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Pubbl. Mar, 28 Nov 2023

Sicurezza pubblica e poteri di polizia nell´ambito della nuova dimensione cibernetica

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autori Roberto Colucciello , Angelantonio Pellecchia



Il concetto di sicurezza dello Stato, dalle origini storiche ai giorni nostri, rappresenta un concetto tanto fondamentale quanto dibattutto dalla dottrina, trattandosi di argomento tanto afferente al diritto amministrativo quanto a quello penale, e spesso i due ambiti sono tra loro intersecabili. L’aspetto della sicurezza pubblica, a cui si è affiancato il concetto di ordine pubblico, negli ultimi anni è stato oggetto di indagine soprattutto per la concezione spaziale in cui si è imbattuto, passando dallo spazio fisico e geografico del confine nazionale a quello della cybersicurezza, in particolare delle reti, dei sistemi informative e dei servizi informative e a delinearne un perimetro di protezione.


ENG

Public safety and police powers under the new cybernetic dimension

The concept of state security, from its historical origins to the present day, represents a concept as fundamental as it is debated by doctrine, as it is a topic relating both to administrative and criminal law, and the two areas are often intersecting. The aspect of public security, which has been accompanied by the concept of public order, has been the subject of investigation in recent years above all for the spatial concept it encountered, moving from the physical and geographical space of the national border to that of cybersecurity, in particular of networks, information systems and information services and to outline a protection perimeter.

Sommario: 1. Introduzione; 2. La sicurezza pubblica nell’alveo legalità costituzionale: esiste un diritto alla sicurezza? 3. La sicurezza pubblica e i poteri di polizia; 4. Sicurezza pubblica nello spazio europeo; 5. Da Sicurezza pubblica a Sicurezza cibernetica; 6. Conclusioni.*

1. Introduzione

Nell’ambito del concetto omnicomprensivo di “sicurezza pubblica”, termine di notevole interesse e multidisciplinare, è di sicuro rilievo la disposizione normativa “madre”, che è rappresentata dalla legge n. 121 del 1981, che certamente ha rappresentato uno spartiacque nella configurazione e nel funzionamento del sistema della pubblica sicurezza.

La disposizione poc’anzi menzionata, tralasciando il pur corposo excursus storico di disposizioni normative in materia, rappresenta il punto di partenza per analizzare compiutamente l’intero sistema.

Sicuramente un posto di una certa importanza lo merita, quale disposizione “storica” e antecedente di rilievo, il R.D. n. 773 del 1931, meglio conosciuto come Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (acronimo T.U.L.P.S.), tanto che la locuzione “ordine e sicurezza pubblica”, com’è noto, è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 2 dello stesso, che al primo comma, dispone “Il Prefetto nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.

Ancorchè la nostra Carta costituzionale, fino alla riforma del 2001, facesse riferimento esclusivamente al concetto di “sicurezza pubblica, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto corretto l’uso dell’espressione “ordine pubblico” quale elemento confacente con quella di sicurezza pubblica.

Si ritiene, in coerenza con il dettato della nostra carta Costituzionale, che il concetto di ordine pubblico afferisca al mero ordine materiale che può ritenersi turbato solo quale conseguenza di condotte umane violente o eventi naturali pregiudizievoli della incolumità.

La sicurezza pubblica, invece, identifica lo stato psicologico della collettività che si sente sicura nei beni e nella persona; ed è appunto in questi termini che si è espresso il Giudice delle Leggi nella nota pronuncia del 1956, n. 2, allorquando afferma che “sicurezza si ha quando un cittadino può svolgere la sua lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale: è l’ordinato vivere civile, che è indubbiamente la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico”.

Potremmo dire che sicurezza pubblica e ordine pubblico rappresentino due face della stessa medaglia: nei regimi autoritari la sicurezza pubblica è la “sicurezza ipostatizzata” dello Stato persona[1], mentre negli ordinamento improntati alla democrazia rappresenta la “sicurezza ipostatizzata” dello Stato-comunità.

Riassumendo, negli ordinamento democratici la sicurezza pubblica risulta essere sussistente in quanto l’ordine materiale è mantenuto e non subisce pericolici; per contro, negli ordinamenti nei quali la circolarità del potere non è affatto garantita oppure la circolarità del potere è bensì prevista ma a determinate condizioni, l’ordine pubblico si identifica con un ordine ideale il dissenso dal quale è considerato pericoloso per la sicurezza del regime[2].

Per comprendere la natura di queste difficoltà basta guardare alla giurisprudenza della Corte costituzionale; la sentenza 3 novembre 1988, n. 1013 si occupa di ordine pubblico, definendone i contenuti in termini di beni giuridici fondamentali e interessi pubblici primari individuati dalla Costituzione e dalle leggi per garantire l’ordinata convivenza civile e il funzionamento dell’ordinamento giuridico.

La sentenza 27 marzo 1987, n. 77 si occupa di pubblica sicurezza, da intendersi come «funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico».

Infine, la sentenza 12 luglio 2001, n. 290, regolando le competenze degli enti locali in materia di polizia e sicurezza, precisa il concetto di “interessi primari” inserito nell’articolo 159, comma II, d.lgs. n. 112 del 1998 affermando che ordine e sicurezza pubblica si sostanziano nella prevenzione dei reati e nel mantenimento dell’ordine pubblico.

La materia della pubblica sicurezza è caratterizzata dalla sussistenza di una notevole stratificazione legislativa che implica una oggettiva e concreta difficoltà di orientamento.

Ciò è frutto dei numerosi interventi legislativi settoriali successivi al 1981, che non hanno altro che ingenerare incertezze e confusioni normative rendere vano il tentativo del legislatore di rendere la legge n.121 la normativa di riferimento del settore tale da addivenire ad un vero e proprio “Corpus iuris” in materia.

Il sistema della pubblica sicurezza è, infatti, il prodotto della evoluzione storico-costituzionale del nostro ordinamento ed è, al contempo, uno dei settori del diritto che risente maggiormente delle evoluzioni sociali e dei mutamenti nella sensibilità della collettività.

