a soggetti che, in via immediata o mediata, traggano vantaggio, o esercitino un potere di controllo, sulla condotta materiale di colui che ha concretamente realizzato il danno. Nel sistema codicistico, le norme fondamentali che disciplinano ipotesi di responsabilità per fatto altrui sono prevalentemente contenute nel Libro IV del Codice civile, Capo III (“Dei fatti illeciti”).
In linea di principio, la responsabilità civile si fonda sull’art. 2043 c.c. – la responsabilità aquiliana, nota anche come “responsabilità extracontrattuale” – la quale presuppone la sussistenza di alcuni elementi essenziali: un fatto, un danno ingiusto, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso, nonché l’imputabilità soggettiva.
Da questo schema generale si dipana una serie di ipotesi speciali di responsabilità, spesso caratterizzate dalla c.d. inversione dell’onere della prova o dalla presunzione di colpa (o di responsabilità), come accade per gli articoli 2048, 2050, 2051 c.c. e, per quanto riguarda il caso specifico della responsabilità per fatto altrui, gli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c.
La responsabilità per fatto altrui viene generalmente definita “indiretta”[1] in quanto il soggetto chiamato a risarcire il danno non è l’autore materiale della condotta antigiuridica, bensì un terzo che il legislatore ritiene, per varie ragioni, legato da un vincolo giuridico al responsabile materiale[2]. Questo vincolo, a seconda dei casi, può consistere in un rapporto di direzione o di vigilanza (come nei casi di genitori e figli minori, tutori e soggetti incapaci di intendere e di volere, insegnanti e allievi ecc.), oppure – come accade nell’ipotesi che sarà oggetto di approfondimento in questo lavoro – in un rapporto di “committenza”, in virtù del quale un soggetto (il committente) si avvale dell’opera di un’altra persona (il commesso, il prestatore di lavoro o un soggetto equiparato, a seconda del contesto) traendo un vantaggio dall’attività svolta.
Il legislatore, con l’art. 2049 c.c., stabilisce che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei domestici e dei commessi “nell’esercizio delle incombenze” a essi affidate. Questa disposizione trae origine dal codice francese del 1804 e dall'art. 1153 del codice unitario del 1865. La ratio legis è fondata tanto su un’esigenza di tutela delle vittime dei danni, quanto su un principio di equità: chi beneficia di un’attività svolta in proprio favore e sotto la propria sfera di controllo (o potere di indirizzo) deve risponderne, anche se materialmente è un altro soggetto ad aver agito in modo colposo o doloso[3].
1.2. Le due grandi categorie di responsabilità per fatto altrui
In via generale, la dottrina[4] è solita distinguere tra due macrocategorie di responsabilità per fatto altrui: la responsabilità per fatto altrui con colpa propria dove il soggetto risponde di una propria negligenza, imprudenza o imperizia, consistenti – di solito – nella violazione di un obbligo di vigilanza, di controllo o di direzione. L’esempio tipico è quello previsto dall’art. 2048 c.c., che pone a carico dei genitori e dei precettori la responsabilità per i fatti illeciti commessi dai figli minori o dagli allievi, salvo la prova di non aver potuto impedire il fatto. La responsabilità – sebbene innescata dal fatto altrui – si giustifica in ragione di un’inosservanza di doveri propri del genitore o del precettore (culpa in educando, culpa in vigilando); la responsabilità per fatto altrui con colpa altrui, dove, invece, il soggetto chiamato a rispondere non ha necessariamente posto in essere una condotta colposa propria, ma risponde in virtù della colpa di un terzo che agisce nel suo interesse o sotto la sua direzione.
La Relazione al Codice civile contempla espressamente tale modello di responsabilità: fonte di responsabilità, invero, può essere il comportamento della persona ovvero una determinata relazione con l’autore del fatto. Gli esempi che emergono dal Codice civile sono gli artt. 2049 c.c. (“I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dai fatti dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”) e 1228 c.c., che estende la responsabilità contrattuale del debitore ai fatti degli ausiliari di cui egli si avvale nell’adempimento.
È evidente come la seconda categoria abbia un grado di “oggettivazione” più elevato rispetto alla prima, in cui il legislatore ritiene che chi si avvale della prestazione altrui debba rispondere per il fatto illecito di quest’ultimo, anche in mancanza di una colpa personale del “padrone o committente”. Ciò riflette il principio generale secondo cui beneficiare di un servizio svolto da altri comporta anche il dovere di sopportare le conseguenze negative che possano derivare dalla sua esecuzione, in forza del brocardo ubi commoda, ibi incommoda. La ratio consiste nel rafforzare la tutela risarcitoria del danneggiato, assicurandogli la possibilità di ottenere il risarcimento anche da un soggetto diverso dall’autore del danno, che, secondo le regole ordinarie dell’articolo 2043 c.c., ossia quelle della responsabilità per fatto proprio, non sarebbe altrimenti responsabile.
