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Pubbl. Gio, 5 Set 2024

Le sopravvenienze incidenti sul contratto di assicurazione e i connessi doveri di trasparenza

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Cesare Valentino
Dottore di ricercaNessuna



Sul contratto assicurativo possono incidere eventi straordinari ed imprevedibili (c.d. sopravvenienze) che potrebbero alterare il rapporto tra rischi assunti contrattualmente e premi corrisposti, precludendo o rendendo più difficoltosa la realizzazione degli interessi sottesi a tale contratto. Con il presente elaborato si cercherà di indagare il complesso rapporto che sussiste tra sopravvenienza ”squilibrante” e doveri di trasparenza nell´ambito del contratto di assicurazione, muovendo dalla specifica disciplina codicistica di cui agli artt. 1896 ss., per certi versi derogatoria rispetto al diritto contrattuale comune, attese le peculiarità strutturali e funzionali di tale contratto.


ENG

Contingencies affecting the insurance contract and the related transparency duties

The insurance contract can be affected by extraordinary and unforeseeable events (so called contingencies) which could alter the relationship between contractually assumed risks and paid premiums, precluding or making more difficult the realization of the interests underlying the insurance transaction. Through this paper we will try to investigate the complex relationship that exists between ”unbalancing” contingencies and duties of transparency in the context of the insurance contract, starting from the peculiar code discipline referred to in the articles 1896 ss, in some ways derogating from common contractual law, given the structural and functional peculiarities of this contract.

Sommario: 1) Inquadramento della problematica; 2) La cessazione del rischio durante l’assicurazione; 3) La disciplina di cui agli artt. 1897 e 1898 cod. civ.; 4) Riflessioni sul governo delle sopravvenienze in ambito assicurativo; 5) Art. 1898 cod. civ. e polizze D&O

1) Inquadramento della problematica

In ambito assicurativo la regola di trasparenza evoca quel complesso di doveri informativi gravanti tanto sull’assicuratore, quanto sull’assicurando, funzionali a ridurre le asimmetrie che affettano fisiologicamente il rapporto assicurativo.

Da una parte la controparte professionale necessita di comprendere l’esatta portata del rischio da assicurare, che andrà gestito tramite l’immissione in una massa di rischi omogenei.

Una corretta gestione del rischio suppone dunque dichiarazioni non reticenti e veritiere dell’assicurando all’atto di stipula della polizza, conformemente al disposto di cui agli artt. 1892 e 1893 cod. civ.[1]

Dall’altra parte abbiamo lo stesso l’assicurando, che in quanto parte debole del rapporto per effetto del gap che sconta rispetto all’assicuratore quanto a conoscenza ed esperienza della materia assicurativa, necessita di informazioni chiare, corrette e adeguate in ordine al prodotto assicurativo idoneo a realizzare le sue esigenze e richieste.

In questa sede ci si soffermerà sul concreto atteggiarsi della regola di trasparenza allorquando il contratto di assicurazione è colpito da determinate sopravvenienze, ossia eventi sopravvenuti alla conclusione del contratto, straordinari ed imprevedibili ed in quanto tali idonei ad alterare l’originario equilibrio contrattuale.

In ambito assicurativo tali eventi possono determinare la cessazione o il mutamento, in corso di rapporto, del rischio prefigurato dai contraenti al momento di conclusione del contratto. Il che avviene allorquando, a fronte del premio corrisposto o da corrispondere, la probabilità di verificazione del rischio assicurato viene meno o aumenta o diminuisce di intensità.

Al riguardo il legislatore, tenuto conto delle peculiari caratteristiche del contratto di assicurazione, ha previsto agli artt. 1896, 1897 e 1898 cod. civ. una specifica disciplina costituente proiezione settoriale della più generale regolamentazione codicistica prefigurata per le ipotesi di impossibilità o eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

2) La cessazione del rischio durante l’assicurazione

In particolare l’art. 1896 cod. civ., sotto la rubrica “cessazione del rischio durante l’assicurazione”, prevede lo scioglimento[2] del contratto di assicurazione allorquando si realizzi la cessazione del rischio dopo la conclusione del contratto stesso[3].