L’amministrazione della pubblica sicurezza si caratterizza, infatti, per essere un ordinamento appartenente all’amministrazione pubblica italiana ed, in quanto tale, assoggettato alle regole pubblicistiche, sia da un punto organizzativo che funzionale, che il nostro legislatore ha previsto si applichino ai soggetti operanti nell’ambito del diritto pubblico, anche se è pacifico che la stessa sia influenzata anche principi e regole proprie di altri settori dell’ordinamento, primo fra tutti il diritto penale.

In questo lavoro, partendo dalla concezione di sicurezza pubblica nell’alveo della legalità costituzionale, dopo doverosi cenni alla sicurezza, analizzeremo brevemente il potere di polizia, tralasciando la tematica dei provvedimenti di polizia, già molto dibattuta dalla dottrina, per poi entrare nel cuore di questo lavoro, ossia la dimensione europea della sicurezza pubblica e, soprattutto, la più che attuale stretta interconnessione tra sicurezza pubblica e realtà cibernetica.

2. La sicurezza pubblica nell’alveo dell’ordinamento costituzionale: esiste un diritto alla sicurezza?

La Carta costituzionale, così come partorita dai costituenti, introduce, in palese discontinuità con il passato, il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo, intesi quali principi che costituiscono l’essenza stessa dell’ordinamento democratico[3].

I principi di cui si discorre presuppongono uno modello statale di stampo liberal-democratico basato sulla promozione dei diritto della persona superando, quindi, l’idea di una legalità focalizzata sulla centralità del potere statale[4]; posto ciò, si assiste ad un vero e proprio capovolgimento dell’idea propria del liberalismo di stampo ottocentesco, ossia il cittadino non più in funzione dello stato, ma lo Stato stesso in funzione dei cives[5]

In questo cambiamento di prospettiva poc’anzi menzionato, la nostra Costituzione esprime un’idea di sicurezza pubblica intesa secondo due accezioni: da un lato come limite all’esercizio delle libertà, e dall’altro come compito, sia normativo che amministrativo, dei pubblici poteri e, quindi, dell’apparato dello Stato[6].

Per quanto concerne il primo aspetto, lo stesso si coglie nei richiami al concetto di sicurezza rinvenienti nella Parte prima della Costituzione; a mero titolo di esempio basti citare l’art. 13, comma terzo, della stessa, che autorizza l’autorità di pubblica sicurezza, in casi eccezionali di necessità ed urgenza, previsti ex lege, di adottare provvedimenti provvisori che poi dovranno essere convalidati nelle successive quarantotto ore.

In merito al secondo aspetto, quello del compito amministrativo e normativo dei pubblici poteri, nell’ambito del concetto di sicurezza pubblica, va ricordato che la stessa esplica anche un funzione amministrativa, ossia un’attività amministrativa che attua le limitazioni previste dalla legge alle libertà con l'obiettivo di mantenere l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica.

Storicamente mai s’è dubitato dell’afferenza alla potestà legislativa statuale della materia dell’ordine e della sicurezza pubblica.

La previgente formulazione dell’art. 117 Cost., tipizzando i casi di competenza concorrente delle Regioni, ne escludeva qualsivoglia attribuzione in merito.

Il legislatore costituzionale del 2001, nel novellare il titolo V della Costituzione, ha rivisto dalle fondamenta il riparto tra Stato e Regioni, ed è stato, probabilmente, costretto a citare expressis verbis la formula «ordine pubblico e sicurezza», per porre la materia sotto l’egida della regolazione centrale.

Oltre a prendere atto della continuità espressa in materia dalla l. cost. n. 3/2001, può svolgersi qualche riflessione di ratio e di sistema sul fondamento di questa scelta conservatrice[7].

Va osservato come detta competenza normativa primaria abbia carattere trasversale, consentendo allo Stato d’invadere (legittimamente) sfere appartenenti alla potestà concorrente o residuale delle Regioni.

La funzione legislativa in materia di sicurezza pubblica e ordine pubblico, permette al legislatore statale di dettare specifiche discipline in ambiti pur ad esso preclusi, così salvaguardando la tenuta dell’ordinamento.

In questa prospettiva, l’interpretazione in senso materiale dell’ordine e sicurezza pubblica ha inciso in due distinte direzioni.

Da un canto, per la sua rigorosa delimitazione concettuale, ha negato allo Stato l’invasione di materie riservate alla potestà legislativa della Regione[8].

Dall’altro, ha consentito, in casi specifici, la trasversalità della competenza legislativa, in nome appunto delle esigenze securitarie di volta in volta riconoscibili nell’intervento normativo.

Ad ogni modo, la vocazione espansiva della competenza va bilanciata, nei settori contigui, con le concorrenti prerogative regionali, anche in applicazione del principio di leale collaborazione.

In maniera simmetrica, il legislatore regionale deve astenersi dal disciplinare la materia della sicurezza, incorrendo altrimenti nella violazione della competenza riservata allo Stato.

Sono ritenute, invece, e a mero titolo di esempio, valide le leggi regionali di promozione della legalità, valore condiviso dello Stato‐comunità, che non implicano la spendita della forza legittima[9].

Posto ciò, va detto che la Costituzione sembra configurare con ampi margini di certezza una sicurezza pubblica intesa in senso “oggettivo”, cioè come pubblico interesse connesso ad una situazione di pacifica e ordinata convivenza, come condizione indispensabile per esercitare altri diritti fondamentali, ovvero quale interesse dello Stato, dell’ordinamento e quindi della comunità nel suo complesso[10].

La Costituzione, tuttavia, non contempla un filo diretto tra il compito connesso al bene sicurezza e la posizione giuridica soggettiva dei consociate, quale possibile titolare di un diritto a non temere per la propria incolumità[11].

Nell'ambito di considerazioni generali sull' “architettura” del diritto di polizia odierno, si parla della configurabilità di un diritto alla sicurezza.