Dopo questa panoramica, è opportuno focalizzare l’attenzione sulla responsabilità del committente ex art. 2049 c.c., la quale tradizionalmente viene definita “responsabilità per fatto altrui con colpa altrui”. L’approfondimento teorico che seguirà consentirà poi di esaminare il tema specifico dell’applicabilità di questa disciplina anche ai danni causati dall’appaltatore, e a quali condizioni.
2. La responsabilità per fatto altrui con colpa altrui (art. 2049 c.c.)
La responsabilità per fatto altrui con colpa altrui rappresenta un sottotipo di responsabilità caratterizzata da un nesso di dipendenza giuridica ed economica tra il soggetto che materialmente commette l’illecito (il “commesso”) e il soggetto che ne risponde civilmente (il “committente”). L’esempio più evidente è dato proprio dall’art. 2049 c.c., la cui formulazione letterale è estremamente sintetica, ma ha dato origine a una copiosa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale tesa a chiarire la portata e i limiti della responsabilità in questione.
Nella sistematica tradizionale, si suole distinguere varie tesi giustificative.
Secondo una prima elaborazione[5], si tratta di un’ipotesi di responsabilità soggettiva: viene sottolineato il ruolo della culpa in eligendo o di una culpa in vigilando da parte del committente. Secondo questo tradizionale approccio soggettivistico[6], la ratio dell’art. 2049 c.c. si fonderebbe, invero, sulla culpa in eligendo o in vigilando da parte del committente, colui che seleziona e gestisce il soggetto incaricato (il commesso). La colpa, quindi, consisterebbe nella scelta inadeguata della persona a cui affidare l’incarico (culpa in eligendo), non avendo il committente verificato le competenze o l’affidabilità del soggetto medesimo ovvero nella mancanza di un’adeguata vigilanza (culpa in vigilando) sull’operato del soggetto incaricato, che ha prodotto l’evento dannoso.
Invero, nel nostro ordinamento – si afferma – non sarebbero ammissibili delle ipotesi di responsabilità “senza colpa” in quanto il ruolo principale del risarcimento è proprio quello di sanzionare un fatto illecito – un fatto non iure e contra ius – caratterizzato dalla presenza del dolo o della colpa. Soltanto la presenza dell’elemento soggettivo permette di qualificare una condotta come “rimproverabile” e permette, dunque, al risarcimento di assolvere la sua funzione sanzionatorio e riparatoria.
Questa lettura, sebbene abbia il pregio di mantenere un’aderenza al principio di personalità della responsabilità, presenta però alcune difficoltà: in primis, la formulazione letterale di cui all’art. 2049 c.c. non richiede la prova di un comportamento colposo del committente[7]. Inoltre, se davvero la responsabilità fosse fondata su una colpa propria, dovrebbe essere il danneggiato a fornire la prova che il committente ha scelto male o ha vigilato in modo insufficiente, e ciò non trova un fondamento testuale nella norma, che invece introduce una presunzione legale di responsabilità[8].
Nonostante i rilievi critici, la tesi della colpa in eligendo e in vigilando gode di un certo sostegno in dottrina, soprattutto nell’ottica di “costruire” un fondamento soggettivo alla responsabilità, limitandone l’oggettivazione. Tuttavia, come si vedrà, la giurisprudenza – pur non rinnegando del tutto questa impostazione – ha elaborato criteri autonomi di imputazione, soffermandosi maggiormente sul vincolo funzionale tra l’attività svolta dal commesso e l’interesse del committente.
Secondo un’altra impostazione, invece, si tratterebbe di una responsabilità meramente oggettiva o di posizione: il committente risponde sempre, in quanto riveste una specifica posizione giuridica da cui discende la responsabilità, indipendentemente da ogni indagine su colpe proprie. In altre parole, l’aver avviato un’attività nell’ambito della quale opera il commesso (in senso ampio, anche il lavoratore subordinato) fa sì che il committente (padrone, imprenditore, datore di lavoro, titolare di un’impresa, ecc.) debba rispondere delle conseguenze dannose cagionate dal fatto colposo di chi agisce per suo conto.
Questa impostazione, risalente a concezioni ottocentesche (in parte di matrice francese, con la dottrina del “commettant”)[9], viene connessa al principio del rischio di impresa[10]: chiunque svolga un’attività suscettibile di causare pregiudizi a terzi deve accollarsi i rischi relativi. L’effetto pratico è una responsabilità “piena” e potenzialmente illimitata del committente, che copre qualsiasi fatto colposo del commesso legato all’attività lavorativa.