Il venir meno del rischio impedisce difatti a tale contratto di espletare la sua funzione, con conseguente difetto funzionale del sinallagma. Il meccanismo risolutivo tratteggiato dalla norma in commento è analogo a quello prefigurato per l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta totale non imputabile dall’art. 1463 cod. civ.

Tuttavia, le due norme divergono in relazione al profilo effettuale, giacché prevedono conseguenze diverse per il contraente liberato. Ed infatti quest’ultimo, nell’ipotesi generale di impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 cod. civ., non può richiedere la controprestazione ed è tenuto a restituire quanto eventualmente ricevuto dall’altro contraente.

Con l’art. 1896 cod. civ. invece, il legislatore ha previsto una differente disciplina calibrata su due diverse ipotesi, accomunate dalla circostanza che la cessazione del rischio ha avuto luogo dopo la conclusione del contratto di assicurazione. Purtuttavia la presente indagine è limitata alla prima delle suindicate ipotesi[4], della quale occorrerà vagliare il concreto atteggiarsi alla luce del canone di trasparenza assicurativa.

Trattasi in particolare dell’ipotesi di cessazione del rischio allorquando il contratto ha già cominciato a produrre effetti. La peculiarità della fattispecie risiede in ciò: a fronte di un contratto risolto ipso iure, l’assicuratore ha diritto al pagamento dei premi sino a quando la cessazione del rischio non gli sia comunicata o non venga altrimenti a sua conoscenza[5].

Ciò posto, non vi è dubbio che tale comunicazione costituisce un onere per l’assicurato, giacché l’inadempimento dello stesso reca con sé il perdurare dell’obbligo di pagare il premio nonostante egli non abbia più interesse all’assicurazione.

A maggiori problemi interpretativi dà luogo invece il riferimento della norma de qua alla venuta a conoscenza da parte dell’assicuratore della cessazione del rischio in modi diversi dalla succitata comunicazione.

Ed infatti l’estrema genericità dell’espressione adoperata dal legislatore è foriera di eventuali comportamenti abusivi da parte della controparte professionale, che può ad esempio tacere la venuta a conoscenza di tale evenienza al fine di proseguire la riscossione dei premi. Nel qual caso, se l’assicurato riesce a dimostrare l’abusivo comportamento dell’assicuratore, potrà ripetere quanto indebitamente riscosso da quest’ultimo a titolo di premio dopo la cessazione del rischio.

3) La disciplina di cui agli artt. 1897 e 1898 cod. civ.

Gli artt. 1897 e 1898 cod. civ. contemplano invece regole di trasparenza funzionali ad assicurare la costante proporzionalità tra rischio e premio in costanza di rapporto allorquando si verificano degli eventi che aggravano o diminuiscono il rischio assicurato [6].

In particolare, secondo l’art. 1897 cod. civ., il contraente deve comunicare all’assicuratore quei mutamenti determinanti una diminuzione del rischio, che se conosciuti al momento di conclusione del contratto avrebbero indotto alla stipula di un premio minore.

Nel qual caso il legislatore riconosce all’assicuratore o la possibilità di esigere il minor premio, corrispondente alla diminuzione del rischio intervenuta in costanza di rapporto[7], o il diritto di sciogliere il rapporto contrattuale tramite recesso, la cui previsione si giustifica nell’ottica di preservare principalmente l’interesse dell’assicuratore[8].

Particolarmente discussi sono il fondamento e l’ambito applicativo della disciplina di cui all’art. 1897 cod. civ.

Quanto al fondamento, è possibile ritenere che la disciplina de qua è finalizzata a garantire la proporzionalità tra le reciproche prestazioni, sebbene non è superfluo rilevare che il mutamento del rischio in corso di rapporto si riflette sulle basi di calcolo di determinazione del premio, con la conseguente sopravvenuta disomogeneità del contratto rispetto alla massa di rischi raccolti complessivamente dall’assicuratore.