Preme sin d'ora rilevare che la questione interessa non solo per le conseguenze, sul piano giuridico e sociale, del riconoscimento della dignità di diritto soggettivo ad alcuni “bisogni” di sicurezza, ma anche dal punto di vista della dinamica funzionale.  

L’affermazione del costituzionalismo liberale del ‘48, in contrapposizione ai precedenti assetti rinvenienti in regimi autoritari, pone per la prima volta l’accento sulla tutela dei diritti inviolabili dei singoli individui, che il potere pubblico ha il dovere di garantire.

Il raggiungimento di principi democratici quali separazione dei poteri, centralità della legge parlamentare, Stato di diritto e principio di eguaglianza, inevitabilmente, connotano in modo diverso il concetto di sicurezza, da intendersi quale “sicurezza da”, in relazione ai diritti della nuova classe borghese.

In questo contesto di forte omogeneità sociale, ma al contempo di bassa partecipazione politica, appaiono maggiormente evidenti i profili interni della sicurezza, mentre sembrano recessivi i problemi connessi alla sua dimensione ideale (come pare dimostrare l’analisi delle leggi di pubblica sicurezza dell’Italia liberale).[12]

La rivoluzione industriale e l’inizio dell’evoluzione in chiave ancor più democratica degli ordinamenti costituzionali occidentali, come noto, immettendo fattori di forte disomogeneità e tensione all’interno delle organizzazioni sociali, soprattutto alla luce della richiesta di nuove tutele e spazi di intervento da parte della classe operaia, organizzata nei partiti politici di massa.

Di conseguenza, verrà a mutare anche il significato attribuito alla sicurezza e alla sua dimensione più prettamente costituzionale.

In tale contesto, anche sul piano dei diritti dei singoli individui il significato della sicurezza sembra mutare, essendo sempre più collegato alla dimensione della “sicurezza di”[13].

Ad onor del vero, richiami ad un diritto soggettivo alla sicurezza vengono individuate anche in fonti sovranazionali ed internazionali, basti pensare all’art. 2 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, laddove vengono sanciti i diritti di ogni individuo, e tra questi rientra quello alla sicurezza della propria persona.

Prescindendo dall'effettività di tale enunciazione, l'affermazione della sicurezza, intesa come diritto della persona, trova riscontro, e maggiore cogenza nell'art. 5 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo del 1950, secondo la quale “Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza” e, nondimeno, nell'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 2000.

Enunciazioni del diritto alla sicurezza che recepiscono l'evoluzione delle istanze sociali e dei contesti fattuali di riferimento dove la domanda di tutela e di sicurezza da parte della collettività nei confronti dei poteri pubblici assume una connotazione soggettiva e viene rivendicata in termini di diritti.

È indiscutibile che, dopo gli avvenimenti - purtroppo non rimasti isolati - dell’11 settembre 2011 la percezione della sicurezza pubblica abbia subito mutazioni.

Tuttavia ciò non legittima la tesi che il diffuso bisogno di sicurezza costituisca ormai il contenuto di un vero e proprio diritto dei cittadini.

Che di un diritto soggettivo in materia non si possa parlare, discende dalle difficoltà strutturali che si frappongono all’enucleazione di una siffatta situazione giuridica soggettiva, non potendosi sostenere né che si tratti di un diritto ad esercitare arbitrariamente le proprie ragioni (artt. 392 e ss. c.p.) al di là, quindi, dei limiti consentiti dall’autodifesa (art. 52 c.p.), né che costituisca un preteso diritto a prestazioni positive delle forze di polizia a semplice richiesta del cittadino, senza alcun margine di discrezionalità da parte delle forze dell’ordine[14].

Risolutiva del resto è l’ord. n. 187 del 2001 della Corte costituzionale, nella quale venne evidenziata la contraddittorietà della tesi prospettata dal giudice a quo, secondo la quale, tra i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.), ci sarebbe anche il diritto «a vedere protetta la propria sicurezza dalla commissione di fatti puniti come reato mediante interventi dell’autorità giudiziaria limitativa dell’altrui libertà personale».

In riferimento a ciò, in contrario la Corte asseriva che «spetta esclusivamente alla discrezionalità del legislatore determinare, nel rispetto del principio della riserva di legge stabilito dall’art. 13 comma 2 Cost., i casi in cui il giudice può disporre restrizioni della libertà personale, ed è pure riservata alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei casi eccezionali di necessità ed urgenza in cui possono essere adottati provvedimenti provvisori limitativi della libertà personale ai sensi dell’art. 13 comma 3 Cost.».

Così come, a livello sovranazionale, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sembra pressochè univoca nell’interpretare l’art. 5 della CEDU non come vero e proprio diritto alla sicurezza, ma lo stesso accolga una concezione delle stessa in stretta connessione alla tutela del diritto alla libertà personale[15].

La classica “funzione di sicurezza”, non va confusa con l’esistenza di “diritti” alla sicurezza, e ciò non già perché all’esercizio di una funzione pubblica non possano corrispondere situazioni pretensive qualificabili come “diritti”, ma perché la sicurezza “pubblica” non può, come appena sottolineato, costituire il contenuto di un diritto della persona o di un diritto sociale.

La sicurezza pubblica – che non deve essere confusa nel generico bisogno di sicurezza che investe i settori più svariati[16], quali la sicurezza economica, la sicurezza della propria salute ecc. – costituisce infatti, uno stato psicologico collettivo da cui promana un interesse diffuso, la cui tutela è di competenza esclusiva dello Stato[17].  

3. La sicurezza pubblica e i poteri di polizia

Come è noto, la Costituzione repubblicana configura la sicurezza pubblica secondo una vision di natura oggettiva.

Questa viene inquadrata quale pubblico interesse correlato ad una situazione di ordinata e pacifica convivenza, e come condizione propedeutica indispensabile all’esercizio di altri diritti fondamentali.