Nella responsabilità per fatto altrui con colpa altrui, quindi, si prescinde non solo dalla colpa del soggetto ritenuto responsabile, ma anche dall’esistenza di un nesso di causalità tra la sua condotta e il danno[11]. Il nesso di causalità, infatti, riguarda esclusivamente il rapporto tra il fatto altrui (quello del preposto) e il danno. Questo tipo di responsabilità si configura come una responsabilità da mera posizione, ovvero una responsabilità di garanzia, introducendo così un criterio aggiuntivo di imputazione basato sulla posizione di garanzia di un soggetto.
Tuttavia, questa concezione della responsabilità per fatto altrui con colpa altrui non può essere condivisa[12]. Invero, la tesi che si accoglie può essere definita come oggettiva ma intermedia[13] e si fonda sul principio per cui il committente risponde dei danni arrecati dal commesso (nell’esercizio delle incombenze affidategli) in quanto ne trae un vantaggio economico, con la conseguenza di dover sopportare il rischio connesso allo svolgimento di quell’attività[14]. Tale posizione è modulata, tuttavia, dal requisito del “vincolo di occasionalità necessaria”, che circoscrive la responsabilità a quei casi in cui il danno risulti in rapporto con l’esercizio delle mansioni affidate[15]. In particolare, la giurisprudenza valorizza il rapporto di occasionalità necessaria tra l’illecito e le mansioni affidate, considerando la posizione del committente come rilevante ex se, senza richiedere una prova di colpa in eligendo o in vigilando, ma allo stesso tempo non estendendo la responsabilità a ogni atto astrattamente riconducibile al commesso[16].
In altre parole, il committente risponde sì per il fatto del commesso, per il fatto colposo altrui, a fronte di un vantaggio economico e organizzativo che egli ottiene dalla prestazione lavorativa, ma con un limite: il danno deve essersi prodotto nell’esercizio e a causa delle incombenze affidate. Non è sufficiente che, al momento della commissione del fatto, il soggetto fosse formalmente un dipendente o collaboratore; è necessario che l’illecito sia riconducibile, almeno in termini di occasionalità necessaria, all’attività lavorativa[17].
Il criterio dell’occasionalità necessaria (o “nesso di occasionalità necessaria”) consiste nel collegare la responsabilità del committente al fatto che l’illecito sia stato commesso “nell’esercizio delle incombenze”. Tale esercizio viene tradizionalmente interpretato in senso ampio, sicché la responsabilità del committente può essere affermata anche quando il commesso abbia agito oltre i limiti delle mansioni, purché non si tratti di un atto del tutto estraneo alle finalità dell’impresa o ai compiti affidati.
La giurisprudenza ha chiarito che la responsabilità del committente sussiste ogniqualvolta la condotta colposa del dipendente (o commesso) sia stata agevolata o comunque resa possibile dall’inserimento del commesso nell’impresa o nell’organizzazione del committente[18]. Nel contempo, se il commesso agisce per un fine completamente personale e con modalità estranee (o addirittura in contrasto) rispetto a quelle previste dal committente, il rapporto di occasionalità necessaria viene meno, e con esso la responsabilità del committente ex art. 2049 c.c.
Pertanto, il fondamento teorico di tale responsabilità deve essere rintracciato in un criterio di allocazione del rischio, in base al quale i danni causati a terzi dall’illecito dei dipendenti devono gravare sul preponente per ragioni di solidarietà sociale. Ciò trova giustificazione nel fatto che quest’ultimo trae beneficio dall’attività svolta dal dipendente, anche quando l’obiettivo perseguito non sia di natura lucrativa. Si registra una inscindibilità tra effetti dannosi e vantaggi (cuius commoda eius et incommoda), per cui chi beneficia dell’attività del dipendente deve farsi carico delle conseguenze dannose da essa derivanti, indipendentemente da una propria colpa. Tale impostazione mira altresì a garantire la massima tutela del danneggiato, pur mantenendo il carattere vicario della responsabilità, che non si configura come diretta. Di conseguenza, essa non si applica a qualsiasi danno riconducibile all’attività d’impresa, ma esclusivamente nei casi in cui sia accertata una condotta illecita e dannosa del preposto, la cui realizzazione costituisce il presupposto per la responsabilità del preponente. L’art. 2049 c.c. prevede, dunque, una duplice forma di responsabilità: quella del preposto, che può essere sia soggettiva che oggettiva, e quella del preponente, che è invece sempre di natura oggettiva.