Sull’individuazione dell’ambito applicativo della disciplina di cui all’art. 1897 cod. civ., particolare rilievo assume la discussa perimetrazione del concetto di diminuzione del rischio, che secondo una parte della dottrina si configura allorquando si verifichi una diminuzione della probabilità di verificazione dell’evento dannoso[9].

Ciò posto, una volta verificatasi la diminuzione del rischio assicurato, la legge riconosce all’assicurato – o al contraente nell’ipotesi in cui lo stesso non coincide con l’assicurato – un diritto soggettivo alla diminuzione del premio, condizionato ad una comunicazione, espressione della regola di trasparenza, di cui è discussa la qualificazione. Ci si chiede in particolare se la stessa costituisce un obbligo o un onere.

Al riguardo, una soluzione nel secondo senso, discende non solo dalla lettera della disposizione in commento, ma finanche dalla circostanza che siffatta comunicazione è richiesta solo nell’ipotesi in cui l’assicurato desidera modificare il contratto in relazione alla situazione sopravvenuta, al fine di conseguire un vantaggio, consistente nella riduzione del premio in misura proporzionale alla diminuzione del rischio[10].

Quanto alla disciplina di tale comunicazione, la legge nulla dispone, con la conseguente piena operatività dei principi generali.

Quindi la stessa avrà forma libera, in ossequio al principio di libertà delle forme, applicabile laddove uno specifico vincolo formale non risulti espressamente previsto dalla legge.

L’art. 1898 cod. civ. invece pone a carico del contraente l’obbligo di immediato avviso all’assicuratore dei mutamenti comportanti un aggravamento del rischio, che se sussistenti all’atto di stipula del contratto, avrebbero indotto la controparte professionale o a non stipulare l’assicurazione o a stipularla per un premio più elevato.

Nel qual caso, al fine di garantire la costante proporzionalità tra premio e rischio, destinata comunque a riflettersi sulla massa di rischi omogenei, e sulla capacità dell’impresa di far fronte agli impegni assunti, è riconosciuta all’assicuratore la possibilità di recedere dal contratto, in alternativa alla richiesta di un premio maggiore[11].

La norma in oggetto pertanto appronta un articolato rimediale tendenzialmente analogo a quello predisposto per l’ipotesi opposta di diminuzione del rischio in corso di esecuzione del contratto applicativo.

In ordine alla portata applicativa dell’art. 1898 cod. civ.[12], dirimente risulta la perimetrazione del concetto di aggravamento del rischio, che in generale costituisce un fatto successivo alla stipula del contratto, incidente sull’ammontare del premio, non previsto né tantomeno prevedibile[13], e che secondo parte della dottrina deve essere tale da rendere statisticamente più probabile, rispetto al momento di conclusione del contratto l’avveramento dell’evento paventato[14].

Si tratta, tuttavia, come si avrà modo di rilevare, di un concetto dai confini non ben definiti, e che può porre in concreto non irrilevanti dubbi interpretativi.

All’aggravamento del rischio conseguono due effetti: da una parte, per l’assicurato sorge l’obbligo di darne immediata comunicazione all’assicuratore; dall’altra, per quest’ultimo, si concretizza la facoltà di scelta tra la continuazione del contratto senza mutamento del premio e la possibilità di recedere[15].

A differenza dell’opposta ipotesi di diminuzione del rischio, non è dunque prevista la prosecuzione del contratto con un aumento del premio: purtuttavia le parti sono libere di adottare siffatta pattuizione, nell’ambito dell’autonomia contrattuale loro riconosciuta.

Sul versante della trasparenza “contrattuale”, particolare rilievo assume la vexata quaestio afferente la qualificazione della comunicazione dell’assicurato.

Al riguardo, parte della dottrina riconduce la stessa alla categoria dell’onere[16], muovendo dalla considerazione che mentre quest’ultimo è tradizionalmente identificato in una condotta che la parte deve necessariamente tenere per conseguire un risultato favorevole, l’obbligo rappresenta un dovere imposto dalla legge.