Si esprime un’idea di sicurezza pubblica, da una parte, come limite all’esercizio delle libertà, e dall’altra, come compito, normativo ed amministrativo dei pubblici poteri e, in particolare, dell’apparato dello Stato[18].

Il primo aspetto che qui maggiormente rileva, si coglie nei richiami al concetto di sicurezza rinvenienti nelle disposizioni della Costituzione, in particolare della prima parte (ad es. negli artt. 13, comma III, 14, 16, 25, comma III, Cost.) nelle quali il carattere oggettivo e funzionale della sicurezza emerge, sia dall’uso impersonale che ne viene fatto nel testo, sia dall’individuazione di precipui compiti dello Stato al riguardo.

Si tratta di un interesse pubblico diffuso, la cui tutela, di competenza esclusiva dello Stato, è discrezionalmente esercitata, nell’alveo della tripartizione dei poteri, dal potere esecutivo[19].

Un mandato “oggettivo” all’esercizio di una funzione essenziale, posta al servizio della persona, della sua dignità e del suo pieno sviluppo che costituisce il solido basamento del nostro sistema costituzionale[20].

In questa prospettiva, la polizia di sicurezza è una funzione di garanzia: le sue attività, i suoi servizi organizzati e soprattutto l’esercizio dei suoi poteri coercitivi aspirano a tutelare l’esercizio delle libertà civili e dei diritti sociali a protezione dei cittadini e delle istituzioni democratiche[21].

Essa designa l’attività amministrativa per l’ordine e la sicurezza pubblica e, come tale, riguarda tutte le azioni che lo Stato pone in essere al fine di consentire alla comunità dei consociate una vita tranquilla e pacifica.

Ai sensi dell’art. 1 TULPS, l’Autorità di pubblica sicurezza «veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà».

La scelta del verbo “vegliare” connota la funzione di sicurezza pubblica quale attività amministrativa di carattere prevalentemente preventivo.

In questo senso, detta funzione si connota quale attività amministrativa tesa al mantenimento dell’ordine, della pace, della tranquillità sociale, della sicurezza delle persone, della proprietà e della moralità e di qualunque altro bene tutelato con disposizioni penali ovvero con disposizioni amministrative penalmente sanzionate[22].

Dopo l’avvento della Costituzione repubblicana, la permanente vigenza della legislazione precedente ha determinato un supplemento di analisi da parte della dottrina, volto sia all’inquadramento dell’attività di polizia di sicurezza sulle nuove coordinate costituzionali, sia ad una migliore precisazione delle caratteristiche che la contraddistinguono.

In particolare, si è evidenziato come lo scopo della funzione di polizia risieda nella «conservazione dell’ordine, della sicurezza, della pace sociale», che in quanto «primo e fondamentale compito dello Stato nell’amministrazione interna» ne rivela la natura essenzialmente amministrativa e preventiva.

La funzione di polizia si sostanzia nel garantire la collettività, nel suo complesso e nei suoi singoli membri, dai pericoli che possano derivare all’incolumità fisica o ai beni delle persone e dalle minacce alla pace ed alla tranquillità sociale.

In questo senso, si sgancia questa funzione dalla legislazione penale, prefigurandone un ambito proprio, correlato non solo alla repressione delle condotte contra legem, ma anche alla prevenzione.

Al riguardo, si è osservato come l’attivazione del potere di polizia sia indipendente dalla circostanza che il fatto integri gli estremi dell’illecito penale o amministrativo, poiché la «potestà di polizia mira a prevenire i pericoli alla sicurezza pubblica e ad eliminare le turbative all’ordine pubblico»[23].

La prevenzione qualifica l’azione dello Stato sia con riferimento allo scopo perseguito, sia nella determinazione dei mezzi da adottare.

Così, qualsiasi situazione di pericolo di un pregiudizio al complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni (art. 159 d.lgs. n. 112/1998), diventa fattore di attivazione del potere amministrativo.

La circostanza che la funzione di polizia di sicurezza si focalizzi sui pericoli alla convivenza civile derivanti dalla condotta umana determina la sua fisiologica interferenza con gli spazi di libertà riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.

Ciò impone che l’attività amministrativa in tale settore sia contrassegnata da un’applicazione rigorosa del principio di legalità sia sul piano procedimentale, sia sul piano della ricorrenza dei presupposti di esercizio del potere coercitivo.

Per l’attività di polizia di sicurezza la legge è, dunque, parametro di valutazione e vincolo di scopo: la cura dell’interesse pubblico al mantenimento dell’ordinata e pacifica convivenza civile impone l’adozione di misure che possono essere limitative della sfera individuale[24].

4. Sicurezza pubblica nello spazio europeo

Il concetto di sicurezza si riverbera anche nel diritto europeo, ossia in uno spazio comune ai paesi aderenti che impone, o dovrebbe imporre, limitazioni alla propria sovranità in forza dell’accettazione, ab origine, di regole sovranazionali[25].

In aderenza a quanto poc’anzi sostenuto, ai sensi dell’art. 3, comma 2, TUE l’Unione “offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (cosiddetto SLSG), detto obiettivo assume una importanza tale da essere formulato quasi come una prestazione dell’Unione piuttosto che come un mero scopo[26].

Al contempo però la sicurezza nazionale costituisce un forte limite alle competenze dell’Unione rispetto agli Stati, come specifica l’art. 4, comma 2, TUE, ai sensi del quale l’UE rispetta l’identità nazionale degli Stati membri “insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali” e “le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale”[27].

Sempre l’art. 4 TUE blinda ulteriormente l’egemonia statale su quest’ultimo concetto, chiarendo che “in particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro” (comma 2, ult. periodo).

Peraltro la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha interpretato da subito in maniera restrittiva il concetto di sicurezza, che non può divenire una riserva generale di competenza statale ma può essere invocata solo in presenza di “una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività” e comunque sempre nel rispetto del principio di proporzionalità[28].

Una ulteriore accezione del termine riguarda i rapporti esterni dell’Unione e i profili legati alla difesa (art. 21 ss. TUE), per i quali è istituita la figura dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (art. 18 TUE).