3. Il vincolo di occasionalità necessaria nella responsabilità ex art. 2049 c.c.
3.1 L’incombenza alla quale il soggetto è commesso come base dell’occasionalità necessaria
Come accennato, il vincolo di occasionalità necessaria si sostanzia in un nesso di connessione funzionale tra l’attività (o le mansioni) affidate al commesso e il fatto dannoso. La giurisprudenza specifica che ai fini della responsabilità dell’imprenditore ex art. 2049 c.c., non è indispensabile che gli autori dell’illecito siano legati da un rapporto di lavoro subordinato stabile. È sufficiente, invece, che siano inseriti, anche temporaneamente o occasionalmente, nell’organizzazione aziendale e abbiano operato in tale contesto per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore[19]. Occorre però accertare che l’illecito sia stato reso possibile o agevolato dall’incombenza affidata[20]
Questa verifica si compone di vari passaggi: in primo luogo, è necessario definire le mansioni esattamente attribuite al commesso; verificare se il fatto dannoso è stato compiuto in un contesto riconducibile all’esecuzione di quelle mansioni o se, invece, si tratti di un’iniziativa personale del commesso (senza relazione con le sue incombenze lavorative); valutare la ragionevole prevedibilità del fatto illecito da parte del committente: sebbene l’art. 2049 c.c. non menzioni espressamente la prevedibilità, la giurisprudenza ritiene che una condotta del commesso completamente “abnorme” e imprevedibile, compiuta esclusivamente per fini personali, possa recidere il vincolo di occasionalità necessaria.
In tal senso, la dottrina[21] e la giurisprudenza[22] tengono conto non tanto della finalità personale del commesso, quanto del contesto oggettivo in cui il danno si realizza[23]. Se il contesto è quello lavorativo e il fatto si inserisce nel rapporto di servizio, il committente potrà esserne chiamato a rispondere. Se, invece, il commesso approfitta della sua posizione per porre in essere un atto del tutto estraneo all’attività, non solo nei fini ma anche nelle modalità, la responsabilità potrebbe ricadere esclusivamente su di lui.
3.2 Il fatto che il commesso abbia agito per finalità personali non esclude, di per sé, la responsabilità del committente
La semplice intenzione personale del commesso non esclude automaticamente la responsabilità del committente. È frequente, ad esempio, il caso di un dipendente che, nell’orario di lavoro e utilizzando mezzi aziendali, aggredisca un terzo per motivi personali. Il dolo del commesso nell’esecuzione dell’atto dannoso non esclude, quindi, il rapporto di occasionalità necessaria con le mansioni affidategli, inteso nel senso che l’illecito è stato reso possibile o comunque agevolato dal rapporto di lavoro con il committente[24]. Di conseguenza, quest’ultimo risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c. La giurisprudenza, in tali casi, valuta se l’impiego degli strumenti di lavoro o l’essere in servizio abbia agevolato l’evento lesivo. Se la risposta è positiva, può scattare la responsabilità del datore di lavoro. Invece, ad esempio, se il terzo danneggiato era a conoscenza delle modalità di esercizio delle mansioni e il danno si è verificato proprio a causa della loro violazione, il committente non ne risponde. Lo stesso vale quando la natura dell’atto compiuto dal commesso o le modalità di esercizio delle sue mansioni, considerando le circostanze del caso, evidenzino chiaramente un eccesso di potere da parte del commesso[25].
La giurisprudenza, per riconoscere o meno la responsabilità del committente, si avvale del criterio della ragionevole prevedibilità[26] che serve ad attribuire rilevanza ai rischi tipici dell’attività lavorativa, estendendo la responsabilità del committente anche ai casi in cui il commesso abusi delle proprie mansioni, ma in modo statisticamente prevedibile. L’esempio paradigmatico è quello del trasporto merci: se un autotrasportatore, incaricato dal datore di lavoro, si allontana temporaneamente dal percorso per motivi personali e durante quella deviazione provoca un incidente, la giurisprudenza ha affermato che la responsabilità del committente rimane, se la condotta rientra in una deviazione tutto sommato comune o plausibile, anche se non strettamente rispondente alle istruzioni ricevute (c.d. variazione di percorso). Non vi sarebbe responsabilità solo qualora la deviazione sia così macroscopica o del tutto fuori dal perimetro dell’incarico da spezzare ogni collegamento con il servizio prestato.
L’utilizzo di tali criteri ha, dunque, una funzione equilibratrice: non si vuole esonerare il committente dalle conseguenze negative di un’attività che egli stesso ha voluto e dalla quale trae vantaggio, ma al contempo non si vuole generare una responsabilità illimitata per qualsiasi comportamento del commesso.