Però, tale impostazione, per quanto autorevolmente sostenuta, trova un evidente limite nella lettera dell’art. 1898 cod. civ., contemplante un espresso riferimento all’obbligo.

Quanto alle conseguenze derivanti dall’inadempimento di tale regola di trasparenza, occorre distinguere.

Nell’ipotesi in cui non si verifica alcun sinistro entro la scadenza del contratto, tale inadempimento è di per sé privo di conseguenze, sebbene resti fermo l’obbligo dell’assicurato di pagare il premio.

Nell’ipotesi invece di verificazione del sinistro, ci si chiede in particolare quando possa aver luogo la liberazione dell’assicuratore, con conseguente perdita dell’indennizzo.

Al riguardo è possibile ritenere che tale conseguenza possa aver luogo nell’ipotesi di omissione colpevole dell’avviso di aggravamento, giacché la stessa preclude all’assicuratore la possibilità di recedere dal vincolo contrattuale.

A diverse conclusioni invece si perviene ipotizzando un’omissione incolpevole dell’avviso di aggravamento, che proprio in quanto non sorretta da un determinato coefficiente soggettivo, non può esser equiparata quanto a disciplina all’ipotesi più grave di omissione colpevole.

Tuttavia, al fine di contemperare gli opposti interessi dell’assicurato e dell’assicuratore è necessario nel qual caso ancorare il quantum indennitario a quanto sarebbe spettato prima dell’aggravamento del rischio.

4) Riflessioni sul governo delle sopravvenienze in ambito assicurativo

Il succitato quadro di principi desumibili dagli artt. 1897 - 1898 cod. civ., consente di ritenere che in ordine al contratto assicurativo la manutenzione dello stesso a seguito di sopravvenienza è rimessa all’esclusiva valutazione dell’assicuratore.

Il che sembra discendere dall’esigenza immanente al modello assicurativo di tutelare il complesso di assicurati attraverso la preservazione dell’equilibrio patrimoniale, che si riconnette all’insieme delle risorse raccolte sotto forma di premi per effetto dei contratti stipulati.

Tuttavia, non è superfluo rilevare che la succitata disciplina presenta indubbi profili di criticità, giacché il legislatore non ha provveduto all’enucleazione dei parametri di rilevanza delle mutazioni del rischio, limitandosi, attraverso gli artt. 1897 - 1898 cod. civ., all’utilizzo di espressioni generiche.

Il problema si pone in particolare relativamente alla fattispecie prefigurata all’art. 1898 cod. civ., presidiata, in ossequio al canone di trasparenza, dal succitato obbligo di comunicazione a carico dell’assicurato.

Ed infatti la lamentata genericità non solo rischia di aprire le porte ad una valutazione unilaterale e discrezionale dell’assicuratore, già avvantaggiato da una disciplina di estremo favore qual è quella prefigurata dalle norme in parola, ma potrebbe rendere in concreto difficoltosa l’attuazione del canone di trasparenza in funzione di riequilibrio rispetto alla sopravvenienza squilibrante.

Non sembra costituire un valido rimedio all’asserita genericità dei parametri legislativi di rilevanza della modifica del rischio neppure il criterio volto ad individuare una sopravvenienza rilevante ex art. 1897 - 1898 cod. civ. nell’evento tale da alterare l’equilibrio tra rischio e premio oltre il limite della normale alea contrattuale. Si tratta di un criterio pur sempre generico, la cui concreta applicazione è comunque rimessa ad una valutazione discrezionale dell’assicuratore.

Secondo parte della dottrina[17] un rimedio all’estrema genericità dei parametri di rilevanza del rischio ex art. 1897 - 1898 cod. civ. potrebbe discendere invece dall’applicazione analogica dell’art. 1664 cod. civ., che contempla precisi parametri di importanza del mutamento. Con la conseguenza di ritenere rilevanti per l’operatività dei rimedi avverso le sopravvenienze, solo le mutazioni del rischio incidenti sul rapporto premio - copertura per più di un decimo del valore del premio.