L’accelerazione in questi settori è stata impressa dal Trattato di Lisbona del 2009[29], da cui risulta appunto l’attuale formulazione dell’art. 3 e con il quale è stato creato un complesso sistema di agenzie e organismi coordinati tra loro e con le autorità nazionali e sono stati rivisti anche i meccanismi di approvazione delle norme e di decisione per l’attuazione delle misure in materia di SLSG.

In ausilio a questa sorta di rivisitazione securitaria dello spazio europeo, sicuramente si è addivenuti anche in virtù della minaccia della criminalità organizzata transnazionale, a cui ha fatto da contraltare la inadeguatezza delle politiche preventive a livello nazionale.[30]

A fronte della organizzazione capillare delle consorterie criminali internazionali, capaci di penetrare con uomini e capitali e fare affari in diversi stati, il bisogno di una risposta efficace ha spinto a forme di collaborazione sempre più frequenti , basate non solo su condivisione di informazioni, ma tese anche ad istituzionalizzare azioni commune a mezzo di strutture di raccordo tra le varie forze di polizia.

Proprio la cooperazione tra forze di polizia rappresenta, ad oggi, la formula su cui si basano gli strumenti giuridici che permettono a più Stati di lavorare in commune sia nella prevenzione che in un contrasto sempre più efficace ai fenomeni criminali transnazionali.

Si può ben dire che la stessa ha avuto una duplice direttrice storica: da un lato quella che vede un ruolo prevalente e propulsivo dei governi nazionale secondo quella che è la tradizione del diritto internazionali; dall’altro, quella che si basa sui rapporti diretti tra forze di polizia dei diversi paesi, soprattutto a livello di intelligence, che vengono coordinate da organizzazioni internazionali o sovranazionali[31].

Soprattutto a livello europeo, ma non solo, il metodo scelto per la cooperazione in materia di sicurezza è stato ed è tutt’ora quello intergovernativo[32], tanto per le azioni volte al contrasto della criminalità organizzata, terrorismo internazionale, quanto per la stipulazione di accordi multilaterali tra Stati contigui dal punto di vista territorial, o comunque legati da comuni interessi.

L’azione dell’Unione in materia è stata poi sviluppata con diversi provvedimenti di programmazione pluriennale e di sviluppo di strategie comuni dai quali emerge l’ampiezza del concetto europeo di sicurezza, che comprende profili di sicurezza materiale (safety), ma anche più ampi relativi al benessere dei singoli e della società tutta in relazione ad un complesso di materie (security) [33].

A livello maramente strutturale, nella accezione della nascita di istituzioni intergovernative cooperanti, ricordiamo, in seno alla Comunità Europea, il gruppo TREVI (acronimo di Terrorismo, Radicalismo, Estremismo, Violenza internazionale), costituito intorno alla metà degli anni ’70 al fine di prevenire e combattere il terrorismo internazionale, e la cui azione era quella di un reciproco scambio di informazioni operative tra ministri, funzionari ministeriali e forze di polizia[34].

Verso la metà degli anni ’80, invece, le problematiche inerenti la sicurezza acquisiscono sempre maggiore valenza e preoccupazione, portando alcuni stati europei a sottoscrivere il cd. Accord di Schengen, che, a fronte di un progressive rafforzamento della libera circolazione tra i paesi aderenti, prevedeva vieppiù l’adozione di misure funzionali alla tutela della sicurezza pubblica, prevedendo forme di cooperazione e di coordinamento tra forze di polizia onde prevenire il fenomino della criminalità organizzata sovranazionale[35].

La cooperazione tra forze di polizia attuata con l’Accordo di Schengen, si è tradotta successivamente in una vera e propria inclusion della stessa tra i pilastri portanti dell’Unione Europea con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht del 1992; dei tre pilastri, dopo la Politica estera e difesa comune e la Comunità economica europea, vi è per l’appunto la cooperazione tra forze di polizia.

All’attualità, ad onor del vero, detto pilastro è rimasto caratterizzato dal metodo intergovernativo, a differenza di quello economico che è diventato comunitario.

Solo dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel ’97, il modello di cooperazione tra forze di polizia si concretizza con il ruolo dell’Ufficio europeo di polizia (noto con l’acronimo di EUROPOL), che inizia a svolgere una significativa attività investigative volta alla sicurezza degli Stati aderenti.

5. Da Sicurezza pubblica a Sicurezza cibernetica

L’individuazione della funzione di prevenzione richiede una serie di chiarimenti relativi al contesto e una distinzione tra concetti connessi ma in parte distinti, quali la sicurezza, nelle diverse accezioni di sicurezza pubblica e nazionale, e l’ordine pubblico.

Tali concetti, che tradizionalmente sono stati oggetto di studio da parte della scienza del diritto  amministrativo fin dalle sue origini, vengono oggi declinati in forme e  con contenuti in parte nuovi, a seguito della comparsa di nuove esigenze ed emergenze legate ad esempio ai fenomeni belligeranti, vedi il conflitto israelo-palestinese e quello russo-ucraino,  e pandemici,  ma anche delle nuove possibilità che la tecnologia rende accessibili. 

Quest’ultima è legata alla funzione statale di garanzia della sicurezza cibernetica, introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento con il d. lgs. n. 65 del 2018[36] e oggi chiamata anche cybersicurezza[37], che racchiude, in maniera omnicomprensiva, l’insieme delle attività necessarie per proteggere la rete e i sistemi informativi, gli utenti di tali sistemi e le altre persone interessate dalle minacce informatiche[38].

In sostanza, la tutela circa la sicurezza dei sistemi informatici a livello fisico avviene allocando i server in luoghi sicuri e sorvegliati, ed inoltreagendo a livello logico, prevedendo la possibilità di utilizzo dei sistemi esclusivamente da parte di utenti autorizzati mediante autenticazione e individuando diversi livelli di sicurezza degli utenti[39],

Da tempo ormai, le minacce alla sicurezza nazionale pervadono anche uno spazio diverso da quello fisico per antonomasia, vale a dire lo spazio virtuale poc’anzi descritto, che poi così virtuale non è, considerata la sua sostanziale realtà.