4. La responsabilità del committente per danni a terzi derivanti dall’esecuzione del contratto di appalto
4.1 Inquadramento del contratto di appalto
Il contratto di appalto, disciplinato dagli artt. 1655 ss. c.c., è l’accordo con cui una parte (l’appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. La caratteristica fondamentale dell’appalto è l’autonomia organizzativa[27] e gestionale dell’appaltatore[28], il quale si obbliga a realizzare un determinato risultato[29] – un’opera o un servizio – dietro compenso, rimanendo tuttavia libero di organizzare i mezzi e i criteri di lavoro secondo la propria esperienza professionale[30].
Il committente, in questo schema, non esercita di norma un potere di direzione sul personale dell’appaltatore, né sugli strumenti di lavorazione. La sfera di rischio (intesa come rischio imprenditoriale ed economico) ricade sull’appaltatore, il quale, se ritiene opportuno, può assumere manodopera, subappaltare, ecc., pur rimanendo il responsabile dell’esito finale e della corretta esecuzione a regola d’arte.
4.2 L’autonomia dell’appaltatore come regola: la responsabilità “diretta” dell’appaltatore
Proprio in ragione di questa autonomia – che caratterizza l’appalto rispetto al lavoro subordinato o al mandato – si è da sempre affermato il principio secondo cui l’appaltatore risponde direttamente dei danni cagionati a terzi durante l’esecuzione dell’opera o del servizio. L’appaltatore, infatti, non è un “commesso” in senso proprio, non è inserito nella struttura organizzativa del committente come un dipendente o un collaboratore subordinato. Egli decide in autonomia le modalità e i tempi di esecuzione, assumendosi il rischio dell’impresa.
Sul piano pratico, ciò implica che, di regola, l’art. 2049 c.c. non si applichi al rapporto tra committente e appaltatore. Quest’ultimo, come imprenditore autonomo, risponde in via principale e diretta per i danni che cagioni a terzi durante l’attività, siano essi danni derivanti da sua colpa o dalla colpa dei suoi dipendenti.
La ragione classica di questo esonero è, dunque, che nell’appalto, non sussiste un potere direttivo del committente tale da rendere l’appaltatore o i suoi dipendenti dei “commessi”. Il committente si limita a richiedere un’opera o un servizio, accordandosi sul risultato finale, ma non partecipa all’organizzazione interna né ha il potere di dare ordini specifici sul “come” l’opera debba essere realizzata, se non nei limiti dell’accordo contrattuale e delle specifiche tecniche da raggiungere.
La giurisprudenza ha più volte affermato che, ai fini dell’applicazione di cui all’art. 2049 c.c., è necessario che l’autore del danno sia un dipendente o un collaboratore che agisce sotto la direzione del committente. Nel contratto di appalto, questa direzione non c’è, o meglio si limita a un controllo formale sul rispetto delle specifiche contrattuali e del risultato, ma non si estende all’organizzazione dei mezzi e al potere gerarchico.
Pertanto, la regola è che, in caso di danni a terzi, è direttamente e personalmente responsabile l’appaltatore, non potendosi configurare una responsabilità per fatto altrui ex art. 2049 c.c. in capo al committente.
5. Fattispecie eccezionali di responsabilità del committente ex art. 2049 c.c.
5.1 Data l’autonomia dell’appaltatore, la responsabilità o corresponsabilità del committente deriva da un’eccezione: l’elisione dell’autonomia
La giurisprudenza[31], tuttavia, contempla alcune ipotesi eccezionali in cui, nonostante la formale struttura di un appalto, il committente possa essere chiamato a rispondere ex art. 2049 c.c. In particolare, tali ipotesi si riscontrano quando il committente eserciti un potere direttivo o di ingerenza sulle modalità di esecuzione dell’opera, al punto da svuotare o sensibilmente ridurre l’autonomia imprenditoriale dell’appaltatore. Si afferma che l’autonomia dell’appaltatore implica che, di regola, egli sia l’unico responsabile dei danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera. Una corresponsabilità del committente può configurarsi solo in caso di violazione di specifiche regole di cautela derivanti dall’art. 2043 c.c., oppure quando l’evento sia a lui imputabile per culpa in eligendo, ossia per aver affidato l’opera a un’impresa manifestamente inidonea. Inoltre, la responsabilità del committente può sussistere qualora l’appaltatore, in virtù degli accordi contrattuali, si sia limitato a eseguire gli ordini ricevuti, agendo come mero nudus minister[32].
In questo scenario, l’appaltatore finisce per operare come un semplice “esecutore di ordini” (nudus minister) e si avvicina – funzionalmente e sostanzialmente – alla figura del “commesso”[33]. Il fondamento teorico è che, se l’appaltatore non agisce davvero in autonomia, ma esegue pedissequamente le istruzioni del committente, i rischi passano in capo a quest’ultimo, in quanto è come se l’appaltatore fosse un suo ausiliario, analogo al dipendente.