Tale tesi tuttavia, sebbene apprezzabile nelle finalità, potrebbe incontrare limiti sul versante applicativo, attesa la controversa portata del rimedio ex art. 1664 cod. civ.[18], di cui è discussa la natura eccezionale o meno.

5) Art. 1898 cod. civ. e polizze D&O

Una peculiare applicazione della regola di trasparenza cristallizzata all’art. 1898 cod. civ. può aver luogo relativamente alle D&O insurance[19], ossia le polizze funzionali alla copertura del rischio di responsabilità di soggetti con funzioni gestione o di controllo all’interno di una società di capitali[20].

Infatti, attraverso il flusso informativo che tale norma prevede, l’assicuratore può, in costanza di rapporto, richiedere alla società contraente ex art. 1891 c.c.[21] informazioni non solo sulla governance societaria ma finanche sulle operazioni effettuate o da effettuare, spesso fonte di responsabilità per l’organo gestorio.

Purtuttavia tale prerogativa, pur essendo funzionale a monitorare costantemente le condizioni del rischio di responsabilità assicurato, va esercitata nel rispetto dei limiti consentiti dai doveri di segretezza che vincolano gli organi sociali.

In tale prospettiva, sulla base delle informazioni ricevute, l’assicuratore potrebbe suggerire, magari garantendo il rinnovo della polizza o la concessione di sconti, l’adozione di modifiche degli assetti organizzativi o di scelte gestionali che riducano il rischio di responsabilità.

Però, l’esercizio di siffatta prerogativa sui generis, per il tramite dell’art. 1898 cod. civ., dovrebbe comunque aver luogo in ogni caso sulla base dei criteri legali desumibili dall’art. 2086 comma 2 cod. civ., che lega l’adeguatezza degli assetti alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche al fine della rilevazione tempestiva della crisi (di impresa).

Ma non è da escludere l’ipotesi di una sopravvenuta inadeguatezza degli assetti organizzativi che la società si era impegnata ad adottare in sede di conclusione del contratto di assicurazione sulla base delle richieste precontrattuali dell’assicuratore, che in tale fase può richiedere l’adozione di adeguati assetti in forza dell’ampio potere contrattuale allo stesso riconosciuto, non correlato ad alcun obbligo a contrarre[22].

Rispetto a tale ipotesi, implicante un aggravamento del rischio di responsabilità, nei termini di cui all’art. 1898 cod. civ., una possibile soluzione sembra potersi ricavare proprio dalla norma de qua, che legittima l’assicuratore, in presenza di tali sopravvenienze “squilibranti”, ad aumentare il premio dovuto o a recedere dal contratto[23].


Note e riferimenti bibliografici

[1] La letteratura sul regime delle dichiarazioni inesatte e reticenti è particolarmente cospicua. Senza alcuna pretesa di esaustività si segnalano: F. Romeo, Dovere di informazione e responsabilità precontrattuale: dalle clausole generali alla procedimentalizzazione dell’informazione, in Resp. Civ., 2012, 173 ss.; S. Landini, Reticenze dell’assicurato e annullamento del contratto, in Resp. civ. prev., 2011, 629 ss.; V. Sangiovanni, I contratti di assicurazione tra codice civile e codice delle assicurazioni, in Ass., 2011, I, 112; L. Bugiolacchi, Dichiarazioni inesatte e reticenti: obblighi informativi dell’assicurato e correttezza dell’assicuratore, in Resp. civ. prev., 2006, 659 ss.; A. Antonucci, Commento all’art. 1892 c.c., in Commentario breve al Diritto delle Assicurazioni, (a cura di) G. Volpe Putzolu, Padova, 2013; C. Russo, Trasparenza ed informazione nel contratto di assicurazione, Padova, 2001, 80 ss.