Con la disposizione testè menzionata, il legislatore ha inteso istituire uno specifico spazio, il cd. “perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”, all’interno del quale sono stati individuati determinati operatori, nei settori dell’energia, trasporti, bancario, mercato finanziari, sanità, distribuzione acqua potabile e digitale, i quali afferiscono a servizi essenziali verso i quali lo Stato deve garantire la sicurezza della rete e dei sistemi informativi[40]; in tal caso la sicurezza va intesa quale capacità di resistenza rapportato ad un determinato grado di riservatezza, ad ogni azione che ne possa compromettere la disponibilità, l’autenticità, l’integrità o la riservatezza dei dati conservati, o trasmessi, o trattati e dei relativi servizio offerti o accessibili a mezzo di tale rete o sistemi informativi[41].

Da tale assunto si può desumere come la cybersicurezza si riferisca non tanto alle minacce concernenti l’individuo che si muova in uno spazio virtuale quale quello digitale, quanto, invece, alla dimensione materiale delle funzioni e servizio pubblici che occorrono alla tecnologia per erogare e organizzare una determinata attività.

Tornando al concetto di perimetro di sicurezza cibernetica, lo stesso ha origine a livello comunitario con la direttiva UE 2016/1148 (c.d. Direttiva NIS), finalizzata espressamente all’implementazione di un “livello elevato di sicurezza della rete e dei sistemi informativi in ambito nazionale, contribuendo ad incrementare il livello comune di sicurezza nell’Unione Europea.

L’attuazione della stessa nell’ordinamento giuridico italiano è avvenuta ex d.l. 105/2019, convertito con modificazioni in Legge 18 novembre 2019 n. 133, ai sensi del quale è stato formalmente istituito il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica.

Successivamente, con l’introduzione del DPCM n. 131 del 30 luglio 2020, lo stesso ha meglio specificato i criteri in virtù dei quali si possono individuare i soggetti da includere nel perimetro di sicurezza cibernetica, introducendo all’uopo il concetto di “pregiudizio per la sicurezza nazionale”[42] .

L’inclusione dei soggetti, siano essi pubblici o privati, nel perimetro di cui sopra, è subordinate ad una serie di obblighi preventivi e successivi allorquando si verifichi una compromissione o perdita di sicurezza o di efficacia dello svolgimento di una funzione essenziale dello Stato o di un servizio essenziale connesso al malfunzionamento o incidente occorso alle reti, sistemi informative e servizi informatici[43].

Detta inclusione, sovente contenuta in elenchi, avviene con criteri afferenti la discrezionalità tecnica, tenendo in debita considerazione l’entità del nocumento per la sicurezza nazionale, che può essere originata dal cattivo funzionamento delle reti, sistemi e servizi informatici, così come dall’utilizzo improprio o dall’interruzione degli stessi[44].

Una ulteriore definizione di cybersecurezza viene fornita dal d.l. 82/2021, intesa come “l’insieme delle attività necessarie per proteggere dalle minacce informatiche reti, sistemi informativi, servizi informatici e comunicazioni elettroniche, assicurandone la disponibilità, la confidenzialità e l’integrità e garantendone la resilienza, anche ai fini della tutela della sicurezza nazionale e dell’interesse nazionale nello spazio cibernetico”, nella quale il concetto di sicurezza nazionale viene affiancato dal nuovo e, allo stesso tempo, antico concetto di interesse nazionale, quasi a voler indicare un elemento aggiuntivo rispetto alla sicurezza nazionale[45].

Un aspetto particolare di questa nuova definizione di cybersicurezza, risiede nella circostanza che, rispetto a quanto visto in precedenza, la sicurezza nazionale, affiancata ora dall’interesse nazionale, non costituiscono il fine esclusivo del potere, ma si aggiungono, rispetto alla necessità di proteggere i servizi essenziali dalle minacce provenienti dalla rete, a tutta una serie di servizi che non vengono più contraddistinti dal carattere  della essenzialità ma esclusivamente dal loro contenuto tecnologico[46].

In relazione all’aspetto, invece, della governance nazionale della cybersicurezza, è imporante ricordare il d.l. 82/2021 istitutivo del concetto di “architettura nazionale di cybersicurezza” e dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (meglio conosciuta con l’acronimo ACN), quest’ultima avente competenze per lo più regolatorie che vengono esternate a mezzo di determinazioni tecniche.

L’ indirizzo politico circa la cybersicurezza, nonchè I criteri e modalità per l’individuazione dei soggetti da includere nel perimetro di sicurezza nazionale è incardinato in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale ha l’alta direzioni e la responsabilità generale delle politiche di cybersicurezza, nonchè l’adozione della strategia nazionale e la nomina ndei vertici dell’Agenzia sopra menzionata.

Al di sotto del Presidente del Consiglio vi è il Comitato interministeriale per la cybersicurezza (conosciuto con l’acronimo CIC), il quale espleta funzione prettamente di consulenza, proposta e vigilanza sulle politiche di cybersicurezza.

Inoltre, oltre alla già nominata Agenzia per la cybersicurezza nazionale vi sono i soggetti con i quali sono necessari raccordi istituzionali quali il Parlamento, il COPASIR e i Servizi di intelligence.

6. Conclusioni

Gli eventi internazionali che hanno interessato gli ultimi mesi hanno offerto a tutti noi una percezione più accurata dell'importanza della cybersecurity in ambito di sicurezza nazionale, mostrando come l'accesso a determinate informazioni possa incidere sulla politica estera e determinare un'alterazione degli assetti di potere tra potenze rivali.