5.2 La nozione di “nudus minister”: erosione dell’autonomia dell’appaltatore
La dottrina e la giurisprudenza parlano quindi di “nudus minister” per descrivere la situazione in cui l’appaltatore è ridotto a mero esecutore, privo di poteri decisionali propri. È evidente che la configurazione di questa situazione è più frequente nei casi in cui il committente ha un forte interesse a determinare “come” i lavori debbano essere svolti e, di fatto, eserciti un potere di ingerenza con ordini costanti. Ai fini dell’accertamento della responsabilità del committente, è necessario valutare concretamente l’incidenza della sua condotta nella causazione dell’evento, tenendo conto delle capacità organizzative della ditta incaricata, della specificità dei lavori da eseguire, dei criteri adottati per la selezione dell’appaltatore o del prestatore d’opera, del grado di ingerenza nell’esecuzione dei lavori e della possibilità, per il committente, di percepire in modo agevole e immediato eventuali situazioni di pericolo[34].
Non è sufficiente, tuttavia, che il committente dia delle indicazioni generiche o che effettui verifiche di cantiere per accertare lo stato di avanzamento lavori. Per configurare la responsabilità ex art. 2049 c.c. è necessario che egli invada la sfera decisionale dell’appaltatore e che “di fatto” quest’ultimo agisca su ordine e sotto controllo continuo del committente, non mantenendo un’autonoma organizzazione di impresa[35]. Ad esempio, l’appaltatore risponde comunque dei danni causati a terzi durante l’esecuzione dell’opera, anche se derivanti da difetti del progetto. Tuttavia, è esonerato da responsabilità se dimostra di aver espresso il proprio dissenso e di essere stato indotto a eseguirlo, nella ragionevole convinzione che la sua fedele attuazione non avrebbe arrecato danno a terzi[36].
5.3 Il ruolo del direttore dei lavori e del mandatario
Anche la presenza di un direttore dei lavori, nominato dal committente, non implica automaticamente la perdita di autonomia dell’appaltatore[37]. Nella prassi, il direttore dei lavori verifica la conformità dell’opera al progetto e alle regole dell’arte, ma non assume poteri di ingerenza tali da dirigere l’intera attività imprenditoriale dell’appaltatore[38].
Tuttavia, qualora – in concreto – il direttore dei lavori o il mandatario del committente eserciti poteri sostanziali di direzione e coordinamento su tutta l’organizzazione del cantiere, ordinando al personale dell’appaltatore come e quando eseguire le operazioni, si può configurare la situazione di nudus minister. In tal caso, la giurisprudenza[39] ammette che il committente risponda (anche) ex art. 2049 c.c. per i danni cagionati a terzi durante l’esecuzione dell’appalto[40]. Pertanto, qualora i lavori siano stati eseguiti sotto la sorveglianza di un direttore dei lavori nominato dal committente, quest’ultimo non può ritenersi responsabile, salvo che il direttore abbia esercitato un’ingerenza tale da ridurre l’appaltatore al ruolo di nudus minister oppure che il danno sia derivato da un ordine specifico impartito dal direttore dei lavori e attuato dall’appaltatore[41].
6. Conclusioni
La responsabilità indiretta, o responsabilità per fatto altrui, costituisce uno dei cardini fondamentali del sistema di responsabilità civile, presentando profili di grande rilevanza sia sul piano pratico sia su quello teorico. La sua funzione è stata spiegata da una molteplicità di teorie, riconducibili in linea generale a due macro-approcci: uno fondato sulla colpa propria (colpa in eligendo o in vigilando) e uno incentrato sulla colpa altrui, giustificato dal principio per cui chi si avvale stabilmente dell’opera di altri, traendone un profitto, deve anche sopportarne i rischi.
Nell’ambito specifico della responsabilità del committente ex art. 2049 c.c., la giurisprudenza si è orientata verso una soluzione “intermedia”, radicata sul criterio dell’occasionalità necessaria. Tale criterio, a sua volta, permette di valutare se il fatto illecito del “commesso” (o presunto tale) sia collegato, in modo non meramente occasionale ma “necessario”, alle mansioni che gli sono state affidate. L’illecito deve derivare o essere stato agevolato dall’attività svolta nell’interesse (o sotto la direzione) del committente. Non è richiesta la prova di una specifica colpa personale del committente, ma nemmeno si afferma una responsabilità illimitata: è necessario l’accertamento di un legame funzionale, tale per cui l’esercizio dell’attività affidata sia quantomeno una condizione che ha permesso o agevolato il fatto.