[2] Oggetto di dibattito è il momento cui far risalire gli effetti dello scioglimento del contratto, che secondo la giurisprudenza si verifica ipso iure, senza necessità di una manifestazione di volontà dei contraenti e nonostante la manifestazione di qualsivoglia volontà contraria, essendo precluso alle parti il mantenimento di un’assicurazione senza rischio (Cass., 29 marzo 2005, n. 6561, reperibile su De Jure on line).

[3] Allorquando la cessazione del rischio ha luogo prima della conclusione del contratto trova applicazione il rimedio della nullità ex art. 1895 cod. civ., la cui previsione si giustifica tenuto conto della carenza di un elemento essenziale (il rischio).

[4] La seconda ipotesi si verifica allorquando il contratto non ha ancora cominciato a spiegare i suoi effetti. Nel qual caso l’assicuratore ha diritto esclusivamente al rimborso delle spese sostenute, e l’assicurato non è più tenuto alla corresponsione del premio ed ha diritto alla restituzione delle somme versate a tale titolo.

[5] Sul versante processuale, l’onere di provare la cessazione del rischio, e il conseguente scioglimento del contratto, grava sul contraente che invoca tale circostanza a fondamento della propria domanda o della propria eccezione, quindi di regola sul cliente assicurativo nel contenzioso intentato dall’assicuratore per ottenere la corresponsione del premio.

[6] Il principio della costante proporzionalità tra rischio e premio consente non solo all’assicuratore un’adeguata neutralizzazione dei rischi assunti contrattualmente, ma finanche di non far ricadere sulla massa degli assicurati le conseguenze dannose di un’eventuale sproporzione tra entità dei rischi assunti e ammontare dei premi percepiti.

[7] L’assicuratore, pur non potendo impedire la riduzione, ha la facoltà di recedere dal vincolo contrattuale. In ordine al regime, occorre rilevare che il diritto alla riduzione del premio non può essere soppresso dalle polizze né esser sottoposto a condizioni più onerose di quelle prefigurate dalla legge, posta la inderogabilità della norma de qua in danno dell’assicurato ex art. 1932.

[8] Com’è evidente, la succitata articolazione rimediale diverge da quella cristallizzata in generale all’art. 1467 cod. civ., che per l’ipotesi di eccessiva onerosità della prestazione concede alla parte colpita da tale sopravvenienza la possibilità di attivare il rimedio risolutorio.

[9] G. Scalfi, Assicurazione (contratto di), in Dig. comm., Torino, 1987, 153.

[10] Di diverso avviso L. Buttaro, voce Assicurazione (contratto di), in Enc. dir., III, Milano, 1958, 455.

[11] L’art. 1898 cod. civ. prefigura una fattispecie di maggiore onerosità per l’assicuratore, giacché lo stesso per effetto della sopravvenienza si trova a dover coprire un rischio maggiore di quello assicurato. In tale specifica ipotesi la norma in commento riconosce alla controparte professionale, sul versante rimediale, la facoltà di recedere dal contratto, a prescindere dall’eventuale disponibilità dell’assicurato ad aumentare il premio o ad accettare una copertura del rischio inferiore rispetto a quella originariamente convenuta. Anche in tale specifica ipotesi è innegabile una deviazione dal modello generale previsto e disciplinato all’art. 1467 e modulato sullo schema rimediale risoluzione - riduzione ad equità.

[12] Discusso é l’ambito applicativo della norma de qua. Al riguardo, atteso che in ordine alle assicurazioni sulla vita le ipotesi di aggravamento del rischio sarebbero ricomprese nel perimetro applicativo dell’art. 1926, si può ritenere che la stessa trovi applicazione solo in relazione alle assicurazioni contro i danni.

[13] La giurisprudenza ha precisato che per aversi aggravamento del rischio, rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 1898, occorre non solo un aumento delle possibilità di verificazione dell’evento previsto dal contratto di assicurazione, ma anche che la nuova situazione presenti i caratteri della novità, nel senso che la stessa non deve esser stata prevista né che fosse prevedibile dai contraenti al momento di conclusione del contratto, e della “permanenza”, intesa come stabilità della situazione sopravvenuta (Cass., 18 gennaio 2000, n. 500, reperibile su De Jure on line). L’aggravamento deve inoltre essere “rilevante” e cioè tale che l’assicuratore, se esso fosse esistito già al tempo della stipula del contratto assicurativo, non sarebbe addivenuto alla stipulazione o sarebbe addivenuto ad una stipulazione ma a differenti condizioni.