Possedere dati riservati, potenzialmente sensibili per la gestione di un paese straniero, può costituire una risorsa preziosa in sede di trattative e accordi commerciali, ma al contempo genera un rischio immenso per chi quella fuga di notizie la subisce: lasciare che un'entità statale con interessi potenzialmente in contrasto con i propri conosca i fattori che determinano le strategie governative in merito a questioni sensibili rischia di mettere in pericolo la capacità contrattuale di una potenza, rendendola più vulnerabile alle speculazioni esterne.

La ormai consolidata dimensione digitale del mondo intero racchiude in sè anche la dimensione sociale e dei servizi, aprendo, quindi, nuovi scenari di servizio al cittadino, provocando al contempo anche potenziali minacce per la collettività, in quanto la digitalizzazione stessa porta ad un’aggressione che si riverbera sulla stessa[47].

Abbiamo detto che la funzione di prevenzione rappresenta una funzione fondamentale dello Stato, e che trova applicazione in tutti i campi della vita sociale, e che si espande con il riespandersi dei compiti di protezione e controllo dello Stato[48]; tutto quando sopra esposto si può affermare anche in relazione alla cybersicurezza, che concerne nel suo complesso l’ordinamento statale, e nel dettaglio le sue singole component, tra cui imprese e cittadini, in quanto gli attacchi in rete sono tesi ad arrecare minacce sia nei confronti degli interessi dello Stato, sia nella fruibilità dei diritti da parte dei soggetti dell’ordinamento[49].

La necessità di preservare la sicurezza dello stato, proprio laddove lo sviluppo tecnologico apre ampi spazi di privatizzazione e liberalizzazione che riguardano tanto funzione quanto beni[50], conduce ad un bisogno impellente di poteri regolatori, preventivi e sanzionatori atti a garantire la sicurezza interna ed esterna, così come quella individuale e collettiva[51].

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si può affermare che la funzione di prevenzione, benchè vi siano segnali di una estensione del relative potere amministrativo, abbia assunto una nuova dimensione, legata proprio al perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e a ciò che esso contiene: intanto, il ruolo che gli organi e le valutazione di tipo tecnico assumono per l’esercizio del potere anche in ambiti altamente discrezionali e vicini alle scelte politiche dell’ordinamento; inoltre, la condivisione e la gestione del potere a mezzo di strutture organizzativo complesso e coordinate.


Note e riferimenti bibliografici

*Paragrafo 1 a cura di Colucciello R.; paragrafo 2 a cura di Pellecchia A.; paragrafo 3 a cura di Colucciello R.; paragrafo 4 a cura di Pellecchia A.; paragrafo 5 a cura di Colucciello R.; paragrado 5 a cura di Pellecchia A.; paragrafo 6 a cura di Colucciello R.

[1] Cfr. PACE A., La sicurezza pubblica nella legalità costituzionale, in Rivista AIC, n. 1/2015, pag. 4;

[2] Cfr. PACE A., op. cit., pag. 4;

[3] Cfr. DOGLIANI M., I diritti fondamentali, in M. Fioravanti (a cura di), Il valore della Costituzione, Roma-Bari, Laterza, 2009, pagg. 41-63;

[4] Cfr. URSI R., La sicurezza pubblica, Il Mulino, Bologna, 2022, pag. 53;

[5] Cfr. MORTATI C., Le forme di Governo, Cedam, Padova, 1973;

[6] Cfr. URSI R., op.cit., pag. 54;

[7] Cfr. TROMBETTA G., Ordine pubblico e sicurezza nell’ordinamento italiano, in Democrazia e Sicurezza – Democracy and Security Review, anno X, n. 2, 2020;

[8] V. le sentt. della Corte Cost. 26 luglio 2002, n. 407, che ha escluso che la materia delle attività a rischio di incidenti rilevanti ricadesse nell’art. 117, comma 2 lett. h); 13 gennaio 2004, n. 6, che esclude che la sicurezza tecnica dell’approvvigionamento di energia elettrica rientri nell’ordine pubblico; 1° giugno 2004, n. 162, che esprime analoga opinione per la sicurezza sanitaria. In linea generale, molto chiaramente, Corte cost., 25 luglio 2001, n. 290, secondo cui la chiara circoscrizione dell’ambito materiale «è necessaria ad impedire che una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le attività che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorità statali di polizia e autonomie locali».

[9] V. Corte Cost., 17 marzo 2006, n. 105 (che ha ritenuto non illegittima l.r. Abruzzo 12 novembre 2004, n.40, contemplante un comitato di studi sui fenomeni criminali, senza che fosse prevista la partecipazione di rappresentanti dello Stato); 6 maggio 2010, n. 167 (che ha ammesso la legittimità di interventi promozionali regionali anche nel settore delle politiche di sicurezza transfrontaliere); 27 febbraio 2019, n. 27 (favorevolmente pronunciatasi sulla l.r. Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40, finalizzata a prevenire la diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco); n. 10 novembre 2011, n. 300 (che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità della l.pr. Bolzano 22 novembre 2010, n. 13, in tema di prevenzione del gioco compulsivo);

[10] Cfr. LUCIANI M., La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Cedam, Padova, 1983, pag, 194;

[11] Cfr. URSI R., op.cit., pag.73;

[12] Cfr. GIUPPONI T.F., La sicurezza e le sue “dimensioni” costituzionali, in Diritti umani. Teorie, analisi, applicazioni, a cura di S. Vida, Bologna, 2008;

[13] Cfr. GIUPPONI T.F., op. cit.