Posti questi principi, l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. al contratto di appalto è stata tradizionalmente negata a causa della marcata autonomia che qualifica l’appaltatore rispetto al committente. L’art. 1655 c.c. e i successivi articoli in materia di appalto indicano chiaramente che l’appaltatore opera in autonomia, organizzando mezzi e risorse a proprio rischio e pericolo. L’assenza di un potere gerarchico o direttivo significativo del committente esclude, in linea di massima, la configurabilità di un rapporto di subordinazione (inteso come potere di dare ordini e di indirizzare l’attività lavorativa), che è invece al cuore della responsabilità ex art. 2049 c.c.
L’appaltatore – in quanto imprenditore autonomo – risponde direttamente dei danni che cagiona a terzi. Il committente non risponde “per fatto altrui”, proprio perché quel “lui altrui” non è giuridicamente un “commesso” o un “domestico”, bensì un soggetto autonomo e distinto.
Tuttavia, la giurisprudenza e la dottrina ammettono delle eccezioni. Quando l’autonomia dell’appaltatore risulti, in concreto, fortemente compressa o del tutto neutralizzata da un’ingerenza assorbente del committente – tale da ridurre l’appaltatore al ruolo di “nudus minister” – allora il rapporto assume le caratteristiche della subordinazione e viene in rilievo il meccanismo della responsabilità ex art. 2049 c.c. Se, in pratica, il committente non si limita a chiedere un risultato, ma governa le modalità di esecuzione dell’opera e ne assume la direzione effettiva, nonché l’organizzazione del cantiere o dei lavoratori, e l’appaltatore perde la sua autonomia imprenditoriale, emergono quei requisiti per considerare l’appaltatore (e i suoi dipendenti) come “commessi” del committente. Ne deriva la responsabilità del committente per i fatti illeciti posti in essere nell’esecuzione di tali incombenze.
Di conseguenza, si può concludere che, di regola, nel contratto di appalto i danni a terzi sono responsabilità diretta dell’appaltatore, in quanto egli è imprenditore autonomo. Eccezionalmente, l’art. 2049 c.c. si applica se, in concreto, la relazione tra committente e appaltatore assume la connotazione di un rapporto di sostanziale subordinazione, tale da rendere l’appaltatore un mero esecutore delle scelte e istruzioni del committente. Tale valutazione si basa sul grado di ingerenza esercitato dal committente e sul grado di autonomia decisionale effettivamente residuo in capo all’appaltatore. L’eventuale presenza di un direttore dei lavori nominato dal committente non integra automaticamente la “ingerenza”, potendo anche trattarsi di un controllo tecnico o formale. Soltanto se il direttore o il mandatario del committente dirigono operativamente e in modo continuativo le scelte dell’appaltatore, si realizza la situazione eccezionale.
In definitiva, la regola generale – “il committente non risponde dei danni causati dall’appaltatore a terzi” – trova un’eccezione soltanto laddove, al di là della forma contrattuale “appalto”, si verifichi di fatto un rapporto di subordinazione o una simile situazione di sostanziale dipendenza del soggetto che esegue i lavori, rendendolo equivalente a un dipendente.
Tale esito ermeneutico si colloca in coerenza con i principi generali della responsabilità civile, perché tutela il danneggiato (il quale, di fronte a un appaltatore privo di autonoma decisione, potrebbe trovarsi in difficoltà a ottenere un risarcimento), ma anche salvaguarda la certezza dei rapporti giuridici, evitando di estendere automaticamente la responsabilità del committente ogniqualvolta insorga una controversia per danni provocati in cantiere.
La funzione di garanzia dell’art. 2049 c.c. non è snaturata: essa può operare ogni volta che il rapporto di fatto sia assimilabile a quello di lavoro subordinato. Viceversa, quando l’autonomia dell’appaltatore è effettiva, e quando egli – come imprenditore – si assume integralmente i rischi relativi all’esecuzione dell’opera, deve anche rispondere dei danni procurati a terzi.
[1] L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F. D. BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, III, Obbligazioni e contratti, Torino, 1989, 696; C. SALVI, La responsabilità civile dell'infermo di mente, in Cendon (a cura di), Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, Napoli, 1988, 820; P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 38.
[2] Cass. Civ., 22 ottobre 2004, n. 20588; Cass. Civ., 13 dicembre 2007, n. 26172; Cass. Civ., 31 luglio 2017, n. 18928.
[3] G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1996, 657; C. SALVI, La responsabilità civile, in Iudica, Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 1998, 1240; G. ALPA, M. BESSONE, La responsabilità civile, Milano, 2001, 337.