[14] G. Scalfi, Assicurazione, cit., 359.

[15] Nell’ipotesi in cui propende per il recesso, l’assicuratore è gravato dell’onere di darne avviso entro il termine di un mese dal giorno in cui ha ricevuto la comunicazione o ha avuto in altro modo conoscenza dell’aggravamento del rischio. Trattasi di un termine di decadenza che non può essere sospeso o interrotto se non attraverso l’effettuazione della dichiarazione di recesso e che può essere abbreviato per volontà delle parti ma non allungato, trattandosi di termine previsto a favore dell’assicurato. La dichiarazione tardiva di recesso è inefficace, con la conseguenza che il contratto assicurativo continua a spiegare effetti. Ai sensi del comma 3 della norma de qua, il recesso dell’assicuratore è immediatamente efficace se l’aggravamento è tale che questi non avrebbe consentito l’assicurazione, o dopo quindici giorni, nell’ipotesi in cui l’aggravamento del rischio è tale che per l’assicurazione sarebbe stata chiesta la corresponsione di un premio maggiore (Cfr. G. Scalfi, Assicurazione, cit., 358). Nel caso in cui il sinistro si verifica prima della decorrenza dei termini per la comunicazione e per l’efficacia del recesso, ex art. 1898, comma 5, cod. civ.,  l’assicuratore non risponde allorquando l’aggravamento del rischio sia tale che egli non avrebbe consentito l’assicurazione se il nuovo stato di cose fosse esistito al momento di conclusione del contratto. Diversamente, si assiste alla riduzione della somma dovuta, tenuto conto del rapporto tra il premio fissato contrattualmente e quello che sarebbe stato stabilito se il maggiore rischio fosse esistito al tempo di conclusione del contratto stesso.

[16] L. Buttaro, Assicurazione, cit., 489.

[17] P. Corrias, La gestione dei rischi pandemici nei contratti assicurativi, in Resp. civ. prev., 2020, 1390 ss.

[18] In generale, sulla portata e sul fondamento della norma de qua, si segnalano: R. Grisafi, Sopravvenienze, squilibri contrattuali e ruolo della presupposizione, Milano, 2016, 151 ss.; A. Pisu, Sub art. 1664, in Codice dell’appalto privato, a cura di A. Luminoso, Milano, 2010, 465 ss.; C. Trapuzzano, L’appalto privato, Milano, 2020, 513 ss.

[19] S. Landini, L’assicurazione della responsabilità civile, 176; A. Gambino, La valutazione del rischio della responsabilità civile di amministratori e managers nelle società per azioni, in Ass., I, 1994, 130 ss.; C. Granelli, L’assicurazione della responsabilità civile dei componenti l’organo di gestione di società di capitali, in Resp. civ., 2005, 102 ss.; D. Regoli, Le polizze assicurative professionali: nuovi profili, in Responsabilità societarie e assicurazione, (a cura di) P. Montalenti, Milano, 2009, 103 ss.; C. Russo, L’assicurazione di responsabilità civile degli amministratori e dei sindaci, in Ass., I, 2000, 142 ss.; P. Tessore, Le coperture assicurative della responsabilità di amministratori, sindaci e revisori nel mercato italiano, in Responsabilità societarie e assicurazione, a cura di P. Montalenti, Milano, 2009, p. 131 ss.; U. Tombari, L’assicurazione della responsabilità civile degli amministratori di società per azioni, in Banca, borsa e titoli di credito, 1999, 180 ss.