[14] Cfr. PACE A., op. cit., sullo stesso argomento BAUMANN Z., Dallo Stato sociale allo Stato di sicurezza, in ID., L’Europa è un’avventura (Europe. An Unfinished Adventure, 2004), trad. it. M. CUPELLARO, Roma-Bari, 2006, 109 ss., la percezione della sicurezza pubblica sarebbe cambiata a trent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale;

[15] Cfr. GIALUZ M. e SPAGNOLO P., Commento all’art. 5, in BARTOLE S., De SENA P., ZAGREBELSKY G. (a cura di), Commentario breve alla CEDU, Padova, Cedam, 2012, pagg. 106-172;

[16] Cfr. RIDOLA P., Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, in Nania R. e Ridola P. (a cura di), I diritti costituzionali, II ed. Vol. I, Torino, 2006, pagg. 138 ss.;

[17] Cfr. PACE A, op.cit., pag. 2;

[18] Cfr. CORSO G., Ordine pubblico nel diritto amministrativo, in Dig. disc. Pubbl., vol. X, Torino, 1995, pag. 439;

[19] Cfr. PACE A., Libertà e sicurezza. Cinquant’anni dopo, in A. TORRE (a cura di), Costituzioni e sicurezza dello Stato, Rimini, 2013, pag. 560;

[20] Cfr. D’ALOIA A., La sicurezza tra i diritti, in Studi in onore di Franco Modugno, Napoli, vol. II, 2011, pag. 1105;

[21] Cfr. MOSCA C., La sicurezza come diritto di libertà. Teoria generale delle politiche della sicurezza, Padova, 2012, pag. 269;

[22] Cfr. URSI R., Il parametro della pericolosità e i poteri di polizia di sicurezza, in Amministrativamente, Rivista scientifica trimestrale di Diritto Amministrativo, Fascicolo n. 3/2022;

[23] Cfr. URSI R., op. cit.;

[24] Cfr. URSI R., op.cit.;

[25] Cfr. FERRARO F., Libertà e sicurezza nell’Unione Europea. Tra età moderna e globalizzazione, Pisa, 2012, pagg. 148 ss.;

[26] Cfr. BUOSO E., Potere amministrativo e sicurezza nazionale cibernetica, in Nuovi problemi di amministrazione pubblica, studi diretti da Franco Gaetano Scoca, Giappichelli, Torino, 2023, pagg. 14 ss.;

[27] Cfr. BUOSO E., op. cit., pag. 15;

[28] Cfr. Le applicazioni del principio di proporzionalità da parte della Corte di Giustizia in relazione alla materia della sicurezza sono innumerevoli. Si v. ad es. CGUE 15 maggio 1986, causa C-222/84; 26 ottobre 1999, causa C-273/97;

[29] Approvato il 13 dicembre 2007, ratificato dall’Italia con l. 2 agosto 2008, n. 130 (G.U. s.g. n. 185 del 8 agosto 2008) ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009;

[30] Cfr. URSI R., op. cit., pag 219;

[31] Cfr. MILAZZO P., Quadro costituzionale italiano e cooperazione europea di polizia, ESI, Napoli, 2012, pag. 12;

[32] Cfr. URSI R., op, cit., pag. 220;

[33] Cfr. C. BUZZACCHI C., Sicurezza e securitization tra Stato, Unione europea e mercato, in Pizzolato F., Costa P. (a cura di), Sicurezza, Stato e mercato, Milano, 2015, pag. 103;

[34] Cfr. URSI R., op. cit., pag. 223;

[35] Cfr. NASCIMBENE B., Lo << spazio Schengen >>: libertà di circolazione e controllo alle frontiere esterne, in www.camera.it;

[36] D.lgs. 18 maggio 2018, n. 65, Attuazione della direttiva (UE) 2016/1148 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione, in G.U. n. 132 del 9 giugno 2018;

[37] Si adotta qui la grafia ibrida angloitaliana, anziché quella solo italiana di “cibersicurezza” perché pare essere quella (prevalentemente) scelta dal legislatore: v. d.l. 21 settembre 2019, n. 105, Disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e di disciplina dei poteri speciali nei settori di rilevanza strategica, conv. con modif. in l. 18 novembre 2019, n. 133, in G.U. 20 novembre 2019, n. 272; d.l. 14 giugno 2021, n. 82, Disposizioni urgenti in materia di cybersicurezza, definizione dell’architettura nazionale di cybersicurezza e istituzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, conv. con modif. in l. 4 agosto 2021, n. 109, in G.U. 4 agosto 2021, n. 185;

[38] Art. 2, n. 1) Reg. UE 2019/881 relativo all’Agenzia dell’Unione Europea per la cybersicurezza, e alla certificazione della cybersicurezza per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione;

[39] Cfr. Guarriello V., Cybersecurity: una sfida tra Pubblica Sicurezza e Sicurezza Nazionale, in Cammino Diritto, Rivista di informazione giuridica, 25.02.2022;

[40] Cfr. Buoso E., Potere amministrativo e sicurezza nazionale cibernetica, in Nuovi Problemi di Amministrazione Pubblica, studi diretti da Franco Gaetano Scoca, Torino, 2023, pagg. 89 e ss.;

[41] Cfr. Buoso E., op. cit., pag. 89;

[42] Art. 1 DPCM 131/2020, qualificato come “danno o pericolo di danno all’indipendenza, all’integrità o alla sicurezza della Repubblica e delle istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento, ovvero agli interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia, conseguente all’interruzione o alla compromissione di una funzione essenziale dello Stato o di un servizio essenziale”;

[43] Art. 1, comma 1, lett. g) e h) DPCM 131/2020;

[44] Cfr. Buoso E., op. cit., pag. 105;

[45] Cfr. BUOSO E., op. cit., pag. 93;

[46] Cfr. BUOSO E., op. cit., pag. 93;

[47] Cfr. BAUMAN Z., La società dell’incertezza, a cura di Marchisio R., Bologna, 1999, pag. 147;

[48] Cfr. BUOSO E., op. cit., pag. 109, e sullo stesso argomento Gerbaudo P., Controllare e proteggere. Il ritorno dello Stato, Milano, 2021, pagg. 23 e ss.;

[49] Cfr. DE VERGOTTINI G., Una rilettura del concetto di sicurezza nell’era digitale e della emergenza normalizzata, in rivista AIC, 4/2019, pag. 76;

[50] Cfr. NAPOLITANO G., Abrescia M., Analisi economica del diritto, Bologna, 2009, pag. 86;

[51] Cfr. GIUPPONI T., Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna, 2010, pag. 1 e ss.