[4] M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto civile, Roma, 2021, 1918.
[5] Cass. Civ., 12 novembre 1979, n. 5851; Cass. Civ., Sez. III, 09 ottobre 1998, n. 10034.
[6] G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni, V, 525.
[7] Cass., Civ., 20 giugno 2001, n. 8381.
[8] F. D. BUSNELLI, Nuove frontiere della responsabilità civile, in J, 1976, 63.
[9] M. BARBERIS, Il contratto di prestazione d’opera, in Rivista di diritto commerciale, 1913.
[10] M. FRANZONI, La responsabilità oggettiva, Padova, 1995; G. CHINE’, A. ZOPPINI, L. NONNE, Manuale di diritto civile, 2021, 2187.
[11] A. DE CUPIS, Dei fatti illeciti, Bologna, 1971, 63.
[12] M. FRATINI, in op. cit., 1918.
[13] A. DE CUPIS, Il danno, Teoria generale della responsabilità civile, Milano, 1979.
[14] R. SCOGNAMIGLIO, Responsabilità per fatto altrui, in Noviss. Dig. It., XV, Torino, 1968, 699.
[15] M. BIANCA, 5 la responsabilità, in Diritto Civile, Milano, 2021, 700 ss.
[16] G. ALPA, M. BESSONE, V. ZENO ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, 14, Torino, 1995, 340; L. GAUDINO, La responsabilità dei padroni e dei committenti nella casistica giurisprudenziale, in CeI, 1987, 915.
[17] Cass. Civ., Sez. III, 12 ottobre 2018, n. 25373.
[18] Cass. Civ., Sez. III, 09 marzo 2017, n. 6033.
[19] Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 1999, n. 6233.
[20] Cass. Civ., Sez. III, 22 settembre 2017, n. 22058 dove si legge che la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente, ai sensi dell’art. 2049 c.c., non richiede l’esistenza di un nesso di causalità tra le mansioni affidate al dipendente e l’evento dannoso. È sufficiente, invece, che sussista un rapporto di occasionalità necessaria, ossia che le incombenze assegnate abbiano reso possibile o comunque agevolato la condotta lesiva nei confronti del terzo. V. anche Cass. Civ., Sez. III, 22 agosto 2007, n. 17836.
[21] M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Comm. cod. civ., Bologna, 1993, 424 ss.
[22] Cass. Civ., Sez. III, 14 novembre 1996, n. 9984.
[23] Cass. Civ., Sez. Lavoro, 13 novembre 2001, n. 14096.
[24] Cass. Civ., Sez. III, 14 novembre 1996, n. 9984.
[25] Cass. Civ., 11 giugno 1971, n. 1760.
[26] C. SALVI, in op. cit., 1240.
[27] Cass. Civ., Sez. II, 31 gennaio 1989, n. 593.
[28] V. MANGINI, M. IACUANIELLO BRUGGI, Il contratto di appalto, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1997, 11.
[29] F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, Padova, 1990, 55.
[30] D. RUBINO, E. MOSCATI, L'appalto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1980, 140.
[31] Cass. Civ., Sez. II, 25 gennaio 2016, n. 1234.
[32] Cass. Civ., Sez. III, 29 marzo 2007, n. 7755 la quale dispone che l’autonomia dell’appaltatore, che svolge la propria attività mediante un’organizzazione autonoma, predisponendo i mezzi e determinando le modalità di esecuzione dell’opera assunta, comporta che, in linea generale, egli debba essere considerato l’unico responsabile dei danni cagionati a terzi durante l’esecuzione dell’opera stessa. Tale responsabilità, tuttavia, viene meno qualora il committente si sia ingerito nell’esecuzione, impartendo direttive specifiche all’appaltatore, dalle quali sia poi scaturito l’evento dannoso: in questa ipotesi, infatti, l’appaltatore assume il ruolo di mero esecutore (“nudus minister”) del committente, cui può essere attribuita la responsabilità per il danno.
[33] Cass. Civ., Sez. III, 03 aprile 2023, n. 9178.
[34] Cass. Civ., Sez. III, 23 ottobre 2024, n. 27526.
[35] Cass. Civ., Sez. III, 12 luglio 2023, n. 19919.
[36] Cass. Civ., 25 luglio 1984, n. 4352.
[37] Cass. Civ., Sez. II, 10 gennaio 1996, n. 169.
[38] Cass. Civ., Sez. II, 19 giugno 1996, n. 5632.
[39] Cass. Civ., Sez. II, 03 maggio 2016, n. 8700.
[40] Cass. Civ., 25 agosto 1984, n. 4697.
[41] Cass. Civ., Sez. II, 22 giugno 2021, n. 17819.