[20] Trattasi di polizze di cui in passato è stata messa in dubbio la liceità, in base all’assunto della presunta idoneità delle stesse ad incentivare condotte imprudenti degli assicurati, con l’effetto di determinare un depotenziamento della portata deterrente della responsabilità civile degli organi sociali. In realtà la liceità delle polizze D&O viene oggi affermata in base ai seguenti rilievi. Anzitutto muovendo dalla struttura delle stesse, modulate tendenzialmente non solo sull’esclusione dell’operatività della copertura assicurativa relativamente a danni conseguenti a condotte dolose, ma anche sull’apposizione di franchigie e talvolta sulla subordinazione della stipula della copertura all’adozione di particolari modelli di compliance, come si avrà modo di rilevare. Non meno rilevante ai fini della liceità delle polizze de quibus è la considerazione della funzione compensativa assolta dalle stesse, giacché i patrimoni dei singoli assicurati raramente consentono di soddisfare le pretese risarcitorie conseguenti a loro eventuali responsabilità. In ogni caso la crescente diffusione delle polizze D&O in anni recenti è dipesa non solo dalla accresciuta responsabilizzazione degli organi sociali per effetto di interventi legislativi, ma anche dall’esigenza di ovviare alle sempre più frequenti richieste risarcitorie avanzate nei confronti di componenti di organi di società colpite da crac finanziari, che diventano agli occhi dei danneggiati (o degli organi concorsuali) il bersaglio cui imputare il dissesto dell’ente.

[21] La stipula delle polizze D&O avverrà tendenzialmente secondo lo schema di cui all’art. 1891 cod. civ. e vedrà come contraente la società di capitali e come assicurati i singoli componenti degli organi sociali della società contraente. L’applicazione dello schema in parola presuppone tuttavia, oltre all’interesse dell’assicurato alla copertura assicurativa, anche un interesse della società stipulante, consistente ad esempio o nell’esigenza di evitare difficoltà di reperimento di personale qualificato, per le resistenze ad assumere incarichi rischiosi, o nel veder aumentare, attraverso la copertura della responsabilità ex art. 2392 cod. civ., la possibilità di soddisfazione delle proprie pretese risarcitorie, sebbene tale forma di responsabilità è sovente esclusa dalla copertura assicurativa. La frequente stipula delle polizze D&O secondo lo schema ex art. 1891 cod. civ. ha comportato una tendenziale prevalenza delle polizze “globali”, che specie in relazione alle eventuali responsabilità dei componenti dell’organo gestorio consentono di rispettare il principio di solidarietà enucleato all’art. 2392 cod. civ. Ma tale modalità di sottoscrizione non convince una parte della dottrina (D. Regoli, Le polizze assicurative professionali, cit., 123 ss.), secondo cui sarebbe auspicabile, relativamente alle polizze D&O per la responsabilità civile dei componenti degli organi di amministrazione, una maggior diffusione delle stesse in forma individuale o una strutturazione per categorie di soggetti, coerentemente con l’attuale sistema di responsabilità, così come risultante dalla riforma del diritto societario intervenuta nel 2003. Tale sistema infatti costituisce, almeno in materia gestoria, la risultante del passaggio da una responsabilità strutturalmente solidale di tutti gli amministratori ad una responsabilità graduata in relazione al ruolo coperto da ciascun amministratore, come è dato desumere anche dalla disciplina della delega. Purtuttavia non può sottacersi al riguardo, sulla scorta delle osservazioni di altra corrente interpretativa (L. Tessore, Le coperture assicurative, cit., 139 ss.), che le compagnie mostrano una certa ritrosia verso le polizze individuali se non abbinate a polizze di responsabilità professionale. Si evince infatti la tendenza delle stesse a non assicurare in forma isolata attraverso la polizza “stand alone” l’attività di  amministratore,  sindaco  o  revisore,  attesa  l’elevata  rischiosità  insita nell’espletamento della stessa.

[22] Con la conseguenza che lo stesso, nell’ipotesi in cui le proprie richieste rimanessero disattese, può rifiutare la sottoscrizione della polizza o aumentare considerevolmente l’importo del premio dovuto.

[23] D. Regoli, op. cit., 128.